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Pratiche simboliche / sostitutive

Nel documento "Il corpo della donna migrante" (pagine 75-80)

Parte III: Mutilazioni genitali femminili 1 Origini del fenomeno

4. Pratiche simboliche / sostitutive

In alcuni paesi, al fine di consentire la permanenza e la va- lenza tradizionale e simbolica del rito, si utilizzano dei riti alterna- tivi, per evitare che le minori vengano sottoposte a pratiche muti- lanti. Una proposta avanzata di recente dal Dottor Omar Abdulkdar prevede la cosiddetta sunna rituale, consistente in una medicalizza- zione dell’infibulazione in cui viene simbolicamente “punto” il cli- toride, sublimando il significato stesso dell’infibulazione. Questa proposta è stata ritenuta da alcuni studiosi come una semplice ma- niera di “riduzione del danno”, e quindi non idonea.

In particolare, in alcuni villaggi del Kenya, l’organizzazione della comunità Tsaru Ntomonik permette di utilizzare questi riti al- ternativi alle ragazze Masai a cui erano imposte le mutilazioni come simbolo del passaggio all’età adulta.

Inoltre, hanno creato delle cosiddette “case di fuga” per le bambine ad adolescenti che scappano dalle proprie comunità in cui

85 MINISTERIO DE JUSTICIA, BOLETÍN OFICIAL DEL ESTADO, Código Pe- nal y legislación complementaria, Edición actualizada a 3 de noviembre de 2016. 86 BASILE, F., ult. op. cit., p. 135.

si praticano ancora le mutilazioni genitali o a cui impongono i ma- trimoni combinati e forzati87.

Altro caso è quello dello Hunger Project’s Epicenter Strategy che opera attraverso la creazione di epicentri, cioè clusters di vil- laggi rurali, in cui uomini e donne possono sviluppare autonoma- mente dei programmi che rispecchino le loro necessità.

In questo caso il tema delle mutilazioni genitali rientra in un’attività più estesa, che tende non solo a cambiare il modo di con- siderare la donna rispetto all’uomo, e a parificare le loro condizioni, ma anche a fornire gli individui maggiori informazioni sulla salute, sulla nutrizione, sulla sicurezza.

Questi clusters, entro cinque anni dalla loro nascita, devono diventare autonomi sia sul piano economico che su quello proget- tuale e si annota che nel 2008, in vari paesi africani, erano presenti circa 110 comunità di questo tipo88.

Sono molte le organizzazioni che si occupano delle mutila- zioni genitali femminili, tra cui l’FGM Abandonment Project (FGMAP) che, in Egitto, sta cercando di diffondere nel tessuto so- ciale la consapevolezza che appartenere a determinati gruppi sociali non pregiudica la propria esistenza e che è possibile realizzarsi indi- pendentemente dalle convenzioni sociali a cui ci si riferisce nelle proprie comunità di appartenenza.

La Tanzania Media Women’s Association (TAMWA)89 è un'altra organizzazione che mediante l’utilizzo di mezzi di comuni- cazione come radio, televisione, giornali e social network, difende i diritti delle donne e delle bambine.

87 FORTESCHI, A. E. e GARGAGNO, O. (a cura di), ult. op. cit., p. 167. 88 FORTESCHI, A. E. e GARGAGNO O. (a cura di), ult. op. cit., p. 169. 89 Per maggiori informazioni, si veda <http://www.tamwa.org/tamwa/>.

La TAMWA nel 2002 ha preso parte della campagna STOP FGM.

5. Prospettive

La legislazione italiana, pur prevedendo un regime sanziona- torio piuttosto afflittivo per la punizione del reato appena esaminato e non riconoscendo alcun valore all’appartenenza culturale dell’agente (anzi la componente culturale opera contra reum), in realtà non appronta nessuna forma di tutela alle donne e alle bambine che sono state, o che poterebbero essere, vittime di mutilazioni ge- nitali femminili.

Alcuni studiosi ritengono che la predisposizione di strumenti preventivi potrebbe contribuire alla risoluzione del conflitto cultu- rale. Ciò consentirebbe un intervento preventivo rispetto agli even- tuali giudizi che sfocerebbero inevitabilmente in procedimenti pe- nali90. Gli strumenti preventivi potrebbero consistere in campagne di formazione e sensibilizzazione sui danni psico-fisici derivanti da tali pratiche, e soprattutto da percorsi di integrazione socio-culturale, rivolti non soltanto alle donne coinvolte in prima persona, ma all’in- tero gruppo di appartenenza.

La donna migrante nell’attuale contesto, da un lato è op- pressa dalla culturale occidentale del paese di approdo, dall’altro dalla cultura patriarcale del paese d’origine, risultando privata di qualsiasi soggettività. A tale proposito scrive Nirmal Nuwar:

«Il soggetto nero, la donna subalterna, il migrante e l'esule sono tutti sotto i riflettori. È a queste figure che si volge lo sguardo dei media, delle agenzie di governance globale e lo- cale, dei professionisti del capitalismo in stile multiculturale,

90 BASILE, F., ult. op. cit., p. 170.

degli accademici e degli attivisti. Ciascuno di essi ha un pro- prio motivo particolare per guardare e cercare. Alcuni cercano di pattugliare i confini, altri di regolare quei corpi il cui lavoro è necessario ma la cui cittadinanza (umanità) è rifiutata. E poi c'è la pretesa incessante di scorgere chi sta dietro al turbante, al velo, al pizzo, a quella pelle non-bianca; il sospetto alimenta pericolo e risentimento. Mentre alcuni di questi corpi sono ac- cusati di arrecare distruzione alla terra promessa, altri - e spesso gli stessi, sebbene con sfumature leggermente diverse - vengono celebrati perché evocano un paradiso tropicale. (…) La fame di narrazioni di «vittimità» ha una lunga storia. Al culmine dell'antropologia, le distinzioni fra l'Occidente e il re- sto del mondo diedero luogo a una giurisdizione epistemolo- gica racchiusa in osservazioni, misurazioni, categorizzazioni, spettacoli e musei di curiosità. I corpi delle donne provenienti da questi «altri» luoghi rivestirono un ruolo centrale nella pro- duzione della differenza fra barbarico e civilizzato, spirituale e razionale, passivo e potente. Tutto ciò che è percepito al tempo stesso come attraente, repulsivo, bisognoso di corre- zione è stato proiettato da questi «altri» luoghi sulle figure femminili. Nel rappresentare il fardello dell'uomo bianco così come della donna bianca, le donne di «altri» luoghi hanno of- ferto a coloro che guardavano verso Est in cerca di carriera un sentimento di missione, definendo per loro un senso di identità quali politici, riformatori sociali, viaggiatori o accademici»91.

Gli strumenti di tutela giuridica che potrebbero essere utilizzati a salvaguardia degli interessi delle donne che potrebbero essere vittime di mutilazioni genitali femminili sono stati individuati ad esempio nella concessione dello status di rifugiato politico ex art. 2, comma 1, lett.f)

D.Lgs.n. 286/1998. Però tale strumento non appare appropriato quanto I la concessione della protezione sussidiaria ex art. 2, comma 1, lett.h) D.Lgs.n. 286/1998. Infatti, il requisito necessario per ottenere tale tipo di protezione internazionale, cioè essere vittima di una persecuzione non individuale bensì collettiva appare più facilmente integrabile. Il principale presupposto che è necessario per la concessione della prote- zione sussidiaria sarebbe quindi quello di appartenere ad una comunità che pratica le mutilazioni genitali femminili.

Un altro strumento giuridico che potrebbe essere utilizzato per coloro che hanno già subito una mutilazione è il cosiddetto “permesso sociale” previsto dagli artt. 18 e 18 bis del T.U. Immigrazione.

In questo caso, le garanzie che vengono date a chi è beneficiaria di questo permesso sono meno ampie rispetto alle garanzie che sono insite nel possesso di un permesso di protezione sussidiaria. Infatti, la durata del permesso ex art. 18 è di sei mesi, rinnovabile fino a 2 anni, mentre quello di protezione sussidiaria ha durata quinquennale.

Il permesso ex art. 18 consentirebbe però l’ingresso alle donne, che hanno subito un trattamento degradante come quello di una mutila- zione, di intraprendere dei percorsi di riabilitazione, volti non solo alla riabilitazione psicologica, ma anche all’integrazione nel territorio.

Parte IV: Il diritto alla salute ed i consultori familiari

Nel documento "Il corpo della donna migrante" (pagine 75-80)