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La crescente rilevanza della tutela dei diritti umani nell’ambito

2. I diritti umani

2.3. La crescente rilevanza della tutela dei diritti umani nell’ambito

ONU: la progressiva affermazione del concetto di «human

security»

Come si vedrà meglio infra (capitolo III, § 4), la tutela e la violazione dei diritti umani hanno assunto notevole rilevanza anche in relazione alla liceità dell’uso della forza, inducendo il Consiglio di Sicurezza a ricomprendere nella nozione di

573 Come osservato da Nascimbene, che aggiunge che la tradizionale schematizzazione, per la

quale il diritto internazionale relativo ai diritti umani si applicherebbe in tempo di pace e il diritto internazionale umanitario in tempo di guerra, riflette in realtà un criterio «semplicistico», posto che determinate norme a tutela dei diritti umani conservano vigenza anche in situazioni di emergenza e/o di conflitto armato (NASCIMBENE, L’individuo e la tutela internazionale dei diritti

umani, in CARBONE,LUZZATTO,SANTA MARIA (a cura di), Istituzioni di diritto internazionale, cit., p.

386).

574 Ibidem; RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, cit., pp. 159-160. Quest’ultimo autore

ricorda, a titolo di esempio, le pronunce in cui la Corte Internazionale di Giustizia ha affermato la persistente vigenza del cd. Patto sui diritti civili e politici del 1966 anche in tempo di conflitto armato, ammettendo solo – con riferimento a tali situazioni – le deroghe al Patto espressamente consentite dal suo art. 4 (Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons, Advisory Opinion, cit., p. 240, par. 25; Legal Consequences of the Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory,

Advisory Opinion, cit., parr. 105-106; Armed Activities on The Territory of the Congo (Democratic Republic of the Congo v. Uganda), cit., parr. 215-221).

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«minaccia alla pace» di cui all’art. 39 della Carta ONU anche violazioni su larga scala dei diritti fondamentali576.

Il crescente rilievo – normativo, politico e culturale – assunto dai diritti umani nel dibattito internazionale577, insieme ai profondi mutamenti del panorama

internazionali successivi alla fine dell’era bipolare, ha portato allo sviluppo del concetto di «human security» («sicurezza umana»), un cambio di paradigma nell’approccio al tema della sicurezza che tende a spostare l’attenzione prioritaria dagli Stati (tradizionali soggetti di diritto internazionale e beneficiari delle tutele da esso predisposte) all’individuo578, tanto che si parla di «a normative shift in the

values of international law»579, definito in dottrina come «innegabile, irresistibile,

irreversibile»580. Un mutamento di paradigma legato – e funzionale – anche al

graduale sviluppo di una nuova concezione della sovranità come «responsabilità» degli Stati nei confronti dei propri cittadini, la quale, come si vedrà, ha potenziali ricadute anche sul regime giuridico relativo all’uso della forza.

Subito dopo la caduta del muro di Berlino (9 novembre 1989), l’illusione di una «fine della storia»581 segnata dal consolidamento di un assetto internazionale

definitivamente pacifico venne rapidamente spazzata via con lo scoppio, all’inizio degli anni Novanta, di una serie di gravi crisi politico-militari, molte delle quali con pesanti ricadute umanitarie, che, pur non intaccando l’ormai (momentaneamente) assoluto primato unipolare statunitense, resero però drammaticamente chiaro come il mondo post-Guerra fredda non fosse affatto

576 CANNIZZARO, Corso di diritto internazionale, cit., p. 44.

577 A riguardo, cfr. ANTONIO CASSESE, I diritti umani oggi, Laterza, 2009.

578 Individuo che, privo di soggettività nel diritto internazionale classico, secondo diversi

orientamenti dottrinali avrebbe ormai assunto una pur limitata personalità giuridica internazionale, proprio in conseguenza dello sviluppo del diritto internazionale relativo ai diritti umani (oltre che alla previsione, da parte del diritto internazionale, di una responsabilità penale in capo agli individui per crimini internazionali, ossia per genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e crimine di aggressione).

579 HELAL, Am I My Brother’s Keeper?, cit., p. 390.

580 LOUIS HENKIN, Human Rights and State “Sovereignty”, in Georgia Journal of International and

Comparative Law, 1995-1996, p. 31 ss., p. 35 (traduzione a cura dell’autore).

581 Celebre formula coniata dal politologo statunitense FRANCIS FUKUYAMA, The End of History and

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così pacifico come qualcuno si era atteso, ma al contrario fosse caratterizzato da persistenti situazioni di instabilità e di grave violazione dei diritti umani: «l’immediato periodo post-Guerra Fredda vide un’esplosione di crisi umanitarie che mise in dubbio le aspettative positive dell’epoca»582.

Venne a profilarsi un nuovo scenario internazionale in cui le sfide della sicurezza risultavano in buona parte diverse da quelle cui ci si era abituati durante i quarant’anni precedenti, e per una parte consistente consistevano nella capacità di gestire e risolvere situazioni di instabilità regionale ed emergenza umanitaria (in vari casi derivanti da conflitti di natura interna, e non internazionale). Situazioni che, se non adeguatamente fronteggiate, in un’epoca caratterizzata dalla globalizzazione e della crescente interdipendenza tra le varie aree del pianeta avrebbero potuto tradursi in minacce di varia natura per l’intera Comunità internazionale: come osservato da Gassama in una riflessione relativa anche al ruolo degli Stati Uniti in rapporto alla cd. responsabilità di proteggere (per la quale v. infra, capitolo IV), «non si può consentire che il male […] prosperi incontrastato in una parte del mondo», non solo per ragioni di natura altruistica ma perché nel mondo globalizzato è illusorio pensare che determinate crisi e minacce resteranno rigidamente confinate entro la loro area geografica di origine583. Nel panorama internazionale contemporaneo, potrebbe essere

rischioso ricadere nell’errore di pensare che una crisi umanitaria in un'altra area del globo sia semplicemente «una controversia in un Paese lontano tra gente di cui non sappiamo nulla» (per citare la celebre – e infelice – espressione con cui nel 1938 il Primo ministro britannico Chamberlain etichettò la crisi cecoslovacca)584.

Nel diritto e negli affari internazionali iniziò così ad acquisire crescente importanza una nuova accezione del concetto di sicurezza, destinato a segnare

582 IBRAHIM J. GASSAMA, Dealing with the World As It Is: Reimagining Collective International

Responsibility, in Washington University Global Studies Law Review, 2013, pp. 695 ss., p. 697.

583 Ibidem, p. 710.

584 The Responsibility to Protect, Report of the International Commission on Intervention and State

Sovereignty (ICISS), December 2001, disponibile all’indirizzo http://responsibilitytoprotect.org/ICISS%20Report.pdf.

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un importante mutamento di prospettiva rispetto ai decenni precedenti: mentre in precedenza in ambito internazionale la «sicurezza» era associata principalmente al concetto di Stato, in questo periodo inizia farsi strada un concetto di sicurezza riferito in primo luogo alle persone (alle popolazioni degli Stati), e in particolare – anche se non solo – al rispetto dei diritti umani. «Sulla scia di questi conflitti, sta maturando una nuova concezione del concetto di sicurezza. Una volta sinonimi di difesa del territorio da un attacco esterno, oggi le esigenze di sicurezza devono venire a comprendere la protezione delle comunità e degli individui dalla violenza interna [al territorio dello Stato, nda]»585.

In questa nuova prospettiva, la «sicurezza internazionale» poteva essere minacciata non solo da attacchi contro l’indipendenza e l’integrità di uno Stato, ma anche da estese violazioni dei diritti umani non pregiudicanti la sovranità statali, ed eventualmente interamente interne ad uno Stato. Circa un decennio dopo l’avvio di questa dinamica, l’International Commission on Intervention and State Sovereignty (autrice del rapporto che lanciò il dibattito sulla «responsabilità di proteggere»: infra, capitolo IV, § 1) riconoscerà l’influenza ormai raggiunta da tale approccio nel sistema internazionale, pur ammettendo che il processo era ancora in fieri: «Although the issue is far from uncontroversial, the concept of security

is now increasingly recognized to extend to people as well as to states»586.

Nell’era successiva alla Guerra fredda, la nuova esigenza del sistema di sicurezza internazionale era quella di trovare nuovi approcci di intervento militare che riempissero il gap tra due tipologie di approccio – il peace-keeping tradizionale e le operazioni militari coercitive su larga scala – che iniziavano ad apparire entrambe inadeguate a determinati teatri di crisi587. Ciò richiedeva «la messa a

punto di un nuovo sistema di sicurezza collettiva internazionale»588, esigenza che

585 We The Peoples. The Role of the United Nations in the 21st Century, “Millennium Report” del

Segretario Generale delle Nazioni Unite, settembre 2000, p. 43, disponibile all’indirizzo http://www.un.org/en/events/pastevents/pdfs/We_The_Peoples.pdf.

586 The Responsibility to Protect, Report of the ICISS, cit., p. 6. 587 Ibidem, p. 5.

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fu soddisfatta solo in parte dall’ONU, ma che comunque portò ad alcuni cambiamenti significativi sul piano della prassi dell’Organizzazione e degli Stati. In virtù di questa nuova prospettiva, negli scorsi anni alcuni autori sono giunti a sostenere che l’ONU dovrebbe «subordinare la sicurezza degli Stati alla sicurezza umana»589, con inevitabili ripercussioni sul modo di concepire la tutela della

sovranità statale (tradizionale caposaldo del diritto internazionale) e il divieto dell’uso della forza di cui all’art. 2, par. 4, della Carta ONU in relazione a situazioni di emergenza umanitaria.