2.2 Mercato unico europeo
2.2.1 Libera circolazione delle merci.
Una delle quattro libertà fondamentali stabilite dall’ordinamento giuridico dell’unione europea si sostanzia nel divieto di imposizione di dazi doganali sia alle esportazioni che alle importazioni, o di una qualsiasi altra tassa con effetto equivalente sul commercio, creando di fatto quella che viene comunemente definita un Unione doganale ( Unione Europea 1957), che consiste in area dove appunto vi è assenza di dazi, o altri tipi di barriere commerciali; in aggiunta a ciò viene stabilita una più solida armonizzazione delle politiche commerciali, come ad esempio l’imposizione di aliquote tariffarie comuni nei confronti del resto del mondo. Questa si differenzia notevolmente da un area di libero scambio in quanto quest’ultima tipologia di integrazione economica prevede il mantenimento per i singoli paesi delle varie barriere commerciali nei confronti dei paesi non-membri. Tuttavia nel 1993 l’Unione ha raggiunto un’integrazione ancora più stringente passando appunto alla realizzazione del mercato comune, che va oltre l’unione doganale in quanto consente il libero movimento di lavoro e capitale tra gli stati membri.
Il processo di liberalizzazione della circolazione delle merci è avvenuto mediante interventi specifici volti alla:
Soppressione delle restrizioni quantitative o contingentamenti, che si sostanziano in una serie di misure di natura non tariffaria con le quali un paese può porre un divieto parziale o totale all’esportazione o all’importazione di un determinato prodotto. In realtà, il divieto di restrizioni quantitative ha però cominciato a dispiegare la propria efficacia a partire dal 1° gennaio 1970; durante la fase di pendenza si è provveduto al progressivo smantellamento di ogni misura che limitasse le importazioni e le esportazioni, imponendo a tal fine agli Stati membri l’obbligo di astenersi dall’introdurne di nuove o di aggravare quelle esistenti. 32 Tale divieto ad oggi è stato rispettato dai vari paesi quindi è
possibile affermare che tali misure di restrizione del commercio non siano più presenti.
Eliminazione di tutte le barriere non tariffarie, ossia di tutte le così dette regolamentazioni di tipo non fiscale del commercio estero il cui obiettivo principale è quello di limitare la circolazione delle merci, nello specifico, quello di andare a contenere le importazioni33. Le barriere non tariffarie,
delle quali è prevista l’abolizione, possono essere raggruppate in tre sotto- categorie nella quali abbiamo rispettivamente: le barriere fisiche, le barriere tecniche e le barriere fiscali. La loro rimozione permetterà, grazie ad un più intenso e pronto sfruttamento delle economie di scala, di ottenere considerevoli riduzioni sia nei costi di produzione, che, nei prezzi finali di vendita all’interno del mercato unico europeo, a tutto beneficio dei consumatori e dei produttori europei, i quali vedranno accrescere la competitività internazionale dell’industria europea.
32 https://europa.eu/european-union/index_en
Le barriere fisiche che sono rappresentate dalle formalità amministrative e dalle dogane. La loro presenza si traduce in un notevole aggravio di costi conseguente all’espletamento delle procedure burocratiche necessarie per il loro superamento, che provoca un incremento dei prezzi finali di vendita. L’introduzione del mercato unico e la loro successiva eliminazione ha portato comunque a numerosi vantaggi, in termini temporali relativi ad una maggiore velocità del tempo necessario all’attraversamento della frontiera e ad una notevole riduzione dei costi burocratici reso possibile dall’introduzione del DAU (Documento Amministrativo Unico) che ha permesso di ridurre di circa 85% le varie procedure burocratiche allora in vigore. Inoltre un importante passo in avanti è stato compiuto anche sui controlli di frontiera sulle persone, infatti nel 1985 è stato introdotto il “Trattato di Schengen” che ha portato al compimento di una zona di libera circolazione denominata spazio Schengen, all’interno della quale i controlli riguardanti le persone alle frontiere risultano del tutto aboliti per quei soggetti provenienti da stati aderenti a tale trattato.
Le Barriere tecniche: nonostante il trattato di Roma nel 1968 abbia consentito la completa eliminazione delle restrizioni quantitative, è risultato più difficile intervenire su quei comportamenti posti in essere dai singoli paesi membri che vanno ad intaccare indirettamente il commercio intra-comunitario, infatti tramite tali comportamenti i singoli paesi possono in maniera non esplicita e indiretta andare a limitare le importazioni rendendole più costose e di difficile implementazione, un classico esempio di tali metodologie può essere l’introduzione di norme relative agli standard tecnici di sicurezza, sanità e difesa del consumatore. Con barriere tecniche si identifica il comportamento dei singoli governi nazionali volto a limitare tramite differenti regolamentazioni e standard le importazioni dagli altri paesi, di fatto quest'ultimi costituiscono un vero e
proprio strumento protezionistico. È da considerare inoltre che la tentazione di utilizzo di tali misure protezionistiche per assicurare una maggiore tutela verso le imprese e verso il proprio mercato, aumenta proprio in periodi caratterizzati da maggiori difficoltà strutturali in determinati settori e dal conseguente aumento del tasso di disoccupazione. L’utilizzo di tali strumenti difatti comporta per quegli stati, che intendono commerciare con il paese promotore di tale comportamento, una modifica della loro produzione in funzione dello standard locale richiesto dalla normativa di quel paese, questa situazione porta maggiori costi produttivi e maggiori prezzi di vendita, creando conseguentemente una perdita di competitività internazionale delle imprese comunitarie rispetto a quelle extra-comunitarie. In ambito europeo, per la loro rapida rimozione, al principio di armonizzazione è stato affiancato il principio del mutuo riconoscimento attraverso l’Atto Unico Europeo. In sede World Trade Organization (WTO), è stato adottato un accordo specifico sulle TBT34,
per evitare che tali strumenti costituiscano inutili ostacoli al commercio. Questo accordo consiste nell’evitare che le regole e le norme tecniche, così come le procedure di certificazione e di prova, possano dar luogo ad ingiustificati impedimenti al commercio. L’accordo TBT, pur incoraggiando il ricorso alla normativa internazionale, riconosce a ciascun Paese il diritto di adottare specifiche misure nazionali ma prevede un codice di buona pratica per la preparazione, adozione e applicazione di tali misure, così da salvaguardare l’equità e la trasparenza dell’intero sistema.35
Inoltre grazie ad una sentenza della corte di giustizia della CE nel 1979 è stato stabilito che:“tutte le merci prodotte e vendute in uno stato membro, nel rispetto delle normative in vigore nello stesso, possono essere 34 Technical Barriers to Trade (TBT)
commercializzate anche negli altri stati membri”. Un divieto è ammissibile solamente quando sia indispensabile, e non esistano dunque altre soluzioni meno drastiche e restrittive, per tutelare interessi pubblici superiori, quali per esempio la moralità pubblica, l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza, la tutela della salute e della vita di persone e animali36.
Grazie quindi all’applicazione del concetto del mutuo riconoscimento, secondo cui “tutte le merci prodotte a norma di legge e messe in commercio in un paese partner non possono essere rifiutate dagli altri paesi membri”, le barriere non-tariffarie legate agli standard sono state quasi del tutto eliminate.
Barriere fiscali: un ulteriore punto fondamentale per la piena applicazione del diritto di libera circolazione delle merci è la riduzione delle disparità che tuttavia ancora esistono fra i vari stati membri in termini di imposizione fiscale sugli scambi commerciali all’interno del mercato unico. Lo scopo di tali frontiere è innanzitutto quello di assicurare allo stato membro, nel momento in cui avviene lo scambio commerciale all’interno del Mercato Comune, il gettito delle imposte di consumo, che gli spetta di diritto poiché in tale stato le merci vengono consumate. Grazie a tale sistema infatti è possibile assicurare una equa concorrenza tra le merci prodotte nel paese e quelle importate. Un ulteriore motivazione dell’esistenza di tali barriere è data dal fondamentale ruolo che assumono in termini di lotta contro l’evasione fiscale e le deviazioni di flussi commerciali del traffico. Infatti grazie a tali strumenti è possibile controllare le esportazioni di merci al fine di sopperire quei possibili comportamenti opportunistici da parte di commercianti ed esportatori, che di fatto potrebbero creare delle distorsioni sul piano della concorrenza. Per le ragioni viste precedentemente tali frontiere e i relativi controlli, nel sistema attuale, non sono stati del tutto eliminati, nonostante sia possibile, 36 Art. 36, Trattato CE.
a partire dal 1° Gennaio 1993, adottare un articolato sistema di dichiarazioni da parte degli imprenditori soggetti all’imposta spostando di fatto tali controlli fiscali dalle frontiere in capo direttamente a quest’ultimi. Vi è poi un problema ancora irrisolto che riguarda la necessità di un’armonizzazione del regime IVA: affinché il sistema fiscale funzioni correttamente infatti è necessaria una forte omogeneità tra i tassi IVA degli stati membri; questo problema è stato in parte risolto dal principio del paese di provenienza, grazie al quale la riscossione dell’imposta sul valore aggiunto avviene nel paese di provenienza delle merci. Tuttavia vi sono però varie opinioni contrastanti circa le modalità di intervento infatti se da un lato c’è chi ritiene che l’esistenza di aliquote fiscali differenti ed un mancato coordinamento fiscale possa favorire un indebolimento finanziario dello stato con ripercussioni su servizi e prestazioni pubbliche, dall’altro vi è una corrente di pensiero che invece considera che il libero mercato possa raggiungere autonomamente l’obiettivo della armonizzazione fiscale senza alcun intervento da parte delle autorità governative.