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L'opera di Rustichello è un'enciclopedia geografica e antropologica, un resoconto di viaggi basato essenzialmente su una disamina di città e culture. Non c'è una trama vera e propria, ma una storia da individuare e ricostruire.

Oltre che per la struttura in brevi paragrafi, Il Milione è anche un modello per la scrittura per immagini. Un adattamento della storia di esplorazioni offerta nel Milione non sarebbe stata funzionale per un film. Calvino sceglie di focalizzarsi solo su alcuni 68 Ivi, p. 784.

tra gli innumerevoli viaggi di Marco nel capitolo dedicato alle ambasciate per conto di Kublai Khan:

Ambascerie di Marco: (possono essere anche sketch molto brevi, visioni documentarie, o veri e propri episodi, da spunti del Milione, ma ci si mette quelli che si vuole)

a Cangiu, paese dove vige l'iniziativa femminile;

a Camul, dove l'ospitalità impone ai mariti d'andarsene e lasciare le mogli con i forestieri;

a Caragian, paese dei coccodrilli, e dove per monete si usano conchiglie.70

Peraltro il resoconto dei viaggi è intervallato da un ritorno a corte con la relazione al Gran Khan, episodio introdotto per alleggerire il ritmo della narrazione. Anche i singoli viaggi si intersecano tra loro – a simulare un'operazione di montaggio – per poi concludersi con il rientro finale di Marco, che porta doni a Kublai, Kocacin e i due vecchi Polo:

Marco diventa triste. - Il mio vento mi riporta lontano. Devo ripartire in ambasceria. Domani all'alba.

Le conchiglie marine

Cavalcando sulla riva del mare, nello Yu-nan, Marco vuole scendere sulla spiaggia. Raccoglie delle conchiglie, come per gioco.

Entrando in un paese, regala una conchiglia a una bambina che sta su un uscio. Esce

la madre, e gli dà un capretto e in più alcune conchiglie più piccole.

[…] Marco è sempre più sbalordito, ma capisce quando vede, nel mercato, che lì le conchiglie sono usate comunemente per moneta. […]

La montagna dei diamanti

Marco, nelle montagne dell'Indostan, giunge al paese dei diamanti e viene guidato a vedere come i cercatori di diamanti riescono a procurarseli. […]

La caccia al coccodrillo

Nello Yu-nan, allarme per il coccodrillo.

Marco partecipa a una battuta di caccia al coccodrillo.

I doni

Un coccodrillo catturato viene presentato da Marco a Kublai Khan. A Kocacin, Marco cinge il collo d'una collana di diamanti.

Ai due vecchi egli porta delle conchiglie. Quelli, spazientiti, fanno il gesto di buttarle via. Marco gesticola come spiegasse che no, che sono moneta corrente. I due vecchi non gli danno retta.71

La sequenza dedicata alle ambasciate segue lo schema previsto dall'appunto inviato a Cecchi D’Amico. La scelta di Calvino è diretta alla composizione di un insieme di episodi visivamente efficace, che possa rendere l'idea di una successione incessante di

viaggi e scoperte, e dell'alternanza dei luoghi visitati. È evidente la volontà di scandire il ritmo della narrazione e di arricchire la caratterizzazione dei personaggi, ma l'insistenza sembra orientarsi per lo più sulla potenzialità visiva del racconto.

L'esigenza della resa visiva delle immagini accompagna lo scrittore fino alla fine della sua produzione:

La nostra vita è programmata per la lettura e m'accorgo che sto cercando di leggere il paesaggio, il prato, le onde del mare. Questa programmazione non vuol dire che i nostri occhi siano obbligati a seguire un istintivo movimento orizzontale da sinistra a destra, poi di nuovo a sinistra un po' più in basso e così via […] Leggere, più che un esercizio ottico, è un processo che coinvolge mente e occhi insieme, un processo d'astrazione o meglio un'estrazione di concretezza da operazioni astratte, come il riconoscere segni distintivi, frantumare tutto ciò che vediamo in elementi minimi, ricomporli in segmenti significativi. 72

In Mondo scritto e mondo non scritto Calvino individua nel processo descrittivo la “prima operazione per rinnovare un rapporto tra linguaggio e mondo”73. Per Calvino la

lettura non è solo una facoltà percettiva; è il linguaggio a determinare la realtà fisica, pertanto la lettura del mondo e la sua descrizione sono per l'uomo una caratteristica antropologica.

Il fine dell'efficacia visiva della narrazione viene perseguito cercando di attribuire alla descrizione un valore complementare a quello del racconto:

Il mio interesse per le descrizioni è dovuto anche al fatto che l'ultimo mio libro,

72 Italo Calvino, Mondo scritto e mondo non scritto, in Saggi 1945-1985, a cura di M. Barenghi, Milano,

Mondadori 1995, p. 1871.

Palomar, comprende parecchie descrizioni. Cerco di fare in modo che la descrizione diventi racconto, pur restando descrizione. In ognuno di questi miei brevi racconti, un personaggio pensa solo in base a ciò che vede e diffida d'ogni pensiero che gli venga per altre vie.74

Palomar viene citato dallo stesso Calvino come dimostrazione del fatto che l'uomo

è programmato per leggere.

Come evidenziato sopra, Calvino insiste sulla netta distinzione tra scrittura letteraria e scrittura cinematografica. Palomar viene considerato da Emanuele Zinato il punto d'incontro tra le due forme. Secondo Zinato il “cocciuto divorzio fra scrittura e cinema può sembrare davvero imprevisto e stravagante”75, ma dobbiamo ricordare che

Calvino era consapevole della differenza sostanziale tra la produzione di uno sceneggiatore e quella di uno scrittore, come si evince dalla lettera ad Antonioni, e insiste sulla distinzione a ragion veduta.

Per Zinato, Calvino non sarebbe riuscito a dar seguito alle intuizioni avute durante la sua carriera di critico proprio a causa di questa distinzione ostinata; considerando però l'esperimento del Marco Polo si può riconoscere il tentativo di unire cinema e letteratura, anche se in una forma ambigua tra il racconto e la sceneggiatura.

L'esempio di Palomar rappresenta comunque un importante punto di arrivo per la vocazione visiva dello scrittore, ed è un riferimento utile da confrontare con l'esperienza calviniana di spettatore e critico di cinema:

La vista è per Calvino il senso galileiano della distanza critica che percependo le superfici delle cose si identifica con la conoscenza intellettuale.

74 Ivi, p. 1873.

Questo progetto – che è sensato pensare abbia, per ipotesi, la sua lontana origine reattiva nell’esperienza adolescente e voyeuristica di spettatore cinematografico – trova un suo estremo compimento in Palomar, uscito nel 1983. 76

Secondo Zinato, Palomar rappresenta l'estremo compimento di un “programma pedagogico”77 che trova la sua spinta iniziale nell'esperienza del Calvino spettatore, il

quale, tuttavia, “nonostante le acute osservazioni su L’avventura di Antonioni, non sa teorizzare il «cinema moderno» con il suo proliferare di specchi, di doppi, di personaggi riflessivi più che attivi”78

Per definire il Marco Polo, nell'appunto inviato a Cecchi D’Amico, Calvino parla di “documentarismo”:

Quello su cui dobbiamo puntare è lo spettacolo delle meraviglie del mondo come poteva esser concepito in un tempo in cui il mondo era sconosciuto […]. Mi tengo alla struttura episodica della tua traccia, anzi ne accentuo in qualche punto la frammentazione in quadri, insomma punto su una specie di documentarismo della fantasia visionaria esotizzante, che penso si adatti alla sensibilità di Vanzi.79

L'interesse di Calvino per il documentario si concretizza nella stesura del testo di

America paese di Dio, realizzato nel 1966 e diretto proprio da Luigi Vanzi. Il

documentario racconta l'America “dal punto di vista sociale e politico sullo sfondo dell’immaginario mitico che ha contribuito a costruirne l’identità.” 80 America paese di

76 Ivi, p. 89. 77 Ivi, p. 90.

78 Zinato, L'occhio del signor Palomar, p. 91. 79 Lettere (1940-85), p. 658.

80 Giada Del Debbio, Calvino e gli Stati Uniti: dal Diario americano a America paese di Dio, Tesi di

Laurea Magistrale, Università di Pisa, relatrice Prof.ssa Angela Guidotti, correlatore Prof. Vinicio Pacca, 2018, p. 85.

Dio rappresenta un punto cardine per l'esperienza cinematografica dello scrittore, e

presenta anche molte associazioni tematiche con Le città invisibili.

Calvino si occupa della stesura del testo della voice over che accompagna le immagini del film, mantenendo il suo ruolo di spettatore:

Nel documentario, Calvino gioca con il proprio ruolo di spettatore, che si adatta perfettamente all’esperienza del viaggio in America e rappresenta del resto un tratto fondamentale di tutta la sua opera come scrittore. La sua scrittura è immaginativa, procede per vividi scorci, crea colori e forme nella mente del lettore. Nel caso del documentario, lo stesso processo si sviluppa per così dire in direzione inversa: ciò che è dato allo spettatore del documentario sono le immagini, con i significati che esse rivestono di per sé. Tuttavia, Calvino non le lascia parlare da sole, non si limita a fotografare. Aggiunge un impianto di analisi che, a volte solo attraverso qualche parola, cambia anche risolutamente le tinte e i colori delle immagini, coniugando la realtà fotografata ad una forma di spiegazione.81

Il compito di Calvino è quello di commentare immagini già realizzate, ma rimane evidente il punto di vista dello scrittore, la riflessione della sua interiorità:

L’interpretazione, filtratissima, è quella ben determinata che ne dà Calvino, come individuo e come viaggiatore, in un preciso momento storico. Il documentario non parla dunque solo dell’America, ma parla dell’America vista da Calvino; quindi, in ultima analisi, parla di Calvino che vede l’America. 82

81 Ivi, p. 86. 82 Ivi, p. 87.

La scrittura per immagini infatti non consiste in una semplice lettura, né si basa su una descrizione scontata e realistica. Calvino rimane fedele, anche in un documentario, alla capacità dell'immagine felliniana di forzare lo spettatore a scrutare la propria interiorità:

Ciò che il cinema dà adesso non è più la distanza: è il senso irreversibile che tutto ci è vicino, ci è stretto, ci è addosso. E questa osservazione ravvicinata può essere in un senso esplorativo-documentario o in un senso introspettivo, le due direzioni in cui possiamo definire oggi la funzione conoscitiva del cinema. Una è quella di darci una forte immagine d'un mondo esterno a noi che per qualche ragione oggettiva o soggettiva non riusciamo a percepire direttamente; l'altra è quella di forzarci a vedere noi stessi e il nostro esistere quotidiano in un modo che cambi qualcosa nei nostri rapporti con noi stessi. 83

Può destare sorpresa il fatto che non ci siano molti lavori critici dedicati al rapporto tra senso documentario e senso introspettivo rapportati al cinema in Calvino 84, ma può

essere utile, per comprendere in che modo la visibilità calviniana si rapporti al suo senso introspettivo, l'analisi delle didascalie ai quadri dell'artista Cesare Peverelli per la mostra L'atelier de l'artiste, tenutasi a Parigi nel 197685. Il taccuino di Calvino registra

la composizione delle didascalie con il titolo “ALTRE CITTÀ per Peverelli”:

83 Calvino, Autobiografia di uno spettatore, pp. 43-44.

84 “Il lavoro critico più noto sulla ‘visibilità’ calviniana è quello di Belpoliti, L’occhio di Calvino (1996).

Ed è assai sintomatico che nel terzo capitolo, dal titolo Occhio all’opera – in cui Belpoliti intende ripercorrere l’interesse di Calvino per l’arte, la fotografia, la pittura e il cinema – ,vi siano paragrafi dal titolo Fotografia, Pittura e Collezione e il cinema sia invece assente”, Zinato, L'occhio del signor

Palomar, p. 87.

85 Note e notizie sui testi, in Romanzi e racconti, edizione diretta da Claudio Milanini, a cura di Mario

La donna coricata di fianco adesso striscia con l'arco della schiena contro il petto dell'uomo coricato di fianco, incurvato alle sue spalle, la bocca aperta sulla nuca di lei. Ai confini del sonno, una corrente passa dalla nuca per la spina dorsale della donna e scende lungo la continuazione di quella linea, e una corrente passa lungo la linea dell'uomo che si allunga dalla bocca al ventre. 86

Anche qui, come nel voice over del documentario, la scrittura non nasce da un'immagine da ricostruire mentalmente. Il testo, formato da periodi molto lunghi, segue un'immagine realizzata precedentemente, che viene poi rielaborata in forma narrativa, come se le figure agissero.

C'è una città dove tutti i muri sono di vetro; le vie scorrono ai piedi di grattacieli trasparenti; a ogni piano le vetrate riflettono le vetrate di fronte o lasciano intravedere una successione di vetrate.

[…] C'è una città in cui alla sera tutto è buio tranne i rettangoli delle finestre illuminati dal bianco lattiginoso d'altri rettangoli più piccoli.

[…] C'è una città che chi alza gli occhi la vede ripetuta nel cielo, uguale e capovolta. Delle case si vede una distesa di tetti piatti o aguzzi, con antenne e fumaioli; delle vie i dorsi di lamiera delle vetture, reti di fili, frecce bianche verniciate sull'asfalto.

87

Le storie create intorno alle figure dipinte prevedono, così come per le scene del

Marco Polo, la partecipazione attiva del lettore e dell'osservatore. L'allontanamento da

una lettura didascalica delle immagini si accompagna alla contestazione del realismo 86 Altre città (per Cesare Peverelli), in Romanzi e racconti, edizione diretta da Claudio Milanini, a cura

di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, Milano, Mondadori, vol. III, 1994 pp. 383-84.

della rappresentazione, uno dei temi fondamentali affrontati ne Le città invisibili: “Non è detto che riprodurre nella maniera più fedele possibile significhi svelare l'essenza delle cose, perché può essere vero proprio il contrario”88. La città che descrive meglio la

fallacia cui può andare incontro il realismo è Valdrada, città costruita sulle rive di un lago che ne riflette l'immagine: “Lo specchio ora accresce il valore delle cose, ora lo nega. Non tutto quel che sembra valere sopra lo specchio resiste se specchiato”89.

L'utopia realista della letteratura-specchio, oltre a essere improponibile, è ingannevole, perché pretende di arrivare a conoscere l'essenza delle cose attraverso la loro superficie, dimenticando che la realtà non è quella mi che appare. L'immagine più falsa della città di Valdrada è proprio quella che sembra riprodurla più fedelmente nelle acque del lago. 90

Un altro scritto di lettura dei quadri è quello dedicato alla presentazione della mostra delle opere di Giorgio De Chirico, pubblicato con il titolo Viaggio nelle città di

De Chirico (1983):

Come spesso accade nella descrizione delle Città invisibili, anche le ekphrasis di queste ‘città visibili’ si rivelano quale ulteriore rispecchiamento delle “articolazioni della mente di chi esamina”, e rappresentano differenti occasioni di esplorazione della struttura logica del soggetto. In fondo questi scritti possono essere considerati altre tessere e nuovi emblemi del caleidoscopico “zodiaco dei fantasmi della mente”, già disegnato dai racconti di Marco Polo.91

88 Marina Polacco, Kublai Kan, i mondi possibili e le menzogne del racconto, p. 14.

89 Italo Calvino, Le città invisibili, in Romanzi e racconti, edizione diretta da Claudio Milanini, a cura di

Mario Barenghi e Bruno Falcetto, Milano, Mondadori, vol. II, 1992, p. 399.

90 Polacco, Kublai Kan, i mondi possibili e le menzogne del racconto, p. 14. 91 Rizzarelli, Sguardi dall'opaco, p. 48.

CAPITOLO II

Il racconto dei viaggi di Marco

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