• Non ci sono risultati.

Dalle «guerre» ai «conflitti armati»

Oggi, il termine «guerra» continua ad essere usato nel linguaggio comune, storico e giornalistico, mentre è divenuto sempre meno presente nelle dichiarazioni ufficiali degli Stati e delle organizzazioni internazionali, nonché nelle opere di

469 RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, cit., p. 139. 470 MANCINI, Stato di guerra, cit., p. 203.

108

diritto internazionale pubblico. Solitamente i soggetti di diritto internazionale e la stessa dottrina internazionalistica preferiscono utilizzare altre terminologie, e in particolare l’espressione «conflitto armato».

Tale tendenza deriva in parte da ragioni politiche, giacché, in un sistema di diritto internazionale che ha espunto quasi totalmente la «guerra» dal novero delle azioni lecite degli Stati, i governi hanno avvertito l’esigenza di presentare gli utilizzi della forza armata da essi compiuti come qualcosa di diverso dalla «guerra» in senso proprio, e quindi (questo il sottinteso di fondo) maggiormente accettabile sotto ogni punto di vista.

In secondo luogo, ciò sembra essere conseguenza del fatto che, dopo la nascita delle Nazioni Unite, si sono gradualmente affermati, nella prassi, diversi tipi di uso della forza armata, ciascuno caratterizzato da una diversa intensità di tale utilizzo, in relazione ai quali l’uso della nozione di «guerra» può apparire improprio, non essendo in grado di riflettere le differenze esistenti tra questi diversi tipi di operazioni, e richiamando una situazione connotata (anche giuridicamente) in senso maggiormente radicale e assoluto. Infine, va considerato che dopo il secondo conflitto mondiale alcuni Stati hanno inserito divieti di ricorrere alla guerra nelle loro Costituzioni (si vedano il Giappone e l’Italia, dove il ripudio della guerra è sancito dall’art. 11 della Costituzione471),

per cui i loro governi non possono intraprendere iniziative militari, se non asserendo che esse non costituiscono una «guerra» in senso giuridico, o che si tratta di guerre difensive (tesi non sempre sostenibile); per quanto riguarda l’Italia, in verità la Costituzione, secondo cui «[l]’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute» (art. 10, c. 1), consente (oltre alla guerra difensiva) iniziative militari autorizzate dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ma è altresì vero che permane una certa difficoltà politica ad usare apertamente il termine «guerra».

471 Secondo l’art. 11, primo periodo, della Costituzione italiana, «[l]’Italia ripudia la guerra come

strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».

109

In quasi tutti gli altri Paesi, inoltre, le carte costituzionali, pur non vietando la guerra, subordinano il ricorso ad essa a determinate condizioni di natura procedurale (come ad esempio una delibera parlamentare), per cui i governi, al fine di aggirare determinate procedure, possono comunque avere interesse a qualificare operazioni militari in senso diverso. Tale processo è evidente soprattutto nei Paesi europei, mentre invece appare meno radicale negli Stati Uniti, dove la vecchia idea della «guerra giusta» mantiene un consenso tendenzialmente più elevato472.

Considerato che nel diritto internazionale lo «stato di guerra» costituisce una situazione qualificata in senso giuridico-formale, la questione non è del tutto priva di rilevanza. Tuttavia, occorre rilevare che, ai fini del diritto internazionale, nel corso dei decenni l’importanza pratica del problema sembra essersi sempre più ridimensionata in ragione della tendenza degli Stati – e della dottrina internazionalistica – a utilizzare sempre più spesso, in luogo del termine «guerra» (impegnativo sotto molteplici profili), la più generica espressione «conflitti armati»473. Ad esempio, in occasione dell’intervento contro l’Iraq nel

1991 (Prima guerra del Golfo), il Primo ministro britannico John Major negò l’esistenza di uno stato di guerra e usò la più generica espressione «hostilities

against Iraq»474. In occasione dell’attacco all’Afghanistan nell’autunno 2001

(Operazione Enduring Freedom), Stati Uniti e Regno Unito parlarono semplicemente di «stato di conflitto armato»475.

Tale processo ha implicato anche l’estensione a tutti i «conflitti armati» dell’ambito di applicazione di molte normative internazionali (tale trend è iniziato con le Convenzioni di Ginevra del 1949, che, secondo l’art. 2 comune, par. 1, si applicano «to all cases of declared war or any other armed conflict»)476. In

472 ROBERT KAGAN, Il diritto di fare la guerra, Milano, 2004, passim.

473 MANCINI, Stato di guerra, cit., p. 205; RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, cit.,

passim.

474 Declaration of War, Monday, 28 January 1991, in House of Commons Debates, vol. 184, Written

Answers, column 375, consultabile su www.publications.parliament.uk, cit. in MANCINI, Stato di

guerra, cit., p. 184.

475 MANCINI, Stato di guerra, cit., p. 146.

110

generale, oggi le norme di diritto internazionale umanitario (per le quali v. infra, § 3.3) si applicano anche ai «conflitti armati»477.

La formula «conflitti armati» ha un significato che ricomprende anche quello di «guerra», ma non si esaurisce in esso (come affermato dall’arbitro unico nominato dalla Corte di Arbitrato della Camera di Commercio Internazionale nel caso Cement Ltd. vs. National Bank of Pakistan del 1975478). Con essa dunque il

problema della distinzione tra «guerre» in senso giuridico e operazioni militari diverse da esse viene, più che risolto, dissolto.

Talvolta si è fatto ricorso anche alla distinzione tra «guerra de jure», in cui almeno uno degli Stati coinvolti rileva ufficialmente lo stato di guerra, e «guerra de facto», indicando con essa «un conflitto armato nel quale lo stato di guerra non è invocato da nessuno dei belligeranti»479.

Peraltro, fin dalla sua entrata in vigore il divieto di uso della forza di cui all’art. 2, par. 4, della Carta ONU (poi penetrato nel diritto consuetudinario: v. supra, § 2.3.5) non si riferisce solo alla «guerra» ma in generale all’«uso della forza» (armata), e ciò proprio per evitare che gli Stati possano aggirarlo giocando sulla qualificazione formale delle proprie operazioni militari (v. supra, § 2.3.2)480. Alla

luce di questa tendenza, c’è chi afferma che, «benché il termine conflitto armato non abbia ancora sostituito quello di guerra, lo sviluppo verso la completa abolizione di quest’ultima nozione appare ormai marcato, essendo essa divenuta “a relic of a past time”»481.

Comunque, l’esistenza di un «conflitto armato» non produce automaticamente tutte le conseguenze giuridiche riconnesse allo stato di guerra; ad esempio, le misure di lotta al contrabbando su navi neutrali non diventano automaticamente

477 Ibidem.

478 Cfr. MANCINI, Stato di guerra, cit., pp. 205-206. 479 Ibidem, p. 206.

480 Constatazioni che nel 2003, poco prima dell’attacco anglo-americano contro l’Iraq, hanno

indotto l’Attorney General britannico ad affermare che l’esistenza o meno dello stato di guerra sia ormai irrilevante ai fini dell’applicazione della maggior parte delle normative internazionali (ibidem, p. 184).

481 RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, cit., p. 141, citando SCHINDLER, State of War,

Belligerency, Armed Conflict, p. 19, in CASSESE, The New Humanitarian Law of Armed Conflict, Napoli,

111

lecite, se non supportate da un altro titolo giuridico, come ad esempio la legittima difesa482.

Il problema della rilevazione o meno di uno «stato di guerra» in senso giuridico mantiene ancora una certa rilevanza in relazione agli ordinamenti interni degli Stati, o ai fini dell’applicazione di determinate discipline (che certi diritti interni continuano a subordinare all’esistenza di uno «stato di guerra»), o a proposito del rispetto di un divieto di ricorso alla «guerra» (presente in alcune Costituzioni, tra cui quella italiana).

Sotto il primo profilo, la casistica giurisprudenziale di alcuni Stati in cui si è posto il problema non appare univoca. Sulla questione se un’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza all’uso della forza implichi o meno l’instaurazione di uno «stato di guerra» la giurisprudenza interna di alcuni degli Stati intervenienti si è rivelata oscillante, nel corso degli anni483. Comunque, in Italia questo problema è

stato almeno in parte risolto, posto che il nuovo art. 165 del codice penale militare di guerra stabilisce l’applicazione del diritto penale militare di guerra «in ogni caso di conflitto armato, indipendentemente dalla dichiarazione dello stato di guerra»484.