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Il libro è nato così, dall'idea d'un rifacimento del “Milione”. In quel momento m'interessavo, con alcuni amici, a forme letterarie non narrative, e m'interessavo, anche alle opere letterarie che sono rifacimenti d'altre opere. E in quello spirito che ho cominciato a scrivere il capitolo introduttivo del libro.92

Così Calvino, in un'intervista rilasciata al settimanale “L'Espresso”, identifica la scrittura de Le città invisibili come rifacimento del Milione di Marco Polo. L'opera prende forma entro “la cornice di riflessività disincantata”93 del Marco Polo del 1960,

ma dal punto di vista formale i due testi non hanno niente in comune:

Muta la struttura dell'opera: il Marco Polo appare infatti in questo senso un racconto lungo che, come i testi della trilogia dei Nostri antenati (1960), narra, con ironia ed incanto, le avventure di un eroe giovane, impulsivo e curioso, che costruisce la sua esperienza del mondo sulla spinta di una inesauribile sete di conoscenza. Nelle Città

invisibili [...] la forma del narrare, che ora incorpora ed esplicita le domande che

92 Sfogliando l'atlante (colloquio con l'autore), “L'Espresso”, XVIII, 45, 5 novembre 1972, in Italo

Calvino, Sono nato in America... Interviste 1951-1985, p. 197.

93 Note e notizie sui testi, in Romanzi e racconti, edizione diretta da Claudio Milanini, a cura di Mario

accompagnano le rappresentazioni del mondo, è totalmente altra. 94

Lo stile e la forma cambiano considerevolmente, ma non è difficile rintracciare alcuni elementi che accomunano le due opera; dell'opera di Rustichello vengono presi in considerazione due elementi specifici: la forma non narrativa, che si risolve nella scrittura-cinema del Marco Polo e nel gioco combinatorio de Le città invisibili, e la sequenza da cui viene tratta la cornice, vale a dire il contesto nel quale si collocano i resoconti dei viaggi di Marco .

L'unico passo del Milione in cui si parla dei racconti di Marco Polo si trova nel capitolo XI:

COME MESSER MARCO TORNÒ AL GRAN CANE

Or torna messer Marco al Gran Cane colla sua ambasciata e bene seppe ridire quello per che egli era ito, e ancora tutte le meraviglie e le grandi e le nove cose che avea trovate. Sicché piacque al Gran Cane e a tutti i suoi baroni, e tutti lo commendarono di gran senno e di grande bontà; e dissero, se vivesse, diverrebbe uomo di grandissimo valore. Venuto di questa ambasciata, cosí 'l chiamò il Gran Cane sopra tutte le sue ambasciate: e sappiate che stette col Gran Cane bene ventisette anni. E in tutto questo tempo non finò d'andare in ambasciate per lo Gran Cane poiché recò così bene la prima ambasciata. E faceagli tanto d'onore lo signore che gli altri baroni n'aveano grande invidia; e questa è la ragione perché messer Marco seppe più di quelle cose, che nessun uomo che nascesse unque. 95

94 Zancan, “Le città invisibili” di Italo Calvino, p. 878. 95 Polo, Il Milione, pp. 11-12.

Nel Marco Polo del 1960, invece, la scena del racconto è focalizzata a quella già citata nel capitolo precedente, La relazione al Gran Khan del capitolo 6 96.

L'ambientazione, che si presenta quindi come ampliamento della sequenza delle ambasciate contenuta nel trattamento del 1960, è quella della reggia dell'imperatore, nella città di Kemenfù 97 (Chemenfu nel Milione 98) residenza estiva di Kublai.

Le città invisibili comincia con il confronto tra Marco e Kublai Kan. L'opera si

apre ex abrupto. L'imperatore ascolta Marco in un dialogo del quale non si conosce l'inizio, né si sa quante relazioni ci siano state in precedenza. È presupposto che si conosca già il contesto.

I dialoghi tra Marco e Kublai, scritti in corsivo, aprono e chiudono ognuno dei nove capitoli.

I corsivi ospitano la voce dell'autore implicito e quella dei due protagonisti: Marco Polo, il fabulatore; e Kublai Kan, l'ascoltatore per eccellenza che tuttavia nella trama del testo, con ripetute inversioni dei ruoli, interroga, interviene, commenta. […] Lo schema dominante della struttura del narrato nei corsivi è dato da una prevalenza del discorso diretto – agito tra la prima e la seconda persona singolare del dialogato – a cui si alterna il discorso indiretto, il commento in terza persona. 99

I capitoli in corsivo determinano la cornice entro la quale si collocano le descrizioni delle città. La funzione non è solo strutturale: “il nucleo generativo del libro”, sottolinea infatti Mario Barenghi, “non consiste nelle descrizioni delle città, bensì nei dialoghi tra Marco Polo e Kublai: i quali, per parte loro, non fanno altro che 96 Calvino, Marco Polo, p. 555.

97 Calvino, Le città invisibili, p. 373. 98 Polo, Il Milione, p. 10.

proporre conclusioni, congetture, chiavi di lettura convergenti e complementari” 100.

Sono i dialoghi tra Marco e Kublai a porre le basi per un intreccio narrativo, e per contestualizzare le tematiche affrontate nelle descrizioni delle città. Marina Zancan ne individua tre nel primo capitolo in corsivo:

La microcornice del capitolo I si presenta, dal punto di vista tematico, come introduttiva all'intero volume: il primo corsivo (tutto di solo commento), diviso in tre segmenti, apre infatti il libro con il tema della sfiducia nelle parole (“Non è detto che Kublai Kan creda a tutto quel che dice Marco Polo” […]; lo colloca, con il secondo, sullo sfondo di un mondo perduto (“quest'impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma” […] ) che presto, con malinconia e sollievo rinunceremo a conoscere e a comprendere; e si chiude, nel terzo, con l'immagine della “filigrana d'un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti” […], che Kublai scorge nei resoconti di Marco.101

La prima tematica è il dubbio sull'attendibilità dei fatti narrati:

Non è detto che Kublai Kan creda a tutto quel che dice Marco Polo quando gli

descrive le città visitate nelle sue ambascerie, ma certo l'imperatore dei tartari continua

ad ascoltare il giovane veneziano con più curiosità e attenzione che ogni altro suo messo

o esploratore. 102

Il riferimento dell'incipit de Le città invisibili è il prologo del Milione, che si apre con un'attestazione di veridicità:

100 Note e notizie sui testi, p. 1363.

101 Zancan, “Le città invisibili” di Italo Calvino, p. 899. 102 Calvino, Le città invisibili, p. 361.

E questo vi conterà il libro ordinatamente siccome messer Marco Polo, savio e

nobile cittadino di Vinegia, le conta in questo libro e egli medesimo le vide. Ma ancora

v'ha di quelle cose le quali egli non vide, ma udille da persone degne di fede, e però le

cose vedute dirà di veduta e l'altre per udita, acciò che 'l nostro libro sia veritieri e

sanza niuna menzogna. 103

“Marco declares that the stories he is recounting to Kublai are the result of a series of signs collected during the exploration”104, afferma Matteo Brera in un articolo in cui

si prende in esame la potenza comunicativa di Marco. Secondo Brera, sono i segni collezionati dai viaggi di Marco Polo a testimoniare i suoi racconti, e cita un passo in cui questa raccolta di segni viene illustrata in maniera metaforica: “Io raccolgo le ceneri delle altre città possibili che scompaiono per farle posto e non potranno più essere ricostruite né ricordate”105. Ma c'è un altro luogo dell'opera in cui la ricostruzione dei

viaggi di Marco attraverso i segni è espressa in maniera più esplicita:

Nuovo arrivato e affatto ignaro delle lingue del Levante, Marco Polo non poteva

esprimersi altrimenti che con gesti, salti, grida di meraviglia e d'orrore, latrati o chiurli

d'animali, o con oggetti che andava estraendo dalle sue bisacce: piume di struzzo,

cerbottane, quarzi. 106

Il motivo della ricostruzione del viaggio attraverso i segni si può riscontrare in due luoghi del Marco Polo. La scena in cui Marco porta dei souvenir, nel senso letterale di 103 Polo, Il Milione, Prologo, p. 3.

104 Matteo Brera, At the Court of Kublai Kan: Storytelling as Semiotic Art in “Le città invisibili” by Italo

Calvino, “Symposium”, 65 (2011), p. 280.

105 Calvino, Le città invisibili, p. 406. 106 Ivi, p. 461.

oggetti in grado di far sopravvivere il ricordo di un evento107, all'imperatore, alla

principessa Kocacin e ai due zii, intitolata I doni 108, sottintende questo criterio. Fin

dall'inizio però l'autore ci rende consapevoli del fatto che anche la consegna di doni fisici può essere fonte di ambiguità. La consapevolezza di ciò si nota nelle prime pagine del trattamento del 1960:

Tra le lenzuola stese sull'altana Marco vede profilarsi l'ombra della moretta. – Ti ho portato un regalo, Azira! – e avanza con la gabbietta dei pappagallini. Ma si trova prigioniero di un labirinto di lenzuoli bianchi e di drappi a strisce stesi ad asciugate, attraverso i quali appare e scompare l'ombra di Azira. La raggiunge. – Un regalo del tuo paese!

Mio no star paese papagali! 109

Nell'epilogo, Marco si scontra con l'ineffabilità e l'inconsistenza dei suoi ricordi e dei suoi racconti:

Entra Marco, malinconico. - Babbo, zio, come faccio? Non mi credono, nessuno mi crede! Racconto belle cose meravigliose che abbiamo visto e mi ridono dietro! Come faccio a spiegare che cosa sono questi paesi così lontani, e le ricchezze, e le usanze, e la felicità, e la crudeltà, e la saggezza, tutto...

I vecchi si stringono nelle spalle. – E ti no spiegarghelo. Così ti xei a posto. 110

107 “Survivance, dans la mémoire, d'une sensation, d'une impression, d'une idée, d'un événementpassés”,

Dictionnaire de Français Larousse, https://www.larousse.fr/dictionnaires/francais/souvenir/73993? q=souvenir#73164.

108 Calvino, Marco Polo, p. 557. 109 Ivi, pp. 513-514.

Il criterio di veridicità affrontato nel sottotesto corsivo 111 è rintracciabile nelle

prime e nelle ultime pagine del Marco Polo. Nell'epilogo, l'ineffabilità della narrazione è simboleggiata dalla risposta disincantata dei due vecchi veneziani.

Ne Le città invisibili Marco Polo dispone davanti a sé gli oggetti estratti dalle sue bisacce “come pezzi degli scacchi”112. Gli oggetti sono prove dei suoi viaggi, “tutto quel che Marco mostrava aveva il potere degli emblemi, che una volta visti non si possono dimenticare né confondere”113. Tuttavia, più avanti, viene affrontato il tema della perdita

del valore del dato empirico: “In fondo, era inutile che Marco per parlargli delle sue

città ricorresse a tante cianfrusaglie: bastava una scacchiera coi suoi pezzi dalle forme esattamente classificabili”114. Ciò porta ad una sfiducia nella conoscenza sensibile.

Da un punto di vista epistemologico, si può accettare che la conoscenza assoluta sia irraggiungibile, che la totalità sia inafferrabile e la multiformità indicibile. Ma a livello poetico, questa ineffabilità non può ridursi al silenzio. Innanzitutto perché la “tensione della letteratura” sta proprio nel “dire continuamente qualcosa che non sa dire” e poi, soprattutto, perché il silenzio non può essere accettato sul piano morale. 115

E infatti, nel Marco Polo, Marco non si rassegna, e continua a far rivivere il suo viaggio nel racconto, pur venendo deriso dai veneziani affacciati alle finestre mentre “ferma la gente, gesticola, parla, insiste, cerca d'esser creduto...” 116.

Nel fidarsi ciecamente della capacità affabulatoria di Marco, Kublai rischia di

111 È il termine utilizzato da Zancan per indicare i capitoli in cui compaiono Marco e Kublai: “Le città

invisibili” di Italo Calvino, p. 893.

112 Calvino, Le città invisibili, p. 373. 113 Ivi, p 374.

114 Ivi, p. 461.

115 Virna Brigatti, Il finale gnoseologico delle “Città invisibili” di Italo Calvino, “Acme”, LXIII (2010),

3, p. 300.

perdersi: “Il Gran Kan cercava di immedesimarsi nel gioco, ma adesso era il perché del

gioco a sfuggirgli”117. Marco riapre quindi il contatto con la realtà:

– La tua scacchiera, sire è un intarsio di due legni: ebano e acero. Il tassello sul

quale si fissa il tuo sguardo illuminato fu tagliato in uno strato del tronco che crebbe in

un anno di siccità: vedi come si dispongono le fibre?

[…] La quantità di cose che si potevano leggere in un pezzo di legno liscio e vuoto

sommergeva Kublai. 118

Più importante però, per tornare all'epilogo del Marco Polo, è l'importanza riservata all'ascoltatore. Marco accenna al suo destino di prigioniero a Genova, ma riporta anche la scena del testo del 1960, in cui tenta di raccontare nella calle:

– Io parlo parlo, – dice Marco, – ma chi m'ascolta ritiene solo le parole che

aspetta. Altra è la descrizione del mondo cui tu presti benigno orecchio, altra quella che

farà il giro dei capannelli di scaricatori e gondolieri sulle fondamenta di casa mia il

giorno del mio ritorno, altra ancora quella che potrei dettare in tarda età, se venissi

fatto prigioniero dai pirati genovesi e messo in ceppi nella stessa cella con uno scrivano

di romanzi d'avventura. Chi comanda al racconto non è la voce: è l'orecchio. 119

Oltre al tema della sfiducia nella verità del narrato, Zancan individua quello del disfacimento di un mondo conquistato, da ricondurre alla personalità malinconica dell'imperatore, e quello della filigrana, che nel libro si rivolge in maniera metaletteraria alla carta: Moriana è una città che “non ha spessore, consiste solo in un dritto e in un 117 Calvino, Le città invisibili, p. 462.

118 Ivi, p. 469. 119 Ivi, p. 473.

rovescio” 120.

Il motivo della filigrana viene espresso nel corsivo V, in cui Kublai sogna “città

trasparenti come zanzariere, città nervatura di foglia, città linea della mano, città filigrana da vedere attraverso il loro opaco e fittizio spessore” 121.

Gli stessi concetti si possono individuare nella sceneggiatura, dove questo motivo viene espresso con le immagini della trama degli arazzi, della tessitura dei tappeti e, appunto, della nervatura delle foglie:

– Questo tappeto viene dalla Persia, i suoi disegni non hanno nessun significato ma a guardarli a percorrerli con lo sguardo senza smettere mai, tutte queste linee, tutti questi colori, il modo come nascono uno dall'altro e si incontrano e si sovrappongono, mi pare che racchiuda tutto il mondo, città con palazzi dai tetti d'oro e templi che spuntano fuori da foreste fittissime, e fiumi, e golfi, e mari pieni di isole... 122

Guarda questa foglia. Se la metto così davanti agli occhi cosa vedo? Un'ombra scura, nulla. Se la metto così di sbieco è informe, aggrinzita. Devo trovare il modo esatto come guardarla ed eccola bella, armoniosa, con le sue nervature... 123

L'immagine offerta dalla trama degli arazzi invece si connette al secondo tema individuato da Zancan, cioè quello del disfacimento. Nel Marco Polo, Kublai esprime il suo desiderio di mettere insieme le cose conquistate in modo da ottenere “un disegno, un ordine, una musica” 124 mentre passa la mano su un arazzo.

Ne Le città invisibili invece, il tema viene espresso nella città di Olivia, una delle 120 Calvino, Le città invisibili, p. 449.

121 Ivi, p. 419.

122 Calvino, Marco Polo, p. 515. 123 Ivi, p. 551.

città in cui il dialogo tra Marco e Kan fuoriesce dal corsivo. Per descrivere Olivia, Marco ammette di non avere altro mezzo che parlare di “palazzi di filigrana con cuscini frangiati ai davanzali delle bifore”125. Olivia è una delle città in cui si palesano gli

inserti metanarrativi, attraverso i quali la cornice si connette alla descrizione delle città:

Dicendo di Zaira, Fedora e Olivia, Marco si rivolge in forma diretta a Kublai Kan - «Inutilmente, magnanimo Kublai, tenterò di descriverti la città di Zaira» […]; «Nella mappa del tuo impero, o grande Kan, devono trovar posto» […]; «Nessuno sa meglio di te, saggio Kublai, che non si deve mai» […] - che, evocato nel tondo lo riporta al contesto narrativo del corsivo. In un quarto caso - il tondo descrittivo della città di Irene - l'autore implicito irrompe nel testo a descrivere la situazione che si è creata tra i due protagonisti del corsivo («A questo punto Kublai Kan s'aspetta che Marco parli d'Irene com'è vista da dentro. E Marco non può farlo» […], confermando la dipendenza testuale dei tondi dai corsivi che ospitano, come si è detto, la trama del testo: scrittura e fabulazione - scrive Celati a proposito del rapporto tra corsivi e tondi - «sono equiparabili a ciò che nella teoria dei giochi si definisce rispettivamente game e play, ossia regole e partita» dove il game (la scrittura, la cornice) è il gioco fuori dal contesto, la forma normativa del gioco (la fabulazione, le città). 126

Game e play definiscono rispettivamente la cornice, che si palesa nel corsivo de Le città invisibili, e il racconto delle città, in tondo. Le due componenti dialogano tra loro

attraverso gli inserti metanarrativi di Zaira, Fedora e Olivia, e attraverso questi il libro può raggiungere uno statuto unitario. Oltre alla distinzione tra racconto ed esplorazione, si può avvertire idealmente anche una terza componente: quella del viaggio, che

125 Ivi, p. 407.

secondo Marina Polacco non risulta così evidente se confrontato con un altro testo di riferimento per Calvino, cioè Le città del mondo di Elio Vittorini:

Altrettanto significativo è il rinvio ad un altro testo che nella prospettiva calviniana diventa l'emblema per eccellenza di un certo modo di pensare la letteratura […]: si tratta delle Città del mondo di Elio Vittorini, romanzo avviato nel 1952 e mai completato, pubblicato postumo nel 1969 […]. Nel romanzo le città, per quanto concrete e sempre materialmente identificabili, rimangono sullo sfondo, mentre a essere tematizzato è il viaggio, tensione progettuale per eccellenza […]. Nella riscrittura calviniana il viaggio sparisce (per essere fissato nelle formule cristallizzate e fiabesche che spesso introducono le città: “dopo sei giorni e sette notti l'uomo arriva a Zobeide”, “partendosi di là e andando tre giornate verso levante”.127

Le formule introduttive indicate da Polacco sono quelle che Calvino, con intento mimetico, introduce anche nelle città di Anastasia, Tamara, Eufemia, Moriana e nella cornice VI, riproducendo i refrain che aprono alcuni capitoli del Milione: “Quando l'uomo si parte della città di Cinga (Cingan)”128; “Quando l'uomo si parte di Quisai

(Chinsai)”129. L'ipotesi di Polacco è quella di una cristallizzazione del tema del viaggio

in queste brevi frasi, il che rimanda alla rapidità espressa dal capitolo 6 del Marco Polo. Secondo Zancan, invece, “la metafora del viaggio è implicita nel sottotesto corsivo in cui confluisce la riscrittura del Milione dell'inizio degli anni Sessanta”130. In questo

senso, quindi, nel Marco Polo si può individuare sia la componente strutturale della cornice, sia la tematica del viaggio, oltre ad alcuni aspetti tematici definiti dalla

127 Marina Polacco, Kublai Kan, i mondi possibili e le menzogne del racconto, pp. 4-5. 128 Polo, Il Milione, p. 149.

129 Ivi, p. 155.

descrizione delle città:

Il tema della città – che dalla cornice assume allora il carattere di racconto di racconti – distanziato in un tempo lontano e in uno spazio immaginario risulta così preliminarmente estraniato in una trasposizione fantastica e favolosa. Nello stesso tempo la sua natura di testo riscritto preannuncia quel discorso sul discorso e la parola letteraria che si configura come il tema predominante del sottotesto corsivo, la parte esplicitamente metanarrativa del testo.131

Il carattere sostanzialmente unitario dell'opera dimostra che, anche se leggibili singolarmente, le città sono parte di un unico testo. Tuttavia, il rapporto tra le città e la loro cornice risulta evidente, e, anche se all'interno del libro la linearità dell'intreccio è sostituita da un movimento “non teleologico, a-narrativo”132, occorre prestare attenzione

alla loro interazione complessiva, da cui si può intuire che la cornice non va a imporsi sul resto dell'opera:

La trasparenza concettuale di certe città non è quindi un sintomo di univocità complessiva, né tantomeno di incondizionata fiducia a uno o più modelli di conoscenza. […] Non c'è una descrizione che preponderi sulle altre, né una cornice abbastanza solida e circoscritta da proiettare un significato stabile sulle varie descrizioni, ognuna delle quali costituisce un diverso modello storico, urbanistico, sociale, semiotico, etnico.133

La critica ha insistito molto sul carattere strutturale del libro. In una lettera a

131 Ivi, p. 899.

132 Riccardo Capoferro, Le città invisibili. Lo spazio urbano come modello di conoscenza, “Fictions”, V

(2006), p. 45.

Cesare Milanese del 1974, Calvino propone uno schema in cui la disposizione delle città è raffigurata da una griglia obliqua simile a una losanga, che si può scomporre a sua volta al suo interno in altre figure 134:

1 2 1 I 3 2 1 4 3 2 1 --- II 5 4 3 2 1 III 5 4 3 2 1 IV 5 4 3 2 1 V 5 4 3 2 1 VI 5 4 3 2 1 VII 5 4 3 2 1 VIII 5 4 3 2 1 5 4 3 2 1 --- 5 4 3 2 IX 5 4 3 5 4 5

Secondo Bruno Ferraro, il fatto che sia possibile rappresentare la struttura del libro con un diagramma non è sintomo di distacco o freddezza nei confronti dell'opera, ma, al

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