«Qualunque cosa si possa dire della tortura sarebbe meglio tacere. Della
tortura è vergognoso e immorale persino parlarne»
309. Come è noto, la tortura
rappresentava un fondamentale strumento del processo penale medioevale
310.
L’imputato, invero, poteva essere sottoposto ad una tale pratica ad eruendam
veritatem, per estorcergli una confessione ovvero per costringerlo a rivelare il
nome dei correi
311. Nel XVI secolo, momento di massima diffusione del rito
inquisitorio, la dottrina ed i giudici ammettevano senza alcuna remora anche la
tortura dei testimoni
312. E’ grazie all’Illuminismo
313che si sigilla la tortura
309Questa l’espressione usata in tempi meno recenti, tra gli altri, dal filosofo americano Henri Shue (v. H. SHEUE, Torture, in Philosophy and Public Affairs, vol. 7, 1978, 124) e ripresa dal Prof. Massimo La Torre, quale incipit della sua relazione al Convegno tenutosi a Ferrara, nei giorni 9-10 marzo 2018, dal titolo Nulla è cambiato? Riflessioni sulla tortura. (v., altresì, D. CASTRONUOVO, Ad diruendum hostem. Il difficile inquadramento dei trattamenti inumani e degradanti, in L. STORTONI, D. CASTRONUOVO (a cura di), Nulla è cambiato? Riflessioni sulla tortura, Bologna, 2019, 239). Sul tema, v. altresì, W. TWINING, Torture and Philosophy, in Proceedings of the Aristotelian Society, vol. 52, 1978, 143.
310 Scomparsa nel periodo altomedioevale, caratterizzato dal ricorso alle prove ordaliche come soluzione alle controversie, la tortura torna sulla scena a partire del XIII secolo, con la diffusione del rito inquisitorio. Si è assistito al passaggio dal «paradigma processuale caratterizzato da un “ordine isonomico”, tipico del dell’ordo iudiciarius elaborato dai canonisti e civilisti nell’età della glossa» caratterizzato dal rifiuto di ogni forma di violenza fisica o verbale, in quanto inconciliabili con la ricerca della verità e nel quale il giudice non esercitava alcuna supplenza nella prova dei fatti, ad un «ordine asimmetrico», tipico del Basso Medioevo. (Cfr., A. GIULIANI, Prova (fil.dir), in Enc. dir., XXXVII, 1988, 518-547; ID., L’ordo judiciarius medioevale. Riflessioni su un modello puro di ordine isonomico, in Riv. dir. proc., XLIII, 3, 1988, 598-614; ID., Ordine isonomico ed ordine asimmetrico: “nuova retorica” e teoria del processo, in Soc. dir., XII, 2-3, 1986, 81-90). Quest’ultimo modello «pretende di garantire rapidamente e in ogni caso la decisione sul fatto incerto; ha come fine la difesa della società e la punizione del reo; adatta il metodo probatorio all’idea che esista una sola verità (materiale o formale), con il passaggio da una concezione argomentativa ad una concezione dimostrativa della prova». Non si può non evidenziare un’incoerenza di fondo del sistema: si ammetteva l’utilizzo della tortura pur riconoscendone, al tempo stesso, la fallibilità conoscitiva dello strumento, l’illogicità euristica, l’inattendibilità probatoria e l’inumanità. M. PIFFERI, Veritas inquisitio per tormenta. Verità, corpo e dolore nella tortura giudiziaria medioevale, in L. STORTONI, D. CASTRONUOVO (a cura di), Nulla è cambiato? Riflessioni sulla tortura, Bologna, 2019, 48-50.
311Cfr., P. FIORELLI, La tortura giudiziaria nel diritto comune, vol.I, Milano, 1953 passim; G. CHIODI, Tortura “in caput alterius”, confessione “contra alios” e testimonianza del correo nel processo criminale medioevale. Nascita e primi sviluppi dei criteri del diritto comune (secoli XII-XIV), in Interpretare il Digesto. Storia e metodi, a cura di A. PADOA SCHIOPPA, D. MANTOVANI, Pavia, 2014, 673-728.
312L. GARLATI, Il “grande assurdo”: la tortura del testimone nelle pratiche d’età moderna, in Acta Histriae, 19, (1-2), 2011, 81-104.
313Nel Settecento, l’Italia deteneva il primato per la cultura giuridico-filosofica di condanna della tortura (in particolar modo quella giudiziaria) anche se, sul versante normativo, spiccava
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entro una sorta di «vaso di Pandora»
314, che si riteneva chiuso per sempre. Lo
stesso Montesquieu si rifiutava di trattare il tema, «disgustato»
315. La
modernità giuridica
316, rappresentava, quindi, l’affermazione dell’impossibilità
discorsiva con riguardo alla tortura
317. Eppure, si è tornati a discutere sul tema,
non per dichiararne la sconfitta, ma per riconoscerle nuova legittimazione,
come opzione praticabile «per salvare le sorti di quella stessa civiltà che
l’aveva espunta dall’orizzonte»
318. A seguito degli attentati terroristici dell’11
settembre 2001, quel vaso di Pandora è stato «totalmente scoperchiato».
per arretratezza (protrattasi fino ai giorni nostri) nel panorama degli Stati europei. Cfr., V. PUGLIESE, Il recente reato di tortura: antico obbligo costituzionale e internazionale, in La giust. pen., fasc. 2, 2018, 58.314M. LA TORRE, Mostruosità morali. Il ritorno della tortura, in L. STORTONI, D. CASTRONUOVO (a cura di), Nulla è cambiato? Riflessioni sulla tortura, Bologna, 2019, 17 ss. 315C. L. MONTESQUIEU, Lo spirito delle leggi, a cura di R. DERATHÉ, vol. I, Milano, 1989, 2141.
316 Nell’era della tutela dei diritti umani proclamati dalle Convenzioni, la pratica della tortura non poteva che essere destinataria di totale esecrazione.«La narrativa prevalente ci aveva così abituato a una rappresentazione della tortura relegata ai secoli bui, con i terrificanti strumenti conservati nei musei.[…] In altra variante, la tortura è nell’immaginario collettivo associata ai regimi dittatoriali o autocratici[…], pertanto incompatibile con i regimi democratici a matrice liberale». E. ZUCCA, Chiamatela come volete: è sempre tortura. La legge italiana, tra cattivi maestri e principi delle Convenzioni, in Studi sulla questione criminale, XIII, n. 2, 2018, 67.
317 La questione tortura non era destinata ad essere posta nel dimenticatoio. Iniziava a riaffiorare con la guerra franco-algerina, che oppose tra il 1º novembre 1954 e il 19 marzo 1962, l'esercito francese e gli indipendentisti algerini e nella quale l’esercito francese fece ricorso alla tortura (V., H. ALLEG., La Question, Parigi, 1958, passim). Facevano comparsa negli anni Settanta le c.d. «five techniques», ossia metodi di interrogatorio illegali inflitti ai detenuti durante il conflitto nordirlandese nell'Irlanda del Nord del 1971. E’ a partire dalla metà degli anni Ottanta che si fa strada l’idea del «diritto penale del nemico», con riferimento al quale, al nemico, non si applicherebbero più le garanzie dello Stato di diritto, potendosi legittimamente infliggere tortura. Con riguardo alla riemersione della questione tortura, cfr., M.S. MOORE, Torture and the Balance of Evils, in Israel Law Review, 23, 1989, 323. Sullo sfondo del conflitto israelo-palestinese, l’A. ritenne di enfatizzare il ruolo assunto da una circostanza preliminare certa, ovvero che il delinquente o il terrorista «abbia determinato colpevolmente la situazione per cui qualcuno possa venire offeso». Seguendo tale via, egli giunse a concludere che «se arrecare danno a costui è il solo mezzo per evitare la morte o il ferimento di altre persone esposte al rischio dalle sue azioni, la tortura deve essere ritenuta lecita». V., altresì, N. LUHMANN, Gibt es in unserer Gesellschaft noch unverzichthare Normen?, Heidelberg, 1993, 27. L’A. profilava uno scenario in cui la tortura fosse autorizzata da giudici internazionali ed eseguita sotto la supervisione di questi mediante camere televisive, giungendo al punto di infrangere il divieto ritenuto assoluto di tortura. Sul diritto e sull’obbligo di torturare al fine di salvare vite umane, cfr., W. BRUGGER, Freiheit und Sicherheit. Eine staatstheoretische Skizze mit praktischen Beispielen, Baden-Baden 2004, passim. Per un approfondimento sull’ammisibilità di ricorrere a pratiche di tortura nell’ottica della tutela della sicurezza del cittadino, v., infra cap.4.
318 E. ZUCCA, Chiamatela come volete: è sempre tortura. La legge italiana, tra cattivi maestri e principi delle convenzioni, in Studi sulla questione criminale, vol.13, 2018, 67.
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Nonostante il divieto e la cultura dei diritti umani, se ne sono sperimentate
nuove forme, talvolta perpetrate in maniera clandestina (strealthy torture), altre
volte mediante modalità fisiche ovvero psicologiche, variamente denominate
(white torture, clean torture, no touch torture). Basti pensare alle vicende di
Guantanamo o alle pratiche di tortura negli interrogatori dei detenuti all’interno
del carcere di Abu Ghraib. A partire da tale data si è fatta strada un’autentica
psicosi del «nemico» che ha avuto quale effetto, persino tra gli autori di
sperimentata fede democratica, quello di riaprire il dibattito giuridico e politico
sulla giustificazione della tortura, nei confronti di quei soggetti reputati
pericolosi ovvero in possesso di informazioni riguardanti attentati terroristici o
in grado di pianificare altre operazioni criminose moltiplicandosi, così, quelle
prese di posizione a favore dell’uso del tormento nella «lotta contro il
terrore»
319.
In definitiva, la giustificazione della tortura in nome della sicurezza pubblica e
dell’interesse collettivo trova, attualmente, «un rinnovato inquietante
slancio»
320.
Occorre ora valutare se sia realmente possibile legittimare pratiche di tortura.
Tale considerazione dipende precipuamente dalla qualificazione giuridica della
dignità umana
321.
In dottrina si controverte se la dignità umana debba essere considerata quale
valore assoluto, quindi svincolato dalle logiche del bilanciamento, ovvero
quale principio suscettibile di bilanciamento al pari di altri
322. Accade
319 S. LEVINSON, Torture: a collection, Oxford, 2004, passim.
320 B. PASTORE, La tortura, lo Stato di diritto, l’abisso dell’eccezione, in L. STORTONI, D. CASTRONUOVO (a cura di), Nulla è cambiato? Riflessioni sulla tortura, Bologna, 2019, 11. 321 In merito alla densità delle implicazioni del termine, ci si limita qui a sparse indicazioni, rinviando, nelle diverse prospettive a, G. ALPA, La costruzione giuridica della dignità umana, in R. MASTROIANNI, O. POLLICINO, S. ALLEGREZZA, F. PAPPALARDO, O. RAZZOLINI (a cura di), op. cit., 15 ss; G. RESTA, Dignità Persone Mercati, Torino, 2014, passim; C. DRIGO, La dignità umana, in L. MEZZETTI (a cura di), Diritti e doveri, Torino, 2013, 16; G. REPETTO, La dignità umana, cit., 247; A. RUGGERI, La dignità dell’uomo e il diritto di avere diritti, cit., 92; P. VERONESI, La dignità umana, cit., 315.
322 Approfondiscono la tematica, E. RIPEPE, La dignità umana: il punto di vista della filosofia del diritto, in E. CECCHERINI (a cura di), op. cit., 12-38; G. PIEPOLI, Tutela della dignità e ordinamento della società secolare europea, in Riv. critica dir. priv., 2007, 23; G. RESTA, La disponibilità dei diritti fondamentali e i limiti della dignità, Riv. dir. civ., 2002, 843-849; A.
99
frequentemente che nel lessico giuridico si senta parlare di «valori
costituzionali» e di «principi costituzionali» come una sorta di endiadi,
indicando quegli ideali e quei concetti su cui si fondano le Costituzioni
nazionali. La dignità umana incarna proprio uno di tali ideali, padri del
costituzionalismo europeo
323. I due termini, tuttavia, possono essere considerati
sinonimi nel linguaggio comune, ma non in quello giuridico, comportando la
qualificazione in favore dell’uno o dell’altro conseguenze divergenti.
Secondo una prima impostazione, che pare decisamente preferibile, si ritiene la
dignità umana un valore assoluto, kantianamente categorico
324, e perciò, come
tale, non passibile di bilanciamento. Non si tratta, invero, della titolarità di un
semplice diritto individuale, bensì del fondamento dell’attribuzione di ogni
diritto individuale
325. La dignità umana, infatti, rappresenta il fondamento ed
allo stesso tempo il limite dei diritti provvisti di esplicito riconoscimento in
TESAURO, Spunti problematici in tema di dignità umana come bene penalmente rilevante, in Dir. e quest. pubb., 11/2011, 890-900.
323A. RACCA, La crisi colpisce i valori? La questione della dignità umana e il caso ungherese, in Lessico di etica pubblica, 5, 2014, 95-104.
324 Cfr., I. KANT, Fondazione della metafisica dei costumi, Milano, 2003, passim.
325 Secondo tale impostazione, la dignità umana viene definita talvolta come «prius» logico (cfr., ex multis, E. CECCHERINI, La tutela della dignità della persona quale fondamento del divieto di tortura. L’assolutezza dei principi nelle normative costituzionali e convenzionali di fronte al nuovo relativismo delle emergenze. Le indicazioni della L.110/2017, presentato al Convegno «Il reato di tortura introdotto dalla l. 110/2017: prime letture e riflessioni», Genova, 8-9 febbraio 2018); altre volte come un «super valore» (cfr., ex multis, D. CATERINA, La dignità umana quale valore (super) costituzionale, in L. MEZZETTI (a cura di), Principi costituzionali, Torino, 2011, 239-273; nello stesso senso, anche se in prospettiva critica, A. TESAURO, Spunti problematici, cit., 886); altre volte ancora come un «meta-valore» (cfr., ex multis, E. MAESTRI, Genealogie della dignità umana, Dir. e quest. pubb., 9/2009, 515). Per un’applicazione della dignità umana come prius logico nel processo penale, cfr., G.. STANZIONE, Processo penale e dignità dell’uomo. Profili di teoria generale, teoria del processo e comparazione giuridica, in Comparazione e diritto civile, 2018, 25. Secondo l’A. il prius logico che la dignità dell’imputato rappresenta rispetto all’idea stessa del processo sancisce «l’impossibilità giuridica dei poteri pubblici di eliminarlo in tutto o in parte dall’ordinamento del processo o di comprimerlo sostanzialmente. La dignità dell’imputato partecipa di quelle stesse caratteristiche che sono riconosciute ai diritti inviolabili primari: è assoluta, originaria, indisponibile, inalienabile, intrasmissibile, irrinunciabile e imprescrittibile; anche di essa si può sancire la indiscutibile superiorità assiologica e, conseguentemente, la sua intangibilità sia da parte dei poteri di modifica o di compressione astrattamente propri del legislatore ordinario e costituzionale, sia ad opera degli altri poteri pubblici. La dignità dell’imputato è la misura di valore delle norme processuali, misura di valore dell’intero processo. Ѐ il suo rispetto che impedisce di ridurre la legittimità del processo alla mera legalità di esso che non sempre è sufficiente a tutelare l’imputato dalle molteplici lesioni che possono venire in rilievo».
100
Costituzione
326. Per tale ragione non è bilanciabile, in quanto è essa stessa la
bilancia
327sulla quale disporre i beni costituzionalmente tutelati, che subiscono
compressioni, e corrispondenti aumenti, entro i limiti di tutela della dignità, che
nasce piena in ogni individuo. Ne consegue che nessuna limitazione al
godimento dei diritti può avere giustificazione se non nella dignità stessa, che è
perciò «fine e confine, a un tempo, di ogni diritto e di tutti assieme»
328.
L’orientamento appena esaminato ha finito progressivamente per cedere il
passo dinanzi ad eventi e realtà dell’esperienza sociale (quali il fenomeno
dell’immigrazione e del terrorismo internazionale) che hanno generato,
sovente, tensioni e collisioni con alcuni diritti fondamentali (si pensi, ad
esempio, alla questione del ricorso alla tortura allo scopo di evitare la morte
dell’ostaggio). Si assiste, quindi, al consolidarsi di una seconda impostazione
che ravvisa nella dignità umana un principio che viene, di volta in volta,
bilanciato con altro e/o altri interessi e che, a seconda della situazione concreta,
talvolta prevale su e talvolta soccombe ad esso/i, cedendo il passo ad un altro
interesse maggiormente meritevole di considerazione in una data esperienza
giuridica.
Si pensi alla contrapposizione tra il rispetto della dignità ed il diritto alla
sicurezza che emerge dinanzi alle nuove forme di terrorismo
329.
In ragione dell’ultima impostazione analizzata, al fine di superare la tensione
tra il principio in esame e l’interesse collettivo alla sicurezza, occorre effettuare
un bilanciamento tra il primo ed il secondo
330. Atteso il particolare stato di
326 Cfr., D. MESSINEO, La garanzia del “contenuto essenziale” dei diritti fondamentali. Dalla tutela della dignità umana ai livelli essenziali delle prestazioni, Torino 2012, 144; G. SILVESTRI, L’individuazione dei diritti della persona, in Dir. pen. contemp., (web)- http://www.penalecontemporaneo.it., 29 ottobre 2018, 10 ss.
327 L’immagine della bilancia di deve a G. SILVESTRI, Considerazioni sul valore costituzionale, passim; ID., La dignità umana dentro le mura del carcere, in Dir. pubb., 1/2014, 3 ss.
328 A. RUGGERI, La dignità dell’uomo, cit., 397.
329G. M. FLICK, Dignità umana e tutela dei soggetti deboli: una riflessione problematica, in E. CECCHERINI, (a cura di), La tutela della dignità dell'uomo, Napoli, 2008, 42.
330 Sul punto cfr., A. TESAURO, Spunti problematici, cit., 899, il quale, si mostra particolarmente critico con riferimento alla sottrazione della dignità umana dal giudizio di bilanciamento, non potendosi utilizzare il «topos della dignità come passe partout buono per risolvere quasi ogni situazione applicativa» (Nello stesso senso, v., G. FIANDACA, Considerazioni intorno a bioetica e diritto penale tra laicità e ‘post-secolarismo’, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2007, 2-3, 559. «Il principio della dignità umana ha già parlato e sistema
101
eccezione, l’esito del giudizio di bilanciamento può propendere a favore della
prevalenza del diritto alla sicurezza della collettività sulla dignità umana,
giustificandosi, così, il ricorso alle più svariate pratiche di tortura. Ecco che, in
tale contesto, il topos della dignità umana diviene un argomento «per» la
tortura e non più «contro» la tortura
331.
Quanto esposto porta a riflettere sulle tematiche dello stato di emergenza e del
«diritto penale del nemico»
332. Sono proprio questi i temi che rischiano di far
perdere di vista al legislatore, ai giudici ed alla forza pubblica l'importanza del
ruolo rivestito dai valori cardine dell'ordinamento, quale è la dignità umana. A
tutto. Il risultato è un’argomentazione […] che non fa progressi). Secondo il primo autore citato in nota, «la linea di tendenza a più riprese riemergente nella prassi legislativa e giudiziaria sembra, […] andare spesso nella direzione di una ipervalorizzazione politicocriminale e interpretativo-applicativa del bene dignità, visto come una categoria rassicurante, ‘quietista’ e, in fondo, deresponsabilizzante, come un Universale Assoluto che esonera da ogni possibile sforzo di concretizzazione-relativizzazione condotto in rapporto alla costellazione dei diversi interessi in gioco e alle correlative diverse tipologie casistiche prospettabili in concreto». Tra gli studiosi che considerano la dignità soggetta a bilanciamento v., M. LUCIANI, Positività, metapositività e parapositività dei diritti fondamentali, in G. BRUNELLI, A. PUGIOTTO, P. VERONESI (a cura di), Scritti in onore di L. Carlassato. Il diritto costituzionale come regola e limite al potere, Napoli, 2009, 1060 ss; ID., I controlimiti e l’eterogenesi dei fini, in Quest. giust., 1/2015, 84-93; G. MONACO, La tutela della dignità umana: sviluppi giurisprudenziali e difficoltà applicative, in Pol. dir., 1/2011, 45 ss., spec. 69 ss.331 C. PRITTWITZ, La tortura in situazioni di assoluta necessità ed emergenza (Rettungsfolter): occasione per una nuova valutazione della tortura? in L. STORTONI, D. CASTRONUOVO (a cura di), Nulla è cambiato? Riflessioni sulla tortura, Bologna, 2019, 182.
332 F. MANTOVANI, Il diritto penale del nemico, il diritto penale dell’amico, il nemico del diritto penale e l’amico del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen. 2007, 484. Limitandosi alla citazione dei lavori pubblicati in lingua italiana, Cfr., G. JAKOBS, Il diritto penale del nemico, in M. DONINI, M. PAPA (a cura di) Il diritto penale del nemico. Un dibattito internazionale, Milano, 2007, 5 ss; ID., Diritto penale del nemico? Una analisi sulle condizioni della giuridicità, in A. GAMBERINI, (a cura di), Delitto politico e diritto penale del nemico, Milano, 2007, 109 ss.; ID., I terroristi non hanno diritti, in R. E. KOSTORIS, R. ORLANDI, (a cura di), Contrasto al terrorismo interno e internazionale, Torino, 2006, 3 ss. Cfr., altresì, R. BARTOLI, Lotta al terrorismo internazionale. Tra diritto penale del nemico jus in bello del criminale e annientamento del nemico assoluto, Torino, 2008, 13 ss; M. DONINI, Diritto penale di lotta vs. diritto penale del nemico, in R. E. KOSTORIS, R. ORLANDI, (a cura di), Contrasto al terrorismo interno e internazionale, Torino, 2006, 19-73; ID., Il diritto penale di fronte al «nemico», cit., 735 ss; L. FERRAJOLI, Il “diritto penale del nemico”: un’abdicazione della ragione, in Legalità penale e crisi del diritto, oggi. Un percorso interdisciplinare, a cura di A. BERNARDI, B. PASTORE, A. PUGIOTTO, Milano, 2008 161 ss; G. MARINO, Il sistema antiterrorismo alla luce della l. 43/2015: un esempio di “diritto penale del nemico”?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, 1388 ss; A. PAGLIARO, “Diritto penale del nemico”: una costruzione illogica e pericolosa, in Cass. pen., 2010, 2460 ss; F. PALAZZO, Contrasto al terrorismo, diritto penale del nemico e principi fondamentali, in Verso un diritto penale del nemico?, in Questione Giustizia, 2006, n. 4, 666 ss, F. VIGANÒ, Diritto penale del nemico e diritti fondamentali, IN A. BERNARDI, B. PASTORE, A. PUGIOTTO, (a cura di), Legalità penale e crisi del diritto, oggi. Un percorso interdisciplinare, Milano, 2008, 140.
102
seguito della spinta emergenziale, ci si allontana sempre più da una finalità
rieducativa delle pene, in quanto le stesse tendono ad avere una funzione
neutralizzatrice del reo e vengono meno tutte quelle garanzie tipiche del
processo penale, assistendosi all'attribuzione dei poteri coercitivi all'esecutivo e
non più ad un soggetto terzo rispetto alle parti in causa (c.d.
degiurisdizionalizzazione)
333. Si assiste, insomma, ad un sistema molto distante
dal diritto penale classico, in cui la sicurezza non rappresenta più un obiettivo
da raggiungere
334, ma diviene un nuovo bene giuridico da tutelare.
A seconda dell’orientamento cui si aderisce, quindi, si possono configurare
conseguenze divergenti sul piano giuridico.
Un’applicazione pratica delle due impostazioni sopra richiamate, gravitanti
attorno alla dignità umana, è rappresentata dallo scenario del ticking bomb: in
esso si prospetta la cattura da parte della polizia di un terrorista, che conosce il
luogo in cui è sistemata una bomba ad alto potenziale che esploderà entro
breve tempo nella città, causando numerose vittime (centinaia, migliaia, o più).
L’unico modo per ricavare le informazioni sulla localizzazione della bomba è
torturare il prigioniero che non collabora. Si pensi, altresì, al dibattito pubblico
e scientifico sviluppatosi in Germania a partire dal rapimento di un bambino di
dieci anni nel 2002 a Francoforte ed a seguito del quale la polizia francofortese
aveva minacciato il sequestratore in stato di arresto di far uso della tortura, a
seguito del rifiuto, da parte di quest’ultimo, di rivelare il luogo in cui era
nascosta la vittima.
Qualora si ritenesse giustificabile la teoria del bilanciamento, risulterebbe del
tutto ammissibile e lecito torturare il prigioniero, rinnegando la sua dignità,
arretrando quest’ultima sullo sfondo. A parere di chi scrive, però, anche
nell’ipotesi in cui si ritenesse di legalizzare pratiche di tortura in situazioni
eccezionali per salvare la vita delle possibili vittime di strage, o per salvare una
persona sequestrata, sarebbe inopportuno attribuire alla dignità umana un ruolo
333 R. BARTOLI, op. cit., 22 ss.
334A. CAVALIERE, Può la sicurezza costituire un bene giuridico o una funzione del diritto penale, in Critica dir., 2009, 43, ss; M. DONINI, Sicurezza e diritto penale, in Cass. pen., 2008, 3559 ss.