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LA VIA DELLA FENICE: SEVEN EASY PIECES

7. cottura Gina Pane, The Conditioning.

Mise en Condition è la prima opera delle tre che compongono la triologia Autoportait(s). Durante la performance l'artista si sdraiava su un letto di ferro sotto cui erano posizionate 18 candele accese disposte in sei file da tre ciascuna, rimanendovi per per circa 25 minuti, con il corpo posto a cinque centimetri dalla fiamma. Chiaramente, si trattava di una performance molto dolorosa sul piano fisico, come lei stessa scrisse: <<nemmeno a dirlo, il dolore iniziò immediatamente e fu molto difficile da dominare>>. Il dolore fisico, nella spiegazione che la Pane fornì nel 1973, era l'espressione diretta del dolore dell'artista come donna e – quindi – espressione diretta del dolore di tutte le donne (cui allude la esse tra parentesi nel titolo). A questo senso primario vengono riportate anche le due altre opere della triologia, Contraction e Reject:

CONDIZIONAMENTO/ CONTRAZIONE/ RIGETTO L'azione aveva l'intento di trasporre l'autocreazione in segno autonomo della donna.

Condizionamento. Attività pulsionale e attività del mondo esteriore, articolata su sue livelli: sulla variazione dell'intensità dell'energia totale, la sua ripartizione sulla carne: Fuoco (desiderio/affetto) e sulla mente: DOLORE (pianto), FANTASMI (condizionati da una sottomissione storica della donna all'uomo).

Contrazione – Isolamento del <<rifiuto della posizione della donna nella società>> mediato dalla violenza sulle mie carni contenenti l'unghia <<vernice>, le labbra <<arossate>>, contrasto sottolineato da una proiezione di diapositive riguardanti la mimica del trucco. I media della Società/uomo erano utilizzati per raccontare la loro incapacità di svelare, di ritrasmettere <<l'urlo senza voce>> e l'immagine della sofferenza (la camera registrava i visi femminili del pubblico). Rigetto. Vomito di latte mischiato con il sangue:<<reale interno di corpo di donna e delle sue capacità>> collegato alla prima infanzia e alla coscienza che comporta diversi livelli di significato secondo il livello di comprensione delle connessioni di ogni donna. Si svolgeva nelle tre fasi della distruzione di <<qualcosa>> per la messa in luce di un nuovo linguaggio: quello della DONNA. Tutte queste fasi si articolavano tra loro attraverso il gioco delle pulsioni e delle difese al fine di evitare <<la virtù di un linguaggio estetico>> che sarebbe condizionato da una diagnosi che avrebbe come responso lo sviluppo di una <<cura>> alla rivolta della DONNA184.

184Gina Pane, Lettre à un(e) inconnu(e), nel press-relase della mostra Terre-Artiste-Ciel, Centre Pompidou, Parigi, 2995, 2005. Ho provveduto a una traduzione del testo in italiano visto le difficoltà che presenta nell'originale. Per lo stesso motivo, mi sembra corretto riportare il testo in francese, dove alcuni passaggi non sono perfettamente traducibili in italiano:« Dans cette pièce, j’ai d’une part présenté l’origine depuis ses débuts de mes manifestations artistiques (1): lieux / outils / supports concluant sur la matérialisation de chair et de sang : tampons menstruels utilisés pendant une semaine qui précédait l’action et d’autre part l’Action en trois phases: MISE EN CONDITION / CONTRACTION / REJET. L’action avait pour but de transposer l’autocréation en signe autonome de la femme. Mise en condition – Activité pulsionnelle et activité du monde extérieur, articulées à deux niveaux : sur la variation de l’intensité de l’énergie globale, sa répartition sur la chair : Feu (désir / affect) et sur l’esprit : DOULEUR (déchirement), FANTASMES : réactions (conditionnées par une soumission historique de la femme à l’homme). Contraction-isolement du « refus de la condition féminine » médiatisé par la violence sur mes chairs renfermant l’ongle « vernis », les lèvres « rougies », contraste souligné par une projection de diapositives traitant la mimique du fard. Les médias de la Société/homme étaient utilisés pour relater leur impuissance à dévoiler, à retransmettre le «cri sans voix» et l’image de la souffrance (la caméra enregistrait les visages féminins du public). Rejet. Vomissements de lait mêlé au sang : « réel interne de corps de femme et ses puissances » liées à la petite enfance et à la conscience qui comporte plusieurs couches de signification selon le niveau de l’étendue des connections de chaque femme. Il s’agissait dans les trois phases de la destruction de « quelque chose » pour la mise au jour d’un nouveau langage : celui de la FEMME. Toutes ces phases s’articulaient entre elles par le jeu des pulsions et des défenses afin d’éviter « la vertu d’un langage esthétique » qui serait conditionné par un diagnostic qui déciderait les aménagements d’une « cure» à la révolte de la FEMME.

In nota, dopo l'ultima frase, aggiunge:

Il suo proposito non è condividere il potere della Società/uomo attraverso l'acquisizione di uguaglianza economica e giuridica, ma quello di fare la <<rivoluzione>> con il proprio linguaggio in rifiuto di ogni compromesso con il sistema.

In questa dinamica simbolica violentemente femminista, il rifiuto della “Società/uomo”, si concretizza, per molti aspetti, nella simbolizzazione del rifiuto della maternità, a sua volta vista come simbolo e come mezzo di sottomissione che la “società/uomo” impone alla donna. Questo, del resto, è uno dei sensi interni al titolo. Mise en condition, infatti, si traduce – nel suo senso primario – tanto con l'inglese “conditioning” quanto con l'italiano “condizionamento”, mantenendo però delle sfumature lessicali del tutto assenti nelle altre lingue: il condizionamento di Mise en Condition riguarda tanto il mettersi a posto fisicamente (“mise en condition physique” - trattato della Pane in Contraction), quanto la gravidanza (“mettre enceinte”, mettere incinta – trattato dalla Pane in Reject). La maternità, dunque, come forma di controllo sociale che – molto probabilmente - dal <<fuoco (desiderio/affetto)>> del letto passa alla Contrazione (il parto) per terminare nel Rifiuto della maternità (il latte) e del ritorno alla fertilità segnato dal ciclo mestruale (il sangue).

Se è vero che la sessualità è un fatto concreto, mentre “società” e “sistema” sono dati astratti, nella Pane si ha una simbolizzazione al contempo piuttosto unilaterale nei significati e reciproca nelle direzioni: la condizione sessuale è una condizione politica e la condizione politica è una condizione sessuale. Questo non solo perché, evidentemente, identità sessuale e identità politica sono connesse, secondo lo slogan del femminismo anni '70 “the personal is politcal”185, ma perché la logica

simbolica della Pane opera in maniera ambivalente: è il medesimo meccanismo per cui il fuoco – elemento concreto – per lei significa “desiderio/affetto” e il dolore – elemento astratto – per lei significa “lacrime”.

In questa dinamica, forse, è insita la logica profonda delle performance della Pane, dove sempre il dolore psicologico e il dolore fisico si simbolizzano e si concretizzano reciprocamente. E in questa dinamica ambivalente, ancora, la Pane inscrive la simbolizzazione della maternità, quando nel 1975 afferma che la madre simbolizza <<costrizione, soffocamento e morte>>186. In questa dinamica in

cui dare vita significa dare morte – che in qualche modo reinquadra i luoghi esistenzialisti con un'ottica femminista - in Mise en condition dà al coito la forma di un martirio e al martirio le sembianze di una veglia funebre.

Nell'idea di Autoportait(s) come percorso del rifiuto della maternità, infatti, Mise en condition, sin dal titolo, può essere letta come una simbolizzazione dell'atto erotico eterosessuale187. Se gli

elementi mobili - fuoco e lacrime - in questo hanno una condizione di simbolizzazione diretta attraverso il collegamento a “desiderio/affetto” e “dolore”, quelli oggettuali si prestano a una lettura articolata. Inquadrandola nella prospettiva sessuale, tanto la struttura di ferro quanto le candele alludono alla seduzione e al coito: nel caso della struttura il collegamento è fornito dalla stessa Pane, visto che la chiama “letto”, nel caso delle candele l'allusione è duplice: sono connesse alla seduzione (la cena a lume di candela) e – per la morfologia – al fallo. Allo stesso tempo, l'immobilità della performer e la presenza delle candele sembra alludere anche a una veglia funebre – a un'entrata nel regno dei morti. Ancora, dato il supplizio a cui l'artista si sottopone, le candele 185E. Easton, Feminism and Theatre in the 1970s, in B.J. Moore Gilbert, Arts in the Seventies, London/New York,

1994, p.100.

186Citato in J. V.Allaga, The Folds of the Wound, On Violence, Gender, and Actionism in the Work of Gina Pane, in www.artecontexto.com

187David Le Breton fornisce una lettura divera, ma in qualche modo speculare alla mia, per cui Mise en condition non si riferisce al rimanere incinta, ma al partor, per cui lo sdraiarsi sopra le candele <<esprime metaforicamente la sofferenza della donna che partorisce>>. (Cfr. D. Le Breton, La pelle e la traccia – le ferite del sé, Roma, 2005, p. 120).

rimandano alla chiesa cattolica e al culto dei santi, cosa resa chiarissima dal fatto che il “letto” della Pane è – sia nella forma che

nella funzionalità - una graticola: la Pane si sottopone al medesimo martirio di San Lorenzo.

Per quanto l'artista retrospettivamente abbia affermato che la tematica dell'agiografia dei santi si sia posta solo più tardi188, pare evidente che la struttura del “letto” è – nella parte superiore –

sostanzialmente identica a quella dell'iconografia del santo e viene difficile pensare che, in quel momento, il collegamento sia del tutto casuale. Questo, soprattutto, perché lei stessa propone già in questo periodo l'idea di un'artista/Cristo, che assume su di sé il male del mondo per la salvezza del prossimo. Nel 1974 l'artista scrive:

VOI, come me, VOI non VI sentite più nel vostro universo e VOI non potete guardare al passato che non c'è più o al futuro che non c'è ancora, e non trovando più soluzione alla VOSTRA disperazione di ESSERE, VOI vi

incamminate verso questa <<unione>> con l'ALTRO da cui VOI andate as incontrare la sola verità d'ESSERE. SE IO APRO IL MIO <<CORPO>> AFFINCHÉ VOI POSSIATE GUARDARE IL VOSTRO SANGUE, È PER AMORE DI VOI: L'ALTRO.189

a

Tiziano Vecellio, Martirio di San Lorenzo, 1559 circa; a fianco, particolare.

188<<Je n'ai pas pensé a Saint Laurent (...) la problématique était posée avant”(cfr. Gilbert Perlain, op.cit. p.14) Difficile, però , crederle del tutto, considerando che da studente ha frequentato l'accademia di arte scacra.

189Gina Pane, op.cit. 2005. Originale: VOUS, comme moi, VOUS ne VOUS sentez plus dans votre univers et VOUS ne pouvezpas regarder le passé qui n’est plus ou l’avenir qui n’est pas encore, et ne trouvant pas de solution à VOTRE désespoir d’ÊTRE, VOUS marchez vers cette « union » de l’AUTRE d’où VOUS allez rencontrer la seule vérité d’ÊTRE. SI J’OUVRE MON «CORPS» AFIN QUE VOUS PUISSIEZ Y REGARDER VOTRE SANG,

Parafrasando Michelangelo Pistoletto, se l'arte assume la religione, l'artista assume il santo190. La

performance, evidentemente, nella Pane viene a configurarsi come congiunzione di mistica cristiana ed esistenzialismo attraverso una rifocalizzazione in senso femminista. Un senso femminista che è inestricabilmente collegato tanto all'omosessualità (parafrasando: vi <<unite>> con l'ALTRO da VOI che siete l'ALTRO per me, in quanto voglio <<unirmi>> a VOI) quanto alla condizione di artista, intesa come figura altra nella società (parafrasando: VOI che siete l'ALTRO per me, in quanto non artiste, ma comunque donne).

L'idea di ALTRO viene alla Pane dalla sessualizzazione del concetto hegeliano e poi sartriano di “Altro” della madre del femminismo francese, Simone De Beauvoir, nel celeberrimo Il Secondo Sesso (1949)191. La Pane, però, ne inverte il senso. Per la De Beauvoir, l'uomo che sa percepire se

stesso solo in relazione all'Altro, vede necessariamente il mondo sotto una prospettiva duale per cui costringe la donna ad essere l'Altro. Nella riformulazione della Pane, l'ALTRO più altro è il maschio, l'ALTRO più vicino è la donna e il SE STESSO è l'artista donna. In questa perdita di legame con la radice dell'essere della De Beauvoir - cioè nel concepire la mente umana come un meccanismo che funziona per dualismi - e in questa perdita di prospettiva filosofica, la Pane finisce per non descrivere né lo stato delle cose, né il suo amore per la donna, quanto piuttosto il suo odio per l'alterità, o - quantomeno - la sua difficoltà ad accettarla. Una delle sue opere più famose, quella che ha dato il titolo all'antologica del Pompidou, si chiama proprio Situazione ideale: terra-artista- cielo. Nella foto, l'unico essere vivente è lei stessa192.

Nel dipingere questa situazione ideale, la Pane si sposta radicalmente dall'idea dell'Altro esistenzialista: la sua non è l'identità intrisa di vergogna e orgoglio dello sguardo di Sartre – quello che si riflette in fondo allo sguardo dell'Altro – cioè una vergogna implicitamente altruista: <<it is 190Pistoletto , L'Arte assume la religione, 1978, in http://www.pistoletto.it/it/testi/l_arte_assume_la_religione.pdf 191<<Che posto ha fatto l'umanità a quella parte di sé che si è definita come l'Altro? Che diritti le sono stati

riconosciuti? Come l'hanno definita gli uomini?>> (cfr. S. De Beauvoir, Il Secondo Sesso, Milano, 2002. p.95. Sulla sessualizzazione del concetto di “altro” mi rifaccio a N. Bauer, Simone De Beauvoir, Philosophy & Feminism, New York, 2001, pp. 43-45).

192L'idea di un mondo ideale popolato solo da artisti, era stata espressa da Duchamp e pubblicata pochi anni prima, nel 1966, su Studio International:<<gli artisti sono i soli che potrebbero diventare cittadini del modo, creare un mondo migliore in cui vivere>> È inutile però notare – all'interno di un senso comune in qualche modo sindacale – che Duchamp parla al plurale, mentre al massimo la Pane utilizza una metonimia. (Marcel Duchamp, Conversazione con Dore Ashton, <<Studio International>> 878, june 1966, in Elio Grazioli, Marcel Duchamp, Milano, 1993, p.47).

shame or pride which reveals to me the other's look and myself at the end of that look. It is the shame or pride which makes me live, not know the situation of being looked at>>193,Quello della

pane è un non sguardo. Di fatto l'artista vuole essere vista per mostrare all'Altra se stessa, ma, fondamentalmente, non guarda.

Il pensiero femminista della Pane va collocato all'interno della storia del femminismo e, in particolare, nel periodo attorno al 1970, segnato dalla radicalizzazione dell'istanza sociale e culturale. In questi anni emerge una corrente, a cui la stessa Pane è riconducibile, che vede nel lesbismo la logica evoluzione del femminismo: si passa dall'idea che “il femminismo è la teoria, il lesbismo è una pratica”, allo slogan: <<Il femminismo è la teoria, il lesbismo è la pratica>>194. Nel

contesto di un movimento che si ispira tanto ai movimenti per l'emancipazione razziale che quelli studenteschi di estrazione marxista, si ha un inasprimento analogo a quello che corre tra Martin Luther King e Malcom X; la lotta di classe, trasferita nella questione del gender, fa del lesbismo la versione femminista di dittatura del proletariato: <<What is a lesbian? A lesbian is the rage of all women condensed into the point of explosion>>195). Nell'inquadrare la questione sessuale all'interno

della questione politica, il radicalismo femminista compie un atto si omissione rispetto alla componente pulsionale dell'eros: la sessualità non come fatto erotico, ma come fatto politico. A partire dalla negazione dell'istinto materno – mira a svincolare l'umanità dal bios: <<humanity is not an animal species, it is a historical reality. Human society is an antiphysis - in a sense it is against nature>>, scrive una delle pensatrici più rigorose del periodo, Shulamith Firestone, nel 1970196.

Posto, chiaramente, che al tempo della Firestone gli studi etologici non avevano ancora del tutto dimostrato la trasmissione culturale nei primati, emerge in maniera netta lo spostamento della contesa marxista da una dimensione storico-sociale a una astorica e ontologica: non è tanto emanciparsi dalla <<sottomissione storica della donna all'uomo>> di Gina Pane né dal ruolo della donna nella famiglia, ma dalla struttura stessa della riproduzione animale: <<feminists have to question, not just all of Western culture, but the organisation of culture itself, and further, even the very organisation of nature>>197.

193J.-P. Sartre, Being and Nothingness, New York, 1969, p.261.

194Ti-Grace Atkinson, citata in E.Willis, The Ascendence of Cultural Feminism, in A. Echols, E. Willis,op.cit, p. 238. 195Radicallesbians, citato in I. Wheeelan, Modern Feminist Thought, New York, 1995 p.83. Si noti, per inciso, che la

frase riportata è datata 1973, come Autoportait(s). 196S. Firestone, The Dialectics of Sex, New York, 1970. 197Ivi.

In sé, l'idea del cambiare l'organizzazione della natura va – probabilmente – considerata in reazione alla tendenza diffusa nella cultura occidentale ad accostare femminilità e naturalità sia in senso positivo (madre natura) che in senso negativo – indicando una supposta minore “evoluzione” dall'animale della donna rispetto all'uomo. Rispetto a questo, la strategia delle femministe radicali non è di analisi, ma di estrema riduzione: quello che dice la Firestone, in sintesi, è che la natura non esiste e, se esiste, va abbattuta perché ostile. In questo processo – che per molti aspetti rientra in una tendenza più ampia (si pensi agli studi sulla sessualità di Foucault198), si ha la focalizzazione della

sessualità all'interno di un processo interamente culturale, che stacca la cultura da qualsiasi radice pulsionale e primordiale: cultura contro natura, senza niente in mezzo e senza nessuna origine comune.

In questa negazione ferma della radice biologica dell'essere, nel femminismo radicale si ha un'inversione totale di valori, per cui nella Pane troviamo che la madre è morte (e non vita) e l'espressione del Sé diviene espressione dell'Altro: la donna non si trucca per il piacere di essere attraente, ma perché il maschio la obbliga ad attrarlo. Sia chiaro, a riguardo, che quando parlo di “radice biologica dell'essere” non intendo affatto quello che si intende normalmente – e in maniera perfettamente kitsch – con “naturale”. In particolare, spero sia inutile sottolinearlo, non mi riferisco affatto all'omosessualità: mentre la vulgata cristiana considera i rapporti omosessuali “contro natura”, centinaia di specie animali quotidianamente dimostrano esattamente il contrario: non c'è bisogno di andare in Africa a scomodare i citatissimi bonobo: basta osservare senza pregiudizi i cani domestici. Questi, anzi, offrono lo spunto per una lettura etologica della questione.

Nei cani, la monta è tanto un atto di dominazione quanto un atto sessuale. La distinzione tra un momento e l'altro è sottile e, di norma, viene distinta dall'uomo attraverso il gender: se un cane monta una cagna vuole fare sesso, se monta un altro cane vuole dominarlo socialmente. In realtà, questa distinzione è effettivamente piuttosto inconsistente, se non totalmente ipocrita: ho visto spesso cani maschi montare “in segno di dominazione” altri cani maschi con un chiaro intento erotico: la dominazione sconfina spesso palesemente nella ricerca dell'orgasmo (altre volte ancora, nel gioco). La medesima polivalenza dei gesti che attribuiamo all'uomo – per cui la lotta può essere uno scontro, un gioco o un atto erotico – vale in realtà anche per molti mammiferi199. Allo stesso

modo, questo “rapporto di dominazione” - che è comunque assolutamente presente nel cane - è presente anche nell'eros umano: non a caso tutti i termini volgari per indicare sconfitte, vittorie, sottomissioni e umiliazioni si riferiscono al linguaggio sessuale e, in particolare, a metafore che si 198Si pensi anche, a riguardo, della coincidenza tra l'anotomo-politica di Foucault e lo slogan femminsta “Private is

polical” cfr. (Foucalut, Detti e scritti, citato in Calos Sini, Corpo e Linguaggio, Milano, 2007, p.151)

199Posto che non sono un etologo, so bene di poter essere accusato di antropomorfismo, tanto dal versante etologico (etologia behaviorista), quanto da quello anti-etologista – da chi, in altri termini, si rifiuta di mettere in relazione l'uomo con le altre specie animali, come ultimamente Daniela Ranieri quando scrive: <<non è la natura a comportarsi umanamente, a imitare l'umano, ma è di certo l'interpretazione umana a conferire alle cose il gelo identificante del presunto mimetismo, al fine di rendersele intelligibili e innocue>>(cfr. D. Ranieri, Intero-Insecto, in E. Ciufoli, Texture – manipolazioni corporee tra chirurgia e digitale, Roma, 2007). Questo tipo di osservazione è