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Costruzioni passive e impersonali derivate da nominalizzazioni di azione: un miraggio?

Nel documento CLUB Working Papers in Linguistics Volume 2 (pagine 170-175)

Università dell’Insubria

3. Costruzioni passive e impersonali derivate da nominalizzazioni di azione: un miraggio?

Nell’ambito degli studi di tipologia diacronica sul passivo e sulle costruzioni impersonali, una delle sorgenti di questi due tipi di costruzioni che viene spesso menzionata, accanto ad altre più note (ad es. costruzioni riflessive, costruzioni formate da ausiliare e participio passato, costruzioni formate da una terza persona plurale non referenziale) è la nominalizzazione di azione (Langacker & Munro 1975; Langacker 1976; Givón 1981).

Sia gli studi di Langacker che quelli di Givón hanno identificato costruzioni passive e impersonali derivate da nominalizzazioni d’azione nelle lingue uto-azteche. Il fatto che questa sorgente non sia attestata in lingue più conosciute dal punto di vista della documentazione storica ha fatto sì che le ipotesi di Givón e Langacker entrassero a far parte della vulgata sulla diacronia delle costruzioni passive e impersonali, senza essere mai messe in discussione. Un’esplorazione delle (poche) lingue che presentano costruzioni passive e impersonali che potrebbero derivare da nominalizzazioni d’azione mostra però che potremmo avere a che fare con un miraggio, anziché con un percorso di grammaticalizzazione ricostruibile con solidità (Sansò 2016).

Uno dei casi di passivo/impersonale derivato da una nominalizzazione di azione più noti in letteratura è quello della lingua uto-azteca ute. In ute, -ta è un suffisso che serve a formare nomi d’azione a partire da verbi, come in (14):

(14) Ute (famiglia uto-azteca, gruppo numico meridionale; Givón 2011: 416) tuka- ‘eat’ tuka-ta ‘eating’

naghami- ‘be sick’ naghami-ta ‘being sick’ máy- ‘say’ máy-ta ‘saying’

Lo stesso formante -ta è utilizzato nel cosiddetto passivo impersonale, in cui il paziente mantiene le marche di caso che ha nella corrispondente costruzione attiva (da qui la caratterizzazione come “impersonale”). Il percorso diacronico porterebbe dunque, secondo Givón, da una predicazione di esistenza di un’azione (there was meat-eating) a un passivo (the meat was eaten):

(15) Ute (Givón 2011: 250) tukuavi tuka-ta-qa meat:OBJ eat-PASS-ANT ‘The meat was eaten.’

Uno sguardo più attento alle lingue più strettamente imparentate con l’ute, tuttavia, mostra che l’origine del passivo impersonale dell’ute potrebbe essere diversa. Le lingue in questione sono il paiute meridionale e il kawaiisu (assieme con l’ute da considerarsi “closely related dialects of the same language, with separation depths of 500-to-1000 years”, Givón 2011: 2), che sembrano suggerire altre etimologie per il formante -ta del passivo impersonale (e della nominalizzazione d’azione) dell’ute.

In entrambe queste lingue ci sono due costruzioni passive o impersonali che utilizzano un formante simile a -ta che può essere ricondotto a una forma del proto-numico meridionale *-tuˀa:

(16) Paiute meridionale (famiglia uto-azteca, gruppo numico meridionale; Sapir 1930: 148; Langacker 1976: 15)

pa'ka-ŋu-'tuˀa-yi=aŋa

kill-PNCT-IMPERS-PRS-him ‘One is killing him.’

(17) Kawaiisu (famiglia uto-azteca, gruppo numico meridionale; Zigmond et al. 1990: 30) niˀi koˀo-toˀo-kwee-ni-ka-di

I cut-PASS-RESULT-MOM-RL-SBJ.NMLZ ‘I got cut.’

Secondo Langacker (1976: 169-170), “the source of [Southern Paiute] -'tuˀa is the massively attested P[roto-]U[to-]A[ztecan] derivational suffix *-tu(-a)”, che ritroviamo in vari verbi denominali in diverse lingue della famiglia uto-azteca, in genere con il significato di ‘become’, ‘make’ (Langacker 1976: 170; Haugen 2008), o ‘be’ (e.g. Cupeño liimpyu-tu ‘be clean’ < Spanish limpio, cf. Hill 2005: 280). In altre lingue uto-azteche più distanti, ci sono riflessi del PUA *-tu(-a) che compaiono come -ta (proprio come in ute) e funzionano come suffissi denominali che formano verbi a partire da nomi con il significato ‘to make/become N’ (Langacker 1976: 170; Caballero 2014):

(18) Tarahumara (famiglia uto-azteca, gruppo taracahitic; Caballero 2014: 729) a. nori-rá- cloud-VBLZ ‘to get cloudy’

b. sipu-tá- skirt-VBLZ ‘to put on a skirt’

L’ipotesi che -ta dell’ute, -'tuˀa del paiute meridionale e -toˀo del kawaiisu derivino tutte dal proto-numico meridionale *-tuˀa (e, più remotamente, dal proto-uto-azteco *-tu(-a)) è quindi plausibile non solo sul piano storico (dato il grado di separazione di queste lingue), ma anche dal punto di vista fonetico. Se così è, però, sorge un problema: né in paiute meridionale né in kawaiisu c’è traccia di una funzione di nominalizzatore per i continuatori di *-tuˀa, e l’unico significato di questo morfema ricostruito che può essere ipotizzato ragionevolmente è ‘become/be’. La funzione originaria di -ta in ute potrebbe dunque non essere quella di un nominalizzatore d’azione.

In effetti, il morfema ricostruito PUA *-tu(-a), la cui funzione più frequente nelle lingue della famiglia uto-azteca è quella denominale, è stato ricondotto a un verbo indipendente che significa ‘become’. I verbi ‘fientivi’ come ‘become’ possono facilmente dare origine a costruzioni passive e impersonali nelle lingue del mondo. Il caso più noto è quello del tedesco werden, ma casi di altri predicati (detti “inattivi” da Haspelmath 1990: 38-40: be, become, stay, ecc.) che diventano ausiliari del passivo sono ben noti in letteratura. Si può dunque ipotizzare che all’origine del passivo impersonale dell’ute ci sia un elemento che significa ‘be/become’ piuttosto che una nominalizzazione d’agente. Un’obiezione a questo scenario alternativo è che in genere le costruzioni passive formate a partire da verbi “inattivi” prevedano anche la presenza di un participio passato, del quale in ute (e nelle altre lingue numiche meridionali) non ci sarebbe traccia. Ci sono casi, però, di lingue in cui l’ausiliare inattivo si combina direttamente con la radice verbale per formare una costruzione passiva o impersonale. Nel quechua di Huallaga, ad esempio, il suffisso di passivo -ka (cfr. (19a)) è omofono (e probabilmente connesso diacronicamente) con la copula ka- ‘be’ del quechua comune (attestata come tale anche nel quechua di Huallaga; cfr. (19b); Haspelmath 1990: 39):

(19) Quechua di Huallaga (famiglia quechua; Weber 1989: 233, 24) a. wasi rika-ka-n

house see-PASS-3 ‘The house is seen.’ b. wasi alli ka-yka-n house good be-IMPFV-3 ‘The house is good.’

Appare inoltre significativo il fatto che verbi copulari o semi-copulari (come appunto be e become) siano spesso sorgenti diacroniche di nominalizzatori di azione (come in Sizang, cfr. (20)); è dunque probabile che il legame tra il -ta del passivo impersonale e il -ta nominalizzatore in ute sia soltanto epifenomenico, in quanto entrambi derivati da una sorgente comune.

(20) Sizang (famiglia kuki-chin-naga; DeLancey 2011: 350-351) a. (ké:i) ká pài: hi:

I 1 go FINAL

‘I go/went.’ (< ‘It is my going’)

b. ama khua:-pui:-te a hi: hi: he villager 3SG be FINAL ‘He is a villager.’

4. Conclusioni

I due casi discussi in questo articolo illustrano, al tempo stesso, i punti di forza e i limiti della tipologia diacronica. L’indagine sulle sorgenti diacroniche degli AP ha mostrato che queste sono in numero limitato, e che alcune delle caratteristiche sincroniche delle singole costruzioni AP (come ad esempio i pattern di marcatura di agente e paziente, o alcune idiosincrasie semantiche) possono essere spiegate tenendo conto della loro origine. Al tempo stesso, la discussione di alcuni casi dubbi (cfr. paragrafo 2.6) e il caso del passivo dell’ute per il quale è stata ipotizzata l’origine in una nominalizzazione d’azione mostrano il problema metodologico forse più significativo della tipologia diacronica, ovvero il fatto che spesso ci si trovi ad operare in totale assenza di documentazione storica dei mutamenti che hanno portato alla reinterpretazione della costruzione sorgente. Un rimedio a questa difficoltà metodologica può venire dallo studio dettagliato di mutamenti linguistici che hanno portato a mutamenti simili in lingue con una documentazione diacronica più ampia, ma ciò non è sempre possibile. In particolare, il presunto percorso diacronico che porta da una nominalizzazione d’azione a una costruzione passiva – ipotizzato per l’ute e per un numero ristretto di altre lingue, discusse in Sansò (2016) – non sembrerebbe superare il vaglio di un esame più attento dei dati sincronici e comparativi, che mostrano che il legame diacronico tra le due costruzioni è – nella migliore delle ipotesi – un legame orizzontale (di derivazione comune da un’ulteriore costruzione) anziché verticale.

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Nel documento CLUB Working Papers in Linguistics Volume 2 (pagine 170-175)