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Si è detto spesso, come una sorta di litania, che la stagione della performance storica si sia chiusa con il ritorno alla pittura. Si è sempre teso, però, che io sappia, a fare rientrare tutto in una dinamica esclusivamente interna alle discipline artistiche e – tutt'al più – alle prospettive estetico-filosofiche, con il passaggio dal tardo modernismo al pieno postmodernismo. Tuttavia, è facile notare come la performance nasca in una società in cui il momento informativo principe (specie in campo artistico) è costituito dalla comunicazione orale (word of mouth, per dirla con Abramović) e dalla carta stampata, ed entri in profonda crisi più o meno nel momento in cui si diffondono capillarmente e migliorano le tecnologie di riproduzione domestica (televisione a colori, betamax e VHS), ovvero nel momento in cui si assiste a una progressiva rarefazione dei momenti pubblici (la piazza) a favore dei momenti privati (il salotto)99. Il passaggio dalla piazza al salotto coincide con il ritorno

dalla performance al quadro. Con questo non intendo banalmente che, una volta reso possibile accedere al materiale documentale più prossimo ai tempi della performance, la performance scompaia. Sarebbe una leggerezza imperdonabile, anche perché la possibilità di accesso al materiale documentale delle performance è sempre stata assai limitata e non ha mai seguito una strategia di distribuzione capillare. Perfino la musica che Nitsch compone per le sue performance viene venduta 99 Mi rifaccio qui all'idea di ridefinizione della relazione pubblica espressa da Serena Vicari Haddock in La città Contemporanea (cfr. Serena Vicari Haddock, La città contemporanea, Bologna, 2004) nonché all'idea di evoluzione della tecnologia in senso domestico espressa, in termini meno sociologici e più etologici, da Umberto Dante ne Il verosimile nelle arti visive e L'utopia del vero (cfr. Umberto Dante, Il verosimile nelle arti visive, L'Aquila, 1995; Umberto Dante, L'utopia del vero, Roma, 1997).

in esemplari numerati a prezzi completamente al di fuori di quelli del mercato discografico, come se si trattasse di litografie100.

Quello che trovo interessante notare è come la performance entri in crisi con la spinta (tecnologica e sociale) verso il domestico; in fin dei conti, il VHS sta al cinema come il ritorno alla pittura sta alla performance e all’installazione: è un’evoluzione in direzione domestica e individuale da una base pubblica e sociale. La performance, da questo punto di vista, è ancora un happening, ha dimensione eminentemente pubblica, se non altro perché pone il performer nella condizione di non delegare il contatto con la propria audience ad un oggetto (almeno in teoria, come si è detto). Non solo: la performance è pubblica nella dimensione indispensabile all’evento teatrale e pubblica nell’ottica della circolazione sociale dell’informazione: la trasmissione orale. Pubblica, ancora, nella qualità dell'informazione: il mito. Quel mito, ad esempio, che fece sì che in molte pubblicazioni si riportasse la notizia falsa della morte di Schwarzkogler in seguito alla propria evirazione durante una performance101.

Tuttavia, rispetto all'happening, la performance – e la performance dei body artisti in particolare – ha un senso quasi crepuscolare rispetto alla condivisione degli spazi, segnando un significativo ripiegamento verso l'individualità ed il privato. Si passa dall'aspetto sociale dell'happening di Kaprow all'aspetto individuale del corpo, da The Courtyard – in cui c'è una specie di surreale messa in scena dell'operosità in un ambiente per definizione destinato alla socialità, il cortile – al Get Out of my mind, Get out of my room di Nauman, dove la voce che accoglie il visitatore nello spazio espositivo lo invita immediatamente ad andarsene, come un pensiero sgradito nell'equazione di stampo beckettiano testa-stanza. Anche all'interno dell'evoluzione dei singoli artisti, si ha evidentemente lo stesso percorso: in The Following Piece – realizzato l'anno successivo in cui Nauman realizza Get Out of my mind – Vito Acconci segue una persona per strada finché questa non entra in uno spazio privato. Come dice in un'intervista di molto successiva riguardo al suo esordio da performer: <<We did not want the remote isolation of the theater, attended only by the initiate, in which only abstractions of the world and not the dirty world itself was shown. We chose as our motto the song: Why don't we do it on the road?>>102.

Solo due anni dopo, nel 1971, realizza Claim Excerpts. In questa performance, al termine di una lunga rampa di scale, in una cantina, Vito Acconci attende il visitatore. Il performer è seduto, bendato e armato di una spranga di ferro, pronto a colpire letteralmente alla cieca chiunque si avvicini.

100Un'idea simile alla mia, ma con un presupposto storico sostanzialmente scorretto, è stata espressa da Johannes H. Birringer in Media & Performance, dove scrive:<<I would go so far to claim that video became the car+talyst for a new stage in the radical critique of representation which exhausted the Dionysian energies of the rebellious sixties and led to a dead end in most of the antitheatrical experiments>> (cfr. J.H. Birringer, Media & Performance, Baltimore, 1998, p.156). Secondo l'autore a questo punto le azioni performative iniziano ad interagire con il video, giocando su un effetto di “displacement”. In realtà, visto che il maestro di questi esperimenti è Bruce Nauman – e che quindi si collocano contemporaneamente o addirittura sostanzialmente prima di tutta la body art dionisiaca – contemporaneamente agli azionisti, ma prima di Gina Pane e Marina Abramović – il senso di continuità storica viene a mancare. E viene a mancare tanto più che nessuno dei più importanti bodyartisti diventerà un video-artista. Inoltre, se si considera invece l'uso della televisione o delle riprese durante la performance, queste sono

perfettamente contenuto già durante la body art “violenta” in artisti come Gina Pane o Dennis Oppenheim. 101Mito che in realtà prosegue nella sua corsa. Proprio nel 2008 Herbert Grabes, in Making Strange affferma: <<in

1972 he amputated his penis piece for piece before the eyyes of a photographer, and the documentation of this “work of art” was exhibited at the Documenta 5 in Kassel after further self-mutilations on the part of the artist had in the meantime led to his death>> (cfr. H. Grabes, Making strange, Beauty, Sublimity, and the (Post) Modern `Third Aesthetic, Amsterdam, 2008, p. 85). In realtà in quell'occasione Schwarzkogler non era nemmeno il modello, ma il fotografo (cfr. J. O'Brian, Carnal Art: Orlan's refacing, Minneapolis, 2005 p.27).

Per quanto sin dall'inizio The Following Piece abbia già un'enorme distanza di prospettive rispetto all'happening – in quanto ne inverte il carattere cooperativo tra autore e spettatore, trasformandolo in un un rapporto di forza tra potente e potuto, tra chi è consapevole che sta avvenendo una performance e chi no – lo scarto della socialità rispetto a Claim Excerpts è assolutamente evidente sia formalmente che simbolicamente. Se, infatti, The Following Piece (in questo esattamente come The Courtyard) ha come dimensione poetica e simbolica l'essere tra gli altri, la socialità, Claim Excerpts (in questo esattamente come Get out of my mind, Get out of my room) ha come dimensione poetica e simbolica il desiderio di chiudere questa socialità, facendo coincidere lo spazio chiuso con la mente, nel caso specifico con l'inconscio. In questo passaggio dal pubblico al privato, seppure ancora vissuto in maniera pubblica, diviene evidente anche un secondo passaggio: quello dall'essere umano in quanto tale a quello di essere umano filtrato dalla macchina: tanto Get out of my mind, Get out of my room quanto Seedbed di Acconci – di cui si parlerà abbondantemente nel prossimo capitolo per molti aspetti simile a quella di Claim Excerpts – presentano la voce umana nella sua versione registrata.

Quindi, partendo dalla lettura della performance storica come sintomo del prossimo ripiegamento verso il domestico, è interessare notare come la questione della performance (e della sua documentazione) sia tornata in auge oggi – seppure in misura e in maniera diversa, senza dubbio con minor peso specifico – nel momento in cui la tecnologia domestica ha smesso di sostituirsi alla socialità, ma iniziato indirizzarsi a sua volta verso un'area sociale, verso l'extra-domestico: Internet. Se nel 1970 il teorico della televisione Marschall McLuhan descriveva la città come << una terra desolata di immagini abbandonate>>103, indicando il progressivo ripiegamento, oggi Internet si

configura come movimento parzialmente opposto, come l'apertura di una <<finestra globale>>104.

Di fronte a questa ripresa di importanza della socialità e della performance, trova un senso profondo, che in qualche modo prescinde dal valore intrinseco dell'opera/operazione, Seven Easy Pieces della Abramović.

103Marshall McLuhan; frase già citata in introduzione. 104M. Castellis, Galassia Internet, Roma, 2006, p.78.

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CAPITOLO II