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L’utilità da benessere familiare e l’indice di coesistenza

3. Una nuova funzione obiettivo

3.1. Caratteristiche della funzione obiettivo “U t ”

3.1.2. L’utilità da benessere familiare e l’indice di coesistenza

La seconda sub-utilità inserita nel nostro modello è “F” (Famiglia). Riteniamo che le grandezze di tale utilità e del reddito siano inversamente proporzionali perché, soprattutto per come si sono evolute le società moderne, molto spesso il percepire redditi più alti prevede la disponibilità dell’agente economico a lavorare anche in sedi diverse dal luogo di residenza. Il fenomeno del pendolarismo, giornaliero, settimanale o mensile, è sempre più frequente soprattutto per e dai centri metropolitani. Noi lo interpretiamo come un fattore negativo per il benessere del gruppo di riferimento, basti pensare agli equilibri di un nucleo familiare e ai rapporti tra partner o tra genitori e figli nel momento in cui uno dei componenti è costretto a viaggiare e stare lontano da casa per molto tempo per studio o, in particolar modo, per lavoro. Sotto questa assunzione abbiamo provato ad associare un indice in grado di riassumere l’evidenza di questo fenomeno, in modo da fornire un’ulteriore spiegazione al perché le persone non sono più felici anche se più ricche. Ricordiamo che il benessere familiare lo si considera un fattore a sé stante rispetto a quello della felicità ma rimane il fatto che, in misura più o meno forte, influenza comunque il livello di “H”.

Nel marzo 2020, l’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) ha pubblicato un’indagine sulle modalità insediative della popolazione e sulle dinamiche dell’urbanizzazione nel territorio italiano. Da questo studio si deduce che molte aree in Italia sono vissute sia dalla popolazione residente sia da altri agenti economici che vi si recano, giornalmente, settimanalmente o mensilmente, per motivi di studio o lavoro. Quindi, considerando tutte le persone che svolgono attività in una certa area, si individua quella che viene chiamata popolazione insistente. Questa sarà tanto più numerosa quanto più la città, o in generale l’area, è in grado di attrarre lavoratori o studenti ovvero quanto meno i residenti transitano in uscita verso altre aree. Lo scopo dell’indagine condotta da ISTAT è

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quello di supportare la programmazione dell’offerta di trasporti o dei piani di intervento in caso di calamità. Tuttavia, riteniamo che i risultati di questo studio possano dare una giusta misura anche della numerosità e della frequenza con cui molte persone sono costrette a lavorare in una sede diversa dal luogo di residenza, con tutte le conseguenze che ciò comporta in termini di utilità. In Tabella 2 si riportano i dati sulla popolazione diurna insistente nelle città italiane “al netto dei

turisti, degli individui che viaggiano per affari, o si spostano per motivi di cura o turismo religioso”

(ISTAT, 2020, “POPOLAZIONE INSISTENTE PER STUDIO E LAVORO”, p.1), evidenziando anche due categorie distinte, ossia “gli individui dinamici per motivi di studio/lavoro, per i quali è determinato

il luogo di origine e di destinazione dello spostamento, e gli individui statici rispetto a lavoro/studio”. Infine, è stato possibile quantificare la distanza del luogo di origine e di

destinazione dello spostamento e distinguere se gli spostamenti siano di studenti o di lavoratori. La Popolazione Insistente (PI) nel comune j è definita secondo la (1) come l’insieme della popolazione residente, degli individui dinamici in entrata nel comune j per studio/lavoro (LUS→ij) e dei city users (CU→ij) in ingresso in j, al netto degli individui dinamici in uscita da j per studio/lavoro e dei city users in uscita da j.

Si individua la popolazione insistente (PI) come segue:

(13) PI

j

= pop. Residente

j

+( ∑

𝑛𝑖=1

𝐿𝑈𝑆

𝑖≠𝑗

ij

)- (∑

𝑛𝑖=1

𝐿𝑈𝑆

𝑖≠𝑗

ij

) +( ∑

𝑛𝑖=1

𝐶𝑈

𝑖≠𝑗

ij

)-

(∑

𝑛𝑖=1

𝐶𝑈

𝑖≠𝑗

ij

)

Tabella 2 - Fonte: elaborazione indagine ISTAT (ISTAT, 2018. p. 6)

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La popolazione residente può essere scritta come:

(14) pop. Residente

j

= NO_LUS

j

+ LUS↔

jj

+ (∑

𝑛𝑖=1

𝐿𝑈𝑆

𝑖≠𝑗

ij

) + (∑

𝑛𝑖=1

𝐶𝑈

𝑖≠𝑗

ij

)

Per cui, semplificando alcune sommatorie, la PI può essere riscritta cosi:

(13.1)PI

j

= NO_LUS

j

+ LUS↔

jj

+( ∑

𝑛𝑖=1

𝐿𝑈𝑆

𝑖≠𝑗

ij

) +( ∑

𝑛𝑖=1

𝐶𝑈

𝑖≠𝑗

ij

)

Dove:

• j = 1, …, n; (n=numero di comuni, i=comune di origine, j=comune di destinazione) • ↔jj = spostamento all’interno di j;

• ←ij spostamento da j a i;

• →ij spostamento da i a j;

• NO_LUSj = individui statici che non si muovono dal comune j né per motivi di studio né di

lavoro;

• LUS↔jj = individui dinamici che si muovono all’interno del comune j per motivi di studio o

di lavoro;

• LUS←ij = individui dinamici che si muovono dal comune i al comune j per motivi di studio o

di lavoro;

• LUS→ij = individui dinamici che si muovono dal comune j al comune i per motivi di studio o

di lavoro;

• CU←ij = individui che si muovono occasionalmente dal comune j a al comune i per turismo

salute o sport;

• CU→ij = individui che si muovono occasionalmente dal comune i a al comune j per turismo

salute o sport.

Se si vuol tracciare una prima panoramica nazionale, subito salta all’occhio un risultato indicativo: in base all’aggiornamento 2016, in Italia la popolazione insistente è di 61.198.101 unità, di cui 28,5 milioni senza mobilità per studio o per lavoro, corrispondente al 47% del totale, ma ben 32,7 milioni, corrispondenti al restante 53% della popolazione, mostrano un segnale di mobilità, all’interno o fuori il comune di residenza, per motivi di studio o lavoro. Questo dato è abbastanza indicativo e dimostra che le persone coinvolte in dinamiche di pendolarismo sono numerose.

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La dimensione del fenomeno diventa ancora più chiara se si estrapola il dato relativo agli individui dinamici che si muovono per motivi di lavoro in comune diverso da quello di residenza: sono 12,4 milioni gli agenti economici che viaggiano per lavoro in Italia e rappresentano il 20% della popolazione insistente; praticamente una persona su cinque deve spostarsi per avere più reddito e, soprattutto, sottrae tempo che potrebbe invece dedicare alla famiglia. L’indice di coesistenza (iCoe) non è altro che il rapporto tra la popolazione insistente e quella residente. Ovviamente, nelle aree più attrattive, questo indice sarà superiore a 100 a differenza delle aree che invece si svuotano dove assumerà valori inferiori a 100. Come è facile intuire dalla figura 13, il centro-nord Italia presenta più comuni con indice di coesistenza elevato ma anche al sud non mancano realtà che vedono la popolazione insistente, soprattutto in orario diurno, superare quella residente. I risultati messi in evidenza dal sondaggio ISTAT ci portano a fare delle riflessioni. Non è sbagliato affermare che le aree caratterizzate da indici di coesistenza elevati presentino una percentuale maggiore di popolazione che impiega molto tempo per raggiungere la sede di lavoro. Sicuramente, proprio perché aree attrattive, si genera la possibilità di percepire maggiori redditi ma è giusto scoprire anche la seconda faccia della medaglia. La struttura sociale moderna ha senz’altro permesso, dal secondo dopoguerra, una buona crescita economica, ma sarebbe opportuno valutare quanto gli obiettivi di flessibilità del lavoro, perseguiti dall’Unione Europea come da ormai tutte le economie mondiali, si scontrino con il bisogno di stabilità delle persone. L’indirizzo a livello mondiale è di legiferare attraverso norme che tutelino il libero trasferimento per studio, lavoro o per stabilizzarsi, e in un certo senso è un buon modo per assecondare le necessità della popolazione, ma in ogni caso diventa fondamentale anche monitorare indici, come quello di coesistenza, perché mettono in luce aspetti che possono essere tralasciati e che, invece, quantomeno provano a spiegare evidenze come quella oggetto di questa tesi. In conclusione, si ritiene che l’indice di coesistenza sia una buona proxy del benessere familiare, o meglio, una sua misura inversa, e sarebbe interessante verificare il grado di correlazione tra detto indice e felicità.

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