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I personaggi di Marco e Kublai subiscono un'evoluzione finalizzata all'estrema essenzialità raggiunta dalla loro forma finale ne Le città invisibili.

Marco Polo subisce nel trattamento del 1960 un incremento esagerato delle sue peculiarità: è furbo e ingenuo allo stesso tempo, romantico e spregiudicato, avventuroso

189 Falcetto, Le cose e le ombre, p. 66. 190 Calvino, Le città invisibili, p. 405. 191 Ivi, p. 377.

e riflessivo. Le caratteristiche che vengono mantenute da Calvino sono quelle relative alla capacità di ascoltare, funzionale per lo sviluppo della sua abilità narrativa, e la curiosità, la volontà di cercare, in ogni cosa che vede, “il rovescio, il trucco, il fasullo”192.

La sua caratterizzazione finale deve molto anche alla sua figura di voce narrante del Milione.

Diverso il processo cui è sottoposto il personaggio di Kublai. Da sovrano amante dello sfarzo, che ostenta le sue doti e la sua potenza, si passa alla figura di un pensatore malinconico. Il contrasto non è netto; bisogna tener presente che il Kan del Milione è comunque in grado di riconoscere le doti del suo futuro ambasciatore ancor prima di affidargli un incarico ufficiale.

L'imponenza del personaggio dell'opera di Rustichello si tramuta nell'alterità con la quale il Kan de Le città invisibili dibatte con Marco:

Il veneziano sapeva che quando Kublai se la prendeva con lui era per seguire

meglio il filo d'un suo ragionamento; e che le sue risposte e obiezioni trovavano il loro

posto in un discorso che già si svolgeva per conto suo, nella testa del Gran Kan.193

È da questo passo che si evince la rilevanza di un'evoluzione del rapporto tra i due personaggi, determinante per la loro caratterizzazione finale nell'opera del 1972.

Nel Marco Polo, Marco mostra totale ammirazione per Kublai:

– Nessun uomo ha mai avuto un impero così grande, né ricchezze come le sue... Fossi io...

192 Calvino, Marco Polo, p. 533. 193 Calvino, Le città invisibili, p. 377.

– Tu sei tu, lui è lui.

– Oh, se fossi lui, non sarei così saggio... Forse mai tanto potere e tanta saggezza si sono trovati nella stessa persona. E anche gusto della vita... Ha tutto... 194

Anche nel Milione, Polo dimostra un'ammirazione sconfinata per il Kan, “Gran Signore di signori”195 che mantenne “la sua signoria per suo gran valore e per sua

prodezza e senno”196. I capitoli dedicati alla discendenza dell'imperatore, alle sue

imprese militari e alla sua figura si trovano infatti al centro del libro.

La condizione di ascoltatore assunta dal Kan de Le città invisibili potrebbe dare adito all'ipotesi che i rapporti di forza si siano invertiti. In realtà i due personaggi si pongono finalmente sullo stesso livello: l'uno ha bisogno dell'altro.

I due hanno un atteggiamento simmetrico: lo stupore e la curiosità che animano le descrizioni di Marco si rinnovano in Kublai, il quale però a differenza del suo interlocutore li vive con disagio e cerca di chiuderli in una forma precisa. Se Marco è un professionista dello straniamento, e sembra gustare sia la mutazione d'identità che deriva dell'esilio sia l'estasi del nuovo, Kublai, che per vocazione è stanziale e come compito ha la gestione del potere e la salvaguardia dell'ordine, è portato ad astrarre e sistematizzare.

197

Il motivo per il quale Kublai espone i suoi dubbi è la capacità di Marco di raccontare qualcosa che gli altri ambasciatori non possono raccontare. Allo stesso tempo, Marco non potrebbe esercitare la sua attività affabulatoria se non avesse a

194 Calvino, Marco Polo, p. 550. 195 Polo, Il Milione, p. 78. 196 Ivi, p. 72.

disposizione un contradditorio come quello di Kublai:

Tra Marco e Kublai c'è una dialettica fittissima e incessante; l'uno sembra aver estremo bisogno dell'altro. Senza un luogo a cui tornare, Marco disperderebbe il proprio io, si dissolverebbe nella varietà dei luoghi attraversati, mentre Kublai si smarrirebbe nel proprio delirio di astrazione e di controllo. 198

Considerando i ruoli assegnati ai due personaggi, la percezione è quella di assistere al rapporto tra un ascoltatore, Kublai, che subisce passivamente le proposte portate avanti da un narratore, Marco Polo. Kublai sembra alla ricerca di un ordine binario, per giungere ad una verità univoca:

Kublai Kan, spinto dal bisogno quasi ossessivo di dare senso e sostanza alle cose, si interroga senza tregua sulla verità/falsità del racconto di Marco Polo. […] All'inizio Kublai, accecato dal suo consueto totalitarismo ideologico, crede che sia possibile arrivare a una distinzione univoca: vero è il racconto che corrisponde alle cose, falso al contrario quello che non corrisponde alle cose; ma Marco Polo gli insegna ancora una volta a fare i conti con la complessità. 199

Affinché Kublai possa uscire dal sistema concettuale nel quale è incagliato, è necessario che venga indotto dal narratore Marco ad abbandonare strumenti d'interpretazione inadeguati. Solo dopo aver appreso da Marco la discontinuità spaziale e temporale della città ideale, l'intreccio indissolubile di negativo e positivo, l'invenzione di un mondo alternativo alla riproduzione di una realtà esterna, Kublai 198 Ivi, p. 46.

potrà acquisire uno sguardo in grado di dare un senso alle cose. Polacco individua nel corsivo VIII/b il momento del trionfo di Marco nello scontro dialettico con il Kan:

Allo scacco matto, sotto il piede del re sbalzato via dalla mano del vincitore, resta il nulla: un quadrato nero e bianco. […] Allora Marco Polo parlò: la tua scacchiera, sire, è un intarsio di due legni: ebano e acero. Il tassello sul quale si fissa il tuo sguardo illuminato fu tagliato in uno strato del tronco che crebbe in un anno di siccità: vedi come si dispongono le fibre? […] La quantità di cose che si potevano leggere in un pezzetto di legno liscio e vuoto sommergevano Kublai; già Polo era venuto a parlare dei boschi d'ebano, delle zattere di tronchi che discendevano i fiumi, degli approdi, delle donne dalle finestre... 200

Il brano che chiude la penultima sezione delle Città invisibili, segna il trionfo definitivo di Marco, ratificato nell'ultimo capitolo dalla rassegna delle utopie e delle distopie della tradizione. […] Messo di fronte a questo buco nero che rischierebbe di ingoiare tutto, Marco Polo riesce a trovare una via di scampo perché non si ferma alla constatazione del nulla, ma crea attraverso il racconto stesso una realtà che prima non esisteva, riempendo con una quantità di cose […] quello che era solo un pezzetto di legno “liscio e vuoto”.201

Il brano viene citato da Calvino nelle Lezioni americane per dimostrare che ogni concetto e ogni valore può rivelarsi duplice:

Kublai Khan a un certo momento impersona la tendenza razionalizzatrice,

200 Calvino, Le città invisibili, p. 469.

geometrizzante o algebrizzante dell'intelletto e riduce la conoscenza del suo impero alla combinatoria dei pezzi di scacchi d'una scacchiera: le città che Marco Polo gli descrive con grande abbondanza di particolari, egli le rappresenta con una o un'altra disposizione di torri, alfieri, cavalli, re, regine, pedine, sui quadrati bianchi e neri. […]

Dal momento in cui ho scritto quella pagina mi è stato chiaro che la mia ricerca dell'esattezza si biforcava in due direzioni. Da una parte la riduzione degli avvenimenti contingenti a schemi astratti con cui possano compiere operazioni e dimostrare teoremi; dall'altra parte lo sforzo delle parole per render conto con la maggior precisione possibile dell'aspetto sensibile delle cose. 202

La prospettiva offerta dal rapporto tra Marco e Kublai non è quindi quella di una comunicazione vincolata ad una sola modalità di ascolto:

L'esibizione del narratario verbale e, soprattutto, l'iscrizione, nelle Città, del narratario Kublai Kan, parrebbero corrispondere al bisogno dell'autore di far tornare “la narrativa” “alle sue origini di comunicazione orale”: all'antico gioco tra chi narra e chi ascolta, che esige la presenza d'un pubblico che intervenga a far da coro, quasi provocato dalla voce del narratore. 203

Il rapporto non è unidirezionale. Marco riconosce l'importanza da attribuire all'ascoltatore, che svolge un ruolo attivo nella dialettica della narrazione:

Il narratore lascia al narratario la libertà di partecipare alla storia, di riempire gli spazi vuoti lasciati dal racconto, di rivivere e personalizzare le sue storie nell'intimità del proprio pensiero. […] Marco Polo […] sa tuttavia di dovere delegare all'ascoltatore la

202 Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, pp. 690-91.

parte più importante della sua comunicazione:

– Io parlo parlo, dice Marco, ma chi m'ascolta ritiene solo le parole che aspetta […] chi comanda al racconto non è la voce: è l'orecchio. 204

Kublai interroga Marco, propone soluzioni, e quando queste vengono smentite, rielabora le sue posizioni. L'immedesimazione nel lettore Kublai non è immediata per noi lettori ideali, ma la sua attitudine ci mostra la modalità di lettura migliore per la comprensione de Le città invisibili:

Rimane da capire qual è allora il ruolo, o l'atteggiamento verso cui dobbiamo tendere come lettori delle Città invisibili […].

Il primo dovere cui siamo chiamati è quello di non arrenderci mai davanti alle difficoltà. In questo senso, infatti, Kublai Kan dà prova di un'irriducibile tenacia […]. Kublai Kan è uno che non si arrende e, soprattutto, è uno che rinnova il proprio atteggiamento ad ogni sconfitta.

[…] Il buon lettore che entrerà nei panni del lettore postulato da Calvino nei primi anni '70, vedrà rovesciate le sue abitudini letterarie e percettive: dovrà disabituarsi alle definizioni assolute, e procedere, come Kublai Kan, per successive approssimazioni; e ancora dovrà rifiutare le soluzioni di comodo per porsi le domande che il testo necessita siano poste, rinunciando, infine, ad accontentarsi di un'unica risposta.205

204 Ivi, pp. 179-80. 205 Ivi, p. 182.

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