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2. La relazione tra utilità e felicità

2.2. Ci basta essere felici?

2.2.3. La rilevanza dei sondaggi

2.2.3.2. Cosa rivelano i sondaggi

La seconda prospettiva dalla quale indagheremo sulla rilevanza delle survey prende spunto da un lavoro di Benjamin et al (2012), i quali si domandano se ci sia corrispondenza tra quello che le persone pensano possa massimizzare la propria utilità e quello che effettivamente scelgono di fare. Gli autori confrontano le scelte degli intervistati, che a differenze delle preferenze rivelate si riesce a identificare direttamente dalle risposte date, con le previsioni di benessere soggettivo, ipotizzate sempre dagli intervistati e che, quindi, sono considerate preferibili.

Lo studio è il giusto esempio di come i dati sul benessere soggettivo debbano essere utilizzati per improntare un’analisi efficace e metodica. Molte volte informazioni di questo tipo riescono a sostituire in modo più che soddisfacente la mancanza di evidenze sulle preferenze rivelate. Si immagini quando bisogna stimare il miglior trade-off tra disoccupazione e inflazione accettato da una popolazione o gli effetti che ha uno stato di salute non buono sui consumi: sono scenari difficilmente riproducibili integralmente nella realtà ma in cui ci si può immedesimare attraverso i sondaggi. Inoltre, la mole di dati che si può produrre risulta essere potenzialmente superiore a quella dei dati forniti dall’esperienze dirette.

La metodologia usata per estrapolare i dati prevede che vengano ideati una varietà di scenari per ognuno dei quali, alla fetta di popolazione cui è stato assegnato, vengono proposte due alternative di scelta. Ribadiamo che, generalmente, gli economisti non preferiscono lavorare con questo tipo di materiale, dove le scelte sono ipotetiche e non effettive. Gli autori, pur riconoscendo i limiti di questo approccio, ritengono che il prezzo da pagare sia sopportabile, soprattutto considerando la possibilità, in questa maniera, di ampliare notevolmente la varietà di situazioni di scelta. Agli

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intervistati, oltre a comunicare le due opzioni, viene chiesto sia quale tra le due considerano la migliore per il proprio benessere, la più utile per sé stessi, sia quale sia la loro scelta effettiva, quella che tutto sommato decidono di intraprendere. L’obiettivo dello studio è di verificare se la scelta reputata più utile coincida con la scelta effettiva. La coincidenza darebbe prova, qualora sorgano dubbi, che i comportamenti delle persone sono mirati a ottimizzare i flussi di utilità e le scelte sono il perseguimento di questo target. Il secondo obiettivo è trovare, qualora ci fossero, delle motivazioni comuni che spingono gli agenti a non scegliere l’alternativa che, in realtà, ritengono essere più utile. Qualora si riuscisse a trovare altri fattori oltre a quello principe, che definiremo semplicemente “utilità”, che influenzano i comportamenti delle persone sarebbe ragionevole pensare che l’utilità stessa sia composta da più di un fattore.

Illustreremo brevemente la metodologia alla base dell’esperimento. Sono stati presentati tredici scenari differenti, ognuno dei quali era caratterizzato da due trade-off alternativi. Ad esempio, nello scenario 1, si poteva scegliere tra un lavoro che permettesse di dormire di più ma guadagnare meno e un altro con il quale, invece, non si sarebbe riusciti a godere di molte ore di sonno ma avrebbe permesso maggiori ricavi. Gli altri scenari seguivano la stessa falsariga del primo. I volontari per l’esperimento erano 1066 pazienti di una sala d’attesa di uno studio medico in Denver, 1000 maggiorenni partecipanti al Cornell National Social Survey9 (CNSS) del 2009 e 633 studenti della Cornell University. Gli scenari sono impostati in modi diversi anche a seconda della popolazione di riferimento: quelli inerenti ai salari sono stati somministrati a volontari già inseriti nel mondo del lavoro oppure gli scenari sulla scuola o l’istruzione a docenti o studenti. Nella composizione degli scenari gli autori hanno evidenziato quegli aspetti che la letteratura suggerisce come fattori del benessere soggettivo, ad esempio: scelte tra posti di lavoro stimolanti o opzioni abitative confortanti, opportunità finanziariamente attraenti o ritmi di vita meno stressanti, possibilità di non dividere il nucleo familiare o vivere in un Paese più ricco di quello in cui si è cresciuti. Anche le domande venivano appositamente modificate e adattate ma senza cambiare il senso di fondo. Veniva richiesto di rispondere a una Choice Question, che andava a definire la scelta che si sarebbe fatta, e una Subjective Well-Being (SWB) Question, ossia l’alternativa che, secondo ogni singolo agente, avrebbe condotto a maggiore benessere. Infine, a una parte degli intervistati, veniva chiesto se e quali aspetti venivano presi in considerazione per rispondere alla

Choice Question, in particolare, se oltre alla propria felicità o benessere si tenesse conto dei

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seguenti fattori: felicità della famiglia, salute, vita sentimentale, vita sociale, religione, importanza tempo libero.

In breve, si è osservato che le previsioni degli agenti sul benessere soggettivo risulterebbero una buona stima delle preferenze rivelate dato che nell’83% dei casi la Choice Question e la SWB

Question coincidono. Inoltre, si può affermare che vi sia una certa sistematicità nelle cause che

spingono a scegliere ciò che non si reputa ottimale. In altre parole, qualora le risposte alla Choice

Question e alla SWB Question fossero discrepanti, la motivazione era riferibile sempre agli stessi

fattori: il senso dello scopo, il controllo e la mitigazione dei fattori di incertezza, la felicità familiare, lo stato sociale.

I risultati dell’esperimento non permettono di affermare che i dati sul benessere oggettivo possano rappresentare un buon proxy per l’utilità degli individui anche se, almeno dalle risposte raccolte, si evidenzia un buon grado di concordanza tra scelta e preferenza. È vero anche che gli scenari sono ipotetici e non si avrà mai la certezza che rispecchino i comportamenti effettivi. Tuttavia, si suggerisce di rimanere cauti perché bisognerebbe prima testare che i dati raccolti, e quindi gli scenari, la popolazione di riferimento e le domande, siano comparabili e aggregabili. Nell’analisi descritta, inoltre, si è fatta attenzione a fare in modo di adattare lo scenario alla professione dell’intervistato o la domanda all’età del soggetto in analisi, ma ipotizzare un criterio universale diventa molto più complicato.