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4. La rilevanza degli indici economici e dei dati sulla felicità

4.3. Integrare indici tradizionali e dati sulla felicità

4.3.2. Una misura di benessere: l’U-index

Abbiamo già discusso delle ragioni, più o meno condivisibili, per cui si è portati a studiare i comportamenti delle persone analizzando le preferenze rivelate, ossia guardando alle loro scelte effettive piuttosto che fare un’analisi sulle loro valutazioni. Il prezzo da sopportare sembra essere sostenibile anche se, come abbiamo avuto modo di dimostrare, gli agenti economici molto frequentemente compiono scelte incoerenti e non razionali. Le cause delle distorsioni sono identificate in errori di stima, nel non ricordare le esperienze passate e nel valutare la propria situazione tramite confronti sociali. In questo modo si dimostrerebbe, quindi, che le preferenze rivelate non siano tutto sommato le “vere” preferenze degli agenti. Kahneman e Krueger (2006) sostengono che una possibile soluzione a questo problema possano essere i report diretti sulle condizioni di benessere, a patto che siano fatti in modo credibile. La mole di dati raccolti negli ultimi cinquant’anni è notevole come anche gli studi sugli aspetti che influenzano i livelli di benessere. Gli autori, però, fanno notare che, date le facili distorsioni che possono caratterizzare

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le risposte sulla felicità, per misurare le sensazioni e le esperienze non si possono pretendere una puntualità e una precisione tipiche delle utilità in senso economico; soprattutto se gli intervalli di tempo sono ampi, tirare fuori dei numeri diventa un’impresa assai ardua. Le percezioni degli agenti, quindi, diventano tanto più accurate e significative quanto più vicine sono riportate al momento dell’esperienza reale. Propongono un indice “U”, che sta per “unpleasant” o “undesirable”, che misura il tempo che le persone trascorrono in uno stato di disagio. La difficoltà maggiore nell’interpretare i dati sul benessere soggettivo è la catalogazione delle risposte dei vari intervistati: banalmente la risposta “molto felice” dell’intervistato “x” potrebbe non corrispondere, in valore assoluto e in termini di benessere, alla risposta “molto felice” dell’intervistato “y”. Attraverso il loro indice si supererebbe il problema perché riuscirebbe a fornire indicazioni in scala ordinale, senza dover interpretare i risultati. Per calcolare l’indice si procede per step. Il primo passo è definire se un episodio è classificabile come piacevole o non piacevole. Solitamente viene chiesto di indicare su una scala, ad esempio da 0 a 10, dove 0 sta per completamente non piacevole e 10 come completamente piacevole, il grado di benessere provato. Tuttavia, per diverse ragioni, ad esempio una predisposizione del soggetto a non descrivere mai un avvenimento in maniera netta come piacevole o non piacevole, può accadere che la scala sia usata solo parzialmente, ad esempio, da 3 a 7 dal soggetto “x” e da 2 a 8 dal soggetto “y”. Per il calcolo dell’U-index, invece, si fa una ricostruzione dello stato emotivo dei soggetti intervistati facendo scegliere tra due tipologie di risposte, una che rispecchia le sensazioni positive, quindi “Happy”, “Enjoying myself”, “Friendly”, e l’altra le sensazioni negative, “Depressed”, “Angry,” “Frustrated”. Un episodio viene classificato come piacevole se le sensazioni della sfera positiva sono in numero maggiore. In questo modo non importa se il soggetto “x”, su una scala da 1 a 10, giudica un episodio “happy” 7, cioè molto alto, e un soggetto “y”, che lo considera alla stessa maniera, ma lo valuta 10. Ovviamente la graduazione delle informazioni circa l’intensità delle varie esperienze, sia esse piacevoli che dolorose, è compromesso. Non sarà possibile una classificazione per livelli di felicità ma per gli autori sarà un giusto prezzo da pagare per riuscire ad avere delle risposte su una scala ordinale e ad essere in grado di mitigare il rischio di incorrere in errori di valutazione. Tuttavia, un indice calcolato con questa metodologia, proprio perché misura il tempo che le persone trascorrono in uno stato di disagio e non una loro valutazione, non permette a un singolo episodio non piacevole, seppur saliente, di influenzare i restanti momenti piacevoli di un’esperienza positiva che potrebbe, invece, non essere giudicata tale (si pensi alla peak-end rule). Quindi, l’U-index può misurare, ad esempio, quanto tempo, durante il tragitto dei pendolari, sia

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caratterizzato da sensazioni negative, in modo da individuare gli effetti del lavorare lontano da casa sulla felicità media delle persone. La misurazione assumerebbe importanti proprietà cardinali nel momento in cui si considerano classi e gruppi diversi, in base all’età o al reddito. Gli autori hanno usato questa metodologia per misurare il tempo che 909 donne texane trascorrono in una situazione spiacevole. I risultati dicono che, in media, le donne trascorrono il 17.7% del proprio tempo non in serenità; se però si dividono i soggetti in base al reddito, tra coloro che percepiscono meno di 35.000 $ e più di 55.000 $, si evince che per le prime il tempo medio trascorso in una situazione non confortevole si alza al 18.9% del totale mentre per le altre è solo il 16.6%. L’indice, dall’esperimento proposto, risulterebbe correlato anche all’età, poiché i momenti tristi diminuirebbero nei soggetti più anziani, oltre che, ovviamente, ai tratti della personalità, come l’essere predisposti a disturbi di salute mentale e alla depressione. Kahneman e Krueger osservano anche che la classificazione attraverso l’U-index è abbastanza fedele a quelle ottenute tramite altre misure del benessere soggettivo, come la net affect11, da loro stessi proposta come metro di paragone, ma l’innovazione consisterebbe nella possibilità, attraverso un’analisi per classi, ognuna capace di esaltare un aspetto, di focalizzarsi sulla cura di stati mentali patologici, attraverso farmaci e terapie, ma, soprattutto, di trovare i giusti riferimenti temporali per una corretta allocazione del tempo. Si sottolinea come l’indice non abbia ancora raggiunto un grado di completezza, per quanto riguarda la procedura di composizione, soddisfacente poiché sembrano limitati gli stati d’animo inclusi tra le risposte opzionabili dagli intervistati e i campi di studio cui applicare questa metodologia. Però, ciò che teniamo a sottolineare è la velocità con cui molte nazioni stiano sviluppando indici nazionali del benessere soggettivo in grado di fornire un valido supporto a quelli tradizionali e indirizzare correttamente politiche correttive.

11 Il net affect è la media di tre aggettivi positivi meno la media di sei negativi (parametrati su una scala da 0 a 6 dove 0 significa “no affatto” e 6 “molto”) forniti come risposte al questionario somministrato alle volontarie texane. Le domande riguardavano varie attività come la cena, il pranzo, il guardare la TV. La differenza con l’U-index consisteva proprio nel fatto che quest’ultimo non veniva calcolato con la metodologia sopradescritta ma attraverso la misurazione della porzione di tempo che ciascun intervistato, per ciascuna attività, dichiarava di aver trascorso in uno stato emotivo in cui la sensazione dominante fosse stata negativa.

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CONCLUSIONI

La ricerca e lo sviluppo per la raccolta e l’elaborazione di dati sulla felicità e il benessere soggettivo meritano la giusta attenzione. Riteniamo ci sia bisogno di cautela nell’affermare che, allo stato attuale, si possa fare a meno degli indici economici tradizionali e, molto probabilmente, questi rappresenteranno a lungo un affidabile e preciso strumento di misurazione del benessere delle nazioni. Tuttavia, è ingenuo e non corretto ritenere inutili tecniche alternative in grado, invece, di integrare e migliorare quelle standard. Abbiamo motivato le ragioni per non poter ritenere l’utilità alla stregua della felicità riportata dalle persone e che, quindi, questa non sia l’unico fattore che compone la funzione obiettivo generale degli individui. Ciò non significa che non possa essere rilevante, anzi, è proprio identificando il grado di correlazione che ha con altri fattori (benessere familiare, tempo libero, accesso a beni di consumo) che si possono indirizzare le scelte degli agenti economici per una migliore allocazione delle proprie risorse ma soprattutto del proprio tempo a disposizione. Le politiche economiche necessitano di un supporto ulteriore che riesca a individuare fenomeni latenti e dannosi per il benessere sociale che possono nascondersi dietro indici economici tradizionali se non addirittura alimentarli. Un processo di integrazione è possibile seguendo un metodo scientifico capace di rendere il più oggettivi possibili i dati su sensazioni sì soggettive ma classificabili su scala ordinale. Inoltre, una raccolta adeguata dei dati sulla felicità permetterebbe di cogliere aspetti importanti del processo decisionale degli agenti economici e, di conseguenza, fungere da utile strumento sia per indirizzare le politiche economiche e sociali che per valutare quelle già in atto.

Per fortuna, le posizioni sul tema adottate da molti Paesi, europei e intercontinentali, sembrano andare in questa direzione. Robert Kennedy, in un discorso tenuto all’Università del Kansas nel 1968, si rivelò tra i primi a promuovere la ricerca di valide misure del benessere alternative al PIL: “Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero

perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari,

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comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.”

Il Better Life Index (BLI) dell’OCSE permette di confrontare il grado di benessere dei vari Paesi, identificando undici temi significativi: abitazione, reddito, occupazione, relazioni sociali, istruzione, ambiente, impegno civile, salute, soddisfazione, sicurezza, equilibrio lavoro-vita. Sulla stessa falsariga è il progetto italiano per misurare il benessere equo e sostenibile (BES), che ha l’intento di valutare il progresso di una nazione non solo da un punto di vista economico ma anche sociale e ambientale. Molti sono i temi in comune con il BLI, e dal 2013 il rapporto BES sensibilizza tutti gli attori economici sul tema del benessere collettivo e della qualità della vita. La riforma della legge di bilancio dal 2016 impegna il governo italiano a comunicare un’analisi dell’andamento degli indicatori per tema o dominio: salute, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, innovazione ricerca e creatività, qualità dei servizi. Il documento è inserito in un allegato del Documento di Economia e Finanza e ogni febbraio deve valutare l’effetto delle politiche proposte l’anno precedente.

Non si vuole mettere in dubbio l’efficacia e l’importanza degli indicatori tradizionali che, a nostro modesto avviso, continueranno a rappresentare la via maestra per le politiche economiche, anzi, screditiamo quelle metodologie non in grado di elaborare informazioni apprezzabili e per questo sottolineiamo l’importanza di generare ulteriore strumentazione di supporto soprattutto per affrontare dinamiche e conflitti interni altrimenti difficilmente governabili.

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APPENDICE – Preferenze rivelate

Un modo per ricavare informazioni sulle preferenze di un agente economico è quello di analizzare la domanda dei beni di consumo e, di riflesso, il suo comportamento. Per iniziare, è necessario assumere che le preferenze siano stabili per tutto l’arco temporale di analisi. Ciò può sembrare abbastanza inverosimile ma altrettanto raro è assistere a cambiamenti continui e repentini delle preferenze di una popolazione intera o dei singoli agenti, pertanto l’ipotesi si ritiene possa essere

una forzatura tollerabile.

Paul Samuelson, economista statunitense e vincitore del premio Nobel per l’economia nel 1970 “per

l'opera scientifica attraverso la quale ha sviluppato la teoria economica statica e dinamica, e contribuito attivamente ad aumentare il livello dell'analisi nella scienza economica”, fu

il primo a proporre di dedurre le preferenze non attraverso delle survey ma osservando direttamente le scelte delle persone. La teoria delle preferenze rivelate consiste proprio in questo. Assumendo che le preferenze siano strettamente convesse, se si considerano solo due beni, x1 e x2, come illustrato in

figura 23, data la retta di bilancio, che indica il vincolo di bilancio ossia la disponibilità economica del singolo agente, se un consumatore sceglie il paniere (x1, x2) si deduce che ha un reddito

sufficiente ad acquistarlo proprio perché sulla retta di bilancio. Si può allo stesso tempo affermare che tale paniere è preferito al secondo paniere (y1, y2) perché quest’ultimo non è stato scelto

anche se acquistabile ad un prezzo inferiore, poiché situato nell’area ombreggiata. Dunque, il secondo paniere non ottimizza la funzione dell’agente e, se le preferenze non cambiano, non si deve rivelare il contrario in occasione di un’altra scelta. Facciamo notare che le stesse conclusioni si ricavano anche se il secondo paniere si trovasse sulla retta di bilancio poiché avrebbe potuto essere acquistato ma non lo è stato, quindi si rivela non preferito. In altri termini, dati “p1” e “p2” i

prezzi dei beni x1 e x2 e “m” il reddito disponibile, se vale “p1x1 + p2x2 ≥ p1y1 + p2y2”, “p1x1 + p2x2 =

m” e “p1y1 + p2y2 ≤ m”, e viene scelto il paniere (x1, x2), allora questo si rivela direttamente

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preferito a (y1, y2). “Il termine preferenza rivelata può trarre in inganno: in realtà non ha nulla a

che fare con le preferenze, anche se abbiamo visto che, se il consumatore effettua scelte ottimali, i due concetti sono strettamente collegati. Resta comunque il fatto che sarebbe più opportuno dire che ‹‹X viene scelto al posto di Y›› piuttosto che ‹‹X si rivela preferito a Y››”. Ovviamente gli agenti

ritengono preferibili i panieri che scelgono rispetto a quelli che avrebbero potuto acquistare ma che, di fatto, hanno scartato. Però dire che “X si rivela preferito a Y non significa automaticamente

che X è preferito a Y… Se X si ‹‹rivela preferito›› a Y, ciò significa che X è stato scelto anche se Y era una scelta possibile, mentre ‹‹preferenza›› significa che il consumatore ritiene X migliore di Y. Se il consumatore sceglie i panieri migliori tra quelli che può acquistare, allora la preferenza rivelata implica la preferenza” (Varian, 2007, p.112-113).

Nel corso della trattazione spesso si è fatto riferimento al concetto di preferenze/scelte rivelate, associandolo alla capacità delle persone di saper individuare e perseguire i comportamenti in grado di ottimizzare la propria funzione di utilità. In realtà l’unico modo per ritenere fondato questo approccio è che il consumatore scelga sempre il miglior paniere tra quelli che può acquistare o che adotti i giusti comportamenti a seconda delle scelte che ha a disposizione. Se ciò non avviene le stime sulle preferenze perdono di significatività.

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