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DALLA MATERIALITA' DELLA STRADA ALLE FORME DELLA MOBILITA'

II.1. L A STRADA COME LUOGO DELLA MOBILITÀ

II.1.2. Cose in movimento

Dopo aver brevemente discusso sulle potenzialità informative di uno studio archeologico su una mobilità spaziale priva di sistemi di trasporto meccanici o animali, non ci resta che allargare l'analisi verso altri fronti tematici connessi con il movimento generato sulla viabilità terrestre. In questo paragrafo, infatti, parleremo di quei manufatti realizzati dall'uomo per facilitare gli spostamenti nello spazio e che potrebbero, in un approccio contestuale, essere interpretati come indicatori materiali di mobilità. L'obbiettivo è quello di aggiungere altri tasselli nell'analisi degli aspetti materiali di una mobilità terrestre legata all'uso delle strade. Trattandosi, però, anche in questo caso di un tema decisamente ampio, meritevole di una specifica trattazione, proveremo a focalizzarci soltanto su alcune categorie di manufatti, ritenute diagnostiche dallo scrivente, che possono aiutarci, in relazione ad altri indizi, a definire le forme del movimento sulla viabilità di terra. Meriterebbero, quindi, un ulteriore approfondimento di contesto anche quei manufatti rinvenuti in occasione di indagini sistematiche su tratti di viabilità antica e ascrivibili alle fasi di vita della strada, poiché testimonianza diretta di una mobilità del passato.

II.1.2.1. Le merci

Parlando di forme del movimento, seguendo così quello che potrebbe sembrare soltanto un gioco di parole, potremmo iniziare quest'analisi proprio dalla ceramica, intesa come contenitore di merci. Parlare di mobilità attraverso l'analisi della distribuzione spaziale della ceramica su livelli regionali ed interregionali, rischierebbe di farci perdere l'orientamento e direzionarci su un ambito della ricerca talmente vasto e di grande interesse che meriterebbe una monumentale pubblicazione dedicata. Nel nostro caso, invece, proveremo a restringere il campo di studio, soffermandoci molto brevemente su quelle tipologie ceramiche, che, privilegiando il trasporto terrestre, potrebbero rivelare qualcosa sulla storia del movimento legato all'uso delle strade. Da un recente articolo in cui vengono analizzati gli assetti economici e sociali del territorio toscano tra V e X secolo72, emergono piuttosto chiaramente alcuni spunti interessanti non soltanto sulla circolazione delle tipologie ceramiche tra tarda antichità e alto medioevo e sulle società protagoniste di quei movimenti di merci, ma anche su dinamiche di mobilità interconnesse alla produzione e alla diffusione di specifiche classi di manufatti. Secondo questo contributo a partire dal VII secolo, infatti, i prodotti di origine mediterranea non raggiungono più i mercati dell'entroterra e della costa toscana, a testimonianza non soltanto di una riduzione dei flussi commerciale ma di una riorganizzazione delle rotte marittime; persistono invece scambi a livello interregionale nella aree orientali con l'importazione di vasellame da mensa dalla Romagna e dalle Marche, mentre si intensifica (complice la diminuzione delle merci d'importazione mediterranea) la circolazione di manufatti di produzione locale 72 CANTINI 2011.

su scala regionale e sub regionale73. Nell'VIII secolo si registra una semplificazione dei corredi (fenomeno ancora più evidente in ambito rurale) e la nascita di centri di produzione locali sganciati dal commercio marittimo, che soddisfano il fabbisogno di siti limitrofi; a partire dal IX secolo il movimento della forum ware suggerisce invece la presenza di un corridoio di collegamento interno tra l'area toscana e quella laziale, confermando così l'esistenza di movimenti anche su scala regionale. Bisognerà aspettare la fine del X secolo, però, per rivedere nei centri urbani collegati alla costa come Lucca e Pisa, la circolazione di prodotti mediterranei. A partire dall'XI secolo assistiamo alla penetrazione della ceramica d'importazione anche nei centri dell'interno; si arricchisce l'aspetto morfologico e funzionale dei corredi; si introducono nuove forme come il paiolo, che dai centri dell'entroterra toscano avranno larga diffusione anche in molti contesti rurali della regione; sul modello dei prototipi mediterranei si sviluppa dal XIII secolo la produzione di maiolica arcaica che avrà ampia diffusione su scala interregionale74.

Il quadro appena delineato, seppur ridotto all'estrema sintesi, potrebbe, in una più ampia riflessione, aiutarci a produrre delle ipotesi su dinamiche di movimento. Potremmo intanto affermare che nonostante l'interruzione del flusso di merci mediterranee, da mettere in relazione con un cambiamento delle rotte marittime e dei sistemi di navigazione75, viene a rafforzarsi un sistema integrato di strade di terra e di acqua che riuscì a garantire, con grandi risultati, il movimento di uomini e di merci su scale differenti: locale, regionale ed extra-regionale. Possiamo inoltre individuare in determinate classi ceramiche, come la forum ware e la pietra ollare, particolari indicatori archeologici di mobilità spaziale, connessi a specifiche direttrici di percorso. Decisamente interessante invece è il riconoscimento di particolari forme di movimento in relazione ai manufatti ceramici. Un caso emblematico, ad esempio, potrebbe essere rappresentato dalla fiasca del pellegrino che, portata a tracolla, era strettamente connessa con i viaggi a piedi, come invece le caratteristiche morfologiche di alcune anfore vinarie della tarda antichità, suggeriscono un tipo di spostamento legato al trasporto marittimo e al sistema dell'impilamento. Tuttavia, nonostante qualche rara eccezione, il potenziale informativo della ceramica sulla capacità di individuazione delle tattiche di movimento non è stato ancora completamente svelato, soprattutto per quanto riguarda la mobilità negli spazi di corta o di cortissima percorrenza, come il villaggio o la singola unità domestica. Siamo riusciti, infatti, a ricostruire in maniera puntuale come venissero impiegati i vasi da cucina e da dispensa nella quotidianità, ma meno possiamo raccontare sul movimento che n'è derivato dal loro uso.

La ceramica pur rappresentando per l'archeologo il contenitore più comune, non è ovviamente l'unico ad avere trovato largo utilizzo in passato: otri di pelle, ceste, sacchi in tessuto e casse di legno, infatti, dovevano, al pari del vasellame, aver viaggiato con assidua frequenza lungo tutte le strade di acqua e di terra di età preindustriale, nonostante, dal punto di vista archeologico, non restino tracce materiali del loro passaggio, se non in contesti assolutamente 73 CANTINI 2011, pp. 168-171.

74 CANTINI 2011, pp. 124-125.

eccezionali.

C'è poi il caso molto diffuso di quelle merci mobili, in grado di spostarsi anche autonomamente per raggiungere i luoghi del commercio e di lavorazione: il bestiame e gli schiavi.

Il commercio degli schiavi, nell'VIII e IX secolo è stata una delle attività più redditizie, che causò lo spostamento di numerosi gruppi di etnie differenti dalle città e dalle campagne del continente europeo fino ai mercati del mondo mussulmano, dove la richiesta di tali beni era altissima. Di questa economia si conservano tracce soltanto nella letteratura agiografica e in qualche registro di vendita, ma a livello materiale il quadro delle nostre conoscenze resta pressoché lacunoso e frammentario76.

Concludo queste brevi annotazioni, citando i modelli di mobilità che l'archeologo inglese Colin Renfrew ha proposto, per spiegare la maggior parte delle dinamiche di scambio. Questi rappresentano un saldo punto di partenza per un appoccio contestuale sulla mobilità delle merci e sulla natura dei rapporti che interessano le pratiche del commercio: 1) l'acquirente viaggia fino alla casa o bottega del produttore; 2) il produttore si muove per raggiungere direttamente l'acquirente; 3) produttore e consumatore si incontrano in un luogo neutrale, magari un mercato, dove avviene lo scambio; 4) il produttore scambia i suoi beni con un intermediario che ha il compito di raggiungere l'acquirente; 5) Il produttore porta i suoi beni ad un'agenzia centrale che gli restituisce altri beni in cambio77. Questo quadro che non sempre trova precise corrispondenze nella realtà materiale, perché limitato dal valore di sintesi dei modelli, delinea comunque una situazione estremamente dinamica dove, sempre parlando di mobilità, possono interagire su livelli di scambio (anche complessi) i beni, le persone ed i luoghi.

II.1.2.2. Oggetti funzionali al movimento

Tra gli oggetti impiegati dall'uomo per facilitare il movimento nello spazio, meritano una particolare trattazione i ferri da cavallo e quelli da mulo. Si tratta di una categoria di manufatti largamente diffusi nei contesti di ritrovamento archeologico e di cui si è provveduto a dare largo spazio anche all'interno di studi specifici78. La ferratura degli animali da trasporto è una pratica attestata a partire già dall'età romana (fig.9), come indicherebbero alcuni ritrovamenti in area nord europea databili al III secolo d.C., ma che avrà larga diffusione soprattutto nel periodo medievale79. La necessità di ferrare muli, cavalli e buoi era determinata dalla volontà di preservare gli zoccoli degli animali dall'usura derivante dal transito prolungato su suoli particolarmente impervi. I lastricati, ad esempio, erano una delle principali cause di deterioramento delle parti terminali delle zampe.

Questi manufatti differiscono nelle tipologie a seconda che si tratti di ferri per cavalli, muli o buoi. La diversità non è dovuta soltanto a una sostanziale 76 MCCORMICK 2008, p.289.

77 ARTHUR 2000, p.67.

78 NAZZI 1994.

differenza della struttura delle loro zampe, ma anche alla qualità e alla quantità del lavoro che questi animali avrebbero dovuto svolgere. I ferri del mulo di età moderna, ad esempio, sono più spessi ed hanno i talloni più alti rispetto a quelli del cavallo e risultano sempre provvisti di un rampone. Questo tipo di ferratura doveva garantire stabilità ad un animale che più del cavallo veniva impiegato nei viaggi di lunga percorrenza su strade con dislivelli accentuati, sopportando carichi anche decisamente più pesanti80.

Ragionare dunque sulla morfologia di questi manufatti, sulle cronotipologie ed ovviamente sui contesti di ritrovamento, può aiutarci a capire meglio alcune particolari dinamiche di movimento, strettamente legate all'uso di specifici mezzi di trasporto. Potremmo però anche citare i morsi, le fibbie sottopancia per la sellatura e per i basti, gli elementi metallici del giogo e dei carri, comprese le fasciature per le ruote81.

80 NAZZI 1994, pp. 128-129.

81 ARQUINT 2015, pp. 147-160.

Figura 9: Gruppo di ferri di cavallo di III secolo d.C. di area germanica (NAZZI 1994, p. 123, fig.

Per quanto riguarda invece lo spostamento umano nello spazio non disponiamo di così tanti indizi per poter delineare un quadro altrettanto esaustivo e soddisfacente. Gli elementi più diagnostici probabilmente sono quelli legati all'uso di alcune parti del vestiario come gli spilloni ferma mantello, la chiodatura delle scarpe o i puntali dei bastoni. In quest'ultimo caso, potremmo ricordare proprio i puntali dei bordoni dei pellegrini.

Scavando ancora più a fondo, tuttavia, senz'altro ci accorgeremo che l'analisi potrebbe risultare ancora più ampia di quella abbozzata fino adesso.

Restando sui reperti metallici, quali altri elementi potrebbero rientrare nella categoria delle cose usate dall'uomo per agevolare gli spostamenti nello spazio? Se avessimo il compito di rispondere a questa domanda senza curarci d'altro potremmo non esitare a spingerci in una realtà vasta e assai complessa. Come abbiamo potuto appurare fin dall'inizio di questo lavoro, d'altronde, quando ci si occupa di mobilità il rischio di perdersi nei meandri di un titanico labirinto, scoprendo però luoghi nascosti e di grande fascino, è un fatto del tutto ordinario.

In conclusione, alla luce di quanto appena detto è forse giusto escludere dalla rassegna delle cose impiegate per facilitare gli spostamenti anche le monete, gli oggetti religiosi e devozionali, le armi e tutti gli altri elementi apparentemente non connessi direttamente con il movimento fisico prodotto dall'uomo nello spazio geografico?

Una piccola medaglietta devozionale, ad esempio, potrebbe, rappresentando un conforto spirituale nel viaggio, aiutare a procedere con più convinzione nel cammino, mentre dalla maggiore o minore disponibilità economica, potrebbe dipendere la scelta dell'uso di determinati mezzi di trasporto rispetto ad altri, influenzando così l'andamento generale di un percorso. Le monete, come già ampiamente rivelato dallo storico americano McCormick nel suo studio sull'economia altomedievale82, costituiscono un vero e proprio fossile guida per capire la mobilità spaziale, economica e sociale su scala regionale ed internazionale. Questo tipo di riflessione potrebbe poi essere estesa anche su altre tipologie di manufatti metallici, apparentemente ancora meno legati al movimento come i ferri da lavoro impiegati dalle maestranze specializzate nella lavorazione artistica della pietra, oppure altri ancora come i verrettoni e le punte di freccia, concepiti per viaggiare nello spazio aereo. Questi costituiscono soltanto alcuni degli esempi, tra i tanti possibili, che possono, se opportunamente interrogati, fornirci un quadro della mobilità su livelli differenti tra loro in relazione.

II.1.2.3. I mezzi di trasporto

I mezzi di trasporto rappresentano ancora oggi uno dei principali elementi di classificazione della viabilità: distinguiamo, infatti, tra strade carrabili, carrozzabili, mulattiere e pedonali quando vogliamo immediatamente richiamare le caratteristiche tecniche di una strada rispetto ad un altra. Questo perché l'aspetto materiale delle strade non era dettato soltanto dal contesto 82 MC CORMICK 2008, pp. 361-436.

geomorfologico, ma doveva tenere conto anche delle caratteristiche dei mezzi di trasporto che avrebbero dovuto percorrerle: una mulattiera, di fatto, risultava impraticabile al transito dei carri sia per questioni legate all'ampiezza del fondo stradale sia per le pendenze e i dislivelli che questa, soprattutto nelle aree di alta quota, doveva affrontare. Di questa realtà ne fece le spese lo stesso Galeazzo Sforza il quale, recatosi in visita da Lorenzo il Magnifico nel 1471, decise di avventurarsi tra i passi appenninici tra Bologna e Firenze impiegando dodici carrette, che, suo malgrado, nel tratto più impervio, dovette provvedere a far smontare per caricarle sui muli, almeno fino al transito del passo83.

Nonostante l'importanza del tema che questo potrebbe rivestire, non soltanto nell'ambito degli studi sulla mobilità, ma anche della cultura materiale in generale, l'uso dei mezzi di trasporto non ha mai trovato largo spazio nella letteratura archeologica. Nella ricerca, infatti, hanno sempre suscitato maggior interesse le cose che potevano essere trasportate rispetto invece alle cose che trasportavano.

Dal punto di vista squisitamente archeologico non disponiamo di un campionario di fonti materiali adeguato per una esaustiva ricostruzione storica dell'uso dei mezzi di trasporto sulla viabilità terrestre: mentre il rinvenimento di relitti navali sui fondali marini ha permesso di determinare diverse tipologie di imbarcazioni dall'età antica a quella moderna, non possiamo dire altrettanto puntualmente sui veicoli a trazione animale che invece hanno solcato le strade durante tutto il periodo preindustriale. Riusciamo a delineare un quadro più preciso soltanto integrando, all'analisi di particolari indicatori materiali, la disamina delle fonti iconografiche, etnografiche e dei vari studi sui saperi tecnici che si sono susseguiti, a partire dalla prima età moderna, con la diffusione della cultura enciclopedica.

Prima dell'avvento delle macchine a motore, il sistema di trasporto terrestre su strada era rappresentato: da quegli uomini e quelle donne, di cui già in parte si è detto nel precedente paragrafo; dagli animali da tiro come il mulo, l'asino, il 83 CALZOLAI, ROMBAI 1992, p. 166.

cavallo ed il bue; dai carri che rappresentano un'ampia categoria di veicoli in cui possiamo comprendere barrocci, carrozze, calessi, carrette e tutti quei mezzi su ruota a traino impiegati per il trasporto ed infine sci, slitte e tregge largamente impiegate nelle aree montane.

Nell'età di transizione si registra un cambiamento epocale nell'utilizzo dei trasporti su terra, sintomatico di profonde trasformazioni delle dinamiche generali di mobilità. Gli spostamenti su mulo, infatti, diventano preponderanti per le lunghe percorrenze mentre l'uso del carro si riduce a viaggi limitati nello spazio, lungo strade più stabili ed attrezzate al transito su ruota84. Non è un caso, dunque, che è proprio con gli inizi dell'alto medioevo, quando si diffonde la tecnica della ferratura e successivamente l'uso del collare a spalla e del basto, che i muli, gli asini ed i cavalli diventeranno non soltanto animali da lavoro, ma anche mezzi efficienti, in grado di muoversi in qualunque condizione di terreno e su cui far viaggiare merci di ogni tipo85.

Nei secoli centrali del medioevo, infatti, in Italia gli allevatori di muli si organizzeranno in vere e proprie corporazioni di mestiere, che fonderanno la loro fortuna prestando servizio di trasporto lungo tappe di percorso predisposte86.

Il trasporto su mulo, per quanto riguarda le aree montane della Toscana centro settentrionale, è largamente attestato fino alle soglie del XIX secolo, quando finalmente anche i passi appenninici vengono aperti al traffico dei mezzi su ruota con l'introduzione di strade carrabili87. Le tracce archeologiche del passaggio del mulo sulle strade antiche, potrebbero individuarsi in quelle “strisciate irregolari” che sono state individuate in un tratto di strada localizzato in un quartiere suburbano nei pressi della porta orientale di Genova88.

Durante l'età romana sono documentate diverse tipologie di carro come attestano le svariate terminologie impiegate dalle fonti per designarle: il

carrum con due o quattro ruote lignee a raggiera, protette da un cerchione in

ferro rinforzato da chiodi e dotato di un cassone con sponde alte per aumentare la capienza di carico; il veheiculum invece era una tipologia di carro più leggero sormontato da un'armatura in legno e rivestita in stoffa, adibito al trasporto di passeggeri; il pilentum a quattro ruote, simile al veheiculum

tectum invece era largamente diffuso nelle parate e nelle cerimonie a carattere

religioso; l'essedum, citato da Giulio Cesare durante le sue campagne in Gallia, si muoveva su due ruote ed aveva il cassone completamente scoperto; il

cisium invece era il carro più diffuso per il trasporto di passeggeri, trainato da

cavalli e dotato di cassone o sedili per un massimo di due viaggiatori89.

A partire dai primi anni dell'alto medioevo non disponiamo più di fonti scritte così dettagliatamente accurate e l'analisi di quelle iconografiche, sembrerebbe comunque confermare una drastica semplificazione delle tipologie di carro rispetto all'età romana.

84 MC CORMICK 2008, pp. 81-98.

85 MANNONI 2009, pp. 65-67.

86 OHLER 2000 p. 103.

87 DADÀ, BIGGI 2015a.

88 CAGNANA 1996, p.72.

Coesistono, infatti, per un certo tempo un tipo di carro particolarmente stabile, con due ruote radiali su un unico asse centrale e cassone con sponde rialzate, più adatto al trasporto delle merci e ai lavori agricoli e un altro invece con quattro ruote radiali su due assi, impiegato anche per il trasporto di persone e vettovaglie90.

Fino alla fine XIV secolo non è documentato alcun tipo di sistema di sospensione: la cassa appoggiava direttamente sulle assi delle ruote. E' probabilmente di origine est europea l'introduzione di una sospensione mediante cinghie di cuoio. Condurre un carro, quindi, doveva rappresentare comunque un'operazione di non poco conto se, ad esempio, in Inghilterra l'asse girevole che serviva a facilitare gli spostamenti nelle curve di un percorso, fu introdotto soltanto a partire dal XVI secolo91.

Tregge e slitte, a partire dal tardo Neolitico fino agli inizi del XIX secolo, sono state tra i mezzi di trasporto più diffusi nelle aree rurali dell'Eurasia e risultando legate, almeno inizialmente, allo sviluppo delle pratiche agricole e dell'allevamento92. I l t e r m i n e

treggia deriva dal latino trahere e

richiama indiscutibilmente all'atto del trascinamento. Da un punto di vista morf ologico i modelli tendono a modificarsi di poco sia nel tempo sia nello spazio. Alcune tipologie di tregge impiegate nella Toscana settentrionale fin quasi alla metà del secolo scorso, ad esempio, si richiamano a forme assai antiche in uso anche nell'Eurasia settentrionale. Si

tratta di slitte con traino a forma di “Y”, a pattini convergenti, che precedono, seppur di poco, quelle che invece utilizzano traini a pattini paralleli (a forma di “H”) ancora oggi impiegate dalle popolazioni eschimesi e dell'Asia settentrionale93. Quest'ultime si differenziano in due diverse tipologie: slitte con piano di carico sopraelevato rispetto ai pattini e slitte, invece, con piano di carico direttamente poggiante. Alcuni esemplari nelle Alpi del Trentino presentano il fondo dei pattini rivestito in metallo e cosparso di grasso animale per diminuire l'usura e la forza di attrito data dalle asperità del percorso94. Questi mezzi, da un punto di vista archeologico, lasciano tracce ben visibili sul fondo stradale che differiscono sensibilmente da quelle prodotte, invece, dal passaggio delle ruote dei carri. Di questo, già se ne accorse Evans, 90 MANNONI 2009, p. 63.

91 WIGELSWORTH 2006, p.46.

92 CASELLI 1975, p. 441.

93 CASELLI 1975, pp.442-443.

94 BONTADI, BAZZANELLI, BERNABEI, URSO 2009, pp. 331-333.

Figura 11: Treggia in uso nell'Appennino lunigianese

dall'osservazione di alcuni solchi paralleli impressi nella roccia rinvenuti sull'isola di Malta95. La treggia, infatti, soprattutto quando sottoposta allo