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Archeologia della mobilita sulle strade della Toscana medievale

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTA’ E FORME DEL SAPERE

ANNO ACCADEMICO 2016/2017

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA

IN ARCHEOLOGIA

Classe WAR: ARCHEOLOGIA

TESI DI LAUREA SPECIALISTICA

ARCHEOLOGIA DELLA MOBILITA' SULLE STRADE

DELLA TOSCANA MEDIEVALE

IL RELATORE

Prof. Federico CANTINI

I CORELATORI IL CANDIDATO

Prof. Riccardo BELCARI Sascha BIGGI

Dott. Massimo DADA'

(2)

INDICE

INTRODUZIONE...p. 4 I. STUDIARE LE STRADE. QUALE ARCHEOLOGIA?

I.1.

L

A VIABILITÀ DI TERRA TRA TARDA ANTICHITÀ E I SECOLI CENTRALI DEL

MEDIOEVO

:

ALCUNE OSSERVAZIONI PRELIMINARI

...

p. 9 I.2.

L

A RICERCA ARCHEOLOGICA SULLA VIABILITÀ TOSCANA

...

p. 17 I.3.

L

E STRADE NEL DIBATTITO ARCHEOLOGICO

...

.p. 20 I.4.

A

RCHAEOLOGY AND

M

OBILITY

I.4.1. Il concetto di mobilità tra antropologia, scienze sociali

ed archeologia...p. 23 I.4.2. Una proposta di studio. Le strade nell'archeologia della mobilità...p. 25

II. DALLA MATERIALITA' DELLA STRADA ALLE FORME DELLA MOBILITA'

II.1. LA STRADA COME LUOGO DELLA MOBILITÀ

...

p. 27 II.1.1. Uomini, donne e archeologi in movimento...p. 29 II.1.2. Cose in movimento...p. 33

II.1.2.1. Le merci...p. 33

II.1.2.2. Oggetti funzionali al movimento...p. 35

II.1.2.3. I mezzi di trasporto...p. 37 II.2.

S

TRADE DELL

'E

TRURIA ROMANA

:

ALCUNE ANNOTAZIONI SULLE TECNICHE

COSTRUTTIVE

...

p. 42 II.3.

L

E STRADE URBANE TRA TARDA ANTICHITÀ E BASSO MEDIOEVO

II.3.1. Il dato materiale...p. 47 II.3.2. Analisi interpretativa...p. 52

(3)

II.4.

L

E STRADE EXTRA

-

URBANE TRA TARDA ANTICHITÀ E BASSO MEDIOEVO

II.4.1. Il dato materiale...p. 54 II.4.2 Analisi interpretativa...p. 62 III. CONCLUSIONI

III.1. U

N MODELLO PER LA MOBILITÀ SULLE STRADE

:

LUNGA E CORTA

PERCORRENZA

...

p. 65

III.2. M

ATERIALITÀ

,

CRONOLOGIA E MOBILITÀ

. U

N BILANCIO DELLE STRADE

TOSCANE TRA

V

E

XIV

SECOLO

...

p. 66 III.2.1. Tarda Antichità...p. 67 III.2.2. Alto medioevo...p. 68 III.2.3. Secoli centrali e basso medioevo...p. 69

Bibliografia...p

72

(4)

INTRODUZIONE

Che cos'è la strada?

Inizio questa tesi proprio nel tentativo, per nulla scontato, di fornire una definizione del concetto materiale di strada.

Con questo termine, in questa sede, non si intende soltanto “un percorso reso durevole e omogeneo da una pavimentazione stratificata1”, ma si fa riferimento a tutti quegli elementi non solo lineari, riconoscibili nel paesaggio come luoghi di comunicazione/spostamento. Si tratta dunque di un manufatto di cui l'uomo si è servito fin dall'età preistorica per muoversi con criterio nello spazio e iniziare una progressiva colonizzazione dei territori. All'interno di quest'accezione dunque non rientrano soltanto le vie pavimentate ma anche le piste, le tracce e i sentieri su fondo naturale, che caratterizzano ancora il sistema di comunicazione del paesaggio rurale e montano.

Sarà inoltre utile sciogliere fin da subito alcuni dubbi riguardo l'interpretazione di alcuni termini che risulteranno ricorrenti nel corso della trattazione e che saranno fondamentali per la comprensione dell'analisi dei dati.

Viabilità è l'insieme delle vie di terra e di acqua che formano il tessuto

connettivo di un territorio più o meno ampio2. Nel nostro caso, tuttavia, avendo rivolto l'interesse alle strade di terra, non saranno inserite nell'analisi le “vie d'acqua” ma vi potremo soltanto fare riferimento quando queste risulteranno fondamentali nella comprensione di alcuni aspetti legati alle vie terrestri e alla viabilità in generale.

Il termine percorso invece implica di fatto uno spostamento all'interno di uno spazio predisposto, nel quale è possibile muoversi a piedi o utilizzando altri mezzi di trasporto. I processi di formazione di un percorso tengono conto di specifiche condizioni fisiche e naturali (condizioni geomorfologiche del terreno, il clima, le pendenze, l'accessibilità ai luoghi d'interesse, etc..) e di particolari scelte culturali, economiche e politiche, dipendenti unicamente dai comportamenti dell'uomo, che modificandosi entrambe nel tempo, possono a loro volta modificare il percorso stesso. La direttrice invece, come suggerisce chiaramente l'etimo, è una direzione individuata all'interno di un corridoio naturale che percorre un'estesa porzione di territorio.

Una volta presentate le definizioni dei principali termini chiave è altrettanto importante delineare il quadro di competenza all'interno del quale si inserirà il presente studio, spendendo qualche parola sulle branche dell'archeologia che si occupano di viabilità. Sono molteplici, infatti, gli approcci che possono scaturire dalla scelta di specifici ambiti disciplinari, così come gli strumenti adoperati da questi per il raggiungimento degli obbiettivi della ricerca. Nel prossimo capitolo parleremo assai diffusamente delle archeologie che hanno frontalmente trattato la viabilità e di quelle che invece hanno lambito questo settore della ricerca senza farne oggetto di studio principale. Pur tenendo presente i vari punti di vista questa tesi guarda con maggiore interesse agli approcci proposti 1 MANNONI 2007, p. 7.

(5)

dall'archeologia delle strade e dall'archeologia della mobilità. La prima ricorre molto spesso nei contributi di T. Mannoni sulla viabilità antica in Liguria e in un lavoro di sintesi di J. A. Q. Castillo sulle campagne di indagine condotte nel sito dell'ospitale di Tea3. Entrambi gli studiosi sottolineano l'importanza dell'archeologia nell'evoluzione del dibattito sulla viabilità antica, che fino ad allora risultava quasi del tutto dominato dalle discipline storiche ed economiche. Le valutazioni di Mannoni, anche alla luce dei più recenti contributi, restano senza dubbio ancora oggi punti di riferimento nella letteratura archeologica sulle strade antiche. Lo studioso genovese è stato tra i primi a porre in evidenza l'analisi degli elementi materiali come la pendenza, la presenza o meno di pavimentazione, di rompitratta e di opere stradali, in relazione ai tipi di utenze, ai mezzi di trasporto impiegati, alla stagionalità del viaggio, alla toponomastica e alla distribuzione degli insediamenti. Nella definizione formulata da Aurora Cagnana l'archeologia delle strade deve considerarsi come “ramo autonomo e ben definito della ricerca che ha come necessario presupposto la via di transito come organismo la cui funzionalità era affidata ad una serie di manufatti molto diluiti nello spazio ma posti in stretta relazione tra loro”4.

Come già sottolineato da Elisabetta De Mincis è illuminante, in questo caso, l'impiego del termine organismo per designare la complessità del sistema stradale, inteso come insieme di elementi in relazione: manufatti, territorio e transito5.

Archeologia della mobilità invece è una definizione particolarmente diffusa in

ambito anglosassone, che si richiama a un approccio metodologico di tipo antropologico di chiaro indirizzo post-processualista. Si occupa principalmente delle dinamiche di movimento di gruppi umani e dello studio delle tracce materiali riconducibili alla mobilità, intesa non solo come capacità di compiere spostamenti nello spazio ma anche all'interno di una determinata struttura sociale, economica e culturale6.

Anche in Italia, tuttavia, ha cominciato a farsi strada questa impostazione metodologica, come dimostra un recente articolo di A. Molinari sulla mobilità sociale, nel quale, attraverso l'esempio di tre casi studio, vengono delineati i caratteri di una ricerca che dall'analisi del dato materiale si pone come obbiettivo quello di riconoscere gli spostamenti degli individui e delle “classi” all'interno di un determinato contesto sociale e delineare così una storia delle società7.

A partire degli anni '90 del secolo scorso in ambito anglosassone e nelle scuole americane l'archeologia della mobilità si afferma soprattutto nello studio della cultura materiale delle popolazioni non stanziali e di tutte quelle culture che hanno fatto della propria capacità di spostarsi nello spazio una prerogativa identitaria. In questo ambito nel 2007 è stato pubblicato dalla Cotsen Institute of Archaeology, infatti, una raccolta di studi sulla ricerca delle società antiche 3 QUIROS CASTILLO 2001.

4 CAGNANA 1996, pp. 71-74.

5 DE MINCIS 2012, p.7.

6 http://eaaglasgow2015.com/conference-themes/archaeology-mobility/ 7 MOLINARI 2010.

(6)

nomadiche e seminomadiche8, con l'obbiettivo di produrre una sintesi di quanto fatto fino ad allora. Ben più ambizioso invece è stato il meeting “Archeology and Mobility” organizzato dalla European Association of Archaeologists e dall'Università di Glasgow nel 2015 in cui sono sono stati definiti i caratteri di un ambito disciplinare vasto e poliedrico. Il concetto di mobilità, infatti, oltre ad interessare un'ampia forchetta cronologica e un'area geografica di riferimento potenzialmente grande quanto il pianeta terra (in un futuro forse neanche troppo lontano potremmo addirittura includervi lo spazio), risulta valido anche per l'interpretazione di molti aspetti che riguardano la cultura materiale e più in generale i cambiamenti di una struttura sociale, economica e culturale.

Nel nostro caso specifico, pur utilizzando come strumenti di analisi anche i presupposti metodologici delineati dai “fautori” dell'archeologia delle strade, tratteremo il tema della viabilità medievale, con la lente dell'archeologia della mobilità. Se vale, infatti, la definizione secondo la quale le strade sono da ritenersi luoghi fisici nei quali è possibile muoversi con criterio attraverso lo spazio geografico, allora possiamo a buon diritto affermare che la viabilità a tutti gli effetti rientra nelle competenze di questo ambito disciplinare.

L'ambito geografico di riferimento di questo lavoro è la Toscana. Si tratta indubbiamente di un'area molto vasta, caratterizzata da una geomorfologia varia: se tenessimo come riferimento le tre principali macro-distinzioni dell'ambiente geografico terrestre (pianura, collina e montagna) ci perderemmo nel tentativo di distinguere, all'interno di ciascuna di esse, ogni singolo caso. Non esiste infatti una sola montagna toscana o una sola pianura toscana. Gli Appennini, ad esempio, hanno caratteristiche litologiche ben diverse dalle Alpi Apuane, che invece si presentano con quote meno elevate ma con pendenze maggiori ed una conformazione più simile a quella delle catene dolomitiche. Ugualmente potremmo dire delle colline toscane che cambiano struttura e composizione nel procedere da nord a sud della regione. Questa osservazione ci aiuta a comprendere meglio quanto sia fondamentale un approccio ecologico, geologico e naturalistico, da parte di un archeologo, per cogliere non solo gli aspetti materiali legati alla viabilità, ma anche i processi di formazione e di trasformazione delle strade e le scelte adoperate dall'uomo per mettere in atto le comunicazioni e gli spostamenti all'interno di un territorio. Porre l'attenzione, inoltre, sulla varietà tipologica del paesaggio toscano, ci aiuta a non cadere in pindariche generalizzazioni o in estreme schematizzazioni del dato archeologico, nonostante l'obbiettivo finale di questo lavoro resti, dopo una sintesi ragionata dei più importanti casi studio, quello di comprendere quale tipo di rapporto intercorra tra materialità della strada e mobilità.

In questa sede parleremo, inoltre, di viabilità urbana ed extra-urbana così come oggi troviamo specificato nel codice della strada, pur con qualche sostanziale modifica nell'interpretazione dei termini: le prime, infatti, sono quelle strade che hanno rappresentato la maglia di formazione delle città e che sono individuabili all'interno di esse, le seconde, invece, rappresentano un ampio campione in cui convergono strade posizionate nelle aree rurali ed in quelle montane fuori dai perimetri urbani. Questa distinzione, dunque, non 8 BARNARD, WENDRICH 2007.

(7)

tiene conto della distanza di una strada da un centro urbano, ma dell'ambiente e del contesto geomorfologico in cui essa si trova. Il manufatto stradale, infatti, più di ogni altra opera realizzata dall'uomo, risulta fortemente vincolato alla struttura naturale del paesaggio.

Definito l'ambito geografico d'interesse di questo studio, restano da chiarire i riferimenti cronologici. La forchetta, anche in questo caso, è decisamente ampia: il periodo abbraccia tutto l'arco compreso tra la tarda antichità fino ai secoli centrali del medioevo. Un periodo all'interno del quale avvengono importanti trasformazioni nell'ambito delle comunicazioni e più in generale dell'economia mediterranea: antichi centri di età romana perdono progressivamente la loro originaria importanza e subiscono l'abbandono, in ambito urbano e rurale l'organizzazione degli spazi verte intorno ai principali luoghi di culto, si predilige il trasporto a lunga distanza su mulo, viene limitato l'uso dei carri, si diffonde la navigazione detta “di cabotaggio”, sullo scheletro della vecchia viabilità romana si coagulano nuovi percorsi, subentrano soggetti politici diversi e si introducono elementi di discontinuità nella gestione del territorio rispetto al precedente modello romano. In sintesi, dunque, si mette in atto una profonda trasformazione che avrà ripercussioni sulla viabilità e sulle dinamiche della mobilità e che arriverà a compimento nei secoli centrali del medioevo con l'aumento demografico, l'affermazione delle istituzioni cittadine e la riorganizzazione delle aree rurali9.

Una volta spiegati i caratteri generali di questa tesi, non ci resta, seppur brevemente, che occuparci dei limiti oggettivi e delle problematiche di ordine metodologico che la riguardano. Alla luce di quanto detto fino adesso, sono almeno tre le difficoltà che possono individuarsi da questa analisi preliminare: 1) l'ampia cronologia e la vastità dell'estensione dell'area geografica d'interesse;

2) i dati archeologici che riguardano le strade urbane provengono principalmente da scavi di emergenza e soltanto in pochi casi queste sono state oggetto di specifici progetti di ricerca. Se da un lato dunque abbiamo un'enorme mole di ritrovamenti, dall'altro non disponiamo, tranne che per Pisa, Lucca ed il Valdarno, di una sintesi organica il cui approccio sia esclusivamente rivolto allo studio materiale della viabilità antica;

3) frammentari e lacunosi risultano anche i dati che riguardano le strade extra-urbane. Se, infatti, escludiamo i centri urbani abbandonati che sono stati oggetto di campagne decennali di scavo e di indagine intensiva, anche in questo caso le informazioni a disposizioni provengono soprattutto da ritrovamenti fortuiti e da scavi di emergenza. Ancora più complesso poi è il caso delle strade preindustriali di montagna, le quali per via del progressivo spopolamento e l'intensificarsi dei fenomeni di erosione che caratterizzano il paesaggio montano, sono cadute in disuso e inglobate oggi all'interno della macchia boschiva. Questi manufatti stradali, inoltre, per via dell'asperità dell'ambiente che devono dominare, hanno mantenuto, per lunghi periodi di tempo, le solite caratteristiche tecniche di costruzione.

Per quanto riguarda il primo punto se da un lato potrebbe risultare dispersivo analizzare la viabilità antica in un'area vasta quanto quella toscana all'interno 9 MCCORMICK 2008.

(8)

di un ampio arco cronologico, dall'altro, presa visione della coerenza culturale di questo territorio per buona parte del medioevo e della grande quantità dei dati archeologici sulle strade dispersi a macchia di leopardo su tutto il territorio regionale, dobbiamo riconoscere, che l'ampliamento del contesto geografico di studio, ci permette di fatto di sopperire alla discontinuità delle informazioni provenienti dai singoli contesti, creando una griglia generale di records su cui impostare un metodo di analisi condiviso, per poi andare a sviscerare, con più convinzione in seconda battuta, i singoli casi studio. Per i punti 2 e 3 non ci resta, invece, che ottimizzare i dati di cui disponiamo, incrociandoli e confrontandoli tra loro e integrandoli con altre fonti.

Una volta definiti i limiti di progetto e gli ambiti cronologici di riferimento, non resta che focalizzarci sull'obbiettivo di questo lavoro. Dall'analisi degli aspetti materiali di alcuni casi studio editi della Toscana, infatti, tenteremo di decodificare le dinamiche di movimento strettamente connesse al manufatto stradale, inteso come luogo di relazione e di mobilità.

(9)

CAPITOLO I

STUDIARE LE STRADE: QUALE ARCHEOLOGIA?

I.1.

L

A VIABILITÀ TERRESTRE TRA TARDA ANTICHITÀ E I SECOLI CENTRALI DEL MEDIOEVO

:

ALCUNE OSSERVAZIONI PRELIMINARI

In generale si è dibattuto molto nell'ambito della ricerca archeologica e di altre discipline storiche sulla continuità/discontinuità della viabilità medievale, rispetto a quella romana tra tarda antichità e alto medioevo. La politica stradale dell'impero romano è stata tra le più straordinarie ed innovative del mondo antico: il sistema di organizzazione dei territori di conquista (centuriatio) e i manufatti stradali romani hanno rappresentato lo scheletro di un grande impero, così funzionale, che, in qualche sua parte, ha saputo sopravvivere fino ai giorni nostri.10

L'alto grado di efficienza di questi manufatti, insieme alla superiorità tecnologica in diversi campi della civiltà romana rispetto a quella dell'Europa degli “stati barbarici”, hanno in larga parte influenzato il dibattito sulla viabilità tra tarda antichità ed alto medioevo, a favore di una sostanziale continuità11. Questa visione ha indirizzato in maniera piuttosto evidente, il dibattito sulla genesi degli itinerari di lunga percorrenza, come nel caso della via Francigena. La viabilità medievale di lunga percorrenza, infatti, secondo questa impostazione, sarebbe il risultato di una serie di risistemazioni e di adeguamenti dell'antico tessuto stradale romano, favorito dalla presenza nel territorio di un impianto viario già esistente e determinato, almeno nella fase iniziale, dalla mancanza di un potere centrale in grado di gestire una rinnovata politica stradale e da un generale impoverimento delle competenze tecniche12. Queste affermazioni, seppur in parte condivisibili, non colgono a pieno la complessità del sistema stradale e in più generale della mobilità tra VII e IX secolo. Proprio in quest'arco cronologico, infatti, avvengono profondi cambiamenti all'interno di un quadro politico, sociale e culturale dai contorni poco definiti, che ebbero ripercussioni anche sulle le comunicazioni e la viabilità.

Si registra l'abbandono progressivo di alcune aree delle città e un sostanziale cambiamento delle condizioni geomorfologiche del territorio (impaludamento dei tratti costieri e avanzamento della linea di costa), che modificano in parte gli antichi tracciati e sanciscono di fatto l'abbandono di quelli ormai divenuti impraticabili; le mutate condizioni politiche concorrono ad una pronta riorganizzazione della viabilità in base alle risorse, alle necessità politiche, militari ed economiche dei soggetti emergenti; con la caduta dell'Impero Romano non si realizza più un regolare servizio di manutenzione stradale; avviene una rivoluzione nei sistemi di trasporto: il mulo diventa preponderante rispetto all'utilizzo del carro e alle lunghe rotte marittime, seguite dalle navi 10 QUILICI, QUILICI GIGLI 2004, p.129.

11 DALL'AGLIO 2002.

(10)

annonarie, si predilige invece una navigazione di cabotaggio che si attua in prossimità della costa13.

Se dunque da un punto di vista delle forme della mobilità, emerge chiaramente un quadro di cambiamenti radicali rispetto all'età antica, possiamo dire altrettanto sulla struttura della viabilità, che ha rappresentato e rappresenta uno dei principali luoghi di attuazione del movimento?

Possiamo provare a rispondere a questa domanda, almeno in forma del tutto preliminare, citando un esempio che ritengo assolutamente esplicativo e che può, allo stesso tempo, aiutare ad introdurre alcuni temi che saranno presentati in questa tesi: le strade di lunga percorrenza, quelle che Mannoni ha definito come “strade di grande traffico”14. Si tratta di direttrici che nascono, almeno inizialmente, per favorire le conquiste militari e facilitare il passaggio degli alti dignitari e degli eserciti da una parte all'altra dei territori assoggettati, nel più breve tempo possibile. Per assolvere a questa funzione, il tracciato doveva essere largo e rettilineo, per quanto potesse consentire la geomorfologia del territorio.

Una volta affermatosi il dominio militare e politico di Roma sui territori conquistati, queste vie diventano luoghi di mobilità terrestre essenziali su cui diramare le direttive del governo centrale in tutte provincie dell'Impero. Con l'istituzione di un regolare servizio di posta, infatti, in tutte le viae publicae vengono realizzate vere e proprie stazioni di tappa per facilitare questo genere di servizio, che dovette rivelarsi assolutamente efficiente, se una lettera di Traiano, dalla Bitinia a Roma, impiegò soltanto nove giorni di viaggio o se a Tiberio Nerone per percorrere 541 miglia da Roma alla Germania, ci vollero circa cinque giorni15. I l cursus publicus assicurò una discreta funzionalità almeno fino al V e VI secolo, quando poi scomparve del tutto, nell'Europa occidentale, con il definitivo mutare delle condizioni politiche, culturali ed economiche. Ebbe più fortuna, invece, nei territori dell'Impero bizantino dove il servizio di posta venne mantenuto fino all'XI secolo16. Il depotenziamento ed il conseguente spegnimento del servizio di posta non fu soltanto imputabile al collasso della burocrazia imperiale, ma ad una serie di fattori di cui la crisi dell'impero è stata una delle principali cause. L'imperatore Giustiniano, ad esempio, diminuì il numero delle stazioni di posta e sostituì l'uso dei cavalli con il trasporto su mulo17.Se la velocità del servizio, per tutto l'impero, è stata uno dei punti di forza del cursus publicus, perché l'imperatore avrebbe dovuto optare per l'impiego di un animale, seppure più forte e resistente, decisamente più lento? Un provvedimento forse necessario in seguito al decadimento del servizio di manutenzione delle infrastrutture, il quale potrebbe aver comportato anche la riduzione del numero delle stesse stazioni di posta. Una soluzione piuttosto plausibile e compatibile con il contesto di quelle trasformazioni che hanno prodotto lo sviluppo di nuove forme di mobilità.

Riportando la discussione all'interno dei confini della Toscana si potrebbe provare a verificare lo stato della mobilità sulla viabilità maggiore tra tarda 13 MC CORMICK 2008, pp. 81-141.

14 MANNONI 1992, p. 10.

15 QUILICI L., QUILICI GIGLI S. 2004, p. 150-152.

16 MC CORMICK 2008, p.89.

(11)

antichità ed alto medioevo, ripercorrendo brevemente le vicende di tre siti identificati come mansiones: la villa-mansio di Vignale, la mansio ad Solaria di Calenzano e il sito di Santa Cristina in Caio.

La villa-mansio di Vignale (fig. 1) sorge sulla costa meridionale della Toscana, nell'entroterra piombinese, lungo il tracciato dell'antica via Aurelia. Si tratta di un grande complesso rurale in funzione dal II secolo a.C., inizialmente come fattoria poi come grande villa rustica, posizionata sul lago interno di Falesia, dove si era specializzata nelle attività di pesca. Con la fase imperiale il complesso si trasforma in una stazione di posta: gli spazi si raccordano intorno ad un cortile lastricato con ampia e n t r a t a , c o l l e g a t o s t r u t t u r a l m e n t e a d u n a strada glareata. Nell'area c i r c o s t a n t e s o n o s t a t e rinvenute fornaci per la produzione di laterizi, anfore e ceramica comune. Con il IV secolo la mansio diventa dimora di grande pregio, come appare evidente dagli ampliamenti strutturali, dalla presenza di raffinata ceramica di importazione nord africana (insieme a lucerne con simboli cristiani) e dalla realizzazione di pavimenti musivi. Il complesso venne poi abbandonato e convertito in area cimiteriale intorno al VI e VII secolo. Non è esclusa l'ipotesi di un primitivo centro di culto coagulatosi intorno alla villa di Vignale e poi strutturatosi in vicus,

come testimoniato dalle fonti documentarie con la presenza, nei pressi del sito, di una chiesa dell'VIII secolo e di una curtis. Recenti indagini archeologiche nel comune di Calenzano, lungo l'asse d e l l ' a n t i c a vi a Ca ss ia, h a n n o riportato alla luce alcune strutture di età romana, identificate con le vestigia della mansio ad Solaria, citata nella Tabula Peutingeriana (fig.2).

Il complesso, che è stato modificato a più riprese a partire dal II secolo a.C., era caratterizzato dalla

presenza di strutture allineate con una strada acciottolata orientata lungo la direttrice nord/est-sud/ovest di cui resta ancora difficile determinarne l'esatta funzione. Nelle fasi del I secolo a.C. l'edificio risulta obliterato da depositi alluvionali ascrivibili alle attività di esondazione del torrente Marinella, per poi

Figura 1: Sito di Vignale (Giorgi 2016, p.175, fig. 2).

Figura 2: Planimetria delle strutture della mansio ad

(12)

essere caratterizzato dalla presenza di forme di vita parassitaria, come testimoniato dalle tracce di fuoco sparse per tutto il complesso. Tra il I e II secolo d.C. venne costruita di nuovo una grande struttura articolatasi intorno ad una corte e posizionata vicino ad una strada glareata, che i materiali collocano in età adrianea. Un poderoso incendio verificatosi intorno al VI secolo sembra segnare la fine del complesso18.

Il sito di Santa Cristina in Caio (fig.3), invece, è stato identificato nella mansio

Umbro flumen, ultima stazione, lungo un diverticolo della Cassia, prima di Siena Iulia. Tra I secolo a.C e I secolo d.C. è attestata la presenza di un

grande edificio termale collegato ad una strada glareata, che ebbe continuità di vita fino al V secolo, quando si verificò una vera e propria fase di spoliazione centralizzata (di iniziativa pubblica), a cui seguì poi la realizzazione di strutture produttive per la lavorazione del piombo, del vetro e di alcune leghe di rame. Nel VI secolo decade anche quest'area di produzione e nel settore occupato dai bagni termali, si rileva la presenza di capanne che perdurano fino all'VIII secolo. Nei pressi del complesso è stata rinvenuta una necropoli datata al VI secolo19.

Tutte e tre le mansiones citate, dunque, appaiono come complessi polifunzionali, posizionati lungo direttrici di grande traffico, che a partire dalla prima età imperiale, si specializzano anche in stazioni di posta. Tutte e tre le

mansiones a partire dal VI secolo

subiscono evidenti fasi di abbandono, alle quali segue, in almeno due casi, un contesto cimiteriale connesso con la presenza di un centro cultuale (da identificare probabilmente con una riconversione d'uso di uno dei settori della

mansio). Per Vignale e per Santa Cristina in Caio, seppure non in continuità

topografica con le strutture dei complessi presi in esame, si sviluppa nelle adiacenze un vicus e un centro di culto.

Cambiando le dinamiche di movimento, quindi, anche la viabilità con le sue infrastrutture dovette subire un adeguamento, in sintonia con i nuovi scenari politici, economici, sociali e culturali.

Non è mia intenzione, in questa sede, ridurre il complesso sistema stradale romano, formato da una articolata maglia di strade tipologicamente diverse dal punto di vista giuridico e da quello materiale, unicamente alle viae publicae. Approfondiremo meglio nel prossimo capitolo, infatti, il tema delle strade romane (almeno dal punto di vista materiale) e la forza inerziale che queste hanno esercitato sull'impostazione della rete viaria di età medievale.

18 PASINI D., BONAIUTO M., CARRERA F. 2016, pp. 167-170.

19 VALENTI 2012, pp. 3-12.

Figura 3: Planimetria delle strutture di Santa

(13)

Più ci si addentra nel tema, tuttavia, più il quadro appare ricco di sfumature rispetto a quello appena delineato. Se da un lato, infatti, alla fine della tarda antichità, avvennero profondi cambiamenti a livello europeo nei sistemi della mobilità che portarono a un nuovo adattamento del manufatto stradale, dall'altro, invece, risultano altrettanto evidenti, soprattutto nelle aree di maggiore stabilità geomorfologica, le tracce di una sostanziale continuità topografica (almeno nell'utilizzo dei percorsi) con il sistema della viabilità romana. La diffusione dei nomi strata, via publica e silcia nella toponomastica stradale medievale ne è un chiaro indizio.

Addentrandoci ancora più in profondità nella spinosa questione dell'età di transizione, potremmo adoperare ulteriori distinguo. Nelle aree urbane che hanno visto continuità d'insediamento, parte dello scheletro della viabilità antica resta in uso, nonostante il modello insediativo avesse iniziato a modificarsi e addirittura, in taluni casi come nella rifunzionalizzazione del foro di Luni, a cambiare completamente20. Nelle aree rurali caratterizzate da una discreta stabilità geomorfologica, come è stato detto in precedenza, i percorsi di età romana sopravvivono mentre in quei luoghi soggetti all'impaludamento e abbandonati al degrado naturale, diventano desueti fino a scomparire completamente dal paesaggio antico. E' in quest'ultimo caso che si opta dunque per una soluzione alternativa, approntando modifiche allo scheletro viario preesistente. E' il caso dell'area rurale nei pressi di Pontedera, tra Latignano e Lavaiano, densamente popolata in piena età imperiale, che già a partire dal III secolo d.C. inizia ad essere abbandonata per l'espansione del lago palustre detto appunto di Lavaiano21. La formazione di ampie aree stagnanti e il progressivo avanzamento della linea di riva causato dall'apporto di materiale detritico è stato un fenomeno diffuso anche in tutta la costa toscana, causato non soltanto dagli stravolgimenti climatici verificatesi nel VI secolo e raccontati da Paolo Diacono, ma soprattutto dall'azione incessante dei fiumi Magra, Serchio, Arno e Ombrone22. Non è dunque un caso che le strade di costa di età romana si mantengano soltanto in quei tratti dove i terreni offrivano più garanzie di stabilità e dove, allo stesso tempo, si concentravano gli interessi dei nuovi centri di potere. Non sono soltanto i fattori climatici ed ambientali, tuttavia, a modificare il paesaggio costiero ma anche le nuove condizioni economiche e politiche. Nel suo studio sugli emporia nord europei sbocciati tra VII e IX secolo, A. Augenti parla delle cause che portarono all'abbandono di alcuni dei principali porti di età tarda antica (Cartagine, Classe, Cesarea, Ostia, Porto e Marsiglia). Lo studioso afferma che l'interramento di questi siti sia conseguenza della mancata manutenzione dovuta ad un drastico calo delle importazioni e alla fine di un sistema economico fortemente condizionato dall'uso delle lunghe rotte marittime. Queste strutture, dunque, smettendo di funzionare, vengono abbandonate e diventano preda di un progressivo interramento e non viceversa23. Anche in Toscana, tra VI e VII secolo, si avvertono le prime avvisaglie di questi radicali cambiamenti, con una selezione del numero degli approdi secondari e una 20 CANTINI 2012, pp. 163-175.

21 PASQUINUCCI, MICUCCI, MORELLI 2001, pp. 241.

22 BINI, CHELLI, PAPPALARDO 2006; MAZZANTI 2001.

(14)

drastica riduzione della circolazione delle merci mediterranee soprattutto nei territori dell'entroterra24.

Per completezza d'informazione, tuttavia, non possiamo attribuire soltanto al dissesto ambientale e alle nuove condizioni del sistema economico, le trasformazioni del paesaggio antico e della viabilità. A partire dal VI secolo, infatti, la Toscana, così come gran parte della penisola italiana, fu colpita da una serie di accadimenti di natura politica e militare che ne segnarono la storia: la guerra greco-gotica tra il 535 e il 553 d.C. prima e poi il protrarsi del lungo conflitto tra longobardi e bizantini, causarono, soprattutto l'abbandono di molti siti rurali e favorirono il successivo processo di militarizzazione del territorio25.

Da un punto di vista squisitamente geomorfologico, dunque, è l'area collinare e pedecollinare alla fine della tarda antichità, a risultare più stabile ed è proprio in questo contesto ambientale che secoli dopo si coagula e si sviluppa nell'entroterra toscano la via Francigena.

Per l'ambiente montano invece la situazione è ancora più difficile da determinare, poiché i versanti della montagna, risultando soggetti ai continui fenomeni dell'erosione, hanno costretto una lunga risistemazione e riorganizzazione della viabilità che copre quasi tutto il periodo preindustriale. Soltanto le aree di passo costituiscono un più stabile punto di raccordo per le strade di alta quota e nodi di transito imprescindibili per lo sviluppo delle comunicazioni. Trattandosi di passaggi obbligati, molti di questi hanno visto una lunga frequentazione fin dalla preistoria e rappresentano senz'altro luoghi privilegiati della ricerca per approfondire i temi della mobilità in alta quota. In conclusione per quanto riguarda la viabilità antica e medievale, il rapporto continuità/discontinuità non risulta eccessivamente sbilanciato dall'una o dall'altra parte ma pare in equilibrio. Anche se non perfetto, comunque in equilibrio. Avremo, tuttavia, modo di approfondire meglio il quadro della viabilità toscana tarda antichità ed alto medioevo nei paragrafi del prossimo capitolo.

Nella storia degli studi sulla viabilità medievale la definizione del concetto di “area di strada” introdotto da G. Sergi, ha segnato un importante cambiamento nell'approccio e nell'impostazione metodologica. Riconoscendo, infatti, alla strada il ruolo di generatore sociale, si pone l'attenzione non al singolo tracciato ma a una specifica porzione di territorio caratterizzato dalla presenza di percorsi con forte valenza attrattiva ed espansiva26. Sebbene l'autore si riferisca nello specifico alle aree montane del settore alpino, il concetto di area di strada riesce a cogliere meglio di altri la complessità del sistema stradale medievale, che potremmo a buon diritto definire come una realtà multiforme e assai più sfuggente dal punto di vista materiale, rispetto alla grande viabilità di età romana. Guardando proprio al caso toscano potremmo citare, come esempi, alcune macroaree che hanno nei secoli amplificato una già naturale predisposizione alle comunicazioni e alla circolazione di uomini e cose: la Lunigiana, la Garfagnana, il Valdarno, le aree di passo dell'Appennino Tosco Emiliano comprese tra Bologna e Firenze e la Val d'Orcia. Con l'aumento 24 CANTINI 2011, p. 169.

25 CITTER 1995, p. 201.

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demografico del X-XI secolo e l'espansione dell'influenza politica (soprattutto nell'Italia centro settentrionale) delle città e delle istituzioni comunali, prende vigore tra XII e XIII secolo una rinnovata politica stradale, definita “rivoluzione” dallo storico T. Szabò. Vengono destinate risorse economiche per la realizzazione di nuovi tracciati stradali e per la manutenzione di quelli già in uso, un fenomeno proporzionale ad un progressivo popolamento del territorio al di fuori delle aree urbane che perdura fino alla metà del XIV secolo. All'interno degli statuti cittadini compaiono specifiche disposizioni in materia di viabilità, fino all'istituzione, già alla fine del XIV secolo, di veri e propri uffici delle strade come nel caso degli “Statuti dei Viari” di Siena27. La strada diventa soprattutto da parte delle città strumento imprescindibile di sviluppo economico su cui impostare un'ordinata e gerarchizzata riorganizzazione del territorio: un caso emblematico è rappresentato delle città di nuova fondazione, come le terre nuove del Valdarno, dove risulta evidente la forza attrattiva della viabilità ed il ruolo che essa ha avuto nelle dinamiche di popolamento del territorio28.

Negli ultimi decenni, in Italia, il dibattito storico e archeologico sulla viabilità medievale è stato dominato dagli studi sulla principale arteria di percorrenza dell'Europa Occidentale: la via Francigena. Sull'onda delle rinnovate politiche per la promozione del turismo escursionistico, sono sbocciati una serie di contributi dedicati all'identificazione di un tracciato storico della strada Romea. Non è un caso, infatti, che gran parte di questi studi abbiano avuto un carattere marcatamente locale e si siano sviluppati sotto l'egida dell'interesse di amministrazioni e di enti che hanno visto nella riscoperta di una antica Francigena una reale possibilità di rilancio turistico, culturale ed economico per il proprio territorio.

Al di là di ogni posteriore interpretazione, non si può negare l'importanza della Francigena come arteria di sviluppo economico per gran parte dei centri posti lungo la sua direttrice: sulla linea di questo percorso, infatti, sono fiorite città come Lucca e Siena ed altre realtà insediative, invece, come il borgo di San Genesio/Vico Wallari, sono sorte proprio in virtù del traffico da essa generato29. Se a livello generale la via Francigena appare come una linea ben marcata che dal Nord Europa, valicando le Alpi, affonda sicura nel bacino del Mediterraneo, in una scala topografica, invece diventa sempre più complesso definirne il tracciato.

La Francigena, infatti, non si è generata in seguito ad una pianificazione unitaria come è stato per le strade consolari di età romana ma si è coagulata nello spazio di tre secoli, attraverso l'uso di percorsi, individuati all'interno di un unico corridoio di transito, utilizzato in parte già in epoche precedenti30. Questo carattere squisitamente duttile e multiforme della Francigena, almeno fino ai secoli centrali del medioevo, ha complicato l'individuazione dei singoli tracciati e soprattutto, in una visione più ampia della ricerca, ha vanificato e spogliato di ogni significato storico i tentativi di ricondurla ad un'unica strada materialmente definibile.

27 SZABÒ 1999, PP. 126-127.

28 ALBERTI, BALDASSARRI, 2004; CIAMPOLTRINI 2004; PIRILLO 2004; FARINELLI, GIORGI 2009.

29 MORELLI 2010.

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E' innegabile, dunque, il fascino che questa ancora eserciti nell'ambito degli studi sulla viabilità antica: la Francigena, infatti, che ha rappresentato per secoli una forza attrattiva e propulsiva per lo sviluppo politico, economico, culturale e religioso di una parte importante del mondo medievale, non ha ancora del tutto svelato il suo enorme potenziale conoscitivo.

(17)

I.2.

L

A RICERCA ARCHEOLOGICA SULLA VIABILITÀ TOSCANA

In un famoso articolo di Mannoni sulla viabilità medievale vengono proposte, sulla base delle esperienze maturate fino a quegli anni, alcune linee guida utili per affrontare il tema delle strade antiche da un punto di vista squisitamente archeologico31.

Non interessa in questa sede la distinzione in tre tipologie della viabilità proposta dall'archeologo genovese, ma l'analisi metodologica e più in generale le intuizioni che di fatto hanno contribuito ad indirizzare gli studi degli anni successivi:

1) la relazione per quanto scontata ma mai adeguatamente approfondita tra strada e mezzi di trasporto: una strada mulattiera infatti non può essere percorsa da un carro sia per la sua caratteristica pendenza sia per l'ampiezza ridotta, una strada carrabile invece può essere senz'altro percorsa da animali da soma, ma presenta caratteristiche specifiche (scarsa pendenza, ampiezza del tratto) per consentire il passaggio dei mezzi su ruota che le impongono in aree collinari e montane un tracciato più articolato e quindi più lungo. Potrebbe inoltre risultare utile, ai fini di una più completa classificazione della viabilità, individuare e studiare le varie tipologie di mezzi di trasporto che hanno solcato i fondi stradali nel tempo e nello spazio32;

2) la necessità di uno studio archeologico puntuale in quei tratti di viabilità, dove toponomastica, presenza di strutture antiche parzialmente conservate, fonti scritte e iconografiche, suggeriscono la presenza di un tracciato antico;

3) l'importanza dell'analisi di tutti i manufatti stradali per la comprensione della funzione di una strada. Rientrano in questa categoria non soltanto i battuti stradali ma anche i muri di contenimento, le soste, i rompitratta, i servizi per il viaggio e tutti quegli elementi materiali ritenuti indispensabili per facilitare lo spostamento attraverso la viabilità terrestre;

4) l'opportunità di un approccio interdisciplinare;

5) la relazione tra strada e caratteristiche geomorfologiche di un territorio e climatiche di un ambiente33.

Sono queste dunque le linee guida tracciate da Mannoni nei suoi preziosissimi contributi sulla viabilità medievale. Bisogna tuttavia riconoscere che l'analisi delle strade di terra negli anni in cui Mannoni portava alla ribalta questo tema, era principalmente materia di articoli specifici o paragrafo di approfondimento all'interno di pubblicazioni archeologiche di carattere generale.

Nel 1992 esce un volume che raccoglie gli atti del convegno tenutosi a Fiorenzuola – San Benedetto Val di Sambro nel 1989, completamente dedicato alla viabilità terrestre di area montana tra Bologna e Firenze, in cui oltre ad un approccio di tipo storico ed archeologico inizia a farsi strada una visione più ampia che potremmo definire “territoriale”, che ritroveremo quasi dieci anni 31 MANNONI 1983.

32 MANNONI 2004.

(18)

più tardi, in una pubblicazione curata da Stella Patitucci Uggeri, sulla situazione degli studi archeologici sulla viabilità medievale in Italia. E', infatti, l'archeologia dei paesaggi ad animare in quegli anni il dibattito sulla viabilità antica.

Rimanendo invece in ambito toscano potremmo senz'altro citare gli studi di Giulio Ciampoltrini su Lucca e la Garfagnana e un interessante volume curato dallo stesso autore insieme a Monica Baldassarri sull'archeologia delle strade nel Basso Valdarno edito nel 2007, in cui si raccolgono i dati evinti dalle ricerche di Università, Soprintendenze e gruppi di volontariato archeologico che operarono in quell'area34.

Dobbiamo, tuttavia, all'ISCUM le prime indagini archeologiche su tratti di viabilità antica nei territori rurali della Lunigiana e della Garfagnana. Dalle esperienze delle ricerche nei siti di Zignago e di Filattiera nasce l' idea di un' “archeologia globale”, intesa come archeologia del territorio nella quale, attraverso l'impiego di metodologie duttili, non dovevano essere privilegiati siti, specifici ambiti cronologici o altre particolari tematiche35. In questo contesto di studio (che non ha avuto un largo seguito negli anni successivi) hanno trovato spazio le ricerche sulla via Regia presso Genicciola e la via di Reggio da Luni a Reggio Emilia.

Fabio Fabiani ha invece pubblicato nel corso del 2006 uno studio sulla viabilità romana nel tratto compreso tra Pisa e Luni, sviluppatosi da una ricerca sul paesaggio agrario versiliese in età antica. Dall'analisi della documentazione archeologica, archivistica e toponomastica viene ricostruito il percorso di una strada costiera che collegava nel periodo romano i due centri e il suo complesso sistema di connessione con le aree dell'entroterra36.

Come già accennato nel precedente paragrafo, gli studi sulla Francigena in questi ultimi due decenni, sono stati molto prolifici. All'inizio di questa fortunata stagione di ricerche ha però prevalso, come impronta metodologica generale, un'impostazione storica ed economica. Una sterminata bibliografia, composta da contributi di carattere generale e da altri di stampo marcatamente locale. All'interno di questa letteratura meritano una menzione particolare gli studi di Renato Stopani, il quale ha dedicato molto della sua ricerca per comprendere i processi di formazione e di sviluppo della principale arteria di collegamento del medioevo.

Nel contesto del dibattito storico archeologico sulle strade francigene sono state rilevanti senz'altro le ricerche di Andrea Vanni Desideri sulla viabilità medievale nel territorio fucecchiese. Lo studioso, infatti, oltre aver condotto alcuni scavi archeologici su un selciato in località Galleno noto tradizionalmente come “via Francigena” e su di un altro in località San Pierino, si è ampiamente occupato (sempre in riferimento al territorio di Fucecchio) del tema legato alla continuità e alla discontinuità dell'uso di questa importante direttrice di collegamento nei secoli compresi tra alto medioevo ed età moderna37.

Spostandoci ancora verso sud non possiamo invece non citare gli studi sulla viabilità romana e medievale, condotti da Carlo Citter nella provincia di 34 BALDASSARRI, CIAMPOLTRINI 2007.

35 MANNONI, CABONA, FERRANDO 1988, pp. 43-58.

36 FABIANI, 2006.

(19)

Grosseto nell'ambito di un vasto progetto di archeologia preventiva e di archeologia dei paesaggi38. Si tratta di una ricerca che ha interessato tutto il territorio della bassa valle dell'Ombrone e si è occupata della identificazione del sistema viario tirrenico di età romana tra Roma e Pisa (con particolare attenzione al tratto grossetano) e della sua evoluzione nei secoli successivi, fino alla formazione della maglia stradale di età medievale. I dati acquisiti, rielaborati all'interno di una base GIS, hanno messo in luce la presenza di più arterie e una situazione insediativa, per i secoli centrali del medioevo, ancora connessa con lo schema della viabilità antica.

Per quanto invece riguarda la viabilità di area montana è fondamentale il lavoro edito da Quiros Castillo nel 2010 in cui sono stati riassunti i risultati delle campagne di scavo dell'ospitale di Tea, tra Alpi Apuane e catena appenninica, dove troviamo proposte interessanti per lo studio delle strade in alta quota. Pur non soffermandosi, infatti, sull'aspetto tecnologico del dato materiale, Castillo analizza l'importanza delle relazioni tra poteri territoriali e strutture viarie per l'evoluzione della viabilità e riprendendo in parte i contributi di Mannoni, si cimenta nella definizione di sistema stradale attraverso l'individuazione di una serie di elementi materiali diagnostici integrati nel paesaggio39.

Sempre restando nell'ambito delle strade di montagna è possibile citare un progetto del 2008 dell'Università di Pisa e del Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano, sullo studio della viabilità medievale tra Luni e Canossa, che ha interessato un'ampia porzione di territorio dell'Appennino compreso tra i comuni di Fivizzano (MS) e Collagna (RE). Le ricognizioni oltre ad aver individuato ampi tratti di viabilità preindustriale compresi tra i due versanti, hanno portato al rinvenimento dell'antico ospitale di San Lorenzo in Centocroci sul Passo dell'Ospedalaccio, oggetto dal 2010 di una serie di campagne di scavo protrattesi fino al 201540.

38 CITTER, ARNOLDUS-HUYZENDVELD 2007.

39 CASTILLOS 2010.

(20)

I.3. LE STRADE NEL DIBATTITO ARCHEOLOGICO

Gli studi sulla viabilità medievale, prima del contributo dell'archeologia, si fondavano sostanzialmente su approcci di tipo storico, economico e giuridico, risultando fortemente condizionati dall'uso quasi esclusivo delle fonti scritte41. Con l'affermazione dell'archeologia stratigrafica, oltre ad un sensibile incremento dei dati, è stato possibile cambiare anche l'approccio metodologico. Vengono, infatti, introdotti, all'interno del dibattito punti di vista caratteristici di altri settori disciplinari: la topografia, l'antropologia, la geografia, la cartografia e l'archeometria diventano contributi imprescindibili per l'archeologo che si accinge a studiare la viabilità antica.

Questa nell'ambito della ricerca archeologica è stata oggetto di grande interesse soprattutto a partire dai primi anni '70 del secolo scorso. Proprio da quel periodo, infatti, sono state diverse le “archeologie” che hanno affrontato il tema delle strade, ognuna secondo i propri obbiettivi e nel proprio campo di competenze.

Da un approccio squisitamente metodologico potremmo intanto distinguere due grandi contenitori: le archeologie di corta e di lunga cronologia.

Nelle prime troviamo quegli ambiti della ricerca che prediligono lo studio di determinati periodi storici come l'archeologia preistorica, classica, medievale e post medievale. Nelle seconde invece possiamo citare quelle archeologie, che studiando la formazione dei processi (intesi come susseguirsi di fenomeni all'interno di un contesto unitario), possono mettere in evidenza i sistemi della viabilità antica senza limitarsi alla visuale di un'unica finestra cronologica. Tra queste potremmo citare su tutte l'archeologia dei paesaggi, l'archeologia urbana, l'archeologia delle strade e l'archeologia della mobilità.

Per le archeologie di corta cronologia, nell'ambito della presente trattazione, meritano una menzione gli studi sulla viabilità maturati in seno all'archeologia romana e a quella medievale. Il sistema stradale romano, dall'età repubblicana alla tarda età imperiale, infatti, è stato oggetto di approfondite indagini archeologiche su tutto il territorio nazionale42. Più giovani, invece, ma altrettanto autorevoli ed importanti, sono gli studi sulla viabilità medievale che hanno iniziato a farsi largo nella seconda metà del secolo scorso, di cui si è già data una breve descrizione nei precedenti paragrafi.

Tra le archeologie di lunga cronologia è stata l'archeologia dei paesaggi, a partire dagli anni '90 del secolo scorso, ad inserire il tema della viabilità all'interno delle ricerche sulla formazione del paesaggio, prediligendo come principale strumento di analisi quel metodo regressivo già sperimentato dallo storico Marc Bloch per lo studio della storia rurale francese43.

41 CASTILLO QUIROS 2001.

42 La bibliografia sulle strade romane è molto vasta e copre un'arco temporale di studi di circa quattro secoli. Di seguito riportiamo soltanto una minima parte di questa voluminosa letteratura; ANGOT 1894; BASSO 2007; BERGIER 1622; BORELLI 1883; COARELLI 1988; DE BON

1938; FABIANI 2006; GIOVANNONI 1925; LAURENCE 1999; LUGLI 1935; MARINUCCI 1998; OOTEGHEM

1949; QUILICI 1991; QUILICI, QUILICI GIGLI 1999; QUILICI 2004; ROMANELLI 1953; STACCIOLI 2003;

STRADE 2004; STEREPOS 1969; UGGERI 1990.

(21)

Questo tipo di studi generalmente non si focalizza sul singolo tratto di strada ma sull'individuazione di linee di percorso rintracciabili in un determinato spazio geografico, che rappresenta di fatto l'oggetto specifico della ricerca. Per quanto riguarda la procedura d'indagine dell'archeologia dei paesaggi, possiamo semplicemente affermare, usando le parole di F. Cambi, che questa è data dall'impiego di fonti e di strumenti d'indagine diversi44. All'interno di questo ambito della ricerca, però, le ricognizioni di superficie diventano uno strumento fondamentale per la comprensione globale della formazione del paesaggio antico45. L'identificazione del singolo segmento di strada e le sue caratteristiche materiali molto spesso passano in secondo piano per privilegiare, invece, in una più ampia analisi spaziale, l'evoluzione del fenomeno generale.

Un'altra archeologia che studia la stratificazione di paesaggi antichi è l'archeologia urbana, che ebbe un grande sviluppo in Italia alla fine degli anni '70 del secolo scorso con gli scavi di Genova, Roma, Brescia, Verona e Milano46. Questa si è occupata anche della viabilità dei centri cittadini in relazione ai processi di stratificazione delle aree urbane. In Toscana gli scavi di città come Lucca, Pisa e Grosseto hanno messo in luce una situazione abbastanza particolareggiata sullo stato della viabilità medievale interna ai perimetri urbani. Ne sono state un esempio, nella metà degli anni '90, le esperienze di scavo nella Toscana centro settentrionale, in occasione delle quali è stato possibile, partendo da un'analisi tecnologica dei manufatti stradali e delle piazze cittadine, ricostruire non solo la struttura materiale della viabilità antica, ma anche gli sviluppi della topografia urbana e le dinamiche di formazione di un insediamento47.

E' proprio negli anni in cui Giuseppe Sergi postulava il paradigma di area di strada che nasce l'archeologia delle strade. All'interno del dibattito storiografico, infatti si riconosceva alla viabilità la funzione di generatore sociale ed economico, non stupisce dunque che sull'onda di questa nuova stagione di studi anche l'archeologia, tutta presa dalla discussione tra processualismo e postprocessualismo, abbia provato ad esprimere un suo contributo. Come in parte già descritto nell'introduzione di questa tesi, fu Tiziano Mannoni, prima con i suoi studi sull'archeologia globale nella Liguria di levante e nella Lunigiana e poi con la pubblicazione di articoli unicamente dedicati alla definizione di una metodologia per l'indagine delle strade medievali, a delineare i contorni di un ambito d'indagine, che più tardi Aurora Cagnana definirà come “ramo autonomo della ricerca”48.

Nasce così l'archeologia delle strade che ha rappresentato per diversi archeologi medievisti italiani, un fertile terreno di confronto verso cui indirizzare la ricerca della viabilità. Questa non può più essere condotta senza un'analisi puntuale di tutti quegli elementi presenti nel paesaggio riconducibili alla strada stessa e che nell'insieme determinano quello che gli storici 44 CAMBI 2009, pp. 349-350.

45 CAMBI, TERRENATO 2002.

46 FRANCOVICH, MANACORDA 2001, pp. 350-351.

47 BALDASSARRI, CIAMPOLTRINI 2007.

(22)

dell'urbanistica definiscono come paesaggio stradale49.

Che l'archeologia delle strade resti ancora di grande attualità nel mondo dell'archeologia italiana, lo dimostra la scelta di titolo di un contributo di recente pubblicazione sulla viabilità medievale del Lazio: Archeologia delle

strade. La viabilità in età medievale. Metodologie ed esempi a confronto50. Secondo il mio modesto parere tuttavia c'è un limite di base celato già nell'accezione stessa. Il termine archeologia delle strade, infatti, tradisce un' impostazione principalmente materialista dell'analisi del manufatto stradale, che entra in contraddizione anche con i suoi stessi contenuti. Da un lato si enfatizza la necessità di inserire la strada all'interno di un sistema complesso di elementi in stretta relazione tra loro, dall'altro si impiega una definizione che pare isolarla dal contesto territoriale, concentrandosi di più sulla sua fenomenologia materiale. Negli ultimi anni inoltre troppo facilmente sono fiorite archeologie che hanno acceso i riflettori su specifici interessi di ricerca, restringendo il campo su piccoli segmenti di storia sganciati gli uni dagli altri a discapito di un approccio più contestuale.

Potrebbe dunque risultare utile ai fini di questa trattazione, prendere in esame alcune considerazioni scaturite dal dibattito sulla mobilità che da diversi anni sta interessando gli ambienti accademici americani ed anglosassoni, per mettere a disposizione della presente discussione ulteriori spunti di riflessione e puntuali strumenti di analisi.

49 CILLIS 2009.

(23)

I.4

A

RCHAEOLOGY AND

M

OBILITY

I.4.1 Il concetto di Mobilità tra antropologia, scienze sociali ed

archeologia

Il termine mobilità ha trovato larga diffusione in diversi settori del sapere scientifico ed umanistico, proprio per la sua duttilità e capienza di significati. Si parla, infatti, di mobilità articolare, di mobilità molecolare, di mobilità professionale, di mobilità del lavoro, di mobilità elettrica, di mobilità sostenibile e di mobilità sociale.

Solo recentemente l'archeologia ha iniziato a dare rilevanza a questo tema, grazie al contributo delle scuole americane e anglosassoni largamente influenzate dall'antropologia e dalle scienze sociali.

Pur essendo il dibattito sulla mobilità, nell'ambito di queste discipline, molto vivace e partecipato, ci soffermeremo, però, soltanto sull'introduzione del new

mobilities paradigm e su alcuni temi ad esso collegati che più strettamente

interessano le scienze archeologiche e che possono concorrere alla definizione di un'archeologia della mobilità.

Con mobilità si intende il movimento fluido di individui, gruppi, idee, informazioni e manufatti all'interno di uno spazio geografico, sociale e culturale. In un articolo pubblicato nel 2006, intitolato “the new mobilities paradigm”, vengono delineate le caratteristiche del concetto di mobilità, inteso come un ambito della ricerca con spiccata vocazione interdisciplinare e messe in luce le innovazioni derivanti dall'assunzione di questo principio all'interno delle scienze sociali51.

La mobilità, infatti, nasce in contrapposizione alle idee di sedentarismo, di nomadismo e di territorializzazione, consolidatesi in diversi settori della ricerca geografica, sociologica e antropologica, che avrebbero contribuito ad alimentare dei modelli statici nella definizione degli spostamenti umani. Ecco, dunque, l'introduzione di terminologie come flow e fluidity per rappresentare la natura del movimento o la rielaborazione del concetto stesso di places, intesi non più come punti fissi e inamovibili ma come luoghi di spostamento e di connessione che possono, al pari di una nave, spostarsi all'interno di uno spazio fisico ben più vasto. Il movimento, dunque, diventa una condizione necessaria per l'essere umano che si manifesta in tutte le sfere della sua esistenza52. Limitarsi, però, a riconoscere alla mobilità un ruolo centrale nella storia dell'uomo e della cultura materiale senza comprenderne i meccanismi e le dinamiche che l'hanno generata, significa limitarci a relegarla alla funzione di una semplice black box, di cui resteranno sempre nascosti i meccanismi interni.

Da un punto di vista squisitamente archeologico, la completa acquisizione del concetto di mobilità, così come si sta delineando all'interno del dibattito scientifico, pone delle questioni di ordine epistemologico e ontologico.53

51 SCHELLER-URRY 2006.

52 SCHELLER-URRY 2006 pp. 212-214.

(24)

Un esempio emblematico è rappresentato dall'idea di sito e dal rapporto

people/places che da questo scaturisce. All'interno della discussione sulla

mobilità, infatti, il sito diventa un nodo di connessione all'interno di un reticolo fatto di innumerevoli spostamenti materiali e immateriali. I confini, perciò, risultano difficilmente definibili o in un'ottica più dinamica delle relazioni umane, diventano, laddove se ne riscontrano, “mobili”54. Trattandosi dunque di una forma fluida di occupazione del territorio, il sito diventa un soggetto che instaura con gli individui continui rapporti di scambio.

Secondo questo assunto, dunque, anche i concetti come paesaggio, stato e identità escono da una visione spiccatamente territorialista per inserirsi in un sistema di pensiero più allargato.

La vastità dell'argomento e le sue potenzialità informative pongono, però, non pochi problemi di natura interpretativa legati alla possibile elaborazione di molteplici modelli del passato. Una questione che, secondo alcuni, riguarda più in generale anche la scuola di pensiero post-processualista55.

Lo studio delle mobilità tuttavia si sta configurando come una disciplina a tutti gli effetti, continuamente alimentata dall'apporto di elementi pratici e teorici, provenienti da ambiti diversi della ricerca. Proprio per questo suo carattere squisitamente interdisciplinare, per la rilevanza del tema trattato e per l'estensione del dibattito che sta coinvolgendo specialisti di tutto il mondo, questa “nuova disciplina” sarà in grado di acquisire tutti quegli strumenti che le permetteranno di puntellare una struttura di pensiero già solida e ben definita. Alla luce di quanto appena detto, dunque, ci si auspica che l'archeologia, in Italia, entri con più convinzione nella discussione sulla mobilità, non soltanto per appropriarsi di ulteriori strumenti di analisi, ma soprattutto per allargare gli orizzonti di una vasta ricerca (quella sulla mobilità) che altrimenti risulterebbe manchevole di un autorevole punto di vista. L'archeologia più di qualunque altra disciplina, infatti, è in grado, attraverso l'analisi della materialità del movimento, di comprendere l'evoluzione del processo storico di questo importante fenomeno che fin dai primordi ha caratterizzato l'esistenza umana. Come prendono forma le dinamiche di movimento all'interno di uno spazio fisico o astratto, infatti, non è soltanto rivelatore di abitudini, comportamenti e credenze di individui o di gruppi, ma anche indizio di radicali cambiamenti. Non è un caso, infatti, che nella sua monumentale analisi storica sull'età di transizione McCormick, si ritrovi ad individuare come indicatori di cambiamento diversi aspetti che interessano la mobilità: la diffusione del trasporto su mulo, l'impiego di una navigazione di cabotaggio, la maggiore o minore circolazione di alcuni manufatti rispetto ad altri e il movimento generato da gruppi o individui che hanno viaggiato nei secoli compresi tra tarda antichità e alto medioevo.56

54 LEARY 2014, pp. 4-7.

55 VALENTI 2012.

(25)

I.4.2. Una proposta di studio. Le strade nell'archeologia della

mobilità

Pur rimanendo nell'ambito di una discussione di archeologia della mobilità è giunto il momento di introdurre i temi che più specificatamente interessano questa tesi.

Le strade, infatti, sono luoghi predisposti dall'uomo per facilitare il movimento lineare all'interno di uno spazio geografico. Prendendo in prestito una terminologia geometrica, potremmo definirle come “linee” di connessione su cui si innesta la struttura del paesaggio. Le strade di terra tuttavia non sono gli unici luoghi della mobilità predisposti dall'uomo per facilitare gli spostamenti. Possono, infatti, ritenersi tali anche i porti, i ponti, i guadi, le strutture di servizio e di ospitalità e alcuni mezzi di trasporto come le navi. Spingendoci ancora oltre potremmo definire anche i fiumi e i mari come luoghi della mobilità, con particolare riferimento a quella porzione di acque dove l'uomo, attraverso l'esperienza, ha saputo disegnare rotte su cui sviluppare le tecniche della navigazione.

Se l'obbiettivo di questa tesi fosse quello di abbozzare i contorni generali di una storia materiale della mobilità in un dato tempo e luogo, non potremmo prendere in esame soltanto i dati che interessano le vie di terra e di acqua. Le strade infatti sono soltanto uno degli indicatori materiali per la ricostruzione di una mobilità geografica.

Potremmo infatti citare oltre alle strade, tutti gli altri luoghi della mobilità, i manufatti e l'analisi della loro distribuzione nello spazio, i mezzi di trasporto e non ultimo il corpo umano che rappresenta un indicatore di movimento di primaria importanza57.

Tipologie di strade diverse, però, possono generare dinamiche di mobilità differenti. Una mulattiera di alta montagna, una carrabile di fondovalle o una via di lizza, infatti, presuppongono distinte strategie e tattiche di movimento, che possono essere in parte rilevate anche da un'attenta analisi della loro materialità. Fondo, pendenza e ampiezza, ad esempio, possono determinare particolari scelte di carico o l'impiego di opportuni mezzi di trasporto rispetto ad altri58, così come diverse sono le forme di stress psico-fisico al quale viene sottoposto il corpo umano quando si affrontano tratti di strada che presentano pendenze diverse, oppure che hanno frequente o scarsa esposizione ai fenomeni atmosferici.

Una via di lizza, ad esempio, ne è un caso emblematico: si tratta, infatti, di una tipologia di strada (l'unica concepita per consentire un solo senso di marcia), che presenta particolari caratteristiche tecniche legate ad un uso prettamente specialistico che ha comportato l'attuazione di forme di mobilità altrettanto uniche59.

L'importanza di comprendere, attraverso l'analisi degli aspetti materiali della viabilità, quali fossero e come si determinassero nei fatti le strategie di percorrenza, può risultare estremamente utile soprattutto in prospettiva di una 57 ALDRED 2014b, pp. 22-25.

58 MANNONI 2009, pp. 61-63.

(26)

ben più ampia riflessione sulla storia delle comunicazioni e delle relazioni economiche.

La ricostruzione di una parte della storia del movimento attraverso i luoghi della mobilità deve, quindi, necessariamente confrontarsi con la discussione del dato materiale: capire, infatti, com'era una strada e riuscire a decodificare le tracce che lo spostamento ha generato su di essa, è la condizione necessaria per impostare una riflessione “archeologica” sullo stato della mobilità antica. Vi è inoltre un altro tema che, partendo dallo studio del sistema stradale, potrebbe interessare il dibattito sull'archeologia della mobilità: il rapporto di influenze tra mobilità differenti. Sulle strade, ad esempio, il moto fisico può determinare altri generi di movimento: è il caso, ad esempio, di corrieri, soldati, pastori, mercanti e pellegrini, i quali, attraverso una mobilità geografica o spaziale, possono generare spostamenti anche all'interno di una struttura sociale. Allo stesso modo maestranze specializzate itineranti, viaggiando, possono diffondere uno specifico sapere tecnico mettendo in atto così non soltanto una mobilità del lavoro, ma anche una mobilità delle idee. Non è un caso, dunque, che proprio nello studio della mobilità spaziale, le scienze sociali tendono a parlare di mobilities e non di mobility, per indicare la vastità di un processo caratterizzato dall'intreccio di una pluralità di fenomeni60.

In conclusione questa breve digressione vuole suggerire quanto il tema della viabilità può assumere connotati decisamente più ampi se inserito all'interno di un approccio contestuale, come quello che contraddistingue la ricerca sulla mobilità: questo, infatti, abbraccia diversi interessi della ricerca storica, archeologica, antropologica, geografica, sociologica, tecnologica, e scientifica. A un archeologo può non interessare dipanare tutte le trame di questa fitta discussione, ma senz'altro può risultargli utile focalizzare l'attenzione su alcuni elementi messi in evidenza da altre discipline, a seconda degli obbiettivi e degli interessi di progetto, per acquisire ulteriori strumenti di analisi e allargare gli orizzonti d'indagine.

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CAPITOLO II

DALLA MATERIALITA' DELLA STRADA ALLE FORME DELLA

MOBILITA'

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