L’impatto della Brexit e i possibili scenari.
3.4 Impatto della Brexit sulle principali variabili economiche.
Oltre agli impatti di bilancio e l'incidenza dell'incertezza, le principali variabili economiche influenzate sono il commercio, gli investimenti diretti esteri, la regolamentazione e la migrazione. Le variazioni di questi fattori andrà ad influenzare il livello del reddito nazionale e potenzialmente la sua crescita nel tempo. Cominciamo con l'impatto dell'incertezza prima di considerare ciascuna di queste altre variabili.
Incertezza e impatti a breve termine
La prospettiva del Regno Unito che lascia l'Unione europea potrebbe avere una serie di effetti economici nel periodo in cui il Regno Unito e l'UE concordano i piani e le condizioni per l’uscita dalla stessa. L'economia britannica sta già scontando alcuni di questi effetti con una forte volatilità della sterlina nei confronti delle principali valute internazionali. Il rapporto trimestrale sull’inflazione della Banca d'Inghilterra, nota che la sterlina è in forte calo rispetto a dati di novembre, e conclude che: "ci sono prove che suggeriscono che circa la metà di tale calo riflette i rischi percepiti e associati all’esito del referendum". Esistono diversi meccanismi mediante i quali l’incertezza influenza le variabili economiche attuali e future, quest’ultima infatti potrebbe indurre famiglie e imprese a ritardare le proprie decisioni di investimento provocando una riduzione della domanda di attività denominate in valuta nazionale, con il conseguente deprezzamento della valuta. Questo deprezzamento inoltre tenderà a ridurre il potere di acquisto delle famiglie in quanto il costo del prestito ed il prezzo delle merci importate subiranno un connesso aumento. Dal lato delle esportazioni tuttavia è possibile, almeno in linea teorica, ottenere qualche vantaggio, in quanto, al di la della riduzione degli investimenti e della maggiore incertezza che colpisce le imprese orientate all’esportazione, una sterlina più debole si riflette in un potenziale miglioramento della bilancia commerciale del Regno Unito grazie alla maggiore competitività delle sue esportazioni al livello
internazionale.
Fondamentalmente vi è ampio consenso sul fatto che una maggiore incertezza provoca effetti negativi sul reddito nazionale, in quanto vi è un rallentamento degli investimenti, un deprezzamento della valuta nazionale, e un aumento dei costi di finanziamento. Tale effetto di incertezza è spesso incluso insieme ad altri effetti nelle previsioni, anche se in termini generali riduce la crescita del PIL di un punto percentuale all'anno72.
Impatti commerciali
Ci sono due elementi chiave per valutare gli impatti sul commercio: in primo luogo, come i livelli generali di scambio saranno colpiti e, in secondo luogo, quale è l’impatto di questi cambiamenti sull'economia. In tutte le opzioni disponibili al Regno Unito al di fuori dell’UE, il commercio britannico con l’Unione dovrà affrontare una serie di frizioni, in termini di tariffe, controlli doganali, o potenziale incapacità di fornire servizi all’interno del Mercato Unico. Anche se il Regno Unito dovesse concludere un accordo di libero scambio (FTA) con l’Unione, questo non andrebbe, in maniera automatica, a risolvere tutte queste frizioni. Di conseguenza di fronte ai maggiori costi che l’economia britannica dovrà sostenere, alcuni scambi diventeranno inutilizzabili e il livello del commercio complessivo con l’unione subirà una discesa significativa.
Tab.3.7. Impatto della Brexit sul commercio e sugli FDI.
Nel complesso, in ogni scenario di uscita è quasi certo che la Brexit ridurrà gli scambi del Regno Unito con il suo attuale partner commerciale più grande, l'UE (come descritto dalla tabella 3.8) e potenzialmente con i paesi (oltre 55) con cui l'UE ha siglato un accordo commerciale. Le stime disponibili dagli studi, come mostrato nella Tabella 3.8, suggeriscono che il commercio complessivo scenderà tra l'8 e il 29%.
Negli scenari in cui il Regno Unito può porre in essere proprie offerte commerciali con paesi non-EU, c è la possibilità di ottenere condizioni commerciali più efficienti o migliori rispetto a quelli negoziati dall’Unione stessa con tali paesi, questo potrebbe comportare un aumento degli scambi e quindi del commercio extra-europeo andando a compensare, almeno in parte, la riduzione del commercio con l’Unione.
In compenso, è vero si che da un lato la Brexit offrirà la possibilità di incrementare il livello degli scambi con paesi esterni all’Unione, ma vi è d'altro canto l’elevata probabilità di una riduzione continua degli scambi con l'UE. Infine, il "libero scambio unilaterale" avrebbe si, alcuni effetti positivi sulla competitività e sulla produttività attraverso le importazioni più economiche, ma le esportazioni dovrebbero far fronte ad importanti misure tariffarie e non.
Gli impatti diretti sono principalmente calcolati mediante l’utilizzo di modelli di equilibrio generale calcolabile (CGE) e tramite i modelli di gravità. Entrambi sono spesso utilizzati nell ambito delle analisi delle politiche commerciali (vedi Piermartini e Teh 2005). I modelli di equilibrio generale calcolabile, considerano come l’economia reagirà in futuro, possono essere utilizzati per valutare gli effetti delle politiche commerciali sui redditi e sul commercio, fornendo valutazioni ex-ante. Per quanto concerne invece i modelli di gravità sono cosiddetti perché mostrano la teoria della gravità di Newton, ossia il commercio (gravità) aumenta con la dimensione delle economie (oggetti) e diminuisce con la distanza (che può essere misurata in diverse dimensioni) tra di loro. I modelli di gravità spiegano il modello del commercio bilaterale tra le nazioni, anche nel tempo, in termini di determinazione delle variabili fondamentali quali dimensione economica, distanza, lingue comuni e storia e forniscono inoltre valutazioni ex-post nell'adozione di determinate politiche commerciali (vale a dire valutazioni retrospettive)
In conclusione, è probabile che il Regno Unito subirà una riduzione sostanziale del commercio. Questi cambiamenti potranno ridurre anche la "apertura" dell'economia del Regno Unito, in termini di scambi in percentuale del PIL, almeno a medio termine. A conferma di ciò gli studi concordano sul fatto che una riduzione (aumento) degli scambi dovrebbe, almeno in linea teorica, ridurre (aumentare) il PIL; questa riduzione, è riconducibile essenzialmente a due canali: l’impatto diretto causato dalla variazione delle importazioni e delle esportazioni, e l’impatto indiretto, dovuto al minor grado di apertura dell’economia britannica,
che si riflette in una riduzione delle economie di scala, dell’innovazione e della specializzazione, quindi della produttività.
Investimenti diretti esteri.
Gli investimenti diretti esteri aumentano direttamente i redditi nazionali e possono avere effetti positivi sui livelli di produttività. Gli investimenti effettuati nel Regno Unito da parte di entità o di società al di fuori dello stesso possono aumentare la produttività attraverso l'introduzione di nuove idee e approcci o semplicemente essere più produttivi e aumentare il reddito nazionale. Diversi studi considerano come il ridotto accesso al mercato unico possa influire sugli investimenti stranieri nel Regno Unito e come ciò influirebbe sul reddito nazionale e sulla produttività di quest’ultimo. Esaminiamo il potenziale effetto diretto della Brexit sui redditi FDI e sul reddito nazionale e guardiamo a come gli FDI possano influire sui livelli di produttività.
Tab3.8. Impatto della Brexit sugli FDI.
HMT73, CEP74 , OECD, NIESR75 stimano esplicitamente come i flussi derivanti
dagli FDI saranno colpiti inevitabilmente dalla Brexit e stimando la relativa perdita in termini di PIL e produttività.
L’OECD, nell’elaborare la sua stima si basa su un modello separato di gravità econometrica di Fournier (2015), che stabilisce una forte relazione tra la comunanza dei quadri normativi e il livello degli FDI bilaterali considerando anche stime specifiche sull'effetto del mercato unico dell'UE. Dai risultati ottenuti, viene evidenziata una riduzione del flusso degli investimenti diretti esteri del 30% (tra il 10 e il 45%) dopo l'uscita della Gran Bretagna dall’Unione. La CEP nell’elaborazione delle proprie stime si avvale di simili lavori econometrici Baier (2008) che suggerisce effetti derivanti dall’adesione all'Unione europea, implicando che i flussi di investimenti diretti diminuiscano del 22%.
HMT basandosi su un approccio simile al modello di gravità utilizzato dal CEP, identificando in oltre un amplia gamma di analisi supporto, per dimostrare che gli investitori valorizzano l’accesso del Regno Unito al mercato unico europeo, ipotizzando tre differenti scenari (EEA, FTA, WTO) stima una riduzione degli FDI rispettivamente del 10%, 15%-20% e 18%26%.
Invece, Economists for Brexit sostengono che gli investimenti diretti esteri legati all'accesso all'UE sarebbero stati deviati dai settori "protetti dall'UE" in settori di nuova espansione. Tuttavia, come è già stato analizzato precedentemente per il commercio, la creazione di nuovi mercati tali da compensare il ridotto accesso ai mercati dell'UE è molto incerta, ed è improbabile almeno nel breve e medio termine.
73 https://www.gov.uk/government/organisations/hm-treasury
74 http://www.cep-europa.org/
Al di là dell’ampio consenso dell’effetto negativo derivante dall’abbandono dell’Unione Europea, ci sono ulteriori prove che collegano gli investimenti diretti esteri con una maggiore produttività all’interno del paese. Infatti, le multinazionali tendono ad essere più produttive grazie all'uso più accentuato delle tecnologie, ad una maggiore propensione a svolgere attività di ricerca e sviluppo e una migliore gestione. Questi effetti possono anche passare alle imprese nazionali (CEP, 2016). Tra i diversi studi che consideriamo, alcuni riportano impatti diretti sul PIL e alcuni impatti con una produttività interna, come riassunto nella tabella 3.9. Gli effetti relativamente grandi stimati dal CEP prendono in considerazione in modo specifico l'importanza del settore finanziario britannico. Altrimenti, una stima centrale plausibile dell'impatto dei ridotti investimenti diretti esteri a sul PIL sembra essere una perdita di circa l'1% a medio termine, anche se in alcuni scenari parte degli effetti negativi potrebbero essere compensati dall’accesso in altri mercati e da altri FDI in altri settori nel corso del tempo.
Regolamentazione.
L'UE stabilisce una regolamentazione specifica su una serie di settori, quali ad esempio: l'ambiente e il clima, i servizi finanziari, le questioni sociali e occupazionali, la salute ed infine la sicurezza. Molti di questi regolamenti sono legati al mercato unico, garantendo uno standard normativo comune per sostenere la libera circolazione delle merci e dei servizi. Infatti, in alcuni scenari di uscita di uscita dl Regno Unito, come l'adesione allo Spazio Economico Europeo (SEE), questi standard regolamentari continuerebbero ad applicarsi in larga parte alle imprese britanniche. Per tali imprese, la sovra-regolamentazione e in generale e la regolamentazione dell'UE in particolare, sono chiaramente una fonte di preoccupazione dichiarata. Indipendentemente dallo scenario che il UK adotterà, le imprese britanniche che esportano nell'UE avranno ancora bisogno di soddisfare i suddetti standard dell’UE, ma in caso di un accordo senza pieno accesso al mercato unico i produttori nazionali si ritroverebbero ad affrontare la
legislazione britannica. In questo scenario, sembra che ci sia spazio per il Regno Unito per ottenere ulteriori miglioramenti dalla regolamentazione e diversi studi hanno tentato di quantificare questi effetti. Detto ciò, è necessario considerare, come suggerito da alcune indagini che il mercato dei beni e servizi britannico è già tra i meno regolamentati a livello internazionale e quindi i risparmi potenziali derivanti da un ulteriore deregolamentazione possono essere limitati.
Open Europe esamina le valutazioni poste in essere del governo britannico sui costi e sui benefici delle 100 più costose regolamentazioni derivanti dall'UE, andando ad identificare e quantificare i possibili risparmi.
I costi della regolamentazione dell'UE secondo questo approccio sono di 33,3 miliardi di sterline, mentre i benefici sono di 58,6 miliardi di sterline, per cui i vantaggi complessivi superano i costi. Su questa valutazione, tuttavia, esistono alcune regole che potrebbero essere eliminate con un risparmio netto di 12,8 miliardi di sterline (0,7% del PIL). Esiste inoltre la possibilità di ulteriori risparmi derivanti da modifiche alla regolamentazione dei servizi finanziari. Open Europe suggerisce che questi potrebbero essere dell'ordine di 1,4 miliardi di sterline, mentre Congdon76 (2013) produce stime significativamente maggiori
sui possibili guadagni derivanti da una deregolamentazione. Esistono infatti alcune aree di regolamentazione dei servizi finanziari che potrebbero essere liberalizzate in seguito all'uscita dall'UE, ma ci sono ancora chiaramente aree in cui la politica interna negli ultimi anni è stata quella di aumentare piuttosto che ridurre tale regolamentazione. Tuttavia in un'ottica più ampia, Congdon prende in considerazione i costi, o i potenziali costi futuri, dei regolamenti sociali, finanziari e ambientali dell'Unione europea sostenendo che la loro eliminazione porterebbe a notevoli benefici sul PIL. Questo approccio tuttavia identifica costi di regolazione molto più elevati rispetto agli altri studi e inoltre, ignora tutti i vantaggi associati ai regolamenti e non tiene conto dei possibili costi relativi ad una regolamentazione interna alternativa. Alla luce di tali criticità gli studi posti 76 http://www.iecomgdom4uk/stp.coe/docs/Uim2014.tpdd
in essere da Congdon possono essere non considerati una guida affidabile dei possibili guadagni normativi al di fuori dell'UE.
Complessivamente, la maggior parte delle analisi riconosce che esistono alcuni potenziali risparmi normativi con connessi benefici per la produttività., anche se vi è una particolare divergenza negli studi posti in essere da Congdon e da altri istituti. Con riguardo alla regolamentazione,è possibile affermare che vi è la possibilità per il Regno Unito di ottenere importanti benefici sia in termini di PIL che di produttività delle imprese, anche se come già affermato precedetemene è necessario considerare che il grado di regolamentazione a cui sottostanno le imprese britanniche è tra i più bassi al livello internazionale. Infatti la scala dei potenziali benefici è improbabile che sia enorme, e si attesta a circa l’1% del PIL.
Migrazione
La politica migratoria è una parte importante del dibattito pubblico sulla Brexit inoltre, quest’ultima costituisce un fattore molto importante per l’impatto che ha sull’economia. Tuttavia, negli scenari di uscita, non è chiaro quale sia la politica posta in essere dal Regno Unito e questo aggiunge notevolmente incertezza circa le possibili valutazioni finali. All'interno dell'UE, la libera circolazione dei lavoratori è un requisito fondamentale del mercato unico e dà diritto a vivere e lavorare in qualsiasi stato membro. Inoltre, i paesi del SEE e del EFTA accettano anche la libera circolazione nell'ambito del loro accesso al mercato unico. Il Regno Unito, però, non fa parte dell'accordo di Schengen che elimina i controlli alle frontiere. Oltre ad uno scenario in cui il Regno Unito accetta la libera circolazione in qualità di membro del SEE o in un accordo commerciale, si possono considerare due possibili opzioni derivanti dall'uscita: in primo luogo, che il Regno Unito lascia l'UE e riduce il numero complessivo di immigrati; e, in secondo luogo, che i livelli globali di migrazione sono mantenuti. Un ulteriore scenario potrebbe anche comportare un cambiamento nel mix delle abilità migranti, forse con un sistema basato su punti per consentire l'ingresso.
L'OECD osserva che i migranti dell'UE verso il Regno Unito hanno tassi di occupazione relativamente elevati e contribuiscono nettamente alle finanze pubbliche, aspettandosi però un crollo degli stessi a seguito della Brexit. Nella sua modellazione quantitativa, la migrazione netta annuale diminuisce di 56.000, 84.000 o 116.00077 individui.
Oxford Economics considera una serie di risposte politiche su un sistema basato su punti, che vanno dal controllo modesto a una riduzione più aggressiva (da una cifra di base di 142.000 relativa al controllo più aggressivo ad una riduzione a 77.000 in caso di controllo modesto). Questi ultimi svolgono una serie di assunzioni dettagliate sul numero e sul mix di competenze della migrazione netta dell'UE che si traducono in una riduzione tra lo 0.2% e l’1.1% dl PIL nel 2030. Open Europe ritiene che i livelli di migrazione non modifichino molti requisiti economici e commerciali. Tuttavia, osserva che un sistema basato sui punti potrebbe raggiungere un equilibrio produttivo tra gli immigrati UE e quelli extracomunitari.
CBI intraprende un'attenta analisi dei numeri dei migranti e delle competenze, esso suggerisce che sistema il sistema basato su punti eliminerebbe efficacemente i nuovi migranti meno esperti dell'UE provocando tuttavia una riduzione della forza lavoro globale tra lo 0,7% (scenario FTA) e l'1,4% (scenario WTO) nel 2030. La pesante riduzione della forza lavoro provocherebbe come conseguenza una riduzione del PIL tra 1% e 1.6% nel 2030.
Nel complesso quindi, è chiaro che una politica di immigrazione che va ad intaccare gli afflussi netti derivanti dall’Unione Europea ha un impatto sul PIL, sulle finanze pubbliche e sulla produttività del lavoro. Se i livelli globali di migrazione rimangono immutati, ma vengono spostati in un sistema di punti che permette il raggiungimento di più elevati livelli di competenze è plausibile che si
assista ad un incremento del PIL e della produttività, anche se non esistono stime quantitative di tale effetto.