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Relazioni commerciali UK-EU a seguito della Brexit

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Academic year: 2021

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INDICE

Capitolo 1 Unione Europea

Introduzioni 5

1.1. Nascita, storia e sviluppo. 7

1.2. Principali trattati 11

1.2.1. Trattato di Roma 11

1.2.2. Atto unico europeo 13

1.2.3. Trattato di Maastricht 14

1.2.4. Trattato di Amsterdam 18

1.2.5. Trattato di Lisbona 19

1.3 Moneta unica europea 22

Capitolo 2 Commercio internazionale, mercato unico, Uk.

2.1. Strumenti della politica commerciale 27

2.1.1. Dazi 28

2.1.2. Barriere commerciali non-tariffarie 33

2.2. Mercato unico 36

2.2.1. Libera circolazione delle merci 36

2.2.2. Libera circolazione delle persone 41

2.2.3. Libera circolazione di servizi 43

2.2.4. Libera circolazione dei capitali, e liberalizzazione

dei pagamenti 43

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2.2.6. Valutazione ex post dell’introduzione del mercato unico 46

2.3. Ruolo degli Uk all’interno dell’unione 50

2.3.1. Storia 50

2.3.2. Alcuni dati quantitativi 55

2.3.3. Costi della regolamentazione europea per

l’economia britannica. 62

Capitolo 3 L’impatto della Brexit e i possibili scenari.

3.1. Panoramica delle valutazioni economiche a seguito della Brexit. 67

3.2. Ruolo del commercio britannico a livello mondiale. 69

3.3. Possibili scenari commerciali a seguito della Brexit. 74 3.4. Impatto della Brexit sulle principali variabili economiche. 83 3.5. Conclusione sugli impatti economici a breve e lungo periodo. 93

Conclusioni. 97

Bibliografia 99

(3)

INDICE TABELLE E GRAFICI

Tabelle:

Capitolo 1:

Tabella. 1.1. Ingresso dei vari paesi all’interno dell’Unione.

Tabella. 1.2. Tassi di conversione tra euro e le prime undici valute aderenti.

Capitolo 2:

Tabella. 2.1. Dazi sui prodotti non agricoli in vigore tra Stati Uniti, Unione Europea, Giappone e Canada.

Tabella. 2.2. Referendum permanenza CEE 1975.

Tabella. 2.3. Commercio britannico con paesi EU non-EU 2015. Tabella. 2.4. Commercio inglese di beni e servizi 2015.

Tabella. 2.5. L’effetto Rotterdam.

Tabella. 2.6. Numero di progetti interni provenienti dall’UE verso UK. Tabella. 2.7. Recenti stime sul PIL britannico a seguito della Brexit.

Capitolo 3:

Tabella 3.1. Valutazione dell’impatto economico della Brexit nel 2030. Tabella 3.2. Esportazioni e Importazioni Uk 2015.

Tabella 3.3. Importazioni e Esportazioni di servizi nel 2015. Tabella 3.4. FDI (Investimenti Diretti Esteri) nel 2015.

Tabella 3.5. Tariffe MFN sulle importazioni applicate dall’Unione Europea. Tabella 3.6. Tabella di sintesi dei possibili scenari a disposizione del

Tabella 3.7. Impatto della Brexit sul commercio e sugli FDI. Tabella 3.8. Impatto della Brexit sugli FDI.

(4)

Figure:

Capitolo 2:

Figura. 2.1. Misure restrittive al commercio internazionale.

Figura. 2.2. Costi e benefici di un dazio ad valorem sulle importazioni. Figura. 2.3. Share of UK trade with EU countries.

(5)

Introduzione

Ho deciso di improntare questo elaborato di tesi sulla Brexit, ed in particolare sul rapporto commerciale e politico tra Unione Europea e Regno Unito, in quanto quest’ultimo essendo un argomento molto sentito dal punto di vista economico e mediatico ha colpito in maniera particolare la mia attenzione, portandomi

all’elaborazione del seguente documento.

La tesi analizza i rapporti commerciali tra l’Unione Europea e il Regno Unito a seguito della Brexit, la prima parte dell’elaborato si concentra in particolare sulla storia e sulla nascita dell’Unione Europea con una sintetica esposizione dei principali trattati e degli accordi politici e istituzionali che hanno portato alla creazione del Mercato Unico Europeo e alla successiva adozione della moneta unica nel 1999.

Il capitolo secondo invece analizza in modo specifico il rapporto commerciale tra UK e EU fornendo una serie di dati inerenti gli scambi, il commercio e gli investimenti, sempre nell’ambito di tale capitolo vengono inoltre presentati i principali strumenti di protezione del commercio internazionale a disposizione dei singoli paesi quali ad esempio i dazi, le barriere commerciali non-tariffarie, le quote, le restrizioni volontarie al commercio, i cartelli internazionali ed infine il dumping.

Infine nella parte conclusiva dell’elaborato vengono discusse le principali stime di impatto a seguito della Brexit elaborate da: Open Europe, OECD, NIESR, CEP, HM Treasury, Oxford Economists, Economists for Brexit e viene altresì fornita un’analisi e una valutazione dei possibili scenari commerciali a disposizione una volta concluso il periodo transitorio con durata massima di due anni, come previsto dall'articolo 50 del Trattato di Lisbona; vengono infine sintetizzati e riassunti i risultati ottenuti evidenziando i principali benefici e costi relativi ad ognuno degli scenari presi in esame.

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Capitolo 1

Unione Europea

1.1 Nascita, storia e sviluppo.

L’Unione Europea può essere definita come un’istituzione internazionale di tipo politico ed economico, formata attualmente da 28 paesi membri indipendenti e democratici.1 Le sue origini risalgono all’indomani della Seconda guerra

mondiale essa si pone l’obiettivo principale di promuovere una cooperazione e integrazione sia al livello economico che sociale tra i vari paesi, producendo un’interdipendenza tra di essi tale da ridurre o eliminare possibili rischi di conflitti. Essa opera all’interno del suo territorio mediante l’utilizzo di un mercato comune europeo che consente la libera circolazione di persone, merci, servizi, capitali che possono muoversi con la stessa facilità con cui circolano all’interno di un singolo paese; vi è inoltre il riconoscimento della cittadinanza europea, che dà la possibilità ai singoli individui di studiare, vivere, lavorare all’interno di uno dei qualsiasi paesi aderenti all’Unione. L’istituzione del mercato unico nel 1993 ha richiesto l’eliminazione di centinaia di barriere di tipo tecnico, giuridico e burocratico che di fatto limitavano il libero scambio e la libera circolazione tra i vari paesi dell’UE.

Storicamente gli albori della cooperazione europea risalgono alla firma trattato di Parigi il 18 aprile del 1951 con l’istituzione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio2, entrato in vigore il successivo 23 luglio del 1952. I paesi aderenti

a tale trattato furono: Belgio, Francia, Germania Ovest, Italia, Lussemburgo, e Paesi Bassi. Gli anni '60 sono un buon periodo per l’economia, grazie anche al fatto che i paesi della comunità europea non applicano più dazi doganali agli scambi reciproci. Essi convengono inoltre il controllo comune della produzione alimentare, garantendo così il sufficiente approvvigionamento di tutta la 1https://it.wikipedia.org/wiki/Unione_europea

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popolazione, e ben presto si comincia addirittura a registrare un surplus di produzione agricola3. Il 1 gennaio 1973 vi è l’adesione alla CEE di tre ulteriori

paesi, Danimarca, Regno Unito, Irlanda, portando a 9 il numero complessivo, in questo periodo il Parlamento Europeo aumenta la propria influenza, per la prima volta viene eletto a suffragio universale nel 1979, viene intensificata la lotta all’inquinamento, vengono introdotto norme volte alla tutela dell’ambiente introducendo il principio “chi inquina, paga”. Nel 1981 anche la Grecia entra a far parte dell’Unione insieme a Spagna e Portogallo nei cinque anni successivi. Nel 1986 viene firmato l’Atto Unico che ha come scopo principe quello di completare la costituzione del mercato unico e di creare una prima integrazione al livello politico tra i vari paesi. Questo periodo è segnato anche da un forte impatto politico causato dal crollo del muro di Berlino nel 1989 che apre per la prima volta dopo 28 anni le frontiere tra Germania Est e Germania Ovest portando alla riunificazione nell’ottobre del 1990.

Gli anni 90 sono inoltre caratterizzati dalla firma di 2 importanti trattati che saranno successivamente approfonditi: il Trattato di Maastricht del 1992 che è considerato un anno di fondamentale importanza per la storia della costruzione comunitaria: i leader europei si riuniscono a Maastricht, una cittadina olandese il cui nome diventa un punto di riferimento. Da tale Trattato parte il sentiero che porterà alla moneta unica, qui l'Europa cambia il suo nome e da Cee4 diventa Ue,

Unione Europea e il successivo Trattato di Amsterdam del 1999.Nel 1995 viene siglata la convenzione di Schengen che di fatto garantisce la libera circolazione dei soggetti tra i vari paesi facenti parte dell’unione. Consentendo a quest’ultimi di spostarsi con facilità da un paese all’altro dell’unione senza l’esibizione di documenti alle “frontiere”.

Un ulteriore tappa fondamentale è la nascita della moneta unica europea, l’euro introdotta per la prima volta nel 1999 come unità di conto virtuale, 3 https://europa.eu/european-union/about-eu/history_it#1960-1969

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successivamente adottata come moneta “fisica” nel 2002 in dodici degli allora 15 membri dell’unione5.

L'Europa è a un passo dal completamento del disegno finale successivo alla firma di altri numerosi e importanti trattati: Amsterdam 1997, Nizza 2000. Ma, è ormai storia di questi giorni, il meccanismo si inceppa.

La Costituzione che dà all'Europa istituzioni moderne e adeguate alle sue dimensioni di oggi, che crea nuovi ed efficienti meccanismi decisionali, si blocca nel sistema delle ratifiche nazionali6.

L’Europa è presa in ostaggio dalle rivendicazioni nazionali di opinioni pubbliche che si sentono lontane e non comprese dai vertici di Bruxelles. La sfida di oggi e di domani per l'Europa è proprio questa: riavvicinarsi ai propri cittadini con lo stesso spirito che la fece nascere più di mezzo secolo fa.

5https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_dell'introduzione_dell'euro

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Tab. 1.1 Ingresso dei vari paesi all’interno dell’Unione.

Entrata nell’

UE/CECA/CEE Paesi

23 luglio 1952

Belgio, Germania, Francia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi.

1º gennaio 1973 Danimarca, Irlanda, Regno Unito7.

1º gennaio 1981 Grecia.

1º gennaio 1986 Portogallo, Spagna.

1º gennaio 1995 Austria, Finlandia, Svezia.

1º maggio 2004 Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Rep. Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria.

1º gennaio 2007 Bulgaria, Romania 1º luglio 2013 Croazia.

7 Con un referendum tenutosi il 23 giugno 2016, la maggioranza della popolazione del Regno Unito ha votato per uscire dall'UE. Il referendum era consultivo e non legalmente vincolante, e il processo formale per uscire non è ancora stato avviato.

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1.2 Principali trattati.

I trattati sull’Unione europea sono una serie di accordi di stampo internazionale volti a creare le basi di un ordinamento giuridico dell’Unione. Quest’ultimi vanno a determinare quelle che sono le istituzioni le procedure e gli obiettivi della Comunità europea.

Il trattato di Roma 1957 e il trattato di Maastricht 1992 costituiscono la base legale dell’Unione e sono noti e spesso identificati come “trattati fondativi o istitutivi”, i quali sono stati modificati in più occasioni nel corso degli anni per mezzo di così detti “trattati emendativi”.

1.2.1 Trattato di Roma

I trattati di Roma rappresentano indubbiamente un importante passo avanti compiuto dall’Unione nell’ambito dell’integrazione al livello comunitario, quest’ultimi sono composti da due singoli documenti: il primo che istituisce la comunità economica europea (CEE), è stato firmato il 25 marzo 1957 insieme al trattato sull’energia atomica (Euratom).

I trattati di Roma e il precedente trattato di Parigi 18 aprile 1951 (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) siglato da Francia, Belgio, Paesi Bassi, Germania dell’Ovest, Lussemburgo e Italia, gli stessi paesi sottoscrittori dei successi trattati costituiscono la base portante della comunità europea.

L’idea alla base di tali trattati e in particolare alla base della CECA8 era stata

avanzata dall’allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman, attraverso il cosiddetto approccio funzionalista che sostanzialmente riguarda la necessità di spingere i paesi europei a mettere in comune alcuni settori delle loro economie nazionali, facendoli poi gestire da un’autorità imparziale e terza, l’Europa9.

8 Comunità europea carbone e acciaio.

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Tra i due trattati di Roma sicuramente quello che riveste un’importanza maggiore al livello di integrazione economica è il primo (CEE), in quanto tale organismo con ruolo prevalentemente economico ha la funzione di sviluppare una crescita stabile e duratura di coloro che hanno aderito alla creazione del mercato comune e alla connessione delle leggi economiche statali.

Tra i vari provvedimenti presenti in tale trattato quello che ha maggior rilievo dal punto di vesta economico è senza dubbio l’eliminazione dei dazi doganali fra gli stati membri, provvedimento grazie al quale si è giunti alla creazione del cosiddetto “mercato unico”10.

Per gli Euro-fili il Trattato di Roma segna il momento in cui gli europei hanno capito che la conservazione della pace e della prosperità nel continente richiedeva un sacrificio di sovranità nazionale e un impegno a istituzioni comuni e che l'integrazione economica dovrebbe precedere quella di tipo politico.

10 Libera circolazione di servizi, merci, persone, capitali su tutto il territorio dei sei Paesi

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1.2.2 Atto Unico Europeo

L’Atto Unico Europeo firmato nel 1986 e ratificato nel 1987 ha completato e modificato quanto stabilito dal trattato di Roma, andando ad ampliare i poteri della Comunità in diversi settori, perfezionando al tempo stesso le procedure decisionali.

I principali obiettivi di tale trattato erano: da un lato la realizzazione e il completamento del mercato interno entro il 1 gennaio del 1999, dall’altro invece, l’incremento di “potere” del Parlamento Europeo per garantire una maggiore democrazia al livello comunitario.

L'Atto Unico europeo modifica e completa i tre Trattati iniziali, ma si occupa soprattutto dell'evoluzione politica ed istituzionale della CEE. L'AUE11, oltre

all'istituzione del mercato unico, prevede anche l'introduzione, per tale settore, di una procedura di cooperazione nella quale il Parlamento europeo è associato più strettamente al potere legislativo12.

Tra le principali novità introdotte da tale atto emergono:

 Incremento del ruolo del Parlamento e della sua influenza sulla comunità.  Completamento del mercato interno.

 Cooperazione in materia di politica economica e monetaria.  Esenzione delle funzioni della corte di giustizia.

 Incorporazione al livello comunitario di alcuni settori politici (Ambiente, Ricerca e sviluppo).

11 Atto Unico Europeo

12 http://www.rgs.mef.gov.it/VERSIONE-I/e-GOVERNME1/RGS-EUROPA/L-unione-E/ATTO-UNICO-EUROPEO.html

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1.2.3 Trattato di Maastricht

Il trattato di Maastricht è il trattato istitutivo dell’Unione Europea siglato a Maastricht (Paesi Bassi), il 7 febbraio 1992, dai rappresentanti dei governi dei 12 Paesi membri della CEE, ed entrato in vigore il 1° novembre del 1993. Tale trattato istituisce un ulteriore tappa nell’integrazione europea, indicando le modalità di costituzione dell’UE, e i relativi criteri per l’ammissione.

Esso poneva tre pilastri alla base dell’UE:

 La Comunità europea (CE), che inglobava le precedenti CEE, CECA e CEEA, modificandone i rispettivi trattati istitutivi.

 La politica estera e di sicurezza comune (PESC)

 La politica di cooperazione in materia di polizia e nel campo giudiziario e penale (JAI).

La novità fondamentale di tale trattato è quella di aver gettato le basi per l’istituzione dell’Unione Economica e Monetaria (UME), da attuarsi entro il 1999 mediante la costituzione di una moneta unica, (euro) e la creazione della Banca centrale Europea (BCE), fissando inoltre i parametri che uno stato doveva rispettare per l’adozione della moneta unica.

Contrariamente al rapporto Delors13, nel trattato di Maastricht veniva indicato lo

sviluppo temporale delle fasi che caratterizzano il passaggio dallo SME all’UME: 1) Prima fase iniziata con la liberalizzazione dei movimenti di capitali, si concluse nel 1993 con la creazione dell’Istituto monetario europeo che va a rappresentare il primo nucleo della BCE.

2) Seconda fase che consisteva nel processo di convergenza delle economie europee, che condusse al soddisfacimento dei requisiti previsti per l’ammissione all’UME.

13 Piano per il raggiungimento dell’unione economica e monetaria che fu redatto dal ‘Committee for the study of the economic and monetary union’ (1989).

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3) Entro il 1997 si prevedeva l’inizio della terza fase di cambi irrevocabilmente fissi, qualora la metà più uno dei paesi aderenti all’Unione Europea avesse soddisfatto i criteri di convergenza stabiliti nel trattato. Nel caso in cui ciò non fosse avvenuto, entro il 1 gennaio 1999 gli stati che avessero soddisfatto i requisiti previsti avrebbero potuto dar vita al primo nucleo dell’UME, indipendentemente dal loro numero.

I criteri di ammissione all’UME si basavano sul soddisfacimento dei seguenti requisiti:

 Fiscali:

1. Deficit/PIL < 3%

2. Debito Pubblico/PIL < 60%  Monetari

1. Inflazione inferiore alla media dell’inflazione dei tre paesi più virtuosi + 1,5%

2. Tasso di interesse inferiore al tasso di interesse dei tre paesi più virtuosi + 2% (per evitare afflusso/deflusso di capitali attratti da tassi di interesse molto differenti.)

3. Tasso di cambio: il paese che vuole qualificarsi per l’ammissione all’UME, non dovrà avere riallineato le parità di cambio, né avere subito tensioni valutarie severe nei due anni che precedono l’ingresso nell’unione stessa. Per il medesimo periodo, inoltre, si indica la necessità di mantenere i tassi di cambio all’interno del meccanismo del tasso di cambio previsto dallo SME ±2,25% della banda di oscillazione.

Tali condizioni per l’ingresso avevano l’obiettivo di evitare free riding, divergenze fiscali ed erano basate su motivi precauzionali di sostenibilità, si trattava dunque di misure di buon senso.

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Tuttavia riguardo a questi requisiti si sono susseguite numerose critiche tra cui: il livello massimo dato dal secondo criterio (Debito Pubblico/PIL < 60%) è stato stabilito come una media aritmetica dei debiti dei paesi aderenti e non da calcoli di solvibilità intertemporale; per giudicare la sostenibilità fiscale del debito, infatti, sarebbe stata più opportuna un’analisi qualitativa e intertemporale piuttosto che una strettamente quantitativa e statica.

Inoltre il primo criterio rischia di limitare fortemente l’autonomia fiscale dello Stato che potrebbe trovarsi sprovvisto di strumenti per combattere gli effetti negativi di shock asimmetrici14 dal momento che ha rinunciato allo strumento del

cambio a fini della stabilizzazione.

Un’altra critica a tali condizioni sta nel fatto che l’imposizione di regole fiscali rigide potesse essere vista come una possibile minaccia alla convergenza inflazionistica, poiché si temeva che la necessità di soddisfare tale requisito potesse indurre le autorità fiscali a condizionare la rispettiva banca centrale al fine di indurre a monetizzare almeno una parte del debito attraverso l’imposizione di una tassa da inflazione.

Quello della stabilità finanziaria è evidentemente un problema molto sentito alla stesura del trattato di Maastricht, vista la presenza contemporanea di criteri e norme volte all’unico obiettivo della stabilità monetaria e finanziaria. L’indipendenza della BCE e delle BC nazionali e il divieto di finanziare con l’emissione di moneta le spese dei governi nazionali o del bilancio comunitario, sembrerebbero fornire garanzie tali da limitare le capacità di spesa delle autorità fiscali nazionali, le quali dovrebbero perciò essere indotte ad un comportamento più disciplinato e rigoroso.

Nonostante la crisi subita all’interno dell’Unione tra il 1992-1993, il mercato unico fu inaugurato il 1 dicembre del 1993.

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L’Unione monetaria perse formalmente avvio il primo gennaio 1999, con l’introduzione dell’euro, dato che nel 1997 solamente il Lussemburgo rispettava i criteri stabiliti dal trattato, benché nei primi tre anni l’euro esistesse solo come unità di conto; è stato poi introdotto fisicamente solo dal primo gennaio del 2002. Tab. 1.2 Tassi di conversione tra euro e le prime undici valute aderenti15:

Denominazione Valore Parità con l’euro Debutto dell’euro Fine corso Escudo portoghese 200,482 PTE 31 dicembre 1998 1º gennaio 2002 28 febbraio 2002

Fiorino olandese 2,20371 NLG 31 dicembre 1998 1º gennaio 2002 28 febbraio 2002

Franco belga 40,3399 BEF 31 dicembre 1998 1º gennaio 2002 28 febbraio 2002

Franco francese 6,55957 FRF 31 dicembre 1998 1º gennaio 2002 17 febbraio 2002

Franco

Lussemburghese 40,3399 LUF 31 dicembre 1998 1º gennaio 2002 28 febbraio 2002 Lira italiana 1936,27 ITL 31 dicembre 1998 1º gennaio 2002 28 febbraio 2002

Marco tedesco 1,95583 DEM 31 dicembre 1998 1º gennaio 2002 31 dicembre 2001

Marco finlandese 5,94573 FIM 31 dicembre 1998 1º gennaio 2002 28 febbraio 2002

Peseta spagnola 166,386 ESP 31 dicembre 1998 1º gennaio 2002 28 febbraio 2002

Scellino austriaco 13,7603 ATS 31 dicembre 1998 1º gennaio 2002 28 febbraio 2002

Sterlina irlandese 0,787564 IEP 31 dicembre 1998 1º gennaio 2002 28 febbraio 2002

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1.2.4 Trattato di Amsterdam.

Il trattato di Amsterdam è uno dei trattati fondamentali o istitutivi dell’Unione, firmato il 2 ottobre del 1997 ed entrato in vigore nel 1999, è il primo tentativo di riformare le istituzioni europee in vista dei successivi allargamenti.

Successivamente all’Atto unico europeo e al trattato di Maastricht si tratta del terzo trattato con il quale sono state apportate significative modifiche ai trattati fondamentali delle Comunità europee. In particolare il Trattato di Amsterdam è nato sulla base di una specifica disposizione contenuta già in quello di Maastricht e che prevedeva la convocazione, per il 1996, di una Conferenza intergovernativa (CIG) con il compito di proporre i necessari adattamenti ai trattati, in vista delle sfide che si proponevano per il nuovo millennio ed in seguito alla introduzione dell'euro.16

Una tra le più importanti novità introdotte con tale trattato è sicuramente l’impegno per il raggiungimento di un più alto livello occupazionale della politica ambientale, sociale, della sanità pubblica e della tutela dei consumatori. Inoltre è stata anche sancita la facoltà di procedere ad una integrazione differenziata attraverso il meccanismo della cooperazione rafforzata; in pratica si stabilisce il diritto per quegli Stati membri che intendono perseguire determinate politiche comuni a procedere anche in assenza di una volontà comune di tutti i membri.

I punti chiave del trattato possono essere sinteticamente riassunti:

 Incorporamento degli accordi di Schengen nel primo pilastro del trattato di Maastricht.

 Introduzione dell’occupazione nel primo pilastro.

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 Formalizzazione e regolamentazione della così detta cooperazione rafforzata17.

 Rendere più efficace l'architettura istituzionale dell'Unione in previsione del prossimo ampliamento.

1.2.5 Trattato di Lisbona.

Il Trattato di Lisbona, noto anche come Trattato di riforma è un trattato internazionale, firmato il 13 dicembre 2007, che ha apportato ampie modifiche al Trattato sull'Unione europea (Maastricht) e al Trattato che istituisce la Comunità europea (Trattato di Roma).18

A differenza di quanto contenuto nel trattato di Amsterdam, il trattato di Lisbona va ad abolire i tre pilastri, fornendo una ripartizione delle competenze tra stati e Unione, rafforza il principio democratico attraverso una maggiore tutela dei diritti fondamentali, e inoltre va ad attribuire alla carta di Nizza19 il valore

giuridico dei trattati.

Gli elementi principali del Trattato di Lisbona possono essere sinteticamente riassunti20:

 I diritti di co-decisione del Parlamento europeo, che rappresenta i cittadini dell’UE, sono rafforzati, infatti è possibile presentare un’iniziativa

17 La cooperazione rafforzata è una procedura decisionale istituzionalizzata con il Trattato di Amsterdam e poi modificata dal Trattato di Nizza. Essa consiste nel realizzare una più forte cooperazione tra alcuni Stati membri dell'Unione europea in determinati temi (giustizia, difesa, gestione economica ecc.).

18 https://europa.eu/european-union/index_en

19Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea, che stabilisce i diritti e i principi che dovranno essere rispettati dall’Unione in sede di applicazione del diritto comunitario. (dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, giustizia, cittadinanza)

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popolare alla commissione, raccogliendo un milione di firme dei cittadini in almeno un quarto degli Stati aderenti all’Unione.

 Capacità d’azione e trasparenza: la maggioranza qualificata in seno al Consiglio dei Ministri è ridefinita in base a una nuova formula, introdotta progressivamente dal 2014 fino al 2017: è richiesta la doppia maggioranza costituita dal 55 per cento degli Stati membri purché rappresentino almeno il 65 per cento della popolazione totale dell’UE. La sua applicazione è inoltre estesa a nuovi ambiti politici.

 Semplificazione delle strutture: i tre pilastri dell’UE sono stati consolidati. L’UE ha una personalità giuridica internazionale e può concludere accordi con Stati terzi quali ad esempio la Svizzera.

 Federalismo e ripartizione delle competenze: la ripartizione delle competenze tra UE e Stati membri è stata precisata e semplificata. Nel contempo, il ruolo dei parlamenti nazionali è stato potenziato nell’ambito della procedura legislativa dell’UE.

Un aspetto di estrema importanza all’interno di tale trattato è l’articolo 50, che dà la possibilità ad ogni stato membro di decidere in conformità con le norme costituzionali dell’Unione di recedere da quest’ultima.

Il primo referendum nazionale riguardante l’uscita dall’Unione si è tenuto per la prima volta nel Regno Unito il 23 giugno del 2016, nel quale la maggioranza dei votanti (51.9%) si è espressa per il recesso dall’Unione. Il 29 marzo del 2017 è il giorno in cui ha inizio ufficialmente il processo che porterà alla Brexit21: il

premier britannico Theresa May ha presentato una lettera per attivare l’articolo 50 di tale trattato che aprirà la strada a due anni di negoziati tra Londra e Bruxelles che porteranno all’effettiva uscita della Gran Bretagna dall’Unione.

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Per completezza viene riportato il testo integrale dell’articolo 50 del trattato di Lisbona22:

1. Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall'Unione.

2. Lo Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione al Consiglio europeo. Alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo, l'Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l'Unione. L'accordo è negoziato conformemente all'articolo 188 N, paragrafo 3 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Esso è concluso a nome dell'Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo.

3. I trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell'accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica di cui al paragrafo 2, salvo che il Consiglio europeo, d'intesa con lo Stato membro interessato, decida all'unanimità di prorogare tale termine.

4. Ai fini dei paragrafi 2 e 3, il membro del Consiglio europeo e del Consiglio che rappresenta lo Stato membro che recede non partecipa né alle deliberazioni né alle decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio che lo riguardano.

Per maggioranza qualificata s'intende quella definita conformemente all'articolo 205, paragrafo 3, lettera b) del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. 5. Se lo Stato che ha receduto dall'Unione chiede di aderirvi nuovamente, tale richiesta è oggetto della procedura di cui all'articolo 49.».

22http://eur-lex.europa.eu/legal- ontent/IT/TXT/ ? i d=1490193839177&uri=CELEX:12007L/TXT

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1.3 Moneta Unica Europea

Al fine di comprendere i motivi che hanno portato alla costituzione di una moneta unica tra i paesi aderenti alla così detta Unione Monetaria Europea è necessario analizzare quanto accaduto nel 1979 con la costituzione dello Sme23

che implica la fissazione dei tassi di cambio tra i paesi aderenti a tale accordo. Le principali motivazioni che portano al compimento dello Sme sono24:

 L’elevato grado di apertura intraeuropea nel commercio che necessitava di stabilità, dato che le elevate fluttuazioni del cambio causate principalmente dall’incertezza negli anni 70 avevano danneggiato pesantemente gli scambi. Questo giustificato anche dal fatto che il grado di apertura dei singoli paesi europei è molto elevato, dunque l’alta percentuale di scambi commerciali intereuropei risentirebbe in maniera negativa delle fluttuazioni del tasso di cambio.

 Necessità di eliminare l’elevato rischio di svalutazioni competitive del tasso di cambio messe in atto dai singoli paesi.

 Necessità di eliminare l’instabilità monetaria risultante dalla presenza dell’ inflazione: ad esempio l’instabilità del prezzo del petrolio, causata da domanda fissa e offerta molto variabile, comportava negli anni 70 una inflazione oltre il 20% per alcuni paesi, mentre attuando cambi fissi, i paesi a valuta debole e a più elevata inflazione potevano “ancorarsi” ad un paese dotato di forte reputazione antinflazionistica nella speranza di modificare le aspettative del settore privato e rafforzare la credibilità delle istituzioni monetarie nazionali.

 Per risolvere i problemi legati alla politica agricola comune (PAC): al fine di evitare vantaggi competitivi ingiustificati, ogni volta che una valuta 23Sistema Monetario Europeo

24 Pompeo Della Posta (2006): Teoria Economica e Istituzioni: le Fondamenta teoriche del Sistema Monetario Europeo e dell’euro

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europea si deprezzava rispetto alle altre, doveva essere attivato un complicato sistema di montanti compensativi.

Con l’introduzione dello Sme viene stabilita una parità centrale e una banda di oscillazione del tasso di cambio compresa nell’intervallo ± 2,25%.

Il periodo di vita dello Sme può essere suddiviso in tre ulteriori fasi o sotto periodi:

1. 1979-1983

All’interno di questa prima fase dello Sme c’è stata sorta di “flessibilità” nell’ambito comunque dei cambi fissi, ossia ai paesi con tassi di inflazione divergenti è data la possibilità di riallineare la parità riaggiustando il cambio con svalutazioni e rivalutazioni. Riallineamenti della parità centrale delle valute deboli erano piuttosto frequenti e consentivano un recupero pieno della competitività perduta. Nessun vincolo particolarmente stringente veniva imposto ai paesi partecipanti, che erano liberi di decidere unilateralmente tempi e modalità di tali riallineamenti.

2. 1983-1987

Dal 1983 tali riallineamenti cominciarono ad essere oggetto di contrattazione tra paesi membri di modo che la modifica delle parità risultasse costosa per i governi che volessero attuarla questa seconda fase è caratterizzata da una sorta di rigidità parziale del tasso di cambio. Mediante l’inserimento di queste contrattazioni vi era dunque il tentativo di aumentare il costo di politiche economiche divergenti rispetto al paese più virtuoso, invitando gli altri paesi a comportamenti più virtuosi sia dal punto di vita monetario che fiscale: in questo periodo l’inflazione venne effettivamente ridotta sensibilmente.

3. 1987.1992

In questa fase viene stabilita la rigidità totale, ossia non è più possibile aggiustare la parità dei cambi che risulta appunto fissata. Inoltre, l’iniziale successo dello

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Sme ha dato spinta alle ambizioni di integrazione economica tanto che nel 1987 entrò in vigore l’Atto Unico Europeo che prevedeva il completamento di uno spazio unico europeo nel quale potessero circolare liberamente merci, lavoro, servizi e capitali da realizzarsi entro il 31 dicembre del 1992.

La situazione che si va a determinare, cambi fissi, politica monetaria indipendente, e perfetta mobilità dei capitali, viene definita terzetto incoerente in quanto è stato teorizzato che i tre elementi sopra citati non posso coesistere. Questo è dovuto al fatto che se vi è la presenza di politiche monetarie divergenti e perfetta mobilità di capitali, i tassi di cambio non possono rimanere fissi. A conferma di ciò è possibile immaginare tale esempio: una espansione monetaria in eccesso di un paese rispetto agli altri partecipanti all’accordo di cambio, oltre che essere inefficace, implicherà il progressivo esaurimento delle riserve estere e costringerà all’abbandono del tasso di cambio fisso.

Funzionamento del bilancio di una banca centrale (semplificato):

ATTIVO PASSIVO

Riserve Estere Circolante

Crediti Riserve bancarie presso la BC

In regime di cambi flessibili, le condizioni necessarie per mantenere invariati i prezzi sono che la domanda sia uguale all’offerta, se le importazioni eccedono le esportazioni questo implica una domanda di valuta estera superiore all’offerta di tale valuta e quindi un conseguente apprezzamento della valuta domandata che si traduce in una riduzione del tasso di cambio.

In cambi fissi, però, non può avvenire una riduzione del tasso di cambio, dunque la banca centrale dovrà immettere sul mercato la valuta estera domandata in eccesso: la banca centrale ritira circolante dal mercato e vi immette riserve estere offrendole fintanto che la domanda non eguaglia l’offerta; questo sarà possibile solo fintanto che tali riserve estere sono presenti in bilancio.

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Per contro all’idea del terzetto incoerente, comunque, si nota che una tale situazione potrebbe mantenersi in vita in caso di forte impegno alla convergenza monetaria25. Questo accadde e fu rafforzato ulteriormente dagli accordi di

Basilea-Nyborg (1987), con cui le Banche centrali godevano di riserve virtualmente illimitate e sarebbero state in grado di resistere a qualunque tipo di pressione grazie alla solidarietà delle altre, pronte ad intervenire in difesa dell’obiettivo comune della stabilità e sopravvivenza dello SME.

Nonostante tale accordo la presenza congiunta di fondamentali economici divergenti da paese a paese e vari attacchi speculativi sulle valute più deboli, portarono alla crisi dello Sme nel 1992, confermando la teoria del terzetto incoerente che di fatto porta al crollo del sistema a cambi fissi.

Tuttavia, nonostante la crisi degli anni 1992-93, il mercato unico fu inaugurato il 1 dicembre del 1993 e l’Unione Monetaria Europea prese formalmente avvio il primo gennaio del 1999, con l’adozione dell’euro.

L’Unione Monetaria Europea e quindi l’introduzione dell’euro è stata giustificata dalle seguenti ragioni:

 La moneta unica era l’unico modo per mantenere fissi i tassi di cambio ed evitare il rischio di ondate di attacchi speculativi, visto che la liberalizzazione dei movimenti di capitale era un elemento irrinunciabile nella strategia dell’integrazione economica europea.

 L’introduzione dell’euro consentiva di ridurre i costi di transazione, specialmente quelli riguardanti la conversione da una valuta all’altra.  Garantiva inoltre una piena trasparenza e confrontabilità dei prezzi, anche

se tali effetti positivi difficilmente compensavano gli elevati costi derivanti dall’abbandono delle politiche nazionali.

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 Veniva stabilita una maggiore certezza favorendo così il commercio intraeuropeo.

 Un ulteriore motivazione è la possibilità per l’euro di diventare valuta di rango internazionale che consentiva quindi di poter ricevere fondi da tutto il mondo in cambio dell’emissione di titoli obbligazionari o azionari. Tuttavia vi sono anche degli svantaggi derivanti dall’adozione della moneta unica che possono essere sinteticamente riassunti in:

 Perdita di autonomia da parte del governo nella conduzione della politica monetaria e di cambio.

 Le economie più deboli, come ad esempio il Portogallo o la Grecia, sono influenzate dalle decisioni della BCE, atte a favorire la stabilità dei prezzi in favore dell’occupazione e della crescita economica.

 Aumento della concorrenza tra imprese e settori, dato che con l’allargamento dell’Unione europea e con la maggiore integrazione dei mercati, le imprese devono considerare, come concorrenti, anche le aziende di altri paesi.

Nell’ambito del prossimo capitolo verrà analizzato nel dettaglio il Mercato Unico europeo, ed i vari aspetti legati all’integrazione economica con gli annessi benefici da essa apportati, verranno altresì approfondite tematiche riguardanti le varie politiche di protezione del commercio, ed i relativi strumenti andando infine ad analizzare dal punto di vista quantitativo il ruolo del Regno Unito all’interno dell’Unione europea.

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Capitolo 2

2.1 Strumenti della politica di commercio internazionale.

Il commercio internazionale può essere definito come quel tipo di commercio che viene effettuato verso e da altri paesi, nel quale vengono scambiate merci, servizi e capitali. È possibile affermare che quest'ultimo consente alle singole nazioni e/o consumatori di ampliare notevolmente la gamma dei possibili prodotti acquistabili, apportando una serie di vantaggi che saranno successivamente analizzati nell’ambito del mercato unico europeo. Ad oggi il commercio internazionale assume un ruolo fondamentale negli equilibri delle singole nazioni, tanto che i vari governi si dotano di idonee politiche commerciali volte a salvaguardare la propria economia. Tali politiche comprendono un elevato numero di strumenti che verranno successivamente approfonditi, quali: i dazi, le barriere commerciali non-tariffarie, le quote, le restrizioni volontarie al commercio, i cartelli internazionali ed infine il cosiddetto dumping.

Fig. 2.1. Misure restrittive al commercio internazionale.

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2.1.1 I Dazi

Non vi è alcun dubbio che il dazio rappresenta la forma di restrizione al commercio più antica, quest’ultimo può essere definito come una tassa o un imposta che grava sulla merce oggetto di scambio, nel momento in cui questa attraversa la frontiera26. È possibile distinguere tra dazi alle importazioni che

vengono applicati sulla merce introdotta all’interno del paese, e dazi sulle esportazioni che invece vengono applicati sulla merce venduta all’esterno dei confini nazionali, quest’ultima tipologia di dazi anche se di minore rilevanza rispetto a quelli sulle importazioni è proibita dalla costituzione statunitense, anche se talvolta vengono applicati dai paesi in via di sviluppo su particolari beni, quali ad esempio caffè brasiliano o il cacao ghanese.

Esistono varie tipologie di dazi, tra cui:

 I dazi ad valorem vengono calcolati in base ad una percentuale fissa che viene applicata sul valore del bene oggetto di scambio. Ad esempio alle autorità doganali un dazio ad valorem del 5% su un bene di 100€ comporterà il pagamento di un imposta pari a 5€.

 I dazi specifici invece sono espressi come somma fissa per unità di bene scambiato. Prendendo l’esempio precedente un dazio specifico prevede il pagamento alle autorità doganali di una somma determinata, per esempio 10€ indipendentemente dal valore del bene oggetto di scambio.

 I dazi misti invece non sono altro che la combinazione di un dazio ad valorem ed un dazio specifico, basandoci sempre sull’esempio del bene con valore di €100 un dazio specifico di 5€ e uno ad valorem del 5% si tradurrebbe nel pagamento alle autorità doganali di una somma di 10€. Col passare degli anni grazie alla maggiore globalizzazione e industrializzazione dell’economia mondiale in particolare a partire dalla seconda Guerra Mondiale, 26 Economia internazionale Dominick Salvatore (2008)

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l'applicazione dei dazi si è ridotta notevolmente tra i paesi più sviluppati, mentre rimane ancora oggi in media abbastanza elevata l’incidenza dei dazi tra i paesi in via di sviluppo.(come si evince dalla figura 2.1)

Inoltre con riferimento alla successiva Tabella, si può analizzare quelli che sono i principali dazi non agricoli, espressi in percentuali in vigore, tra i più importanti paesi nel mondo.

Tab 2.1 Dazi sui prodotti non agricoli in vigore tra Stati Uniti, Unione Europea, Giappone e Canada27. (Valori in percentuale)

Stati Uniti Unione Europea Giappone Canada

Pesce e prodotti ittici 0.8 12.0 5.7 0.9

Prodotti minerari e metalli 1.8 2.0 1.0 1.0

Petrolio 1.3 2.5 0.6 0.9 Prodotti chimici 2.8 4.5 2.2. 0.8 Legno,carta,ecc 0.5 0.9 0.8 0.9 Tessile 7.9 6.5 5.4 2.6 Abbigliamento 12.0 11.4 9.0 16.5 Pelle,calzature, ecc 3.8 4.1 9.4 3.8

Macchinari non elettrici 1.2 1.9 0.0 0.4

Macchinari elettrici 1.7 2.8 0.1 1.1

Mezzi di trasporto 3.1 4.3 0.0 5.8

Altri prodotti 2.5 2.6 1.2 2.5

Media 3.2 4.2 2.5 2.2

Fonte: WTO, Statistics Data Base (Ginevra: WTO,2015)

27 Economia internazionale Dominick Salvatore, valore in percentuale. Fonte: WTO, Statistics Data Base (Ginevra: WTO,2015)

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Un aspetto interessante è legato alla valutazione dei costi e benefici di un dazio, nel successivo esempio andremo a mostrare cosa succede al reddito dei consumatori e dei produttori nazionali e all’economia nel suo complesso, nel caso in cui un Paese X impone un dazio del 100% sulle importazioni di un determinato bene Y, quindi l’imposizione di un dazio ad valorem.

Fig 2.2 Costi e benefici di un dazio ad valorem sulle importazioni.

Come si evince dalla seguente figura 2.2 nella quale sono riportante le curve (semplificate) di domanda e offerta nazionale di un bene importato, l’imposizione del dazio da parte del paese X provoca un effetto di ridistribuzione del reddito tra i consumatori nazionali, che pagano un prezzo più elevato per l’acquisto del medesimo bene,e tra i produttori nazionali che incassano un prezzo maggiore dalla vendita di tale bene, inoltre questo influenza anche la produzione del bene all’interno del paese che aumenta, con la connessa riduzione delle importazioni. Questo meccanismo porta a una forma di inefficienza, dato che viene consumata una quantità inferiore di tale bene rispetto alla situazione in assenza di dazio, che viene definita costo sociale del protezionismo o perdita

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netta dell’economia derivante dall’imposizione del dazio. L’analisi svolta fino ad ora, fa riferimento all’imposizione di un dazio da parte di un paese piccolo, che quindi di conseguenza non influenza i prezzi dei beni attraverso i su scambi internazionali. Estendendo l’ambito di riferimento al caso in cui il dazio viene imposto da un paese di maggiori dimensioni in grado di influenzare il commercio internazionale è possibile notare che, tale politica che viene messa in atto dal paese Z andrà a ridurre il volume degli scambi al livello internazionale, andando però a migliorare le ragioni di scambio28 del paese Z. Il minor volume di scambi

con l’estero andrà a ridurre il benessere all’interno del paese, mentre il miglioramento delle ragioni di scambio, di per se, tenderà ad aumentarlo. In sostanza l’aumento o la riduzione di benessere del paese legata a tale manovra dipenderà dall’effetto predominate di una delle due forze. Tale risultato è nettamente in contrasto con l’esempio del dazio imposto da un paese piccolo in quanto, le ragioni di scambio di tale paese rimarranno invariate, mentre la riduzione del volume di commercio avrà sicuramente effetti negativi sul benessere e non sarà compensata da nessun effetto positivo.

L’ultimo aspetto interessante da analizzare relativo ai dazi è il cosiddetto dazio ottimo, che può essere definito come un particolare livello dell’aliquota tariffaria che massimizza i benefici derivanti dal miglioramento delle ragioni di scambio, al netto dell’effetto negativo derivante dalla riduzione del volume di commercio29. Questo comporta che partendo da una situazione di libero scambio,

l’aumento del dazio imposto dal paese 1, provocherà un aumento del benessere di quest'ultimo fino al raggiungimento di una determinata soglia, appunto definita dazio ottimo, superata la quale, ulteriori incrementi avranno effetto opposto. È tuttavia necessario considerare che, un comportamento di questo tipo va ad impattare negativamente sul benessere del paese partner in quanto le ragioni di scambio di quest'ultimo sono esattamente inverse rispetto al paese 1; è quindi 28 Per ragioni di scambio si intende il prezzo relativo del bene di esportazione espresso in unità del bene di importazione.

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lecito aspettarsi che tale paese adotti comportamenti di tipo ritorsivo aumentando a sua volta i dazi verso il paese 1, questo processo andrà avanti in modo iterativo fino a che tutti i benefici derivanti dal commercio internazionale non verranno vanificati. È interessante notare che, anche qualora il paese partner non effettui comportamenti ritorsivi al livello mondiale il benessere complessivo risulta inferiore rispetto ad una situazione di libero scambio. Alla luce di tali affermazioni è possibile affermare che è proprio il libero scambio che massimizza il benessere mondiale.

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2.1.2 Barriere commerciali non-tariffarie.

Sebbene come detto precedentemente nel corso degli anni si è assistito ad una graduale e continua riduzione dei dazi tra i paesi maggiormente sviluppati, l’opposto è avvenuto con riguardo alle cosiddette barriere non-tariffarie, che possono essere suddivise in quote sulle importazioni, restrizioni volontarie alle esportazioni, regolamentazioni tecniche, amministrative e di altra specie, i cartelli internazionali ed infine le misure anti-dumping.

 Le quote sulle importazioni sono definite come una restrizione quantitativa fissa che viene applicata alla merce importata, ossia si tratta di un ammontare predeterminato di merce stabilito dal paese stesso che è possibile acquisire dall’estero. Il fine di tale strumento è quello di salvaguardare l’agricoltura o l’industria del paese e/o spesso sono utilizzate per questioni relative alla bilancia dei pagamenti. Gli effetti derivanti dall’imposizione di una quota alle importazioni sono assimilabili a quelli che derivano dall'applicazione di un dazio. Le principali differenze tra queste due tipologie di strumenti derivano dal fatto che per le quote è necessario che il governo metta all’asta in un mercato concorrenziale la distribuzione di licenze sulle importazioni per evitare che determinate imprese conseguano profitti monopolistici, un ulteriore differenza inoltre è data dal fatto che mentre gli effetti derivanti dall'applicazione del dazio sulla limitazione delle importazioni dipendono dall’elasticità della domanda e dell’offerta, quelli provocati dalla quota sono certi in quanto la quantità desiderata viene stabilita a priori ed è indipendente dall’elasticità di tali curve.

 Restrizioni volontarie alle esportazioni “si sostanziano nel caso in cui un paese importatore induce, sotto minaccia di maggiori restrizioni al commercio internazionale, un altro paese a ridurre volontariamente le

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esportazioni”30, questo accade essenzialmente quando tali esportazioni

costituiscono un problema per l’economia nazionale dell’importatore. Un importante caratteristica di tale misura è data dal fatto che, una volta che quest'ultima ha successo, provoca effetti che sono analoghi a quelli delle quote alle importazioni, l’unica differenza è data dal fatto che tali restrizioni sono amministrate dal paese esportatore. È possibile affermare in linea generale che tali strumenti sono meno efficaci delle quote, in quanto tendenzialmente i paesi che esportano verso l’estero sono meno propensi a frenare “volontariamente le proprie esportazioni”. Un esempio di restrizioni volontarie alle esportazioni è quello del 1981 nel quale gli Stati Uniti hanno negoziato tali misure con riguardo al mercato automobilistico giapponese.

 Le regolamentazioni tecniche, amministrative e di altra specie nascono essenzialmente con un fine legittimo, quello di garantire maggiori standard in termini di qualità e di sicurezza dei beni che vengono negoziati al livello internazionale, tuttavia anche essi rappresentano un ostacolo al commercio internazionale, in quanto spesso tali normative non sono altro che sottili mascheramenti volti a limitare le importazioni all’interno del paese. Queste ad esempio possono essere: regolamenti di sicurezza per macchinari elettrici, regolamenti igenici riguardanti i beni di tipo alimentare, nonché requisiti di etichettatura per il controllo dell’origine e dei contenuti dei prodotti, ecc.

 I cartelli internazionali non sono altro che accordi tra fornitori/governi produttori di un determinato bene, che vanno a limitare la produzione e l’esportazione con il fine di massimizzare i profitti derivanti da tale organizzazione. Nonostante tali cartelli siano illegali negli Stati Uniti e sottoposti a severe restrizioni in Europa, il potere di tali organizzazioni è difficile da contrastare in quanto questi ultimi non sottostanno a nessuna 30 Economia internazionale Dominick Salvatore (2008)

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giurisdizione di alcun paese. Un esempio classico di cartello internazionale è dato dall’OPEC31, che nel corso degli anni grazie alla

limitazione della produzione di tale bene, è riuscito a provocare forti variazioni al rialzo del prezzo di quest'ultimo. È necessario sottolineare il fatto che tali cartelli sono tanto più efficaci tanto più il numero di partecipanti a tale accordo è ridotto e tanto più non esistano sostituti stretti del bene primario oggetto del cartello.

 Il dumping è definito come l’esportazione di un determinato bene sottocosto, o almeno ad un prezzo di vendita inferiore rispetto a quello che viene praticato all’interno dei confini nazionali. Esiste una classificazione precisa delle tipologie di dumping che vengono applicate dai vari paesi, tra questi ritroviamo: il dumping persistente, è un comportamento persistente da parte di un monopolista nazionale alla massimizzazione dei profitti derivante dalla vendita continua del bene ad un prezzo più elevato sul mercato interno rispetto a quello esterno. Il dumping predatorio invece riguarda la vendita temporanea di tale bene con tutte le caratteristiche descritte precedentemente con il fine di eliminare i produttori esteri dal mercato dove viene applicato. L’ultima tipologia di dumping è il cosiddetto dumping sporadico, che è la vendita occasionale di un bene alle medesime condizioni dei precedenti tipi di dumping, con il fine di eliminare un imprevista o temporanea scorta di merci senza necessariamente ridurre i prezzi nazionali. Per contrastare il dumping predatorio esistono delle tasse specifiche che prendono il nome di tasse anti-dumping che sono volte a controbilanciare i differenziali di prezzo derivanti da tali pratiche, con il fine di proteggere l’industria nazionale e evitare comportamenti concorrenziali sleali provenienti dall’estero.

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2.2 Mercato unico europeo

Entrato in vigore il 1 gennaio 1993 al termine di un complicato processo di costituzione grazie alla spinta dell’allora presidente della commissione Jacques Delors, il mercato unico europeo o mercato interno può essere definito come un sistema che dà la possibilità ai singoli paesi membri dell’unione di sfruttare le opportunità derivanti dall’introduzione del libero scambio e dall’eliminazione delle varie tipologie di dazi allora presenti tra i singoli paesi. Di fondamentale importanza per funzionamento di tale accordo vi sono le quattro libertà fondamentali che costituiscono appunto la base portante di tale mercato.

2.2.1 Libera circolazione delle merci.

Una delle quattro libertà fondamentali stabilite dall’ordinamento giuridico dell’unione europea si sostanzia nel divieto di imposizione di dazi doganali sia alle esportazioni che alle importazioni, o di una qualsiasi altra tassa con effetto equivalente sul commercio, creando di fatto quella che viene comunemente definita un Unione doganale ( Unione Europea 1957), che consiste in area dove appunto vi è assenza di dazi, o altri tipi di barriere commerciali; in aggiunta a ciò viene stabilita una più solida armonizzazione delle politiche commerciali, come ad esempio l’imposizione di aliquote tariffarie comuni nei confronti del resto del mondo. Questa si differenzia notevolmente da un area di libero scambio in quanto quest’ultima tipologia di integrazione economica prevede il mantenimento per i singoli paesi delle varie barriere commerciali nei confronti dei paesi non-membri. Tuttavia nel 1993 l’Unione ha raggiunto un’integrazione ancora più stringente passando appunto alla realizzazione del mercato comune, che va oltre l’unione doganale in quanto consente il libero movimento di lavoro e capitale tra gli stati membri.

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Il processo di liberalizzazione della circolazione delle merci è avvenuto mediante interventi specifici volti alla:

 Soppressione delle restrizioni quantitative o contingentamenti, che si sostanziano in una serie di misure di natura non tariffaria con le quali un paese può porre un divieto parziale o totale all’esportazione o all’importazione di un determinato prodotto. In realtà, il divieto di restrizioni quantitative ha però cominciato a dispiegare la propria efficacia a partire dal 1° gennaio 1970; durante la fase di pendenza si è provveduto al progressivo smantellamento di ogni misura che limitasse le importazioni e le esportazioni, imponendo a tal fine agli Stati membri l’obbligo di astenersi dall’introdurne di nuove o di aggravare quelle esistenti. 32 Tale divieto ad oggi è stato rispettato dai vari paesi quindi è

possibile affermare che tali misure di restrizione del commercio non siano più presenti.

 Eliminazione di tutte le barriere non tariffarie, ossia di tutte le così dette regolamentazioni di tipo non fiscale del commercio estero il cui obiettivo principale è quello di limitare la circolazione delle merci, nello specifico, quello di andare a contenere le importazioni33. Le barriere non tariffarie,

delle quali è prevista l’abolizione, possono essere raggruppate in tre sotto-categorie nella quali abbiamo rispettivamente: le barriere fisiche, le barriere tecniche e le barriere fiscali. La loro rimozione permetterà, grazie ad un più intenso e pronto sfruttamento delle economie di scala, di ottenere considerevoli riduzioni sia nei costi di produzione, che, nei prezzi finali di vendita all’interno del mercato unico europeo, a tutto beneficio dei consumatori e dei produttori europei, i quali vedranno accrescere la competitività internazionale dell’industria europea.

32 https://europa.eu/european-union/index_en

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 Le barriere fisiche che sono rappresentate dalle formalità amministrative e dalle dogane. La loro presenza si traduce in un notevole aggravio di costi conseguente all’espletamento delle procedure burocratiche necessarie per il loro superamento, che provoca un incremento dei prezzi finali di vendita. L’introduzione del mercato unico e la loro successiva eliminazione ha portato comunque a numerosi vantaggi, in termini temporali relativi ad una maggiore velocità del tempo necessario all’attraversamento della frontiera e ad una notevole riduzione dei costi burocratici reso possibile dall’introduzione del DAU (Documento Amministrativo Unico) che ha permesso di ridurre di circa 85% le varie procedure burocratiche allora in vigore. Inoltre un importante passo in avanti è stato compiuto anche sui controlli di frontiera sulle persone, infatti nel 1985 è stato introdotto il “Trattato di Schengen” che ha portato al compimento di una zona di libera circolazione denominata spazio Schengen, all’interno della quale i controlli riguardanti le persone alle frontiere risultano del tutto aboliti per quei soggetti provenienti da stati aderenti a tale trattato.

 Le Barriere tecniche: nonostante il trattato di Roma nel 1968 abbia consentito la completa eliminazione delle restrizioni quantitative, è risultato più difficile intervenire su quei comportamenti posti in essere dai singoli paesi membri che vanno ad intaccare indirettamente il commercio intra-comunitario, infatti tramite tali comportamenti i singoli paesi possono in maniera non esplicita e indiretta andare a limitare le importazioni rendendole più costose e di difficile implementazione, un classico esempio di tali metodologie può essere l’introduzione di norme relative agli standard tecnici di sicurezza, sanità e difesa del consumatore. Con barriere tecniche si identifica il comportamento dei singoli governi nazionali volto a limitare tramite differenti regolamentazioni e standard le importazioni dagli altri paesi, di fatto quest'ultimi costituiscono un vero e

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proprio strumento protezionistico. È da considerare inoltre che la tentazione di utilizzo di tali misure protezionistiche per assicurare una maggiore tutela verso le imprese e verso il proprio mercato, aumenta proprio in periodi caratterizzati da maggiori difficoltà strutturali in determinati settori e dal conseguente aumento del tasso di disoccupazione. L’utilizzo di tali strumenti difatti comporta per quegli stati, che intendono commerciare con il paese promotore di tale comportamento, una modifica della loro produzione in funzione dello standard locale richiesto dalla normativa di quel paese, questa situazione porta maggiori costi produttivi e maggiori prezzi di vendita, creando conseguentemente una perdita di competitività internazionale delle imprese comunitarie rispetto a quelle extra-comunitarie. In ambito europeo, per la loro rapida rimozione, al principio di armonizzazione è stato affiancato il principio del mutuo riconoscimento attraverso l’Atto Unico Europeo. In sede World Trade Organization (WTO), è stato adottato un accordo specifico sulle TBT34,

per evitare che tali strumenti costituiscano inutili ostacoli al commercio. Questo accordo consiste nell’evitare che le regole e le norme tecniche, così come le procedure di certificazione e di prova, possano dar luogo ad ingiustificati impedimenti al commercio. L’accordo TBT, pur incoraggiando il ricorso alla normativa internazionale, riconosce a ciascun Paese il diritto di adottare specifiche misure nazionali ma prevede un codice di buona pratica per la preparazione, adozione e applicazione di tali misure, così da salvaguardare l’equità e la trasparenza dell’intero sistema.35

Inoltre grazie ad una sentenza della corte di giustizia della CE nel 1979 è stato stabilito che:“tutte le merci prodotte e vendute in uno stato membro, nel rispetto delle normative in vigore nello stesso, possono essere 34 Technical Barriers to Trade (TBT)

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commercializzate anche negli altri stati membri”. Un divieto è ammissibile solamente quando sia indispensabile, e non esistano dunque altre soluzioni meno drastiche e restrittive, per tutelare interessi pubblici superiori, quali per esempio la moralità pubblica, l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza, la tutela della salute e della vita di persone e animali36.

Grazie quindi all’applicazione del concetto del mutuo riconoscimento, secondo cui “tutte le merci prodotte a norma di legge e messe in commercio in un paese partner non possono essere rifiutate dagli altri paesi membri”, le barriere non-tariffarie legate agli standard sono state quasi del tutto eliminate.

 Barriere fiscali: un ulteriore punto fondamentale per la piena applicazione del diritto di libera circolazione delle merci è la riduzione delle disparità che tuttavia ancora esistono fra i vari stati membri in termini di imposizione fiscale sugli scambi commerciali all’interno del mercato unico. Lo scopo di tali frontiere è innanzitutto quello di assicurare allo stato membro, nel momento in cui avviene lo scambio commerciale all’interno del Mercato Comune, il gettito delle imposte di consumo, che gli spetta di diritto poiché in tale stato le merci vengono consumate. Grazie a tale sistema infatti è possibile assicurare una equa concorrenza tra le merci prodotte nel paese e quelle importate. Un ulteriore motivazione dell’esistenza di tali barriere è data dal fondamentale ruolo che assumono in termini di lotta contro l’evasione fiscale e le deviazioni di flussi commerciali del traffico. Infatti grazie a tali strumenti è possibile controllare le esportazioni di merci al fine di sopperire quei possibili comportamenti opportunistici da parte di commercianti ed esportatori, che di fatto potrebbero creare delle distorsioni sul piano della concorrenza. Per le ragioni viste precedentemente tali frontiere e i relativi controlli, nel sistema attuale, non sono stati del tutto eliminati, nonostante sia possibile, 36 Art. 36, Trattato CE.

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a partire dal 1° Gennaio 1993, adottare un articolato sistema di dichiarazioni da parte degli imprenditori soggetti all’imposta spostando di fatto tali controlli fiscali dalle frontiere in capo direttamente a quest’ultimi. Vi è poi un problema ancora irrisolto che riguarda la necessità di un’armonizzazione del regime IVA: affinché il sistema fiscale funzioni correttamente infatti è necessaria una forte omogeneità tra i tassi IVA degli stati membri; questo problema è stato in parte risolto dal principio del paese di provenienza, grazie al quale la riscossione dell’imposta sul valore aggiunto avviene nel paese di provenienza delle merci. Tuttavia vi sono però varie opinioni contrastanti circa le modalità di intervento infatti se da un lato c’è chi ritiene che l’esistenza di aliquote fiscali differenti ed un mancato coordinamento fiscale possa favorire un indebolimento finanziario dello stato con ripercussioni su servizi e prestazioni pubbliche, dall’altro vi è una corrente di pensiero che invece considera che il libero mercato possa raggiungere autonomamente l’obiettivo della armonizzazione fiscale senza alcun intervento da parte delle autorità governative.

2.2.2 Libera circolazione delle persone.

La seconda libertà fondamentale del Mercato Unico si basa sul principio di parità di trattamento, che impone agli stati membri di considerare i cittadini degli altri paesi al pari dei propri: in particolar modo vengono garantiti ai cittadini comunitari la mobilità geografica e professionale oltre ad un livello minimo di integrazione sociale, che consente di beneficiare di tutte le possibilità o agevolazioni previste per i cittadini.37

Grazie a tale diritto il singolo cittadino comunitario che si sposta all’estero per esigenze lavorative, e la sua famiglia possono usufruire di borse di studio, e di una sufficiente protezione contro invalidità, infortuni, malattie e assegni familiare 37 Santinello, il mercato unico europeo (2008)

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garantendo cosi una parità di trattamento sul piano della protezione sociale. Per quanto riguarda invece la mobilità geografica questa fa riferimento al diritto in capo ad ogni soggetto appartenente al mercato unico di trasferirsi in uno qualsiasi dei paesi comunitari al fine di trovare un’occupazione o di esercitare un’attività lavorativa. Un importante passo in avanti è stato compiuto a partire dal 1990; infatti antecedentemente a tale data, tale diritto era riservato esclusivamente ai lavoratori ed ai disoccupati, mentre a partire da tale data quest’ultimo è stato esteso anche a studenti o soggetti senza occupazione a condizione che dispongano di idonei mezzi di sostentamento in aggiunta ad un’assicurazione sanitaria. Mentre con mobilità professionale si intende la libera circolazione dei singoli lavoratori degli stati membri all’interno dell’unione, raggiunta attraverso l’eliminazione di ogni tipo di discriminazione basata sulla nazionalità tra i lavoratori degli stati, con particolare riguardo per l’assunzione,retribuzione e altre condizioni lavorative; in sostanza tale condizione consente ad ogni soggetto di ottenere un’eguale retribuzione ed inoltre garantisce la possibilità di ottenere uguali diritti di riconversione professionale e riassunzione in caso di perdita del proprio posto di lavoro. Infine per quanto concerne il diritto di stabilimento, viene attribuita la possibilità di accesso ad attività non “salariate” ossia libere professioni e lavoro autonomo; il principio che sta alla base di quest’ultimo cosi come per la libera circolazione dei lavoratori, è l’equo trattamento per tutti i cittadini comunitari. Inoltre viene anche istituito un divieto di compimento di qualsiasi atto volto a impedire od ostacolare l’attività dei cittadini comunitari. Per la realizzazione di tali diritti è stato necessario il compimento di un complesso processo di armonizzazione delle legislazioni nazionali al fine di ridurre le differenze nei vari ordinamenti nazionali.

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2.2.3 Libera circolazione di servizi.

La libertà di prestazione dei servizi si applica a tutti i servizi che vengono generalmente forniti contro remunerazione, nella misura in cui essi non sono regolamentati dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. La persona che presta un «servizio» può, a tal fine, esercitare temporaneamente la propria attività nello Stato membro in cui il servizio viene prestato, alle stesse condizioni imposte da tale Stato ai propri cittadini.38 Un passaggio molto importante è stato il riconoscimento dei diplomi,

infatti affinché le persone che esercitano attività indipendenti e i professionisti possano stabilirsi in un altro Stato membro od offrirvi i loro servizi su base temporanea, i diplomi, i certificati e altri titoli attestanti le qualifiche professionali quali rilasciati nei vari Stati membri devono essere reciprocamente riconosciuti, e le disposizioni nazionali che disciplinano l'accesso alle diverse professioni devono essere coordinate e armonizzate39. Tuttavia tale

riconoscimento è ostacolato da un difficile processo dovuto alla differenti impostazioni dei sistemi di formazione tra i vari paesi dell’Unione.

2.2.4 Libera circolazione dei capitali, e liberalizzazione dei

pagamenti.

La quarta e ultima libertà fondamentale introdotta grazie al mercato unico è quella relativa ai movimenti dei capitali, quali ad esempio acquisto di immobili, credito a medio lungo termine, partecipazioni a imprese. Il motivo e scopo dell’introduzione di tale liberà è legato alla possibilità di compiere al di-fuori dei confini nazionali i vari pagamenti riguardanti la retribuzione della prestazione di servizi, la fornitura di merci o l’esecuzione dei lavori. Inoltre tale libertà consente l’eliminazione di qualsiasi ostacolo legato ai movimenti finanziari di carattere autonomo quali investimenti o partecipazioni azionarie, nella misura necessaria 38 http://www.europarl.europa.eu

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