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Questioni aperte

4. Nuove forme di condivisione

4.2. Costruire condivisione

Sarebbe sbagliato credere che quanto appena descritto sia soltanto una trasformazione tecnologica, che richiede l’individuazione di più o meno adeguate nuove forme di adattamento. Infatti, questo processo sta deli- neando una significativa ridefinizione del concetto di condivisione delle notizie, che probabilmente incide e inciderà sul fine ultimo del giornali- smo: informare su fatti di rilevanza pubblica, semplificare la complessità e ricostruire collegamenti di senso a beneficio del lettore.

completa, perché l’interazione diventa maggiore e l’ibridazione fra fun- zioni si accentua e coinvolge sia le fonti informative quanto il pubblico. Le politiche di brand vanno pertanto completamente ridefinite attraverso la capacità da parte di ciascun emittente di utilizzare al meglio le logiche proprie dei vari ambienti: on air, web e social.

Vediamo come emergono tali politiche dalle osservazioni sviluppate nei precedenti capitoli e dalle osservazioni dei nostri intervistati.

Al concetto di condivisione per quanto riguarda la funzione del giorna- lismo – possono essere attribuiti storicamente due distinti significati. Da un lato, vi è una condivisione latente, ciò che definiva la famosissima me- tafora della “preghiera laica del mattino” dell’uomo moderno, cioè la pro- gressiva consapevolezza circa l’esistenza di un’istituzione – il giornalismo specificamente preposta a stabilire cosa dovesse essere d’interesse pubbli- co. Se c’è “scritto sul giornale” oppure “lo dice la televisione”, vuol dire che si definisce un universo di significato comune che svolge una funzione di certificazione della realtà. Del resto sia la teorizzazione di Luhmann sull’opinione pubblica come riduzione di complessità attraverso la sele- zione di temi ed eventi da porre all’attenzione del pubblico, sia il metodo dell’agenda setting, che definisce quali siano i temi su cui informarsi e costruirsi un’opinione, ci forniscono una chiara idea della rilevanza svolta dal ruolo di tale condivisione.

A questo primo livello di condivisione dobbiamo aggiungerne, poi, un secondo molto più situato, su cui si fonda la credibilità e la reputazione delle singole testate e parzialmente differente a seconda dei vari modelli di giornalismo. Stiamo parlando di ciò che solitamente è definita linea edito- riale e che nel giornalismo italiano ha avuto tradizionalmente due specifici punti di forza: la prossimità politico-ideologica e la prossimità geografica. Il pubblico condivideva i contenuti e le valutazioni di una determinata te- stata soprattutto per la propria vicinanza alle idee politiche che esprimeva oppure perché risiedeva nelle zone in cui la testata era pubblicata.

Per quanto concerne più specificamente l’informazione televisiva, queste caratterizzazioni hanno interessato, ovviamente, l’informazione dell’emittente pubblica, come ben sappiamo fortemente connotata – nella cosiddetta Prima Repubblica – da una distinzione politico-partitica delle testate, che dopo la crisi del sistema partitico degli anni Novanta ha trovato difficoltà a rimodularsi; ma anche da un forte taglio regionalistico proprio

dell’informazione del TG3, non a caso nato in coincidenza dell’emersione dell’informazione televisiva locale, ovviamente centrata sul valore della vicinanza territoriale.

Diverso il posizionamento dell’informazione di Mediaset, che da sem- pre ha seguito maggiormente una logica di marketing, differenziando le proprie testate sulla base delle differenti caratteristiche sociografiche dei telespettatori delle 3 emittenti; almeno fino a quando il coinvolgimento po- litico del suo proprietario non ha spinto anche queste emittenti a una forte connotazione partitica.

In Sky, infine, la caratteristica principale è stato il modello editoriale di pay TV, basato su un bouquet di canali che ha permesso un’informazione giornalistica all news e che differenzia nettamente l’informazione sportiva dal resto. Dunque, la condivisione è stata tematica, per quanto concerne lo sport, mentre per tutto il resto si è cercato di garantire un taglio generalista e non troppo connotato, che permettesse a tutti i clienti Sky di ritrovarcisi; ovviamente, sapendo di avere una platea meno di massa, e quindi meno eterogenea, con la quale costruire elementi d’identificazione più marcati.

Il web e i social network costringono ad abitare nuove forme di con- divisione, che conducono verso quella che si può definire condivisione orientata da una prossimità culturale. Beninteso, non che scompaiano le altre forme di condivisione, basti pensare a quanto stia diventando rilevan- te l’informazione iperlocale proprio per rispondere a quella dislocazione spazio-temporale di cui più volte abbiamo parlato – ma a queste si affianca l’esigenza di andare a intercettare quella miriade di comunità virtuali che vanno ben conosciute e alle quali offrire possibilità di confronto.

Se si differenziano e si segmentano i percorsi compiuti dalle notizie, da ogni singola notizia, analogamente segmentata deve essere la capacità di collocazione di tali notizie da parte delle emittenti. È come se per ogni no- tizia dovesse essere pensato l’ambito di diffusione e di discussione. Stret- tamente collegata a tutto ciò vi è l’osservazione che si ascolta sempre più di frequente nelle redazioni giornalistiche su come con la pubblicazione di un articolo o la messa in onda di un servizio prima terminasse il lavoro giornalistico, ora invece inizi.

La “fortuna” di una notizia non è data soltanto o principalmente dalla sua collocazione all’interno del contenitore giornalistico, quanto piuttosto da quanto viene accolta, apprezzata e rimessa in circolo dalle varie comu- nità presenti in rete. Questo processo modifica la concezione di pubblico ideale che deve avere in mente un giornalista o una testata, perché di fatto

tale immagine si frammenta nei tanti pubblici possibili che corrispondono a queste varietà di comunità, alle quali possono essere fornite informazioni parzialmente differenti, perché connotate da approfondimenti e angolatu- re narrative che tengano conto degli interessi specifici. Nasce proprio da tali evoluzioni la fortuna che stanno conoscendo termini come community journalism oppure engagement journalism; anche se – per adesso – abitano più le teorizzazioni degli addetti ai lavori che la pratica quotidiana, special- mente per quanto concerne il contesto italiano. Come confermano anche i dati della nostra ricerca.

Ma vediamo, senza alcuna pretesa di esaustività, visto il più volte ri- badito carattere sperimentale del nostro lavoro, come le 3 emittenti da noi analizzate si stiano confrontando con quest’evoluzione delle forme di con- divisione.

Abbiamo più volte ribadito come le 3 redazioni presentino ancora una centralità televisiva. Tale centralità è attribuibile alla maggiore maturità del prodotto televisivo rispetto agli altri, ma anche alla natura di testate all news, alle quali è richiesto uno sforzo produttivo maggiore per modificare i processi organizzativi e produttivi nella direzione di un primato digitale; cioè di quel modello conosciuto con il termine di digital first, che premia la maggiore immediatezza informativa e la maggiore duttilità produttiva e distributiva del digitale.

Dai nostri dati sembra si possa affermare come l’alleanza con il proprio pubblico di Sky sia un’alleanza che punti a fidelizzare alla rete: brand dri- ven. Ovviamente, questo dato è condizionato – come più volte ricordato – dalla coincidenza della nostra osservazione con il lancio del canale 27 sul digitale terrestre; ma ci sembra di poter affermare che anche nelle os- servazioni dei redattori prevale l’interesse market-oriented di condurre il telespettatore sui propri canali. È lì che si costruisce valore giornalistico:

tutto ciò modifica il nostro flusso produttivo, dobbiamo capire come ri- prenderlo e come sfruttarlo per la TV, decidere se e come dare un hashtag, come dare l’appointment to view, oppure come organizzare una call to action (intervista n.4).

Per Mediaset, invece, i profili social – molto più ricco e partecipato quello FB rispetto a Twitter – sono un ottimo modo per far interagire i propri fol- lower con il sito; probabilmente nella convinzione, giustificabile dal profilo sociografico dei loro spettatori di almeno due delle tre emittenti televisive, di una più marcata separatezza fra i loro seguaci digitali e quelli via etere.

Coerentemente con quest’impostazione, i temi maggiormente richia- mati sono quelli sportivi e le soft news, riguardanti prevalentemente il mondo del costume, dello spettacolo e della televisione; mentre restano più defilati i temi riguardanti la cronaca e la politica, fortemente presenti nell’informazione televisiva delle principali emittenti del gruppo. In que- sto modo, comunque, l’emittente privata si presenta come l’editore televi- sivo che maggiormente “dialoga” con il proprio pubblico audience driven sebbene selezionando consistentemente temi e linguaggi.

Questa distinzione rende meno complessa la convivenza fra la fortis- sima notorietà dei brand televisivi – Canale 5, Italia Uno e Retequattro e delle loro rispettive testate giornalistiche Tg5, Studio Aperto e Tg4 – e quelli con i quali, invece, il gruppo Mediaset si presenta in rete e sui social:

ormai siamo a un buon livello d’integrazione fra la nostra redazione e quelle delle testate dei singoli canali. Prima ci vedevano quasi come concorrenti; ora il rapporto è diverso e spesso sono loro a proporci di fornirgli certi contenuti o a chiederci alcuni specifici tagli (intervista n. 7).

Anche nel caso della Rai si pone il problema della differenza fra testate televisive di fortissima tradizione (TG1, TG2 e TG3) e quelle con le quali l’emittente pubblica è prevalentemente presente in rete: con i profili social “rainews.it”che si connotano chiaramente – come già ricordato – quali de- rivazioni del portale internet di news www.rainews.it.

Impostazione confermata dalla tipologia di attività scelta per autodefi- nirsi, ovvero “News/Media Website” e dalle informazioni proposte nella sezione “about della pagina”: benvenuti nella pagina di rainews.it portale unico d’informazione della Rai:

nelle intenzioni dell’azienda rainews.it è il portale unico di informazio- ne della Rai. Esistono ancora una serie di siti internet, ognuno dedicato al proprio telegiornale. Qui a RaiNews24, dopo l’arrivo del direttore Mag- gioni nel 2011, c’è stata una riorganizzazione generale del canale e un input aziendale di realizzare un portale unico di informazione Rai. Infatti, mentre prima il nostro sito, il sito di RaiNews, era rainews24.rai.it, adesso è stato cambiato in rainews.it, con l’idea che diventasse il portale unico di informazione e che contemporaneamente i siti dei telegiornali perdessero la loro possibilità o capacità di raccontare il flusso delle notizie e rimanes- sero come meri “siti identitari”, cioè luoghi dove si riconosceva la testata e dove i prodotti delle testate TG1, TG2 e TG3 e radiofonici venissero raccolti come un repository (intervista n. 1).

Come nel caso di Mediaset, anche la Rai risolve questa difficoltà fa- cendo dialogare maggiormente social e sito, ma – come già ricordato – più che un gioco di rimandi fra i differenti ambienti quello che emerge è una riproposizione dei contenuti sulle diverse piattaforme:

i social media editor la Rai non li riconosce contrattualmente; li rico- nosce soltanto come figure esterne all’azienda. Esistono per alcuni pro- grammi televisivi di informazione tipo Ballarò, Agorà – ma sempre figure esterne prese a contratto, o magari con un contratto a tempo determinato o con un contratto parasubordinato. Certo sarebbe fondamentale averli in pianta stabile nella redazione del portale unico di informazione Rai sul Web, ma non è una cosa così semplice. Sicuramente la Rai in quest’ultimo anno e mezzo ha fatto un sacco di passi avanti, però non è stato facile (intervista n. 2).

In questo senso si può ipotizzare, ma ben altri approfondimenti al pro- posito servirebbero per confermarlo, che l’emittente pubblica sia quella che maggiormente risente della propria tradizione nella traduzione del pro- prio brand, cioè quando è chiamata alla qualificazione di una precisa cifra giornalistica sui nuovi ambienti prodotti dalla digitalizzazione:

sui social cosa funziona non è sempre una notizia nel senso classico; piuttosto, il gossip e le soft news. Ma sono notizie che dividono e che so- prattutto a noi che siamo servizio pubblico produce un diluvio di critiche o addirittura di insulti: una photogallery di un’attrice a cui scivola la spalli- na sul web va in home; se lo facciamo noi ci massacrano. E a noi sembra anche giusto; per questo motivo tante cose non le pubblichiamo (intervista n. 1).

Come abbiamo ricordato nell’introduzione, queste affermazioni devo- no sempre tener conto della fluidità intrinseca dell’ambiente digitale, che richiede una continua capacità delle emittenti di rinnovarsi e riproporre registri, stili e narrazioni adatti ad ambienti sempre cangianti. Quanto detto vale particolarmente per la Rai che nei mesi di svolgimento di questa ri- cerca stava già effettuando una serie di mutamenti organizzativi, sui quali si è poi ulteriormente ripercossa la sostituzione del direttore per la nomina della ex direttrice Monica Maggioni a Presidente dell’azienda.