Tra gli strumenti regionali volti alla tutela dei diritti umani ed a riconoscere il
divieto di tortura si annovera un «documento di straordinaria importanza
giuridica e pietra miliare della tutela dei diritti fondamentali»
182: la
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (CEDU), approvata a Roma il 4 novembre 1950, la quale trova la
sua fonte di ispirazione nella Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite. La
CEDU afferma, all’art. 3, che «nessuno può essere sottoposto a tortura, né a
pene o trattamenti disumani o degradanti»
183. La norma in esame trova la sua
tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali».181 Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione internazionale costituita il 5 maggio 1949 con il Trattato di Londra ed avente sede a Strasburgo che ha come scopo quello di promuovere la democrazia, i diritti umani, l'identità culturale europea e la risoluzione dei problemi sociali in Europa. Sull’azione del Consiglio d’Europa, v., in particolare, A. ESPOSITO, La giustizia penale tra patti internazionali a tutela dei diritti dell’uomo e l’azione del Comitato europeo peri problemi criminali del Consiglio d’Europa, in Atti dell’incontro di studio (dicembre 1978) svoltosi a Siracusa sul tema Diritto penale internazionale, Roma, 1979, 124 ss; G. GREGORI, La tutela europea dei diritti dell’uomo, Milano, 1979, 35 ss; F. PALAZZO, L’influenza dell’attività del Consiglio d’Europa sul diritto penale italiano, in L’influenza del diritto europeo sul diritto italiano, Milano, 1982, 633 ss.
182 E. SCAROINA, op. cit., 72.
183 Per un approfondimento della disposizione, si v., P. PUSTORINO, Articolo 3. Proibizione della tortura, in S. BARTOLE, P. DE SENA, V. ZAGREBELSKY, (a cura di), Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2012, 63 ss; A. COLELLA, F. CASSIBBA, Art. 3 – Proibizione della tortura, in G. UBERTIS, F. VIGANÒ (a cura di), Corte di Strasburgo e giustizia penale, Torino, 2016, 64 ss; S. NEGRI, Violenze, maltrattamenti ed abusi commessi dalle forze dell’ordine (artt. 2 e 3 CEDU), in A. DI STASI, (a cura di), CEDU e ordinamento italiano, Padova, 2016, 115 ss; A. ESPOSITO, Art. 3. Proibizione
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principale ratio nell’esigenza di proteggere il principio essenziale della dignità
di ogni essere umano. Il divieto ha, quindi, natura assoluta ed inderogabile, non
potendo subire alcuna eccezione volta a diminuirne la portata. Tale aspetto
trova conferma nell’art. 15 parr. 1 e 2 CEDU, nei quali si specifica che le
eventuali deroghe richieste dagli Stati contraenti «in caso di guerra o in caso di
pericolo pubblico che minacci la vita della nazione» non riguardano alcuni
articoli della CEDU, fra cui rientra l’articolo 3
184185.
della tortura, IN S. BARTOLE, B. CONFORTI, G. RAIMONDI (a cura di), Commentario alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2001, 49 ss; ID., Il diritto penale flessibile, Torino, 2008, 220 ss.; G. CATALDI, Osservazioni sulla giurisprudenza della [Corte EDU] in materia di tortura, in DUDI, 2008, 50 ss; A. COLELLA, C’è un giudice a Strasburgo. In margine alle sentenze sui fatti della Diaz e di Bolzaneto, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 1801, ss; ID., La repressione penale della tortura, cit., spec. 21- 28; P. PUSTORINO, E. FRONZA, Commento all’art. 4, in R. MASTROIANNI, O. POLLICINO, S. ALLEGREZZA, F. PAPPALARDO, O. RAZZOLINI, (a cura di), Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Torino, 2017, 73 ss; F. TRIONE, Divieto e crimine, cit., 30-80. Con riguardo al panorama internazionale, si veda, C. GRABENWARTER, The [ECHR]: Commentary, Monaco, 2014, 31 ss; R. C. A. WHITE, C. OVEY, The European Convention on Human Rights, Oxford, 2010, 167 ss; A. CULLEN, Defining Torture in Internationl Law: a Critique of the Concept Employed by the European Court of Human Rights, in California Western International Law Journal, 34 (1), 2003, spec. pp. 35-45; D. JENKINS, The European Legal Tradition against Torture and Implementation of Article 3 of the [ECHR], in Public Law, 2007, 15 ss; F. SUDRE, Article 3, in L. E. PETTITI, E. DECAUX, P. H. IMBERT (a cura di), La Convention Européenne des Droits de l’Homme. Commentaire article par article, Parigi, 1999, 155 ss; M. K. ADDO, N. GRIEFF, Does Article 3 of the [ECHR] Enshrine Absolute Rights?, in European Journal of International Law, Vol. 9 (3), 1998, 510 ss; P. J. DUFFY, Article 3 of the [ECHR], in International and Comparative Law Quarterly, vol. 32 (2), 1983, 316 ss.
184 Su tale aspetto, v., A. COLELLA, La giurisprudenza di Strasburgo, 2008-2010: il divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti, in Riv. trim. dir. pen. contemp., vol. 2, 2011, 221 ss; A. ESPOSITO, Art. 3 - Proibizione della tortura, in S. BARTOLE, B. CONFORTI (a cura di), Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2001, 49; T. SCOVAZZI, Considerazioni sull’inderogabilità di alcuni diritti tutelati dalla Convenzione europea dei diritti umani, in T. SCOVAZZI, I PAPANICOLOPULU ( a cura di), I diritti umani di fronte al Giudice internazionale, Milano, 2009, 133 ss; L. ZAGATO, Ancora sul rapporto tra stato di eccezione e divieto di tortura. La reazione del diritto, in L. ZAGATO, S. PINTON (a cura di), La tortura nel nuovo millennio, vol. IV, Padova, 2010, 215 ss. L’assolutezza e l’inderogabilità del divieto è stata sostenuta dalla Corte EDU, escludendo la possibilità di effettuare dei bilanciamenti fra i valori tutelati dall’art. 3 e quelli riconosciuti in altri valori anch’essi meritevoli di tutela, quali la prevenzione di reati ( Corte europea dei diritti dell’uomo, 25 aprile 1978, Tyrer v. Regno Unito, ric. n. 5856/72, par. 31) e la lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata (Corte europea dei diritti dell’uomo, Chahal v. Regno Unito, 15 novembre 1996, ric. n. 22414/93, par. 76 e Corte europea dei diritti dell’uomo, 28 febbraio 2008, Saadi v. Italia, ric. n. 37201/06, parr. 120- 122), oltre a ritenere prive di rilevanza le motivazioni specifiche che spingono gli Stati a consentire la sottoposizione degli individui alle violazioni di cui all’art. 3 CEDU quale, ad esempio, il fine di salvare la vita di altri individui (Corte europea dei diritti dell’uomo, 01 giugno 2010, Gafgen v. Germania, ric. n. 22978/05, par. 107). Sull’ammissibilità di alcune deroghe astrattamente concepibili nel caso, ad esempio, di evitare il suicidio di un soggetto o la
57
Inoltre, il divieto contenuto in quest’ultima disposizione rappresenta uno dei
valori fondamentali delle società democratiche
186.
La norma in questione è, forse, una delle più scarne della Convenzione, non
definendo i termini di tortura, né i trattamenti inumani o degradanti.
La ratio di tale lacuna può ravvisarsi nei lavori preparatori della stessa
187, ove
il rappresentante francese Teitgen aveva dichiarato che un elenco tassativo
delle fattispecie di tortura avrebbe comportato l’esclusione di altre forme di
tale crimine dall’ambito di applicazione dell’art. 3 CEDU
188.
L’individuazione dei limiti e della portata delle nozioni contenute in tale
disposizione è passata dapprima attraverso l’esame della Commissione e,
successivamente, tramite la copiosa giurisprudenza della Corte EDU in
materia
189, organi
190che si sono avvalsi di un ampio margine di discrezionalità
con riguardo all’applicazione della norma
191192.
sua evasione, v., D. HARRIS, M. O’ BOYLE, Wabrick, Law of European Convention on Human Rights, ed. III, Oxford, 2014, 69-70.
185 Si tratta di un aspetto di non poca rilevanza dal momento che, come si avrà modo di analizzare nel quarto capitolo del presente elaborato, a seguito dei più recenti fenomeni di terrorismo islamico, dall’11 settembre in poi, parte della dottrina ha ritenuto possibile ricorrere ad alcune pratiche di tortura finalizzate ad acquisire prove su tali attività criminali.
186 V., ex multis, Corte europea dei diritti dell’uomo, 18 dicembre 1996, Aksoy v, Turchia, ric. n. 37546/08, par. 62.
187 Si sofferma sulla laconicità dell’enunciato, richiamando i lavori preparatori, A. CASSESE, Prohibition of Torture, cit., 226-228.
188 Council of Europe, Preparatory Work of Article 3 of the European Convention on Human Rights, Memorandum Prepared by the Secretariat of the Commission DH (56), 5, 8.
189 In questo senso, E. SCAROINA, op. cit., 76. V., altresì, A. COLELLA, La giurisprudenza di Strasburgo, cit., 221 ss; A. ESPOSITO, Il diritto penale “flessibile”. Quando i diritti umani incontrano i sistemi penali, Torino, 2008, 222. Sul fondamentale ruolo della Corte EDU, v., L. CONANT, Who Files Suit? Legal Mobilization and Torture Violations in Europe, in Law and Policy, 2016, 38 (4), 280 ss.
190 La vera novità rivoluzionaria della Convenzione era rappresentata proprio dalla creazione di questo organo giurisdizionale, la Corte europea dei diritti dell’uomo con il compito di condannare gli Stati per le violazioni dei diritti umani sanciti dalla Convenzione stessa. Sulla lenta e graduale affermazione di questo organo a seguito del timore degli Stati di una eccessiva limitazione della loro sovranità, v., A. CASSESE, I diritti umani oggi, cit., 107 ss. La Corte EDU ha sostituito nel 1998 la Commissione europea dei diritti dell’uomo, il cui compito consisteva nel verificare l’attuazione della Convenzione e la cui operatività è cessata a far data dal 01 novembre 1999, in seguito al Protocollo n. 11 della Convenzione. Sul tema v., S. BARTOLE, B. CONFORTI, G. RAIMONDI ( a cura di), Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2001, passim.
191 Tale aspetto ha sollevato alcune perplessità. Sul punto., v., M. K. ADDO, Does Article 3 of the European Convention on Human RightsEnshrine Absolute Rights?, in European Journal of International Law, Vol. 9 (3), 1998, 519 ss. La rinuncia della Corte di Strasburgo a ravvisare una nozione “fissa” e “stabile” di tortura e dei trattamenti inumani o degradanti comporta il
58
E’ bene precisare, tuttavia, come la giurisprudenza di Strasburgo abbia
ravvisato una «soglia minima di gravità», il cui superamento è necessario al
fine di qualificare l’atto come contrario all’articolo 3 CEDU
193. Il superamento
di detta soglia deve essere valutato necessariamente alla luce delle circostanze
del caso concreto e delle condizioni specifiche della persona quali, ad esempio,
l’età, il sesso, lo stato di salute, il grado di sofferenza percepito
194 195. Questo
significa che il divieto de quo è il frutto di una interpretazione vivente che si
adatta all’evolversi delle condizioni di vita e della modernità
196.
Inoltre, nelle molteplici sentenze in materia, la Corte EDU non richiede che la
tortura sia commessa da un pubblico ufficiale, potendo essere perpetrata anche
da un privato, nel c.d. rapporto orizzontale
197. E’ proprio dal combinato
disposto degli artt. 1, 3 e 8 della CEDU che i Giudici europei hanno ricavato
l’obbligo per gli Stati di adottare misure idonee a garantire che le persone sotto
la loro giurisdizione non siano assoggettate a tortura o altri trattamenti inumani
rischio della «violazione del principio di legalità, ancorché nella peculiare accezione accolta dai giudici di Strasburgo». V., O. DI GIOVINE, Come la legalità europea sta sta riscrivendo quella nazionale. Dal primato delle leggi a quello dell’interpretazione, in Dir. pen cont. (web) – http://www.penalecontemporaneo.it, 2013, 160-163; E. SCAROINA, op. cit., 77.192 Con riguardo al recepimento nel nostro ordinamento delle statuizioni provenienti dalla Corte di Straburgo, v., infra, cap. 2, par. 13. Per una bibliografia in merito si rimanda a E. NICOSIA, Convenzione europea dei diritti dell’uomo e diritto penale, Torino, 2006, passim; V. MANES, Il giudice nel labirinto, Roma, 2013, passim; C. SOTIS, Il diritto senza codice. Uno Studio sul sistema penale vigente, Milano, 2007, passim. Sull’atteggiamento di disorientamento interpretativo con specifico riferimento alle scelte della giurisprudenza dinanzi agli stimoli provenienti dal diritto convenzionale e comunitario, E. SCAROINA, Costi e benefici del dialogo tra Corti in materia penale. La giurisprudenza nazionale in cammino dopo la sentenza Grande Stevens tra disorientamento e riscoperta dei diritti fondamentali, in Cass. pen., 2015, 2910 ss.
193 Corte europea dei diritti dell’uomo, 18 gennaio 1978, Irlanda v. Regno Unito, ric. n. 5310/71, par. 162; Corte europea dei diritti dell’uomo, 28 settembre 2015, Bouyid v. Belgio, ric. n. 23380/2009, par. 86; Corte europea dei diritti dell’uomo, Mozer v. Repubblica di Moldova e Russia, ric. n. 11138/10, par. 177.
194 Corte europea dei diritti dell’uomo, 11 luglio 2006, Jalloh v. Germania, ric. n. 54810/00, par. 67; Corte europea dei diritti dell’uomo, 13 dicembre 2012, El-Masri v. Ex Repubblica Yugoslava di Macedonia, ric. n. 39630/09, par. 196; Corte europea dei diritti dell’uomo, 17 gennaio 2019, X e altri v. Bulgaria, ric. n. 22457/16, par. 82; Corte europea dei diritti dell’uomo, 6 novembre 2018, Burlya e altri v. Ucraina, ric. n. 3289/10, par. 120.
195 L’elenco delle condizioni da tenere in considerazione non ha evidentemente carattere tassativo e può essere integrato da altri elementi rappresentativi di uno stato di vulnerabilità del soggetto. Sulla nozione di vulnerabilità, v., R. CHENAL, La definizione della nozione di vulnerabilità e la tutela dei diritti fondamentali, in Ars Interpretandi, Rivista di Ermeneutica giuridica, 2, 2018, 35 ss.
196 L. MEZZETTI, Diritti e doveri, Torino, 2013, 326.
59
commessi non solo da agenti pubblici, ma anche da privati
198. In tale caso,
però, è bene precisare che per poter adire la Corte EDU, anche in relazione a
fatti costituenti tortura commessi da soggetti privati, deve comunque ravvisarsi
un comportamento omissivo dello Stato in relazione alla prevenzione o
repressione della fattispecie criminosa, tenuto conto del fatto che l’art. 3 CEDU
impone obblighi sostanziali e procedurali in capo alle parti contraenti
199.
Il criterio della soglia minima di gravità è costantemente utilizzato dalla Corte
anche per distinguere se un determinato comportamento vada configurato come
tortura, trattamento inumano o degradante
200. La linea di demarcazione tra le
tre categorie di condotte enucleate dalla norma in esame è, pertanto, da
individuarsi nella gravità delle sofferenze inflitte, da un lato e nella finalità che
persegue il soggetto agente.
Con riguardo al primo aspetto, la Corte EDU ha ravvisato un rapporto di
«continenza» e di «progressione scalare» tra le tre nozioni. In particolare, il
livello minimo di gravità è costituito dal trattamento degradante, quando sia
tale da suscitare nella vittima sentimenti di paura, angoscia, inferiorità
finalizzati ad umiliarla per piegarne la volontà (vengono in rilievo, in
particolare, elementi di natura emotiva). In un livello intermedio si collocano i
198 Corte europea dei diritti dell’uomo, 4 dicembre 2003, M. C. v. Bulgaria, ric. n. 39272/98, par. 149. Sul punto v., P. LOBBA, Punire la tortura in Italia, cit., 199. L’A. sottolinea come i Tribunali penali internazionali ad hoc abbiano fatta propria la giurisprudenza dei giudici di Strasburgo, ravvisando nella tortura un reato comune, «allontanandosi dalla definizione fornita dalla CAT, cui si erano inizialmente affidati».
199 Sulla responsabilità dello Stato in relazione alla tortura commessa dal privato, cfr., Corte europea dei diritti dell’uomo, 23 settembre 1998, A. v. Regno Unito, ric. n. 255599/94, par. 22; Corte europea dei diritti dell’uomo, 29 aprile 1997, H. L. R. v. Francia, ric. n. 24573/94, par. 40. Cfr., altresì, Corte europea dei diritti dell’uomo, 31 luglio 2012, M. e altri v. Italia e Bulgaria, ric. n. 40020/03, par. 106, con nota di M. PELAZZA, Sugli obblighi di prevenzione e di repressione di tortura e trattamenti inumani e degradanti: una poco conosciuta sentenza di condanna dell’Italia da parte della Corte EDU, in Dir. pen. cont. (web) –
http://www.penalecontemporaneo.it, 21 gennaio 2013.
200 L’accertamento dell’intensità del dolore, come analizzato poc’anzi, avviene facendo riferimento a) alle circostanze oggettive del fatto (la durata del trattamento e la gravità dello stesso); b) alle qualità soggettive della vittima (le sue caratteristiche fisiche, tra cui il sesso, l’età e lo stato di salute). V., ex multis, Corte europea dei diritti dell’uomo, 27 luglio 1999, Selmouni v. France, ric. n. 25803/94, par. 100.
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trattamenti inumani, da considerarsi come tali quelli tesi a provocare nella
vittima una sofferenza fisica o psichica di particolare intensità
201.
Si parla, infine, di tortura nel caso di violenza fisica o morale connotata da una
particolare gravità e caratterizzata dalla finalità di ottenere informazioni, di
estorcere una confessione, di infliggere una punizione, di intimidire o di
esercitare una pressione su qualcuno
202(sulla falsariga di quanto richiesto
expressis verbis dall’art. 1 della Convenzione ONU contro la tortura)
203.
Quest’ultimo requisito, presente solo con riguardo alla tortura, permette di
distinguerla dal trattamento inumano o degradante, in cui risulta del tutto
assente.
Per la Corte, quindi, e ancora prima per la Commissione EDU
204, la tortura
non è altro che una forma aggravata di trattamento inumano o degradante
205.
La distinzione tra queste tre condotte, così come delineata dal diritto vivente di
Strasburgo, presenta una validità solo tendenziale, posto che il confine fra
trattamenti inumani e trattamenti degradanti si mostra nell’applicazione pratica
201 Per un approfondimento, v., F. CASSIBBA, A. COLELLA, Proibizione della tortura, in G. UBERTIS, F. VIGANÒ (a cura di), Corte di Strasburgo e giustizia penale, Torino, 2016, 66. Per una analisi dei leading case in materia, v., infra, cap. 3, par. 4.
202 The Greek Case: Report of the Commission: Application No. 3321/67 - Denmark v. Greece […], vol. 2, parte 2, 5/11/1969, ECHR Yearbook 12, 1969, 186 ss. Nel caso de quo, la Commissione EDU aveva ravvisato l’elemento finalistico dell’ottenere informazioni o punire, necessario per integrare la tortura, oltre ad evidenziare come la tortura costituisca una forma di maltrattamento più grave rispetto ai trattamenti inumani o degradanti. Sulla necessità della presenza di una particolare finalità si veda, altresì, Corte europea dei diritti dell’uomo, Gäfgen v. Germany, cit., par. 101 ss; Corte europea dei diritti dell’uomo, 11 luglio 2000, Dikme v. Turkey, ric. n. 20869/92, par. 95-96; Corte europea dei diritti dell’uomo, 23 maggio 2001, Denezi and others v. Cyprus, ric. n., 27207/95, par. 384-386.
203 Corte europea dei diritti dell’uomo, 7 aprile 2015, Cestaro v. Italia, ric. n. 6884/11. Per una analisi più approfondita della pronuncia v., infra, cap. II, par. 4.1. Nel caso de quo, i giudici di Strasburgo hanno incentrato la definizione del termine su quattro elementi: il carattere gratuito del trattamento; la gravità della violenze, la finalità «punitiva, vendicativa e diretta all’umiliazione ed alla sofferenza fisica e mentale delle vittime», l’intenzionalità della condotta. Sul tema v., E. SCAROINA, op. cit., 81-82.
204 Commissione EDU, 05 novembre 1969, Danimarca, Norvegia, Svezia, Paesi Bassi v. Grecia, Yearbook of the European Convention on Human Rights, 12, 186.
205 Corte europea dei diritti dell’uomo, 18 gennaio 1978, Irlanda v. Regno Unito, ric. n. 5310/71, par. 167; Corte europea dei diritti dell’uomo, 27 luglio 1999, Selmouni v. Francia, ric. n. 25803/94, par. 100, 105. Sull’analisi delle soglie di sofferenza elaborate dalla giurisprudenza di Strasburgo, v., Y. ARAI-YOKOI, Grading Scale of Degradation: Identifying the Threshold of Degrading Treatment or Punishment under Article 3 ECHR, in Netherlands Quarterly of Human Rights, vol. 21 (3), 2003, 385 ss.
61
alquanto incerto
206. Sono assai frequenti le pronunce in cui la Corte utilizza
l’espressione trattamento inumano e degradante quasi si trattasse di un’endiadi.
Non sempre, quindi, la Corte distingue tra le diverse categorie di ill-treatments,
limitandosi, talvolta, ad accertare genericamente la violazione dell’art. 3 Cedu,
ciò anche alla luce del fatto che, in tutte e tre le ipotesi, si ravvisa comunque la
violazione della medesima disposizione della CEDU, avendo tale distinzione
scarsa rilevanza dal punto di vista pratico
207.
Non vengono seguite, inoltre, linee coerenti che consentano di decifrare il
rapporto tra il criterio finalistico e quello fondato sulla gravità delle sofferenze:
l’analisi della giurisprudenza di Strasburgo consente, piuttosto, di evidenziare
un «rapporto di proporzionalità inversa fra la gravità della condotta e lo
scopo specifico perseguito dall’agente»
208, così che più intenso risulti essere il
dolore, minor peso assume la finalità perseguita dal soggetto agente
209.
Tali nozioni non sono immutabili, ma si evolvono nel corso del tempo in
relazione ai significativi mutamenti avvenuti nell’ambito dei diritti umani,
facendo quindi implicitamente riferimento all’art. 31, par. 3 lett. c) della
Convenzione di Vienna del 1969, secondo il quale nell’interpretazione di un
206 Come è stato, però, sottolineato dalla giurisprudenza europea, ma anche a livello dottrinale, essendo l’applicazione di tale soglia di gravità «congenitamente relativa» ha generato una serie di pronunce che non sono ancora riuscite ad offrire risultati «coerenti e prevedibili». V., M. D. EVANS, Getting to Grips with Torture, in International and Comparative Law Quarterly, vol. 51, 2002, spec. 372-373; Y. ARAI-YOKOI, Grading Scale, cit., 420; A. COLELLA, C’è un giudice a Strasburgo, cit., 1815-1817; A. ESPOSITO, Il diritto penale flessibile, cit., 236; R. KOLB, La jurisprudence internazionale, cit., 257-271; P. LOBBA, Punire la tortura in Italia, cit., 200; F. TRIONE, Divieto e crimine, cit., 41.
207 Sul punto v., A. COLELLA, La giurisprudenza di Strasburgo, cit., 224. L’A. sottolinea come la distinzione tra tortura, trattamenti inumani e degradanti assuma rilevanza sotto un altro profilo:«a) il diverso impatto della pronuncia di condanna sulla “reputazione” dello Stato convenuto; b) la diversa quantificazione della somma a titolo di equa riparazione ex art. 41 Cedu; c) la possibilità di utilizzare o meno le prove ottenute attraverso il ricorso alla condotta contraria all’art. 3 Cedu (categoricamente negata dalle sentenze sul caso Gäfgen per l’ipotesi di tortura e ammessa invece – in modo alquanto problematico, ad avviso di chi scrive – per quella di “meri” trattamenti inumani e degradanti)».
208 A. COLELLA, La giurisprudenza di Strasburgo, cit., 224; ID., C’è un giudice a Strasburgo. In margine alle sentenze sui fatti della Diaz e di Bolzaneto: l’inadeguatezza del quadro normativo italiano in tema di repressione penale della tortura, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 1817-1818.
209 P. LOBBA, Punire la tortura in Italia, cit., 203. Sull’irregolare utilizzo dei due criteri enucleati dalla Corte EDU, v., M. FARRELL, Just How Ill-treated Were You?, in Nordic Journal of International Law, vol. 84, 2015, 489.