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Costi della regolamentazione europea per l’economia britannica.

3.2 Alcuni dati quantitativi

2.3.3 Costi della regolamentazione europea per l’economia britannica.

Nel corso degli anni sono stati svolti una serie di tentativi, volti a stimare l’impatto dei costi di regolamentazione derivanti dall'appartenenza all’Unione Europea per l’economia britannica.

Per citarne uno, ad esempio, nel marzo del 2015, Open Europe62 ha stimato quale

fosse il costo per l’economia britannica delle 100 regole più onerose dell’UE, costo che è stato quantificato a circa 33.3 miliardi di sterline annue. Open Europe ha inoltre affermato che i vantaggi di questi regolamenti, stimati in valutazioni di impatto da parte del governo inglese, pari a 58,6 miliardi di sterline all’anno, fossero eccessivamente sopravalutati.

Commentando queste cifre, il Comitato del Tesoro inglese ha dichiarato:

“£ 33.3bn, o £ 600m per settimana, è una stima del costo totale che le imprese sostengono per rispettare le 100 regole più gravose della UE. Non è ne il costo economico netto di regolamentazione, ne è una misura dei risparmi che potrebbero accedere alle imprese a seguito della Brexit. Affermare questo è fuorviante.”63

Nel novembre del 2013 il CBI64 ha pubblicato una relazione basata sull’adesione

del Regno Unito all’UE. Andando ad analizzare sinteticamente la parte inerente al tema della regolamentazione all’interno dell’unione, si può evincere quanto segue: è chiaro che il commercio all’interno di un qualsiasi mercato unico ha bisogno di regole comunemente concordate, in modo da consentire il pieno accesso al mercato a condizioni eque per tutti i partecipanti. La rimozione delle 62 Open Europe Today è un organizzazione indipendente per un'analisi in tempo reale su ciò che avviene dopo il referendum dell'UE nel Regno Unito.

63 https://www.gov.uk/government/organisations/hm-treasury

64 Il CBI è la prima organizzazione delle aziende del Regno Unito, che fornisce una voce per le imprese a livello regionale, nazionale e internazionale.

normative riguardanti le barriere non tariffarie è una delle caratteristiche più importanti del mercato unico europeo, inoltre la capacità del Regno Unito di influenzare e migliorare tali regole ha aumentato notevolmente la possibilità delle imprese britanniche di competere e distinguersi all’interno di tale mercato. Le norme europee competitive e rispettate possono anche aprire nuovi mercati alle imprese del Regno Unito senza dover duplicare gli standard di regolamentazione come spesso accade per altre regioni che progettano le proprie norme sui parametri di riferimento dell’unione. Nonostante le “frustrazioni”, oltre la metà delle imprese appartenenti al CBI (52%) affermano di aver beneficiato direttamente dell'introduzione di standard comuni, con solo il 15% che suggerisce che ciò avesse un impatto negativo. Tuttavia è necessario sottolineare che su particolari temi, le norme dettate dall’Unione Europea risultano elaborate e costose, sia in termini di recepimento che di implementazione e rappresentano un problema rilevante per le imprese; infatti da un indagine svolta dallo stesso CBI è emerso che il 52% delle imprese britanniche sostiene che se il Regno Unito dovesse lasciare l’UE, l’onere complessivo legato alla regolamentazione sul loro business diminuirebbe in maniera significativa. Un area in cui le imprese britanniche sono particolarmente colpite da questa regolamentazione riguarda il mercato del lavoro, evidenziato da tali imprese come uno degli aspetti più negativi e stringenti legati all’appartenenza all’Unione.

La stima dell'impatto complessivo in termini quantitativi dell'adesione all'UE sull'economia britannica, in termini positivi o negativi, è un esercizio difficile. Questo perché molti dei costi e dei benefici sono sostanzialmente soggettivi o immateriali; inoltre è necessario porre in essere una serie di ipotesi semplificartici per poter raggiungere tale stima. Se il Regno Unito dovesse lasciare l’UE, si dovrebbero porre in essere ipotesi circa i termini in cui ciò sarebbe fatto e come inoltre il governo riempirebbe il vuoto politico lasciato nelle aree in cui l’UE ha attualmente competenza. Se il Regno Unito invece dovesse rimanere all’interno dell’Unione, dovrebbero essere assunte delle ipotesi su come

l'UE possa svilupparsi in futuro.

Le stime dei costi e dei benefici dell'adesione all'UE sono probabilmente molto sensibili a tali ipotesi. Nonostante le criticità appena evidenziate, un certo numero di organismi ha tentato un’analisi economica circa i costi-benefici derivanti dall’adesione del Regno Unito all’Unione Europea. La tabella 2.7 riassume alcuni di questi studi.

Tab.2.7 Recenti stime sul PIL britannico a seguito della Brexit65.

La maggior parte di questi studi sostiene che l'alternativa migliore è quella di rimanere all’interno dell’UE, e inoltre ritengono che la Brexit possa diminuire l’apertura del Regno Unito al commercio con l’Unione Europea, provocando una connessa riduzione degli investimenti e della produttività delle imprese britanniche. La questione fondamentale è la misura in cui questi effetti negativi sono compensati dal maggiore grado di apertura del Regno Unito a scambi verso il resto del mondo, dai maggiori guadagni in termini di deregolamentazione, ed infine dalla riduzione dei contributi al bilancio dell’UE.

65 Treasury Committee, The economic and financial costs and benefits of the UK’s EU membership, HC 122, 27 May 2016, p19

Quello che emerge sinteticamente quindi da questi studi è che la Brexit potrebbe avere un impatto netto negativo nel lungo periodo in quanto i costi relativi alla caduta del commercio supereranno i guadagni nelle altre aree, anche se la dimensione di tale impatto sull’economia varia molto a seconda dello studio al quale si fa riferimento. Tuttavia coloro, i quali invece sono a favore dell’uscita del Regno Unito dall’unione sostengono che questi studi sono eccessivamente pessimistici o addirittura irreali circa il possibile andamento dell’economia britannica al di fuori dell’unione. L’istituto per gli studi fiscali (IFS), ha confrontato un certo numero di studi effettuati recentemente ed ha riassunto i risultati ottenuti nella tabella 3.1 che sarà analizzata nel prossimo capitolo. La maggior parte di questi effettivamente dimostra che la Brexit avrebbe un effetto negativo di lungo periodo sul PIL.

Per concludere si può affermare che vi è un consenso molto ampio tra coloro che hanno effettuato valutazioni simili circa le possibili conseguenze derivanti dalla Brexit, infatti tutti gli studi mostrano come il PIL subirebbe notevoli riduzioni sia nel breve che nel lungo periodo. Osservando i vari studi, il PIL britannico si potrebbe , in base a tali stime, ridurre da un minimo del 0.8% ad un massimo del 7.9%.

Sostanzialmente le ragioni economiche a sostegno di tali tesi sono le seguenti:  L’aumento delle incertezze.

 Maggiori costi legati al commercio.

 La riduzione degli investimenti diretti esteri (FDI).  Perdita di competitività delle imprese britanniche.

L’unica eccezione significativa a tali consensi è quella che deriva dallo studio posto in essere da “Economists for Brexit” che non solo non confermano l’impatto negativo sul PIL bensì sostengono che l’uscita dall’unione procurerà un incremento di quest’ultimo in misura del 4% circa.

Capitolo 3