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La Cooperativa Sarah di Prato

Nel documento "Il corpo della donna migrante" (pagine 119-130)

Parte II: Gli interventi della regione Toscana e alcuni esempi di buone pratiche

3. La Cooperativa Sarah di Prato

Nell’ambito delle strutture di accoglienza previste dal Progetto S.A.T.I.S. nel territorio delle Provincia di Prato, opera la Cooperativa

Sarah, incorporata dal 2012 alla Cooperativa Sociale Onlus Ester, che dal 2002 si occupa di asili nido, accoglienza e accompagnamento all’autonomia per donne immigrate, sole o con figli.

La Cooperativa Sarah gestisce un centro di accoglienza per donne vittime di tratta che ospita tre donne e altrettanti minori.

È uno dei pochi centri che accoglie anche donne in gravidanza o che hanno già un figlio.

Il tempo di permanenza all’interno della struttura è di 18 mesi. Dopo questo periodo c’è la presa in carico da parte dei Servizi Sociali del Comune dove si trova la struttura.

Le attività della Cooperativa non si limitano soltanto alla tutela sanitaria ed amministrativa delle ospiti, ma sono offerti anche corsi di italiano (molto spesso le ragazze non sono alfabetizzate neanche nel paese d’origine).

In casi molto rari è offerta una terapia di tipo psicologico, ma questo tipo di servizio non è richiesto e comunque non molto accettato dagli ospiti.

Infatti, dai dati in possesso, risulta che, in 17 anni di attività ci sono stati solo 3 casi di ospiti che hanno richiesto e seguito una terapia di questo tipo.

Nella cultura delle ospiti non è pensabile questo tipo di azioni, per questo motivo rifiutano fermamente questa tipologia di aiuto.

Il problema della percezione dello sfruttamento è strettamente connesso al loro background culturale e ai loro Paesi di provenienza. Nella maggior parte dei casi la donna percepisce di essere oppressa solo dopo molti anni dall’inizio dello sfruttamento. A ciò va aggiunta la poca fiducia che viene riposta in chi si occupa istituzionalmente di questi percorsi.

Nel caso della Cooperativa Sarah, pochissime sono le ospiti che sono state collocate in appartamenti autonomi, dopo aver trascorso i 18 mesi nella struttura.

Rari sono anche i riscontri positivi che derivano dall’attività di inserimento lavorativo, che non risulta semplice.

La percezione di non essere appetibili per il mondo del lavoro è la condizione più usuale che, connessa con la scarsa alfabetizzazione, rende difficile l’inserimento in una condizione lavorativa stabile ed ido- nea.

Traspare quindi una problematica che le operatrici della strut- tura cercano di gestire, ma che spesso porta anche a delle incompren- sioni. A livello generale, come già accennato in altra parte del lavoro è necessario che gli operatori debbano essere adeguatamente formati ad affrontare queste problematiche così complesse.

Si ritiene molto importante che gli operatori debbano acquisire competenze specifiche, idonee a gestire diverse tipologie di vulnerabi- lità, tenendo presente la questione della transculturalità.

4. Una testimonianza diretta: la storia di S.

Sono molte le esperienze a cui si può far riferimento in relazione al tema della tratta e dello sfruttamento della donna migrante. Un esem- pio emblematico è rappresentato dalla storia di S., una cittadina nige- riana vittima di plurime forme di sfruttamento.

S. ha 30 anni ed è nata a Benin City. Proviene da una famiglia con uno status sociale medio-alto, è la più piccola di quattro figli. I suoi fratelli hanno fatto studi universitari e lei stessa li ha iniziati, ma non conclusi. S. non finisce gli studi universitari perché vittima di un matrimonio combinato con un uomo di nazionalità italiana. L’uomo la porta in Italia, promettendole

di farle continuare gli studi universitari e di farle intrapren- dere una carriera da modella.

S. arriva in Italia e riceve un documento regolare di soggiorno per motivi familiari, una carta d’identità e una tessera sanita- ria. Si trova a vivere in piccolo paese della Puglia e molto ra- pidamente le premure che sembra avere dal marito si trasfor- mano in qualcos’altro. S. non tarda capire che il marito gesti- sce un import-export che riguarda stupefacenti e persone. Du- rante una delle sue uscite per fare delle compere incontra una sua connazionale. Con la convinzione che i suoi connazionali che emigrano si mettano in strani giri, inizialmente non parla con la donna, ma dopo poco si confida dalla disperazione, rac- contando a B. gli abusi del marito. B. si dimostra molto pre- murosa e disponibile e chiede ad S. se ha un permesso rego- lare e, ad una risposta positiva, le consiglia di richiedere un permesso per lavoro autonomo, e quindi di non rinnovarlo per motivi familiari. Le propone di cambiare città, di trovarle un impiego nel negozio della sorella e di prestarle i soldi che le serviranno per scappare dal marito.

S. accetta e mette da parte i suoi sogni di studiare e fare la modella. Scappa dal marito, cambia numero di telefono per non farsi trovare, e si trasferisce a San Benedetto del Tronto. Qui vive in un appartamento con altre sue connazionali che si prostituiscono sulla riviera adriatica. Su consiglio di B. incon- tra un commercialista e un avvocato che le danno consigli su come aprire un’attività. Il tempo passa, ma non succede nulla. B. comincia a chiederle di ridarle i soldi prestati, inizialmente sono 4000 euro, che aumenteranno progressivamente.

Le altre ragazze che convivono con lei nell’appartamento con- sigliano ad S. di stare attenta a B., poiché le dicono che il padre pratica in Nigeria il jùjù, una sorta di malocchio. S. è

cattolica, dice che la sua famiglia non crede al jùjù, ma che alla fine è meglio tenersi tutti buoni.

B. le propone un lavoro in un locale di un suo amico italiano sulla riviera, le dice che non è come le altre, che non deve prostituirsi. S. inizia a lavorarci, ma non la pagano. Si accorge dopo un mese che i soldi che le spettano li prende B.

Di lì a poco S. viene ricoverata in ospedale per un malore, scopre di avere una malattia sessualmente trasmissibile, e che dovrà fare una terapia con farmaci per tutta la vita.

Nel locale della riviera adriatica conosce un cliente tedesco M., che le propone di andare in Germania con lui. S. parte, promettendo a B. di mandarle i soldi che le deve direttamente dalla nuova sistemazione.

Non appena arrivata, viene inserita in un sistema di sfrutta- mento. Ha una nuova madame, O., che ha contatti con la pre- cedente B.

Dopo pochi mesi S. rimane incinta e, a causa dell’assunzione costante di farmaci, rischia di partorire un bambino con gravi problemi di salute. La madame la accompagna presso una ong che si occupa di mamme e bambini.

Nasce P., ma non è sano e sarà costretto a rimanere in ospe- dale per un costante monitoraggio. S. si sfoga con un’opera- trice della struttura dove alloggia. Le racconta tutta la sua storia, dal matrimonio alla nascita di suo figlio.

L’operatrice le spiega che è una vittima di tratta e sfrutta- mento, e la esorta a denunciare i suoi oppressori.

S. rifiuta di denunciare, ma con l’aiuto dell’operatrice tedesca torna in Italia e viene inserita in un percorso per le vittime di tratta, e le viene concesso il permesso ex. Art 18 T.U. 286/1998.

S. è tuttora ospitata in questa struttura, ma continua ad essere diffidente con gli operatori del centro, e si chiede ogni giorno perché il Dio in cui crede le abbia fatto subire tutto questo.

Il dato che emerge da questa storia non è soltanto un dato giuri- dico, ma involge altri aspetti culturali, antropologici e sociali.

Il fenomeno dei matrimoni combinati non è facilmente ricolle- gabile a chi è parte di un flusso migratorio verso i paesi occidentali.

La donna spesso si vede costretta a contrarre un matrimonio combinato o ad avventurarsi, anche volontariamente, in un rapporto co- niugale, credendo di potere cogliere un’opportunità per il suo futuro. Considera ciò un’opportunità perché le consente di emigrare con mo- dalità più sicure, poiché non deve affrontare i costi ed i pericoli che affrontano gli altri migranti.

S. si trova nella situazione di poter affrontare un viaggio molto più sicuro rispetto all’utilizzo dei canali classici ed illegali per uscire dal proprio d’origine e soprattutto non deve procurarsi il danaro neces- sario sia per arrivare nei paesi da dove è possibile iniziare, via terra o via mare, il viaggio perso l’Europa sia il danaro necessario da corri- spondere alle organizzazioni criminali che si occupano del viaggio.

In questo caso si potrebbe persino configurare una via di in- gresso privilegiata per arrivare a stabilirsi nei territori ambiti.

Ma la violazione dei diritti però è semplicemente posticipata e mascherata da una presunta valutazione dei fatti contingenti.

Nel caso di S. la fuga dal marito/persecutore avviene in tempi abbastanza brevi. Tale fatto è riconducibile a vari fattori: uno status so- ciale di provenienze medio-alto, un livello di istruzione elevato, la pre- senza di una comunità di appartenenza sul territorio.

È interessante notare come i vari tipi di sfruttamento si susse- guono: prima il matrimonio, e quindi la vendita di S. da parte della fa- miglia, poi lo sfruttamento lavorativo e infine quello sessuale.

Sembra che S. debba essere travolta inevitabilmente in una spi- rale di violenza in modo già predestinato.

Sembra che S. non possa fare altro nella sua vita se non quello di essere sfruttata sessualmente.

Sembra che S. non possa fare nulla per sottrarsi a questo tre- mendo destino.

E pure quando un incontro, quasi casuale, rappresentato da un colloquio con un operatore sociale, le consente di venire fuori dalla spi- rale violenta in cui è finita, permane un atteggiamento di sfiducia nei confronti della istituzione che pur le offre una alternativa valida per sé e suo figlio.

Ciò molto probabilmente perché l’esperienza e la violenza su- bita hanno demolito, all’interno del suo corpo e della sua psiche, ogni possibilità di una rifondazione di un nuovo ordine di vita.

Dal punto di vista giuridico S. avrebbe potuto usufruire imme- diatamente del permesso per violenza domestica ex. Art. 18 bis T.U. 286/1998, introdotto nel 2014.

Con questa previsione si riescono a tutelare quelle donne per le quali un permesso di soggiorno per motivi familiari può rappresentare il ricatto/vincolo tramite cui vengono costrette a rimanere in situazioni di violenza e abusi.

Il livello culturale e la classe sociale di provenienza di S. le hanno consentito di porre in essere il tentativo di fuggire alla prima esperienza negativa per proiettarsi in altre situazioni, rivelatesi, pur- troppo, una peggiore dell’altra, ma ciò che emerge da vari rapporti è la

difficoltà nella percezione dello sfruttamento da parte della donna mi- grante.

Come già detto precedentemente, la donna migrante subisce uno schiacciamento duplice: dallo sfruttatore e dal sistema che “do- vrebbe salvarla”. La percezione non è quella della salvezza, bensì di essere sottoposte ad un nuovo padrone. Questo traspare bene dalla sto- ria di S., che più volte ripete di non riuscire a fidarsi degli operatori del centro dove vive.

Per questo motivo gli operatori dei centri che si occupano di particolari casi di vulnerabilità (Art. 17 D. Lgs. 142/2015) devono quindi non soltanto fare i conti con soggetti provati psicologicamente e fisicamente, ma devono altresì essere in grado di inserirli in dei contesti in cui venga rispettata la loro autonomia e la loro identità culturale.

Conclusioni

Ciò che emerge dalla trattazione dei temi affrontati in questo elaborato è la presenza di una scarsa e scadente tutela per tutte le donne che decidono, o che sono costrette, a migrare in un paese diverso dal proprio.

Gli strumenti giuridici che il nostro ordinamento offre non ap- paiono sufficienti a garantire non solo una protezione del soggetto in quanto donna e migrante, ma in senso più ampio presentano delle grosse falle sul rispetto e la tutela della persona umana.

La nostra Costituzione sul tema del corpo delle donne, non solo migranti, contiene delle importantissime disposizioni (artt. 2, 13 e 32). Il diritto all’autodeterminazione, di cui la Corte Costituzionale parla nella Sent. n. 438/2008135 operando un combinato disposto tra gli artt. 2 e 13 Cost., è definito come un diritto fondamentale.

La Costituzione Italiana non solo provvede a definire un mo- dello atto alla garanzia dei diritti fondamentali, ma prevede anche la libera costruzione della personalità correlandola alle esperienze delle relazioni sociali che si creano nel corso della propria vita136.

L’interpretazione costituzionale di queste tematiche che concer- nono le differenze di genere, la sessualità, l’identità di genere e le mi- grazioni è tutt’ora distante da una interpretazione che presuppone il li- bero sviluppo della personalità e una piena partecipazione all’organiz- zazione politica, economica e sociale del paese137.

135 Cort. Cost. 23 dicembre 2008, n. 438.

136 RODOTÀ, S., La vita e le regole: tra diritto e non diritto, Milano, Feltrinelli, 2006. 137 RONCHETTI, L., in Gender and Migration in Italy. A Multilayered Perspective,

Uno dei possibili rimedi a questa carenza di integrazione e ri- spetto delle diversità non solo culturali, nonché un inizio per la realiz- zazione del diritto di autodeterminazione138, potrebbe essere colmata con la possibilità di acquisire la cittadinanza per accedere effettiva- mente ad una comunità e a dei servizi altrimenti poco garantiti.

Per quanto riguarda la tutela delle donne migranti che sono, o sono state, vittime di tratta e sfruttamento (di qualsiasi tipo), su cui in larga parte ci si è concentrati nella stesura di questo elaborato, l’ordina- mento giuridico italiano prevede, come già detto più volte, la possibilità di ricevere il permesso di protezione sociale ex art. 18 T.U. 286/1998. Pare però alquanto miope la previsione in esame, essendo possibile ot- tenere questo permesso soltanto se la vittima ha subito lo sfruttamento sul territorio italiano. È evidente come questa è una falsa tutela, relegata soltanto a mera norma di attuazione del diritto comunitario. Detto per- messo, inoltre, prevede delle garanzie molto deboli, avendo una durata limitata a 6 mesi, prorogabili fino a 2 anni. La durata così breve non permette alla beneficiaria del permesso una vera e propria integrazione nel territorio.

Ampliare le garanzie previste, non soltanto in relazione alla du- rata del permesso, includendo nuove opere di supporto e inclusione so- ciale delle “sopravvissute” consentirebbe una forma di tutela reale.

La previsione dei cosiddetti “Sistemi anti-tratta”, come quello toscano esaminato in questo elaborato, basati su bandi e progetti insta- bili e non strutturali, trasforma queste opere in meri tamponi di situa- zioni emergenziali. La strutturazione di servizi stabili all’interno del Si- stema Sanitario Nazionale, ma anche negli apparati degli Enti Locali regionali e non solo, permetterebbe uno sviluppo dei percorsi di vita di

138 RONCHETTI, L., ult. op. cit.

coloro che hanno subito e sono state oppresse da svariate forme di sfrut- tamento, tenendo presente però che l’accesso a detti servizi non do- vrebbe rappresentare una nuova forma di ghettizzazione.

In tal senso, l’implementazione della presenza di mediatori cul- turali ed etnopsichiatri è fondamentale per evitare tali situazioni.

Un impegno da parte delle istituzioni è fondamentale per age- volare, ad esempio, l’inserimento delle donne migranti in contesti lavo- rativi. La previsione di strumenti atti a far pressione sui datori di lavoro per assumere e garantire pari opportunità anche in ambito lavorativo alle donne migranti, è necessaria. Inoltre l’agevolazione nella gestione dei figli delle suddette con l’implementazione di asili nido, o altri luo- ghi in cui i bambini possono essere accuditi mentre le loro mamme la- vorano.

Un altro punto molto interessante sarebbe il riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’estero o nei loro paesi di provenienza. Ciò permetterebbe loro di accedere a diverse professioni, non relegandole al lavoro di cura o altre mansioni simili.

Quindi, un occhio di riguardo non solo alla condizione di vittima in sé, ma anche alla condizione di essere donne e migranti allo stesso tempo.

Un ordinamento giuridico basato sul rispetto dei diritti umani, improntato su un’ottica di genere e sul rispetto delle molteplicità di cul- ture e soggettività che sono presenti sul nostro territorio, è indispensa- bile per far fronte ai cambiamenti a cui la società sta andando incontro.

Nel documento "Il corpo della donna migrante" (pagine 119-130)