• Non ci sono risultati.

L’utilità da tempo libero e la produttività del lavoro

3. Una nuova funzione obiettivo

3.1. Caratteristiche della funzione obiettivo “U t ”

3.1.3. L’utilità da tempo libero e la produttività del lavoro

La sub-utilità “u3” la colleghiamo all’utilità dovuta alle ore non spese a lavorare ovvero al tempo dedicato ad attività piacevoli. Se indichiamo con “T” il tempo totale a disposizione e con “W” il tempo trascorso a lavoro, possiamo riscrivere la sub-utilità come:

u

3

= f (T-W)

Se facciamo riferimento alla funzione di produzione, possiamo affermare che la quantità di output “Y” è funzione della produttività “A” e dalla media ponderata degli input utilizzati nel processo di produzione, ossia capitale, “K”, e, appunto, lavoro, “W”. Utilizziamo la classica funzione di produzione Cobb-Douglas:

Y = AK

α

W

(1-α)

Considerando “Y” come il reddito percepito e “W” le ore dedicate alla produzione, quindi al lavoro, possiamo dedurre che il tempo totale sia dato dalla somma di “L”, tempo libero, e “W”, tempo trascorso a lavorare:

T = L + W

Se la produttività “A” non varia e la quantità del capitale “K”, per intervalli abbastanza lunghi, è costante, l’unico modo per registrare una crescita economica è una maggiore quantità del input

“W”, ossia un aumento delle ore lavorate. La funzione da cui ricaviamo queste semplici

conseguenze che articolano il nostro ragionamento non è da considerarsi necessariamente in termini aggregati ma, pur essendo valida per ogni agente economico, considera l’apporto per la produzione e le ore lavorate del singolo e non dell’intera popolazione (lavorativa) aggregata, con tutte le implicazioni in termini di scelta su come impegnare il tempo a disposizione tra lavoro e tempo libero. Infatti, l’aumento di ore trascorse a lavoro aumenta l’output “Y”, quindi il reddito percepito, ma comporta una riduzione nell’utilità “u3”. L’agente che allocherà il suo tempo in modo da diminuire le ore di tempo libero ma guadagnando di più probabilmente accrescerà la sua sub-utilità da consumo, dato il maggior reddito, ma l’effetto sulla sub-utilità da tempo libero, e di riflesso sulla felicità, risulterà verosimilmente negativo. Ovviamente l’effetto totale su ciascuna utilità complessiva sarà specifico di ogni funzione per ogni differente agente. Fatta questa premessa, ci focalizziamo sul termine “A” che indica la produttività ed è l’indice del cambiamento

55

tecnologico e dell’efficienza nell’allocazione degli input. Spesso la produttività viene misurata attraverso la Total Factor Productivity (TFP) o produttività multi-fattore che, in poche parole, spiegherebbe la porzione di reddito aggiuntiva non giustificata dagli input di capitale e lavoro.

Tornando alla combinazione tra produttività, capitale e lavoro come fattore di crescita della produzione e del reddito percepito, facciamo notare che dalla fine degli anni Sessanta la curva della TFP si è appiattita, come illustrato in figura 14. In ordinata si riporta l’indice della produttività totale dei fattori a prezzi nazionali costanti, in ascissa gli anni dal 1967 al 2017. Eccezion fatta per la Germania, che presenta un andamento virtuoso della produttività, e della Cina, che rileva una buona crescita da ormai vent’anni, tutti gli altri Paesi presentano una crescita sterile o nulla dei livelli di TFP. La nostra osservazione è che, a parità di produttività, di rendimento del capitale e di salario reale, l’unico modo per sostenere una crescita della produzione è moltiplicare le ore di lavoro (W) e ciò comporta inevitabilmente una riduzione del tempo libero (T=L+W), considerando che le ore totali (T) sono costanti. Intuitivamente, sembra ragionevole pensare che per guadagnare di più, se non si dispone di nuova tecnologia e percependo lo stesso salario orario, è necessario dedicare più tempo al lavoro e sacrificare quello che si potrebbe dedicare allo sport, alla lettura o agli hobby. In questi termini, si potrebbe fornire una nuova spiegazione al paradosso di Easterlin. L’impatto positivo dell’aumento dei redditi e della crescita economica sul livello di felicità, causato,

Figura 14 - Fonte: Elaborazione da FRED. Si riporta il livello di TFP di USA, Cina, Canada, Germania e Italia dagli anni Sessanta ad oggi.

56

ad esempio, da maggior possibilità di consumo, sarebbe stato spiazzato da quello negativo che una riduzione del tempo libero ha potuto generare. Dunque, la causa del puzzle andrebbe ricercata nell’incapacità di aumentare la produttività, handicap sicuramente favorito da un’assenza di progresso tecnologico e di adeguati investimenti in ricerca e sviluppo. Volendo riflettere dell’aspetto dell’utilità da tempo libero ma considerandolo come un problema di scelta in cui decidere se consumare di più o se dedicare più tempo allo svago, seguendo Stevens, Bowles,

Naylor e Hope (2017), si fa notare che il tutto avviene certamente in una condizione di scarsità di almeno uno dei due “beni”, reddito e tempo libero, e solitamente del secondo. Il concetto di

trade-off, parlando in questi termini, diventa ancor più rilevante e dovendo decidere tra l’una e

l’altra alternativa, tra lavorare di più o di meno, nascono ulteriori spunti di riflessione. Più che legittimo sarebbe domandarsi come si è evoluto, nel corso degli anni, il trend delle ore dedicate al lavoro. In figura 15 sono riportati gli andamenti, a partire dal 1950, della media delle ore annualmente lavorate da persone assunte negli Stati Uniti, in Giappone, nel Regno Unito e in Italia. Come si può facilmente dedurre, il tempo dedicato al lavoro, apparentemente in contrasto con la nostra intuizione, è sensibilmente diminuito nel corso degli ultimi decenni, risultato anche delle lotte dei lavoratori e della limitazione alla durata giornaliera dell’orario di lavoro imposta per legge in molti rapporti con i datori. Nella figura 16, è riportato un secondo grafico che descrive in ascissa

57

il PIL pro capite, in dollari e corretto in base al potere d’acquisto, e in ordinata le ore annuali lavorate in Olanda, Francia e Stati Uniti. Nella prima fase, in tutti i Paesi in esame, il reddito è aumentato fino ad otto volte, a fronte di una contestuale e drastica diminuzione delle ore di

lavoro, frutto della seconda rivoluzione industriale e delle innovazioni tecnologiche. Nella seconda parte del grafico, a partire dagli anni Trenta, il reddito prodotto ha continuato a moltiplicarsi ma i tassi di decrescita dell’altra variabile si sono praticamente azzerati. D’altronde questo è un risultato, a nostro giudizio, prevedibile, dato che, se anche sia immaginabile una crescita sostenuta dei redditi, lo stesso non può dirsi delle ore di tempo libero che sono praticamente vincolate da un limite fisico, dato dalla scarsità del tempo totale disponibile. Ciò che vogliamo dimostrare non è l’aumento, peraltro da subito sconfessato, delle ore di lavoro ma che queste diminuiscono a tassi sempre più bassi e che, presumibilmente, non potranno che arrivare ad uno steady state. È in questo momento che potrebbe scaturire il secondo appunto critico, ossia ci si potrebbe chiedere perché, anche a fronte di un miglioramento delle condizioni di vita, in alcuni stati si è continuato a lavorare come prima, in altri più di prima e in altri meno. La risposta è subito fornita: è tutto una

58

conseguenza delle scelte degli agenti economici. Quello che proveremo a descrivere è in che modo hanno vita queste scelte. Considerando, come anticipato prima, che la condizione di ogni individuo sia assimilabile ad un problema di scelta tra due beni, consumare di più e l’avere più tempo libero, si assiste, quando il reddito aumenta, all’azione di due effetti antitetici sulle decisioni di come allocare il proprio tempo. In figura 17 è indicato in ordinata il livello di consumo massimo (si assume di consumare tutto il reddito e che non si risparmi nulla), in ascissa le ore di tempo libero e il vincolo di bilancio, nel caso in cui il salario orario fosse di 15 dollari per ora lavorata. Avendo 8 ore di tempo libero si percepirebbero e consumerebbero 240 dollari; se si decidesse di non lavorare (24 ore di tempo di libero) il consumo possibile sarebbe pari a 0. Le curve “IC1” e “IC2” rappresentano le curve di indifferenza dell’individuo per cui in “A”, punto di tangenza tra il vincolo di bilancio e la curva d’indifferenza con maggiore utilità, si ottimizzerà la propria scelta decidendo di trascorrere 6 ore a lavoro e 18 di tempo libero. Non si fa altro, quindi, che eguagliare il saggio marginale di sostituzione, ovvero l’inclinazione della curva d’indifferenza, con il saggio marginale di trasformazione, pari al salario e individuato dall’inclinazione del vincolo di bilancio. L’aumento del reddito può verificarsi per fattori esogeni (redditi non da lavoro) oppure attraverso un aumento del salario. Le due condizioni provocano i due effetti antitetici10. Si assiste ad un “effetto

10 Per semplicità illustreremo solamente i casi in cui le curve d’indifferenza, quindi il saggio marginale di sostituzione, degli agenti rimane invariato. Per un approfondimento completo vedi Stevens et al (2017).

Figura 17 - Problema di massimizzazione nella scelta tra ore di tempo libero e livello di consumo massimo. Fonte: elaborazione in Stevens et al (2017)

Figura 18 - Effetto reddito. Fonte: elaborazione in Stevens et al (2017)

59

reddito” quando, in maniera esogena, si ha più disponibilità monetaria e il vincolo di bilancio, come illustrato in figura 18, trasla parallelamente verso l’alto. Date queste preferenze, aumentato il reddito, l’agente preferisce aumentare il bene a cui tiene maggiormente (il tempo libero). Nella figura 19, invece, l’aumento di reddito è causato da un aumento del salario orario e si assiste al cosiddetto “effetto sostituzione”. Il vincolo di bilancio non trasla verso l’alto ma fa perno sul punto di intersezione con l’asse delle ascisse. La paga oraria passa da 15 a 25 dollari l’ora, per cui, per rinunciare ad un’ora di tempo libero, gli agenti vorranno essere ricompensati con più reddito rispetto a prima. In poche parole, è cambiato, o meglio, è aumentato il costo opportunità del tempo libero. Spendere un’ora in più a non lavorare significa rinunciare a più soldi. Aumenta l’incentivo a lavorare di più e, infatti, assumendo che le preferenze siano le stesse e non cambino, si decide di spendere meno tempo in attività piacevoli o comunque più ore a lavoro. Anche l’aumento di produttività può essere considerato come un fattore esogeno che provoca un rialzo dei redditi e, di conseguenza, lo spostamento del vincolo di bilancio. L’effetto reddito è incentivo per trascorrere più tempo libero; un’espansione del vincolo di bilancio dovuta a un rialzo dei salari provoca invece un effetto sostituzione, incentivo a lavorare di più. Dunque, l’effetto complessivo sarà dato dalla somma di effetto reddito ed effetto sostituzione e le ore di tempo libero aumenteranno se l’impatto del primo sarà superiore e viceversa.

Da questa seconda prospettiva possiamo dedurre che l’utilità da tempo libero potrebbe essere rimpiazzata dall’utilità da consumo nel momento in cui aumentano i redditi, si modificano i salari e cambia il costo opportunità del tempo libero. In termini di utilità totale, sicuramente l’individuo che preferirà sostituire le ore di tempo libero con ore di lavoro, proprio perché da egli stesso preferito, troverà maggiore beneficio ma, in termini di felicità, se rende meno tristi passare meno ore a lavoro invece che consumare di più, i livelli di felicità subirebbero un calo più che proporzionale rispetto all’aumento di utilità dovuto a maggior consumo: l’utilità aumenta, la felicità diminuisce.

Figura 19 - Effetto sostituzione. Fonte: elaborazione in Stevens et al (2017).

60