LA VIA DELLA FENICE: SEVEN EASY PIECES
6. resuscitare una foto: valie export, action pants, genital panic.
Valie Export realizzò Genital Panic a Monaco di Baviera, il 22 agosto del 1969, nel cinema Augusta-Lichtshpiele, in cui era stata invitata come film-maker. La Export si presentò vestita con un golf e dei pantaloni con il cavallo completamente tagliato, in modo da mostrare interamente zona pelvica e pube.
I told the audience; <<what you see now is reality, and it is not on the screen, and everybody sees you watching now>>. I moved slowly up to the aisle, walking towards the people: they had my exposed crotch in front of their faces. I had no idea what the audience would do. As I moved from row to row, people silently got up and left the theater178.
Evidentemente, l'operazione trovava il suo senso profondo nel non avere preavviso e nell'essere realizzata in un cinema. Alla bidimensionalità dell'immagine, alla finzione dell'azione, alla stereotipia tendenziale del modello cinematografico femminile, la Export contrappone la realtà concreta del proprio corpo. Contemporaneamente, alla condizione voyeuristica dello spettatore cinematografico contrappone il modello azionista della partecipazione del pubblico. Diversamente dagli azionisti maschi, però, il tono usato dalla Export non pare tanto puntare direttamente alla liberazione dell'es in senso panico, come accade in Muhel o in Nitsch, quanto alla presa di responsabilità dello spettatore: non più nascosto dal buio della sala cinematografica e nella regressione al privato della condizione onirica del film, lo spettatore deve ammettere e gestire il contenuto libidico delle sue pulsioni di fronte alla società. Quel “tutti ti guardano” mira a mettere in crisi lo spettatore, dispostissimo a guardare, ma non ad essere guardato, nella totale mancanza di reciprocità che il cinema garantisce. Di fatti, gli spettatori, che non erano andati al cinema per confrontarsi con la realtà dei genitali della Export, ma per assistere ad una rassegna cinematografica, abbandonarono la sala.
Genital Panic è l'estensione di un'opera di qualche mese precedente. L'undici novembre del '68 allo JungenFilm '68 organizzato da Erich Mauthner nella sala della Bundeskammer di Vienna, la Export invece di proiettare Ping Pong – il film che aveva vinto il premio Maraisiade – aveva presentato Tapp und Tastkino (traducibile approssimativamente con “cinema da palpeggiare e da
tastare”).Nell'opera la Export indossava una scatola con dei buchi in corrispondenza di braccia e collo e la parete anteriore aperta e coperta da una tendina – a mo' di sipario. Lo spettatrore era chiamato a infilare le mani all'interno della scatola per palpeggiare e tastare il seno della Export. Riguardo agli intenti dell'opera, la Export faceva una dichiarazione pressoché identica a quella di Genital Panic: <<la donna è il soggetto centrale del film. Comunque, il film deve uscire dal cinema, deve essere portato tra la gente. In più, questo è meglio che gli attuali prodotti del cinema commerciale. Il cinema commerciale offre surrogati, noi davvero offriamo qualcosa. A monte di questo, la brutalità di questa esibizione è un mezzo efficace contro l'imperante voyeurismo>>179.
178 Ivi, p. 118.
Tuttavia, in effetti, il mezzo non è affatto efficace praticamente, ma solo simbolicamente. Non a caso, nelle foto documentative, si vede un'unica persona fruire dell'opera, circondata da una cinquantina di persone che guardano divertite la scena. Semplicemente, visto che l'azione qui non si pone come impedimento a vedere i film, ma come spettacolo a se stante tenuto all'aperto, gli spettatori rimangono a guardare lo spettacolo, invece di andarsene come quelli di Genital Panic. Per quanto si svolga in maniera più ironica e divertente, con il ricorso alla “sala cinematografica” portatile, Tapp und Tastkino ha un presupposto identico a quello di Genital Panic, al punto da ridurre l'opera successiva alla semplice estensione dal topless al bottomless.
Nella sua volontà di azione diretta in luogo dell'immagine bidimensionale, l'opera si configura nel clima dell'azionismo viennese, differenziandosene totalmente, però, per il suo portato morale e moralista: quella contro il voyeurismo non è solo la battaglia femminista contro l'immagine stereotipata della donna e contro lo “scopic regime of the male psychic economy”180, ma anche
innegabilmente la riprovazione per chi prova più piacere nel guardare che nel fare (o nel mostrarsi: senza dubbio nell'azione della Export c'è la paradossale lamentela dell'esibizionista nei confronti del voyeur). Ponendosi come alternativa “sana” al voyeurismo, la Export è completamente lontana dallo spirito profondo dell'azionismo viennese. Questa aspirazione alla sanità e a sanare, infatti, mal 180T. Modleski, Hitchcock, Feminism and the Patriarchal Unconscious, in P. Erens, Issues in Feminist Film Criticism,
Bloomington/London, 1990, p.70.
si configura nel quadro di un movimento che ha fatto della perversione un'ideologia (a meno che non si voglia credito all'effetto catartico di Nitsch, che continua a purificarsi nel sangue da mezzo secolo). Di fatto, accostato al masochismo, alla coprofilia e al sadismo dei Muhel e dei Bruss, il voyeurismo è una collegiale nel bordello delle perversioni. La frequentazione della Export con gli azionisti è dovuta a motivi geografici prima che ideologici ed estetici: rispetto agli azionisti è, come scrive Teresa Macrì <<una specie di intrusione femminista>>181, che fondamentalmente condivide
con gli altri solo l'idea di azione liberatrice (della donna in Export, dell'Es negli altri) e la generica propensione per l'Aktion. (si noti, però, che gli azionisti non incitano il pubblico ad abbandonare il proprio ruolo, se non lo desidera: il desiderio, è la chiave).
Al contrario di Tapp und Tastkino, Genital Panic non ebbe documentazione. Alcune settimane dopo la performance, la Export realizzò delle fotografie pubblicitarie, chiamandole Action Pants: Genital Panic. Nella più famosa, l'artista posa seduta, con i medesimi pantaloni senza cavallo e con un giubbotto di pelle nera. Calza scarpe aperte e tiene le gambe piuttosto larghe, in modo da mostrare il pube, tenendo un piede posato per terra uno poggiato su una sedia identica a quella dove è seduta. Imbraccia con entrambe le mani un mitra, tenendolo in posizione verticale e fissa la camera con sguardo serio.
Tralasciando la simbologia fallica introdotta dal mitra, trovo che il modello iconografico della foto sia proprio il cinema. Più che alle dive storiche – che raramente compaiono armate e, quando lo fanno, tendono ad essere sostanzialmente “molli”, come nel caso di Jane Russell – la matrice che mi sembra chiaramente energere è quella di Jane Fonda in Barbarella di Roger Vadim. Nel materiale pubblicitario del film, uscito nelle sale proprio l'anno prima che la Export realizzasse Genital Panic,
il 1968, l'attrice compare costantemente armata di versioni immaginifiche di pistole e mitagliatrici. La stessa capigliatura folta e dritta della Export pare essere una sorta di parodia dei capelli della Fonda, un poco come i pantaloni senza cavallo lo sono del reggicalze – indumento intimo legato 181 Teresa Macrì, Cinemacchine del desiderio, Genova, 1998, p.74.
alla sessualità per eccellenza, che gli stessi costumi di Barbarella parafrasano. Con Barbarella, evidentemente, Genital Panic condivide la tematizzazione erotica ed è in rapporto conflittuale, visto che Barbarella è uno spettacolo profondamente voyeuristico: film che si apre con uno spogliarello in assenza di gravità, è stato distribuito con la tagline: <<See Barbarella do her thing>>.
Quando la Abramović annuncia il reenactment di Action Pants: Genital Panic, inequivocabilmente, commette volontariamente un'inesattezza. Quello che si può rimettere in scena – da un punto di vista prettamente logico – non sono le foto pubblicitarie (o piuttosto commemorative, essendo posteriori) della performance, ma la performance stessa. E, se avesse effettivamente rimesso in scena l'opera, non solo avrebbe trasformato un discorso sul cinema in uno sulla pittura (dato che non si trova al cinema, ma in un museo), ma si sarebbe trovata esattamente nelle stesse condizioni che le hanno impedito di mettere in scena Rhythm 0: in contatto diretto con l'audience. L'audience, oltre tutto, non sarebbe stata affatto colta alla sprovvista come a Monaco nel '68: sicuramente, il senso di impatto sarebbe completamente svanito.
Quello che la Abramović compie partendo dalle foto, dunque non è un reenactment in senso proprio. Paradossalmente, però, il modo in cui lo fa è – tra tutte le opere proposte al Guggenheim – il più legato all'originale: la Abramović rimette in scena la messa in posa di Valie Export in favore della camera. E, visto che la serie consiste in due pose (con più scatti), una seduta e una in piedi, l'unico movimento che la Abramović compie è alzarsi e poi sedersi, Anche il vestiario è estremamente aderente all'originale, con la sola differenza degli scarponcini in luogo delle scarpe
aperte e della posizione del mitra in posizione seduta perché - anziché essere tenuto in posizione verticale, come nella foto che prende a riferimento – viene preso in posizione orizzontale, come la Export da nello scatto all'aperto.
Se è il più filologico, Action Pants è sicuramente il momento più debole della serie: anche da vedere solo in fotografia, è uno spettacolo noioso. Con la lentezza di esecuzione e la riduzione a sole due immagini che si ripetono, in piedi e seduta, è praticamente insostenibile. Nel documentario della Mangolte, uno spettatore spazientito le urla ripetutamente di fare qualcosa: <<Put the gun down or use it!>>; un altro – un purista della performance, evidentemente - l'accusa: <<This is theater, you're acting!>>. Lei rimane immobile.
La testimonianza della della Umathum non è meno desolante, per quanto permeata di grande acume e amaro sarcasmo:
8 p. m. Abramović is sitting on the chair again. (...) I am occupied mainly with my own boredom. Seven hours is a long time for the audience, too. In the leaflet, Abramović is quoted as saying: 'I do not want the public to feel that they are spending time with the
In alto e a destra: M. Abramović, Action Pants: Genital Panic, 2005; in basso a sinistra: V. Export, Action Pants: Genital Panic, 1968
performances, I simply want them to forget about time'. But tonight forgetting about time is the last thing I am able to do. (...) A woman comes up to me and asks when the show begins. When I tell her that it began three and half hours ago, all I get is a look of incomprehension. The myth of the spectacular that is so often and eagerly associated with performance art is now here in evidence. Abramović is pursuing demystification while simultaneously laying the foundations for future mythmaking182.
Se l'osservatrice di casa – quella che pubblicherà le sue note nel libro dedicato a Seven Easy Pieces – è tanto sarcastica, la Burton - che ha già teso al sarcasmo riguardo alle opere precedenti – è piuttosto spietata:
Action Pants: Genital Panic, in which Abramović stood or sat wielding a machine gun, those present were held captive by a nearly hour-long, wordless exchange between the artist and a young woman brave enough to inch up to the closely guarded platform. After both parties succumbed to tears, Abramović released her gaze, the girl departed, and soon after, a young man attempted to vault onto the stage. Though the man was escorted away, Spector and the artist later speculated that he wasn't aggressive but simply wanted to determine how best to participate in the piece183.
Il contenuto pianto della Abramović (fatto di lacrime, ma non di singhiozzi) è testimoniato anche dal documentario della Mangolte, ma non in relazione troppo evidente con la ragazza (relazione che torna quando le inquadrature del documentario vengono “rimontate” in immagini fisse nel libro). Personalmente, non sono sicuro che sia stato un episodio dovuto a un momento di crisi del momento, senza una pianificazione. Se è vero che la documentazione di diverse performance dell'artista ce la mostra in lacrime – è anche vero che questo pianto potrebbe essere letto come un elemento simbolico volontario. Personalmente, credo che sia così – seppur in una convinzione un poco aleatoria ed effimera - perché ritroveremo lo stesso pianto nell'unica performance in cui compaiono di nuovo temi militari, Lips of Thomas. In quell'occasione – almeno una volta – il documentario della Mangolte mostra il primo piano della Abramović in lacrime al momento in cui inizia la canzone Slavic Souls. La guerra (mitra in Action Pants, cappellino militare e bandiera insanguinata in Lips of Thomas) viene così indirizzata dalle lacrime per la guerra civile. Lacrime, a questo punto, che non sono più frutto della sensibilizzazione o di una crisi nel momento della performance, ma un'azione teatrale nel senso più proprio e completo.
La presenza dell'arma – e la conseguente connessione al tema della guerra civile nei Balcani - è una delle due ragioni che possono spiegarmi la presenza di un pezzo altrimenti così povero e poco pregnante con il discorso generale da risultare imbarazzante. In questa logica, non può essere considerato casuale il fatto che venga realizzata l'undici novembre, il Veterans Day.
L'altra ragione è la dialettica con Seedbed. Così come Seedbed è la concretizzazione fisica dell' autoerotismo mentale di Body Pressure, Action Pants è il ribaltamento di Seedbed. Dove Seedbed si basa sull'azione sessuale continua e sul continuo ricorso alla parola, ma nega la visione - Action 182 S. Umathum. op.cit. p.50
Paints mostra l'organo genitale in totale assenza di moto e di discroso verbale. In questo senso, la sua inerzia – e in fin dei conti anche la sua stessa origine fotografica – diventano funzionali alla contrapposizione. In questa logica si arriva a The Conditioning, in cui l'artsta prende l'unica posa statica non assunta nel remake della Export, quella sdraiata.
Dettagli del momento in cui la Abramović piange in Action Pants, tratti dal documentario di Babette Mangolte.
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