LA VIA DELLA FENICE: SEVEN EASY PIECES
3. la struttura della Genesi
Oltre ad una temporalità di riferimento più ampia, il progetto finale di Seven Easy Pieces ha una struttura assai più simmetrica di quello preannunciato negli anni precedenti. Dall'idea di realizzare sei opere in sei giorni, ognuna con la durata di otto ore, la Abramović muove verso una idea numerica assai più forte e più simbolica, costituita dalla reiterazione del numero sette: sette opere in sette giorni, della durata di sette ore ciascuna. Come giustamente fa notare Erika Fischer Lichte, il numero sette non può non rimandare alla genesi, facendo coincidere il settimo – il giorno in cui Dio ammira la propria creazione – con l'unica performance a non essere un reenactment, ma un'opera
totalmente nuova. Tuttavia, la Fischer Lichte suggerisce che questo nesso evidente giochi in fondo sul gender: <<By citing and, at the same time, transforming, even subverting the scheme of Genesis, the female artist Abramović, in a way, ridicules the idea of the male artist as a God-like creator. It is not works, i.e. artifacts that are stable and can handed down to the next generation, that she creates, but transitory, ephemeral performances that are bound to her body and unable to survive beyond the time of the performance.>>137.
Questo riferimento al gender, implicitamente femminista, tende ad essere decisamente forzato. L'idea dell'artista donna in competizione con il Dio-maschile (e in azione castrante, visto che lo ridicolizza), per quanto abbia un certo fascino romantico, è poco adattabile al caso della Abramović. Questo, se non altro, perché la Abramović mantiene un atteggiamento ambiguo rispetto alla questione del gender: da una parte è evidentemente interessata alla reinterpretazione femminile di opere fondamentalmente maschili (Trans-fixed e, soprattutto, Seedbed); dall'altra in ogni intervista recente si pone in un atteggiamento sostanzialmente anti-femminista: <<The most important thing is if the piece is good. Who is doing it is secondary. When I'm doing performances I don't emphasize gender>>138, <<L'art est unisexe>>139. Per quanto evidentemente nelle sue opere utilizzi
positivamente la propria femminilità, l'opera non è destinata ad un discorso sul gender, ma sull'uomo.
Tuttavia, nella sua analisi, la Fischer Lichte fa emergere uno degli aspetti più interessanti e paradossali della condizione della performance: il performer non è mai nella condizione di vedere il proprio lavoro dal vivo. Non arriverà mai il settimo giorno, in cui Dio guarda l'opera compiuta. L'idea del Dio che osserva il creato – quindi, nell'antropocentrismo biblico, il pianeta Terra – ha un interessante contrappunto con la scelta delle date. La Abramović, infatti, sceglie di realizzare il suo lavoro tra il 9 e il 15 novembre, in corrispondenza con la fase lunare: <<The choice of the date is related to the full moon, so it is exactly the rising of the moon and the last performance will be during the full moon. For me, the energy of the moon is very important for the pieces, and if I can, I organize them to happen around the full moon time>>140.
Questa corrispondenza ha una valenza pratica assai decisiva, se si considera che la copertura del
Guggenheim è costituita da un grande lucernario, esattamente sotto il quale viene posto il palco circolare di Seven Easy Pieces. Il dato viene perfettamente messo in luce dalla stessa 137E. Fischer Lichte, op.cit. 2007, p.43.
138J. A. Kaplan, op.cit.
139Abramović Marina interview, rencontre autuour du thème de la Chair & Dieu, in Www.artistes-en- dialogue.org/Abramović/abma05.htm
Abramović:<<Look at the spiral. Why did I wait fifteen years? I didn't want any other building. It's amazing. To me, it was the only place I could think of, this spiral with its different vantage points. I only could survive the Gina Pane Piece because I could look up to the stars through the glass oculus>>141.
Ancora, la Abramović trova nella forma spiraliforme del Guggenheim motivo di ispirazione evidente, tanto dal punto di vista simbolico che da quello formale:
There are two kinds of spaces that produce energy: the spiral and the pyramid. I think it's interesting how in the beginning of this project, we started by thinking of very complicated stage designs, and then at the end we built a simple circular podium and that's it (...) This simple structure was transformed each night for each piece until in the end, the circle was literally elevated towards the spiral, towards the spiritual142.
Il Guggenheim determina gli esiti estetici di ciò che ospita, tanto formalmente quanto concettualmente. Da una parte impone una forma all'opera – quella circolare – che diviene assolutamente centrale nel restaging di alcuni lavori, in particolare Seedbed -dove l'unico elemento visibile è il palco - e la performance del settimo giorno, in cui la Abramović si mostra alla fine di un lunghissmo vestito circolare che da sei metri di altezza, arriva a coprire il palco. Dall'altra, attraverso il suo prestigio, il Guggenheim permette alla Abramović di fare un'opera di storicizzazione di effettiva portata storica e in base ad una idea effettivamente di conservazione: <<performing the Seven Easy Pieces at this site, Abramović in fact suggests the idea that she is dealing with the history of performance art and, by doing so, reflects on the particular status of performance as artistic event and not a work of art in the sense of artifacts>>143. In questo senso,
quando la Fischer Lichte afferma che Seven Easy Pieces mostra di di avere un valore di storicizzazione esclusivamente soggettivo, sottovaluta il portato istituzionale di cui il luogo riveste l'opera.
Da un punto di vista “in sé”, Seven Easy Pieces propone in effetti – come ho già scritto - una storicizzazione della performance labile, valida solo su basi estremamente soggettive, tanto che la stessa Abramović, nel 1996, parla di “performances that affected me”. Come dice la Fischer Lichte: <<if we understand Seven Easy Pieces as narrating a particular history of performance art, it has to be considered that this “histeriography” is as fleeting as the performances to which they refer and, moreover, that it confesses, even openly reveals that it is done from a subjective point of view and under totally subjective conditions – among them, conditions that are set by the individual body of Abramović>>144. Tuttavia, Seven Easy Pieces non può essere vista “in sé”. Essendo proposta
all'interno del Guggenheim, uno dei luoghi di storicizzazione dell'arte contemporanea per eccellenza, la prospettiva storico-isterica assume necessariamente un valore di oggettività. In virtù del Guggenheim, la proposta di formalizzazione del reenactment della Abramović non è – come Nizza dipinta di Blu di Klein – una boutade, un'idea implicitamente irrealizzabile - ma un progetto che ha la massima aspirazione alla concretezza. Tanto è vero che l'evento è corredato dal (Re)Presenting Performance Symposium, cui partecipano figure chiave nella politica culturale internazionale come Germano Celant e Susan Sontag.
L'idea del simposio nasce pressoché parallelamente a quella di Seven Easy Pieces – tanto che 141 Ivi.
142 Ivi.
143 E. Fischer Lichte, op.cit. 2007, p. 42. 144 Ivi, p.43.
l'artista ne parla già nelle interviste degli anni '90. All'epoca – così come la logica suggerisce – la Abramović prevedeva di istituire il simposio dopo il reenactment, facendo sì, in qualche modo, che l'opera fungesse da spunto per la discussione. Nella realtà dei fatti, il simposio sul reenactment tenuto al Guggenheim non ha seguito, ma anticipato di parecchi mesi la performance. Poco prima che i lavori avessero inizio, la Abramović annunciava: << there is going to be a symposium about this question of the destiny of performance and at the end I will make my presentation and proposition of how it should be done>>145.
La collocazione della performance dopo il simposio - necessariamente ideata in accordo con il Guggenheim – è implicitamente autoritaria e mercantilistica. Autoritaria perché pone automaticamente la performance come punto d'arrivo del simposio – come posizione ultima e conclusiva, pur essendo stata interamente concepita prima del dibattito; mercantilistica perché, in una logica strumentale, non usa l'opera per aprire la discussione, come la Abramović dichiara negli intenti, ma la discussione per lanciare l'opera.
Il risultato, inevitabilmente, è che il simposio è un fallimento146, mentre l'operazione di Seven Easy
Pieces è un'enorme successo d'immagine: nell'immediato indice di popolarità dato da Google, digitando “Marina Abramović Seven Easy Pieces” ottengo 5630 risultati, digitando “Marina Abramović Balkan Baroque”, che pure ha in sé tanto la performance vincitrice del Leone d'Oro a Venezia quanto il film di Coulibeuf, ne ottengo meno di un decimo: 511. Stesso discorso riguarda la relazione con i performer rielaborati: se Bruce Nauman è piuttosto più presente sul web della Abramović (54.900 a 47.000), nel caso di Body Pressure si ha un caso paradossale: digitando “Marina Abramović Body Pressure” si ottengono 2260 risultati, digitando “Bruce Nauman Body Pressure” se ne hanno quaranta in meno, 2220. Seven Easy Pieces, in altri termini, segna l'incoronazione di Marina Abramović come prima stella della performance.
Il dato di google indica, in maniera molto interessante, anche la quantità di rumore: nella ricezione e nella divulgazione, Body Pressure è intesa assai più come opera della serba che dell'americano, perché – se è ovvio che la notizia del reenactment di Abramović porti con sé il nome di Nauman, non è assolutamente ovvio il contrario: in teoria, ogni pagina riguardante Body Pressure della Abramović dovrebbe avere in sé il nome di Nauman.
Se il numero di risultati di Google dovrebbe offrirci un'idea (per quanto per forza di cose un poco impressionistica) della popolarità, Wikipedia può offrirci un esempio aureo del rumore che l'operazione ha generato. La pagina inglese di Wikipedia su Body Pressure ci dice: <<Body Pressure is a 1974 performance piece by American artist Bruce Nauman. The performer is instructed to press himself against a pane of glass in various positions; Nauman says that it "may become a very erotic experience”>>. In altri termini, nella pagina web viene attribuita a Nauman una scelta estetica, quella del vetro, che non faceva parte dell'opera originaria. L'opera di demistificazione dei '70 che l'Abramović dice di voler compiere, quindi, finisce per produrre un rumore sostanzialmente mistificatorio. La differenza con quello che le opere prodcevano negli anni '70 è che, mentre quello era un rumore “a tempo” e del tempo, questo è un rumore retroattivo, che dall'oggi si muove verso lo ieri.