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Secondo Riccardo Capoferro è la stessa struttura dell'opera a influire su una lettura sociale de Le città invisibili. Le città descritte da Marco sono infatti “teatri dell'esistenza quotidiana, e, oltre che alle astrazioni della linguistica, rinviano a modelli radicati nel nostro orizzonte sociale”155:

153 Calvino, Le città invisibili, p. 455.

154 Italo Calvino, La giornata d'uno scrutatore, in Romanzi e racconti, edizione diretta da Claudio

Milanini, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, Milano, Mondadori, vol. II, 1992, p. 26.

Le città sono il luogo in cui le ideologie si spazializzano e in cui il sistema di gerarchie e di relazioni interne di una cultura assume la massima visibilità e densità. Talora le città descritte da Marco sono utopie, espressioni di ideologie sublimate e perfette: il piano di Andria […], ad esempio, si modella sulle costellazioni e i loro movimenti; il microcosmo riflette il macrocosmo, e il calcolo che congiunge i due è così preciso che gli abitanti della città credono sia la sua mappa a imprimere al cielo i suoi mutamenti, e non il contrario, in una perfetta integrazione di civiltà e natura.156

Anche nel Marco Polo viene evidenziata la difficoltà di trovare un modo per conciliare la propria esistenza nel mondo con la complessità delle culture con le quali si confronta: “– Sei matto, ardere l'incenso del tempio buddista nel tempio del bramino? – Ma io che ne so? – Bell'affare, se confondi sempre una religione con l'altra!” 157.

L'incontro tra culture non è però un processo che possa realizzarsi spontaneamente. Proprio a causa dell'incertezza provocata da questa difficoltà, Calvino insiste sulla possibilità che il libro venga letto come esempio di un sapere plurimo e non integrato, ma rifiuta l'interpretazione secondo la quale la frammentazione delle culture si trasformi in una sfiducia verso ogni futuro sociale, ogni ordine per cui lottare:

È un libro in cui ci s'interroga sulla città (sulla società) con la coscienza della gravità della situazione, gravità che sarebbe criminale passare sotto gamba, e con una continua ostinazione a veder chiaro, a non accontentarsi di nessuna immagine stabilita, a ricominciare il discorso da capo.158

156 Ibidem.

157 Calvino, Marco Polo, p. 528.

158 Vorrei fermarmi a mettere un po' d'ordine (1973), in Italo Calvino, Sono nato in America... Interviste

La struttura frammentata dell'opera, che fornisce un diverso modello etico e sociale per ogni città, può essere funzionale ad affrontare con destrezza il reticolo del relativismo culturale:

Le città invisibili sono un libro politico. Non solo perché si occupano di un

“oggetto” così decisivo per gli uomini che è la città, ma perché evidenziano la questione del rapporto tra letteratura e politica in un'epoca in cui entrambe sono messe radicalmente in discussione dagli avvenimenti storici e culturali. […] Ciò che Calvino persegue è la ricerca dei legami che esistono tra le cose del mondo, la rete di corrispondenze.159

Nel Marco Polo, il protagonista si scontra con un dilemma eterno: una miriade di

civiltà che perseguono la loro personale giustizia. Cerca di salvare Kocacin dal rogo, ma non può nulla contro la tradizione secondo la quale la sposa di un defunto deve seguire il marito nell'al di là: “Devo tornare in tutti questi vostri paesi, devo capire quello che voi pensate, farvi capire quello che io penso, cercare insieme la verità, impedire che scorra sempre tanto sangue!” 160. La necessità di una conoscenza reciproca – non di

un'omogeneità – tra culture diverse, si configura qui come un bisogno concreto di autoconservazione della specie. La certezza di essere nel giusto, invece, può portare solo a rancori destinati ad esplodere, anche in uno stesso gruppo sociale, come rivela il racconto della città di Berenice:

Nel seme della città dei giusti sta nascosta a sua volta una semenza maligna; la

159 Marco Belpoliti, Città visibili e città invisibili, “Chroniques italiennes”, 75-76 (2006), pp. 50-51. 160 Calvino, Marco Polo, p. 583.

certezza e l'orgoglio d'essere nel giusto – e d'esserlo più di tanti altri che si dicono giusti più del giusto – fermentano in rancori rivalità ripicchi, e il naturale desiderio di rivalsa sugli ingiusti si tinge della smania d'essere al loro posto e far lo stesso di loro. Dal mio discorso avrai tratto la conclusione che la vera Berenice è una successione nel tempo di città diverse, alternativamente giuste e ingiuste. Ma la cosa di cui volevo avvertirti è un'altra: che tutte le Berenici future sono già presenti in questo istante, avvolte l'una dentro l'altra, strette pigiate indistricabili.161

La tendenza della civiltà a difendere la sua tradizione non è una proprietà oggettiva. Dipende dai suoi abitanti, e come questa deve essere messa in discussione, così come suggerisce il modello atomizzato de Le città invisibili:

La trasparenza concettuale di certe città non è quindi un sintomo di univocità complessiva, né tantomeno di incondizionata fiducia a uno o più modelli di conoscenza. […] Sicché il messaggio di Calvino non vuole essere l'ultima parola sul mondo e sulla società, al più la prima di un dialogo che origini dalle pagine del libro per proseguire liberamente al loro esterno. […] La forma delle Città invisibili, frammentaria, opaca e talvolta refrattaria all'affabulazione, obbliga infatti a un'intensa attività esegetica, mentre il loro contenuto enfatizza la necessità di un sapere che metta a fuoco i problemi concreti dell'esistenza umana: l'organizzazione sociale e spaziale, il rapporto tra tecnologia e natura, il senso della storia.162

161 Calvino, Le città invisibili, pp. 495-96.

CAPITOLO III

Marco e Kublai

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