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Reati culturalmente orientati 1 Definizione

Nel documento "Il corpo della donna migrante" (pagine 47-57)

Anche le scelte di politica criminale risultano in qualche modo condizionate dall’intenso flusso migratorio degli ultimi decenni, poiché il trasferimento di migliaia e/o milioni di persone negli Stati a cultura occidentale ha inevitabilmente determinato situazioni di conflitto di non facile soluzione, mettendo in crisi i modelli già acquisiti.

La varietà delle etnie, delle culture, delle tradizioni, di cui sono portatori i migranti interagiscono sia con la cultura della società ospi- tante, sia tra loro stesse.

La circolazione di migliaia di persone insediate all’interno di società, le quali si portano dietro dalle culture di provenienza, valori, tradizioni e norme giuridiche, ha prodotto il proliferarsi di reati e di conseguenti procedimenti penali a carico di immigrati.

I reati commessi dai migranti e i conseguenti procedimenti pe- nali hanno di solito riguardato reati comuni, penalmente puniti anche nei paesi di origine ma, in molti casi, si è trattato della commissione di reati che hanno condotto gli operatori del diritto ad interrogarsi sulla valenza culturale dei reati stessi.

È stata elaborata la categoria dei reati culturali, intendendo rife- rirsi a reati che sono commessi quando il comportamento, vietato da norme di diritto penale, costituisce un comportamento tollerato, am- messo o addirittura prescritto da norme dei paesi di provenienza.

Si tratta di comportamenti posti in essere da soggetti che, nei paesi di accoglienza, sono considerati dalla legge come reato ma che, posti in essere nei paesi d’origine, sono pratiche socialmente imposte, consuetudini radicate nella comunità o nella cultura di appartenenza,

spesso legate a credenze religiose. Con ciò si intende sottolineare l’esi- stenza di un conflitto tra una norma giuridica (di diritto penale) dell’or- dinamento del Paese ospitante, che risulta violata da una condotta pe- nalmente rilevante, e una norma culturale afferente alla cultura di ap- partenenza del trasgressore, che non è ritenuta penalmente rilevante (o meglio ancora in molti casi è autorizzata o imposta ad esempio per mo- tivi religiosi).

Altri autori hanno distinto varie forme di vincolatività di queste norme culturali, ritenendo che in alcuni casi si tratterebbe di pratiche socialmente imposte, consuetudini radicate nella cultura di origine, di natura religiosa, la cui inosservanza è pesantemente sanzionata. È quanto accade per le mutilazioni genitali femminili in alcune etnie afri- cane o per le trasfusioni di sangue per i testimoni di Geova. In altri casi non sarebbe identificabile alcuna indicazione giuridica o sociale, poiché è semplicemente consentito o ammessa, come per esempio la poliga- mia. In altri casi ancora, vi sono dei comportamenti tollerati, e giustifi- cati da altre finalità, ad esempio di natura economica come avviene per lo sfruttamento dei minori46.

Sulla scia di tali riflessioni occorre, quindi, porsi il problema di quanta considerazione deve e può avere la norma culturale da parte del legislatore o l’operatore del diritto del paese di accoglienza.

In forza di quanto già detto a proposito dei modelli assimilazio- nista e multiculturalista, è stato sostenuto che, sul piano della politica criminale, è possibile ritenere che, per il primo modello, il trattamento sanzionatorio del reato è assolutamente indifferente all’etnia di colui che lo ha commesso, mentre, per il secondo modello, si tiene conto della etnia del contravventore e tale differenza di trattamento è valutata con maggiore indulgenza anche attraverso una normazione speciale.

46 FACCHI, A., ult. op. cit., p. 66 e ss.

Tuttavia, difficilmente i legislatori si attengono all’uno o all’al- tro modello, trattandosi di valutazioni elastiche anche in relazione al tempo, alla cultura ed ai valori vigenti.

Molti autori hanno indagato profondamente la materia, contri- buendo ognuno ad allargare orizzonti e margini di riflessioni molto in- teressanti partendo dalla nozione da attribuirsi a “reato culturalmente orientato”.

Secondo una dottrina penalistica ampiamente condivisa, per “reato culturalmente orientato” si deve intendere «un comportamento realizzato da un membro appartenente ad una cultura di minoranza, che è considerato reato dall’ordinamento giuridico della cultura dominante. Questo stesso comportamento, tuttavia, all’interno del gruppo culturale dell’agente è condonato, o accettato come comportamento normale, o approvato, o addirittura è sostenuto e incoraggiato in determinate situa- zioni»47.

Alcuni autori hanno distinto il reato culturale in senso stretto, come sopra definito, in reati culturali in senso stretto e reati culturali in senso ampio.

I reati culturali in senso stretto sono posti in essere «da soggetti appartenenti ad un gruppo minoritario (autoctono o immigrato) caratte- rizzato da una cultura complessivamente assai diversa da quella riflessa dal sistema giuridico vivente nel luogo di commissione del fatto; cul- tura che a volta a volta lo spinge o comunque lo induce a tenere com- portamenti vietati dalla legge e dunque realizzati in una situazione di generalizzato conflitto tra norme culturali e norme giuridiche»48.

47 VAN BROECK, Cultural defence and culturally motivated crimes, in European journal of crime, criminal law and criminal justice, 2001, n.1.

48 BERNARDI, A., Il “fattore culturale” nel sistema penale, Torino, Giappichelli,

I reati culturali in senso ampio sono quelli che, come i reati in senso stretto, determinano un conflitto normativo tra la norma giuridica e la norma culturale, ma che rispetto ai primi sono commessi da soggetti che appartengono non a gruppi minoritari, ma a comunità più estese, i cui valori culturali e giuridici non sono esattamente coincidenti con quelli dei paesi ospitanti, anche se sono ad essi assai vicini. Ad esempio, l’uso di sostanze stupefacenti in molti paesi occidentali è penalmente sanzionato, ma in paesi pur occidentali come l’Olanda, il consumo di tali sostanze è tollerato.

Si è osservato anche che mentre i reati culturali in senso stretto sono stati oggetto di studio dottrinale e giurisprudenziale, i reati cultu- rali in senso lato costituiscono un aspetto poco indagato e conosciuto che non consente al momento elaborazioni di diritto esaustive49. In ogni caso, i reati culturali concretizzano una situazione di conflitto che al- cuni autori, hanno definito “conflitto normativo/culturale”50.

A tal proposito, si parla specificatamente di valutazione penali- stica del fattore culturale, che consiste nella capacità del diritto penale di cogliere le radici culturali dei fatti costituenti reato.

Infatti, da un lato il diritto penale ha la funzione di sanzionare i comportamenti penalmente rilevanti posti in essere da soggetti apparte- nenti a gruppi minoritari a tutela dei valori giuridici e culturali dei gruppi di maggioranza, dall’altro ha la funzione di tutelare i diritti ed i valori delle culture di minoranza con la predisposizione di strumenti sanzionatori in grado di sconfiggere gli atti di intolleranza contro di esse51.

Alla luce di queste riflessioni appare evidente che il diritto pe- nale assume un atteggiamento oscillante, in quanto da un lato sembra

49 Cfr. BERNARDI, A., ult. op. cit.

50 Cfr. BASILE, F., ult. op. cit. e BERNARDI, A., ult. op. cit. 51 Cfr. BERNARDI, A., ult. op. cit.

reprimere con vigore comportamenti lesivi delle norme poste a tutela di valori della maggioranza culturale, dall’altro sembra schierarsi a fianco delle minoranze predisponendo norme che salvaguardino le loro speci- fiche caratteristiche e peculiarità. Con ciò si marca la già descritta ri- partizione da un modello assimilazionista ed un modello multicultura- lista o del c.d. riconoscimento.

La scelta del legislatore penale tra il diritto alla diversità dei comportamenti o quello della omogeneità degli stessi deve essere il frutto di un bilanciamento di interessi e di valori, che ha dato luogo in sede legislativa e giurisprudenziale ad un coacervo di soluzioni non sempre organiche e sincroniche.

Infatti, a tal proposito, alcuni autori hanno elaborato degli schemi tecnici, al fine di consentire una più serena capacità di disamina della questione, distinguendo tra le risposte dei legislatori e le risposte della giurisprudenza, date dagli ordinamenti giuridici ai fatti commessi dai soggetti culturalmente diversi.

Le soluzioni elaborate in sede legislativa e giurisprudenziale sono state distinte al loro interno “in risposte improntate alla tolleranza, alla indifferenza ed alla intolleranza”.

Avuto riguardo alla disciplina legislativa relativa a tali proble- matiche, sulla linea della tolleranza, sono state distinte tre tipologie nor- mative: la prima attiene alla previsione di norme penali e procedura pe- nale, parallele a quelle applicabili a tutti gli altri cittadini, «per dare vita ad un diritto sanzionatorio-riconciliativo di tipo consuetudinario rical- cato sui costumi propri dei soggetti culturalmente diversi ed applicabile solo a questi ultimi», nell’ottica della tolleranza verso le etnie diverse. La seconda delle tipologie normativa riguarda l'esplicita non applica- zione di alcune norme penali di diritto sostanziale ai cittadini apparte- nenti ad una minoranza. La terza tipologia normativa prevede la elabo- razione di norme di carattere generale che acclarino in modo esplicito

che, la violazione di norme penali non può essere imputata ai cittadini di etnia diversa e minoritaria o quanto meno deve applicata in modo più blando52.

Tale forma di risposta legislativa, considerata tollerante nei con- fronti dei soggetti culturalmente diversi, è quella più diffusa, mentre quella improntata ad un atteggiamento di indifferenza è meno presente negli ordinamenti. Invece, con riguardo a discipline legislative con norme a contenuto intollerante nei confronti dei fattori culturali, si ri- leva che esse comincino ad essere sempre più presenti all’interno degli ordinamenti statali perché l’espandersi del processo migratorio conduce ad un più frequente confronto e contrasto fra le diverse etnie, le loro culture ed i conseguenti valori. Un palese esempio in tal senso è costi- tuito dalla Legge del 2006 in materia di prevenzione ed il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile, emanata allo scopo di repri- mere tale pratica.

Anche le soluzioni elaborate dalla giurisprudenza nei confronti dei soggetti culturalmente diversi, oscillano con modalità disorganiche tra tolleranza, indifferenza ed intolleranza.

In molti Stati europei si rinvengono provvedimenti giurisdizio- nali diretti, a volte a non esercitare l’azione penale nei confronti degli autori del reato culturale, a volte ad applicare apposite cause di non pu- nibilità, altre ad utilizzare circostanze attenuanti valide solo per il reato culturale. Tutto ciò in una chiara ottica di estrema tolleranza. Invece, sotto il profilo dell’indifferenza, si rileva che essa si manifesta in com- portamenti ove si prende in considerazione la motivazione e l’influsso esercitato sull’autore del reato nella commissione del reato culturale. Infine, è stato rilevato che l’atteggiamento della giurisprudenza, sotto il profilo della intolleranza, sta diventando sempre più diffusa in relazione

52 Cfr. BERNARDI, A., ult. op. cit.

al “bisogno di pena” derivante dalla commissione di un reato cultu- rale53.

Il diritto penale italiano, al pari degli altri ordinamenti giuridici di cultura occidentale, ha introdotto norme che presentano tratti del mo- dello assimilazionista e tratti del modello multiculturalista, denotando, però, indecisioni e poche capacità creative nell’identificazione di forme legislative che meglio si adattino alle situazioni empiriche.

Alcuni autori ritengono che «a livello penale, «l’Italia può [...] dirsi oggi uno Stato improntato ad un modello assimilazionista»54, men- tre altri ritengono che siamo presenti tratti del modello multiculturalista mediante l’introduzione degli artt. 42, 43 e 38 del D. Lgs n. 286/9855 riferiti all’integrazione sociale e ai divieti di discriminazione dei con- fronti degli stranieri.

In realtà, spingersi verso la identificazione dell’uno o dell’altro dei due modelli risulta a dir poco arduo, poiché nel diritto penale ita- liano non esiste alcuna norma di parte generale che sia tollerante nei confronti degli autori di reati culturalmente orientati.

Solo in alcune norme speciali, è possibile reperire sporadiche ipotesi di deroghe, esenzioni o regimi di favore in relazione al gruppo etnico di appartenenza. L’esempio che a questo proposito si porta è quello dell’art. 5 del D. Lgs. n. 333/98 che prevede la possibilità di ma- cellazione secondo il rito islamico, escludendo così l’applicazione della normativa nazionale in materia di protezione degli animali.

Anche in giurisprudenza si rintracciano sentenze, riferite a par- ticolari situazioni, in cui si tiene conto dell’appartenenza del reo ad una

53 Cfr. BERNARDI, A., ult. op. cit., pp. 9 – 23.

54 BERNARDI, A., Modelli penali e società multiculturale, Torino, 2006. 55 Cfr. BASILE, F., ult. op. cit., p. 43.

etnia di minoranza, così come si ritrovano sentenze in cui i giudici mo- strano un atteggiamento di indifferenza nei confronti della situazione di conflitto normativo/culturale.

In altri casi, pur avendo il legislatore penale fatto una decisa scelta di campo mostrando un atteggiamento intollerante come l’appro- vazione della legge sul divieto delle mutilazioni genitali, la giurispru- denza ha utilizzato regimi sanzionatori molto soft nei confronti dell’au- tore del reato.

In buona sostanza, a fronte di un panorama legislativo e giuri- sprudenziale, assai frammentato e disorganico, emerge la necessità di predisporre norme giuridiche più efficaci e capaci di cogliere il conflitto normativo/culturale, demandandone l’applicazione all’organo giurisdi- zionale che deve adattare ed applicare la norma ai casi concreti.

2. Tipologie

Come già accennato, non esistendo una normazione generale o speciale che consenta un’organica identificazione delle tipologie dei reati culturalmente orientati, alcuni autori hanno cercato di fare una ri- costruzione attraverso la disamina una corposa casistica giurispruden- ziale.

Il metodo utilizzato è stato quello di raggruppare i vari casi for- niti dalla giurisprudenza sotto un unico denominatore comune rappre- sentato dalla diversità culturale del reo e dalla percezione culturalmente diversa da questo percepita in relazione a comportamenti sanzionati pe- nalmente nell’ordinamento ove i reati sono stati commessi.

Con tale metodo, i reati sono stati ricondotti ad un numero chiuso di tipologie offensive perché riferentisi a specifici ambiti come quello delle relazioni familiari ed interpersonali, delle concezioni in materia di minore, di comportamenti nella sfera sessuale e riproduttiva,

tutti ambiti impregnati di tradizioni e valori culturali avvertiti in modo così intenso da involgere il motivo del conflitto normativo/culturale.

In questo modo sono stati identificati i seguenti gruppi di reati che si riferiscono ad alcune categorie delittuose come quella della vio- lenza in famiglia, riconducendo ad essa i fatti di maltrattamenti e di sequestro di persona, realizzati in contesti culturali caratterizzati da una concezione di poteri spettanti al capofamiglia o ai genitori e casi in cui la violenza è il mezzo attraverso il quale si cerca di imporre alle figlie un matrimonio combinato o un matrimonio riparatore, previsto nell’or- dinamento italiano dall’art. 544 del Codice Rocco e successivamente abrogato nel 1981.

Un’altra categoria di reati è quella posta a difesa dell’onore, che scaturisce da un esasperato concetto dello stesso, familiare o di gruppo, che può spingersi sino a vendicare con il sangue la morte di un membro della propria famiglia o del proprio gruppo o anche dell’onore sessuale, offeso da una relazione adulterina o da altra condotta ritenuta riprove- vole in base alla morale sessuale della cultura d’origine. Nel Codice Rocco il Delitto d’onore era previsto dall’art. 587, abrogato contestual- mente alla previsione sul matrimonio riparatore del 1981.

Sono stati classificati anche i reati di mutilazioni genitali fem- minili, circoncisioni maschili rituali e tatuaggi ornamentali a cicatrici (c.d. scarnificazione), suggeriti, ammessi, imposti dalle convenzioni so- ciali delle culture d’origine o da regole religiose. Inoltre, sono stati or- dinati anche i reati di riduzione in schiavitù in danno di minori e i reati contro la libertà sessuale, in cui le vittime sono ragazze minorenni o donne adulte.

Un altro ambito è attribuito a reati di minore intensità come quelli in materia di sostanze stupefacenti (riguardanti sostanze il cui consumo è ritenuto assolutamente lecito, raccomandato per motivi ri- tuali o religiosi) e fatti consistenti nel rifiuto dei genitori di mandare i

figli a scuola (a causa di riserve di tipo religioso-culturale), nonché reati concernenti l’abbigliamento rituale (come l’uso del burqa).

Poi ci sono i reati di diversa natura e gravità, offensivi dei più diversi beni giuridici, ma accomunati dall’atteggiamento soggettivo del reo. Si tratta di condotte tenute dall’immigrato per un presunto errore sul fatto che costituisce reato, ovvero per un presunto errore sulla legge che prevede il fatto come reato, laddove l’errore scaturisce dalla diffe- renza culturale tra il paese d’origine ed il paese ospitante.

Si fa rilevare, da ultimo, che sono non sono compresi tra i reati culturalmente motivati altre tipologie di reato per cui non si pongono le problematiche culturali sopra viste, e questi sono i reati contro la pub- blica amministrazione, i reati contro la fede pubblica, i reati contro il patrimonio. Ciò perché questi ultimi tipi di reati sono indipendenti dalle motivazioni culturali che sottendono le categorie di reati sopra enun- ciate56.

Tutto quanto sopra esposto ed esaminato induce inevitabilmente ad una riflessione: le donne migranti ed i minori sono le categorie “pri- vilegiate” dagli autori dei reati culturalmente orientati in quanto desti- natarie ed oggetto specifico di specifico interesse a delinquere perché è nell’ambito della famiglia e delle mura domestiche che sono radicate tradizioni, atteggiamenti, che perpetrano tradizioni e culture della so- praffazione e della violenza.

56 Cfr. BASILE, F., ult. op. cit. e GRANDI, C., A proposito di reati culturalmente motivati, in Diritto Penale Contemporaneo, 2010.

Parte III: Mutilazioni genitali femminili

Nel documento "Il corpo della donna migrante" (pagine 47-57)