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4. La rilevanza degli indici economici e dei dati sulla felicità

4.1. Layard e i dati sulla felicità

Gli indici economici tradizionali sono misurazioni oggettive dello stato di salute di una società. Il PIL, il tasso di disoccupazione, il tasso di inflazione non sono esposti a errori di valutazione e di stima (o quasi) e, in più, sono un buon termometro del grado di benessere di un Paese perché, quando virtuosi, sono da sempre accompagnati da buoni tassi di crescita. È anche vero che si sta assistendo ad un crescente utilizzo dei dati sulla felicità e il motivo principale è la necessità di spiegare fenomeni, come quello del paradosso di Easterlin, che gli indici tradizionali non sanno interpretare, non riescono a monitorare e, molto probabilmente, non sanno risolvere.

Layard (2006) è convinto che una riforma del modo di interpretare i segnali economici e di guidare le politiche pubbliche sia necessaria. Riguardo la spiegazione del perché, anche a fronte di un notevole aumento del potere di acquisto, le persone non siano più felici rispetto a cinquant’anni fa, l’autore ritiene che le evidenze empiriche messe in luce dal paradosso di Easterlin siano in contrasto con la teoria economica standard dove:

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“y” è il reddito reale, “h” sono le ore di lavoro; ovviamente all’aumentare del reddito la felicità cresce (la derivata parziale rispetto a “y” è positiva) e all’aumentare delle ore di lavoro la felicità diminuisce (la derivata parziale rispetto a “h” è negativa).

Layard condivide la teoria dell’esistenza di un’esternalità negativa dovuta al confronto che un agente economico tipico è portato a fare con i redditi degli altri. Se gli altri diventano più ricchi la soddisfazione personale si riduce. Tuttavia, se si riuscisse a rendere la distribuzione del reddito abbastanza stabile, o comunque proporzionata ai redditi individuali, il reddito di riferimento può essere individuato con quello medio. La (17), considerando l’influenza dei confronti sociali, diventa:

(16) u = u (y - αŷ, h)

“y” è il reddito personale che, aumentando, incrementa l’utilità, ma viene aggiunto un altro termine composto da “α”, un coefficiente che rivela l’intensità dell’esternalità negativa dei social

comparison, e il reddito di riferimento “ŷ”. La felicità, proprio perché considerata alla stregua

dell’utilità, quando aumentano “α” e “ŷ”, diminuisce. Si è constatato in alcuni studi che, in termini di utilità, l’effetto negativo del reddito di riferimento possa essere grande quanto l’effetto positivo del proprio reddito. Dunque, volendo massimizzare suddetta funzione e cercare implicazioni di politica economica, supponendo n agenti identici con stesso salario orario (w=1), la quantità di lavoro ottima (h) si raggiungerà cosi:

(17) u

1

– nu

1

α(1/n) + u

2

= 0

Dove “u1 – nu1 α(1/n)” rappresenta l’effetto totale di un aumento del reddito sull’utilità individuale: in particolare, il secondo termine riflette l’esternalità negativa dell’aumento del reddito medio (punto di riferimento). Se si ipotizza che gli altri n-1 individui non abbiano beneficiato di alcun incremento di reddito, subiranno l’influenza negativa dal confronto con un reddito medio/di riferimento più elevato a causa dell’incremento del reddito dell’individuo n, a parità di ore lavorate. Un rimedio alle esternalità negative da confronti sociali sarebbe ottimizzare la “quantità” di lavoro di ognuno. Infatti, quando l’utilità del singolo beneficia di un aumento di reddito individuale, non si tiene conto dell’esternalità negativa provocata dall’aumento di reddito medio. Trovando un accordo condiviso tra tutti e inserendo un’imposta sul reddito (t) lineare al coefficiente di esternalità negativa “α”, si invoglierebbero le persone a ricalibrare la quantità ottima di lavoro (h), quindi, riscrivendo la (19):

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(17.1) u

1

(1 – α) + u

2

= 0 = u

1

(1 – t) + u

2

L’imposta sarebbe dunque la compensazione sul guadagno del singolo rispetto alla perdita sociale. Non bisogna pensare che le tasse debbano necessariamente essere più alte ma che debbano fungere da disincentivo a innalzare il livello del reddito medio che provoca esternalità negative o, comunque a equilibrare l’utilità totale modificando il termine “h”; “t” sarà dunque correlata a quanto le persone sono condizionate dai confronti sociali. Layard suggerisce di limitare così possibili comportamenti egoistici, frequenti in scenari liberali, per cui l’incremento del proprio reddito è la sola ragion d’essere, anche a scapito del benessere sociale. L’utilizzo dei dati sulla felicità permetterebbe di quantificare il valore del coefficiente “α”, misura necessaria per stabilire il valore di “t” (dalla 19.1 deve risultare α = t).

In secondo luogo, Layard ritiene che la felicità si adatti rapidamente ai livelli di reddito più elevati (fenomeno adaptation), per cui diventa difficile garantire più alti livelli di felicità tramite scatti di reddito nel medio-lungo termine. L’autore adotta la seguente funzione, semplificata rispetto a quella da noi proposta nel capitolo primo, per descrivere l’esternalità negativa dei redditi passati:

u = u (y – βy

-1

, h)

L’aumento del reddito “y” rende più felici ma con il passare del tempo, quando il reddito del periodo precedente diventa lo stesso di quello corrente e aumenta, l’effetto positivo sulla felicità diminuisce. Ovviamente l’adattamento, soprattutto quando imprevisto, provoca diminuzione di felicità che tende a tornare ai livelli antecedenti lo scatto di reddito. Succede che le persone sopravvalutino l’incremento di felicità di cui possono beneficiare dopo un incremento delle proprie disponibilità monetarie. Per comprendere ancora meglio il ragionamento di Layard, più che al reddito possiamo soffermarci a riflettere sul consumo degli agenti economici: subito dopo lo

shock, l’agente economico tipo aumenta il proprio consumo corrente (e molto probabilmente per

sostenere questo incremento dovrà lavorare di più) ma ciò, di fatto, si rivela anche causa della riduzione futura di felicità, poiché sopravvalutano la felicità extra raggiungibile con maggiori consumi (abbiamo già parlato della forma concava dell’utilità marginale da consumo). Analogamente a quanto ipotizzato per i confronti sociali, se il tasso di sconto intertemporale (d) è uguale al tasso d’interesse e i salari reali sono costanti, si potrebbe adottare una tassa correttiva del tipo:

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t = β (1-d)

La correzione consisterebbe nello scoraggiare maggiori consumi (non minori risparmi) indotti dalla possibilità di percepire maggiori redditi e riuscirebbe a fermare in principio la dinamica che porta all’effetto adattamento. I dati sulla felicità, anche in questo caso, risulterebbero indispensabili per stimare il valore di “β” e della distorsione nelle valutazioni delle persone circa i propri livelli di felicità raggiungibili dopo un periodo di crescita economica.

Un terzo aspetto evidenziato da Layard e che in questa tesi non era ancora stato direttamente affrontato, riguarda i tastes (i gusti) e l’affermazione secondo cui la felicità che otteniamo sarebbe culturalmente determinata. Gli economisti, normalmente, assumono che i gusti, o preferenze, siano dati. L’assunzione, però, è difficilmente condivisibile: i confronti sociali, di fatto, influenzano le nostre scelte e modificano le nostre curve di indifferenza, ci fanno percepire la felicità in modo distorto. La cultura del consumo, modelli di vita di Paesi esteri, urbanizzazione, pubblicità sono fattori che riescono a indirizzare le preferenze degli agenti a loro insaputa (per approfondimento vedi anche Bartolini, 2010). L’assunzione difficilmente contestabile di Layard è che “Good tastes

are those which increase happiness, and vice versa” (p. C30). Per due motivi si ritiene che la

politica pubblica ed economica non possa non occuparsi delle preferenze degli agenti e di come e quanto vengano plagiate.

La pubblicità. Sebbene sia una fonte di informazioni importante, spesso i beni e i servizi proposti stimolano una sensazione di bisogno non sempre veritiera. L’US General Social Survey fornisce dati su come il maggior numero di ore trascorse a guardare la TV influenzi la percezione del proprio reddito e, in particolare, faccia sentire più poveri. Anche per questo in Svezia, ad esempio, è vietata la pubblicità diretta ai bambini.

La performance-related pay (PRP). La retribuzione correlata alla prestazione spesso provoca una diminuzione dei livelli di felicità o un minor impegno sul lavoro. La maggior parte degli economisti sembra essere d’accordo nel ritenere l’allineamento degli interessi di datore di lavoro e impiegati presupposto indispensabile per risolvere entrambe le problematiche. Più un lavoratore viene retribuito in base alla sua performance più risulterà motivato. Ciononostante, non è possibile essere sicuri che i suoi gusti non cambieranno, anzi “psychologists have done many experiments to

examine the effect on a person’s inner motivation of increasing the external motivating factors. Most of these studies show that extra financial rewards reduce internal motivation and can even reduce total motivation unless they are very large” (p. C30). Probabilmente ciò accade perché, nel

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momento in cui si è concordato un salario, il senso di responsabilità nel lavorare assiduamente può diminuire. Un esperimento che riesce a descrivere il cambiamento dei gusti delle persone e l’influenza di politiche non idonee per il benessere generale, ma che influenzano i comportamenti, è stato condotto in un asilo nido in Israele (Gneezy e Rustichini, 2000). Per incoraggiare i genitori ad andare a prendere i figli in tempo è stata introdotta una sanzione per i ritardatari. Il risultato è stato soddisfacente solo per le casse dell’asilo dal momento che sempre più bambini rimanevano oltre l’orario di uscita da scuola perché il compenso monetario della multa aveva cambiato le motivazioni all’azione dei genitori. Si è assistito ad una

sostituzione delle motivazioni: andare a prendere i figli in tempo per responsabilità verso le maestre è diverso dall’essere puntuali per evitare una multa. Le motivazioni non si sommano ma si sostituiscono per cui i genitori si sentirebbero giustificati nel fare ritardo dal momento che pagano una multa. Tuttavia, la politica adottata non ha portato ai risultati sperati, ossia di diminuire i ritardi. Secondo Layard, l’approccio tradizionale degli economisti non è sbagliato perché massimizza la somma generale di

tutte le utilità, con un peso maggiore per quella degli agenti più poveri, ma perché è sbagliata la ragione per cui si pensa che le persone siano più felici per la possibilità di effettuare un maggior numero di scambi volontari. I due schemi in figura riassumono il mondo ideale e quello reale. Se la vita realmente funzionasse come in figura 20, dove ogni politica è indipendente e si conoscono tutte le funzioni la cui massimizzazione porta a maggiore utilità, non si avrebbe necessità di integrare indici che misurano aspetti diversi dei comportamenti umani. La figura 21, invece, mostra gli effetti di una maggiore mobilità: se l’incremento dei redditi è innegabile è anche vero che una politica attenta al benessere generale non può non considerare le conseguenze su altri aspetti diversi da quello meramente economico ma strettamente collegati ad esso. In questa direzione le applicazioni

Figura 20 - The Policy-maker’s Ideal World. Schema in Layard (2006, p. C32)

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diventano molteplici, si pensi alle politiche fiscali e del mercato del lavoro in termini di tassazione eccessiva o rivalutazione dei meriti di retribuzione basati sulle prestazioni.