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Il giudizio di parificazione

Non oltre il 31 maggio, il Ministero del tesoro, a cura del Ragioniere generale, trasmette alla Corte dei conti il rendiconto generale dell’esercizio scaduto, al fine del giudizio di parificazione, ai sensi dell’art. 23 della legge n. 468/1978. A sua volta, la Corte dei conti, non oltre il 25 giugno, giusto il disposto dell’art. 149, regolamento di contabilità, deve eseguire le verificazioni di sua competenza. In sede di parificazione, la Corte esamina il rendiconto e ne verifica le risultanze a confronto con le proprie scritture e con la legge di bilancio. In particolare accerta: se le entrate riscosse e versate ed i residui da riscuotere e da versare siano conformi ai dati esposti nei conti periodici e nei riassunti generali trasmessi alla Corte dai singoli ministeri, in corso di esercizio; se le spese ordinate e pagate durante l’esercizio concordino con le sue scritture; se i residui passivi corrispondano alle dimostrazioni allegate ai decreti ministeriali di impegno ed alle proprie scritture. Il giudizio di parificazione riguarda, essenzialmente e secondo tradizione, il conto consuntivo del bilancio, anche a mente dell’art 100 della Costituzione, che affida alla Corte dei conti il controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato; e dell’art. 81 della stessa Costituzione, che sottolinea la stretta

69 connessione intercorrente tra “i bilanci” ed il “rendiconto consuntivo”. Tuttavia, da anni la Corte ha ritenuto di dover superare le stesse norme positive in materia e di non limitare la sua competenza al rendiconto generale finanziario, sotto il profilo che la rendicontazione della gestione del bilancio non si esaurisce nel conto del bilancio, ma copre anche le aree del conto del patrimonio, su cui, dunque, la Corte estende la propria pronuncia di regolarità (ancorché non sia poi prevista l’approvazione parlamentare). Sulla regolarità del rendiconto la Corte delibera a sezioni riunite con deliberazione di parificazione, con le formalità della giurisdizione contenziosa, e cioè in seduta pubblica e con l’intervento del Procuratore generale presso la stessa Corte (Art. 40, t.u. n. 1214/1934). Proprio per queste ragioni si parla di giudizio di parificazione: e la natura giurisdizionale dell’attività posta in essere dalla Corte nella fattispecie trova conferma nel citato art. 40 del t.u., sia pure in riferimento alla sola forma del giudizio. Altri ritiene, invece, che la natura del giudizio di parificazione sia da inquadrare nella funzione di controllo della Corte, sicché è da escludere ogni profilo giurisdizionale del giudizio, in mancanza di un contraddittorio e per la inapplicabilità delle norme processuali tipiche del giudizio di conto. Il problema non ha solo connotazioni formali, perché dalla conclusione cui si accede dipende la soluzione della ulteriore questione se la Corte abbia la potestà di sollevare questioni di legittimità costituzionale in se di parificazione.

70 Al quesito ha dato risposta positiva la Corte costituzionale, che ha, dapprima implicitamente34, e quindi espressamente35, definito “giurisdizionale” la natura del procedimento di parificazione ai fini della proponibilità di questioni di legittimità costituzionale, ai sensi dell’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1. Questo orientamento di favore per la “giurisdizionalità” del procedimento di parificazione ha trovato conferma quando la Corte costituzionale36 ha riconosciuto che la Corte dei conti opera come “giudice” anche in sede di controllo e che il relativo procedimento può essere qualificato come “giudizio”. Anche la sezione di controllo, dunque, in forza di questa discussa decisione, definita una “forzatura”, ha la potestà di sollevare eccezioni di costituzionalità, come confermato dalla stessa corte costituzionale37 “in riferimento ai profili di copertura finanziaria posti dall’osservanza dell’art. 81 della Costituzione”. Resta, invece, esclusa ogni questione di legittimità costituzionale da parte della Corte dei conti solo in ordine al controllo successivo sulla gestione. La Corte costituzionale38, infatti, ha deciso che tale forma di controllo non è in alcun modo assimilabile alla funzione giurisdizionale preordinata alla tutela del diritto oggettivo, a differenza di quanto avviene in sede di controllo preventivo di

34 Corte Cost. 19 dicembre 1963, n. 165, in www.cortecostituzionale.it. 35

Corte Cost. 19 dicembre 1966, n. 121; Corte Cost. 30 dicembre 1968, n. 142; Corte Cost. 30 dicembre 1968, n. 143, in www.cortecostituzionale.it.

36 Corte Cost. 18 novembre 1976, n. 226, in www.cortecostituzionale.it. 37

Corte Cost. 17 ottobre 1991, n. 384, in www.cortecostituzionale.it.

71 legittimità. Merita, inoltre, di ricordare che la Corte costituzionale39 ha dichiarato ammissibile la questione di costituzionalità sollevata dalla Corte dei conti in sede di giudizio di parificazione per violazione dell’art. 81, 4° comma, con riferimento a leggi di spesa prive di copertura, anche in ragione dell’indirizzo che tende a tutelare gli equilibri della finanza pubblica e che riconosce alla Corte dei conti il ruolo di garante degli stessi equilibri. Il giudizio di parificazione, quindi, non ha più solo valenze di riscontro e verifica, rispetto alla legge di bilancio, delle risultanze del rendiconto. L’ambito del controllo della Corte dei conti è andato espandendosi in ragione, anche, del moltiplicarsi dei centri di spesa. Per tale motivo, la Corte costituzionale40 ha così rilevato l’esistenza di un “limite delle risorse disponibili” al fine di “salvaguardare l’equilibrio del bilancio dello Stato e di perseguire gli obiettivi della programmazione finanziaria”, tramite un unico “garante” della gestione: la Corte dei conti. La quale Corte può pertanto, in sede di parificazione, sollevare questioni di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 81, 4° comma, della Costituzione riguardo a leggi che incidano sul bilancio dello Stato, alterandone gli equilibri. Parificato il rendiconto generale, escluse le parti per le quali siano ravvisate irregolarità, la Corte dei conti, giusta la norma di cui all’art. 100 della Costituzione, deve predisporre una relazione con la quale “riferisce direttamente alle Camere sul risultato

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Corte Cost. 14 giugno 1995, n. 244, in www.cortecostituzionale.it.

72 del riscontro eseguito”. Nella sua relazione la Corte espone le ragioni per le quali ha apposto con riserva il visto a mandati o altri atti; le sue osservazioni circa il comportamento delle singole amministrazioni in relazione a norme di contenuto amministrativo o finanziario; le variazioni e le riforme che reputa opportune per il perfezionamento delle leggi e dei regolamenti sull’amministrazione e sui conti del pubblico denaro (art. 41, t.u. n. 1214/1934). La Corte trasmette quindi al Ministero del tesoro il rendiconto parificato per la successiva presentazione al Parlamento, ai sensi dell’art. 79 della legge di contabilità e dell’art. 43 del t.u. n. 1214/1934 e dell’art. 24 della legge n. 468/1978. Entro il mese di giugno il Ministro dell’economia, previa deliberazione del Consiglio dei ministri e con l’autorizzazione del Presidente della Repubblica, presenta al Parlamento il rendiconto generale dell’esercizio scaduto (art. 21, legge n. 468/1978). Le Camere, con procedura analoga a quella relativa all’approvazione del bilancio, approvano, con apposita legge, il rendiconto consuntivo, che diviene così “intangibile”, nel senso che le sue risultanze acquistano il carattere della irrevocabilità.

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CAPITOLO SECONDO

IL CONTROLLO DELLA RAGIONERIA GENERALE

DELLO STATO

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