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La distinzione tra operazioni sottoposte alla direzione delle Nazioni Unite e

Sicurezza

Come già accennato, non tutte le operazioni che avvengono in base ad un mandato ONU sono in realtà dirette e gestite, sul piano organizzativo ed operativo, dalle Nazioni Unite (e, in particolare, dal Consiglio di Sicurezza)442.

Si è già detto (v. supra, § 2.4.2) che non è mai stata data attuazione al meccanismo delineato dagli artt. 43-47 della Carta ONU, che prevedeva un sistema strutturato tramite il quale l’Organizzazione poteva controllare direttamente forze militari

438 Ibidem, p. 11.

439 Ibidem, p. 12.

440 «United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali».

441 A riguardo, si veda MIRKO SOSSAI, Missione di stabilizzazione in Mali: verso una convergenza tra

peacekeeping e anti-terrorismo?, in SIDIBlog, 12 luglio 2016, disponibile all’indirizzo

http://www.sidiblog.org/2016/07/12/il-mandato-della-missione-di-stabilizzazione-in-mali- verso-una-convergenza-tra-peacekeeping-e-anti-terrorismo/ (consultato il 27 aprile 2019).

442 Come già accennato, c’è chi, a questo riguardo, distingue terminologicamente tra operazioni

«decise» e operazioni «autorizzate» dal Consiglio di Sicurezza, intendendo con le prime quelle su cui il Consiglio esercita un’effettiva direzione, e con le seconde quelle gestite in autonomia dagli Stati membri. Tuttavia, la tendenza prevalente sembra essere quella di usare il termine «autorizzazioni» con riguardo a tutti gli usi della forza armata consentiti dal Consiglio di Sicurezza ai sensi del Cap. VII della Carta. A riguardo si rileva, quanto meno, una certa disomogeneità terminologica tra autori diversi.

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(messe a disposizione dagli Stati membri, ma sostanzialmente nella disponibilità del Consiglio di Sicurezza, tanto da poter essere definite, per certi versi, come vere e proprie “forze armate dell’ONU”)443.

Tuttavia, si è visto come le Nazioni Unite possano esercitare, seppur in forma più diversa e più tenue rispetto a quanto previsto dagli artt. 43-47, una forma di direzione organizzativa ed operativa delle missioni decise dall’Organizzazione: il riferimento va in particolare alla catena di comando prevista per le operazioni di peace-keeping (intese in senso lato), già illustrata in precedenza (v. supra, § 2.5.1). Un sistema simile può essere utilizzato anche per operazioni diverse dal peace- keeping tradizionale e implicanti un uso della forza armata anche in ipotesi diverse dalla legittima difesa: dunque anche nei casi di peace-keeping cd. rinforzato (o robusto) e al limite di peace-enforcement (si è peraltro detto che nella prassi il confine tra queste due categorie spesso non è netto).

Vi possono però essere, e nella prassi vi sono state, operazioni militari fondate su una risoluzione del Consiglio di Sicurezza adottata ex Cap. VII della Carta ONU, ma non dirette dalle Nazioni Unite, bensì gestite autonomamente dagli Stati che le pongono in essere, in modo diretto444 o nell’ambito di un’organizzazione

regionale (l’esempio più ricorrente è dato dalla NATO). «Il solo vincolo sarà rappresentato dalla finalità che il Consiglio indica»445. In questo caso, si può

parlare di «operazione delle Nazioni Unite» solo nel (limitato) senso che essa trova un fondamento normativo in una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, ma non sul piano organizzativo ed operativo: il contingente impiegato infatti non opera come organo delle Nazioni Unite (a differenza dei contingenti di peace- keeping sotto la direzione del DPKO), non esibisce le insegne delle Nazioni

443 Gli artt. 43-47 – formalmente ancora vigenti – prevedevano un vero e proprio obbligo per gli

Stati di stipulare accordi volti a realizzare il sistema da essi delineato ma, in assenza di meccanismi in grado di imporre il rispetto di tale obbligo, esso è rimasto inadempiuto.

444 Nel caso di pluralità di Stati spesso è previsto un comando unificato dell’operazione, attribuito

ad uno dei Paesi partecipanti – in modo permanente o a turnazione – o composto in modo misto.

445 CONDINANZI e CRESPI REGHIZZI, L’uso della forza, in CARBONE,LUZZATTO,SANTA MARIA (a cura

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Unite446 e non può in definitiva considerarsi come «forza ONU» (se non, come si

è detto, con riferimento all’atto giuridico su cui si fonda la liceità della missione). Non essendovi in sostanza un controllo operativo delle Nazioni Unite, con riguardo a tali operazioni si è parlato anche di «deleghe», e in particolare di «delega in bianco» agli Stati447.

Per trasporre a livello terminologico la suddetta distinzione, è possibile distinguere tra operazioni militari «istituite» (o «decise») dal Consiglio di Sicurezza e operazioni semplicemente «autorizzate» da questo: con la prima espressione ci si riferisce ad operazioni sottoposte alla direzione delle Nazioni Unite, mentre con la seconda ad operazioni fondate su una risoluzione del Consiglio ma gestite autonomamente dagli Stati448. Occorre però ricordare ancora

una volta che, nel discorso politico e in dottrina, la terminologia a riguardo non è né precisa né univoca, per cui talvolta si parla di operazioni «autorizzate» dal Consiglio di Sicurezza per indicare, genericamente, tutte le operazioni decise ex Cap. VII della Carta. La stessa distinzione tra operazioni «istituite» e operazioni solo «autorizzate», chiara a livello teorico, può diventare assai più labile nella prassi449.

Molto spesso missioni militari poste in essere senza il consenso dello Stato territoriale, o addirittura contro uno Stato, sono avvenute nella forma dell’operazione autorizzata dal Consiglio di Sicurezza ma gestita autonomamente dalle singole nazioni. Ciò in quanto il modello e la “mentalità” operativa delle Nazioni Unite tendono storicamente a presuporre un uso limitato o solo eventuale della forza armata, in un contesto caratterizzato dal consenso

446 Tra cui l’insegna «UN» sui mezzi utilizzati e il caratteristico colore azzurro dei baschi e degli

elmetti: in questi casi sarebbe dunque improprio (anche sul piano, banalmente, “visivo”) utilizzare la nota espressione «caschi blu».

447 Cfr., ex multis, CONDINANZI e CRESPI REGHIZZI, L’uso della forza, in CARBONE,LUZZATTO,SANTA

MARIA (a cura di), Istituzioni di diritto internazionale, cit., p. 364.

448 Per tale distinzione si veda anche BOTHE, Peacekeeping Forces, in WOLFRUM (ed.), The Max Planck

Encyclopedia of Public International Law, cit., pp. 228-229.

449 Il Consiglio potrebbe pronunciarsi sul rispetto o meno degli obiettivi fissati nella sua

risoluzione anche da parte di una missione non sottoposta al suo controllo operativo, o che, viceversa, una missione sottoposta alla formale direzione delle Nazioni Unite potrebbe caratterizzarsi per una catena di comando tale da lasciare molto spazio decisionale autonomo ai singoli comandanti nazionali.

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dello Stato territoriale interessato450. Esse tendono tradizionalmente (anche se

non necessariamente) a inquadrarsi nel paradigma concettuale delle «missioni di pace» («peace operations»), intendendo qui tale espressione in senso ampio, per riferirsi a tutte quelle operazioni (anche implicanti l’uso della forza armata) basate sul consenso dello Stato territoriale interessato, volte a far raggiungere un accordo di pace o a garantirne il mantenimento. «L’impiego delle Forze di peace- enforcement ha finito col rivelarsi […] abbastanza impraticabile per una serie di ragioni, politiche, militari, logistiche, finanziarie, ecc., sicché il Consiglio si è orientato, in più occasioni, […] verso l’autorizzazione all’impiego diretto di contingenti militari da parte degli Stati membri, sia individualmente che per il tramite delle organizzazioni regionali»451.

A questo riguardo, gli esempi storici sono innumerevoli. A mero titolo esemplificativo, si possono citare la Guerra di Corea del 1950-1953 (in cui le operazioni si svolsero di fatto sotto il comando americano)452; la Prima guerra del

Golfo (più precisamente, l’Operazione Desert Storm per la liberazione del Kuwait, attuata tra gennaio e febbraio 1991 da un’ampia coalizione internazionale sotto il comando statunitense)453; la missione ISAF454 in Afghanistan dal 2001 al 2014

(missione NATO autorizzata dall’ONU455); o anche le forze multinazionali

presenti in Iraq dopo l’invasione anglo-americana (di per sé illecita per il diritto internazionale), autorizzate con la risoluzione n. 1511456 (nel caso afghano e

iracheno peraltro le missioni non avvenivano nemmeno contro la volontà di uno Stato territoriale, posto che il nuovo governo afghano aveva dato il proprio consenso, e che tra 2003 e 2004 l’Iraq aveva cessato di esistere come Stato indipendente, per debellatio derivante dall’invasione anglo-americana). Con riferimento ad usi della forza più limitati, è possibile anche menzionare le

450 Cfr., ex multis, LATTANZI, Assistenza umanitaria e intervento di umanità, cit., pp. 72-73. 451 BENEDETTO CONFORTI,CARLO FOCARELLI, Le Nazioni Unite, X ed., 2015, p. 321. 452 UNSC Res. 83, 27 June 1950, cit.

453 UNSC Res. 678, 29 November 1990, cit. 454 «International Security Assistance Force». 455 UNSC Res. 1386, 20 December 2001. 456 UNSC Res. 1511, 16 October 2003.

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autorizzazioni mirate al contrasto alla pirateria nelle acque dinanzi alla Somalia, e in particolare la risoluzione n. 1816 del 2008457, che autorizzava gli Stati a

«entrare nel mare territoriale somalo» per compiere «ogni atto necessario per reiprimere gli atti di pirateria e di rapina nel mare».

In altre occasioni poi operazioni di tale tenore sono avvenute “a fianco” di «operazioni di pace» poste sotto la direzione delle Nazioni Unite, in coordinamento con esse e talvolta per il perseguimento di obiettivi ad esse strumentali. In questi casi, sul piano formale si avevano, nello stesso momento e nello stesso ambito territoriale, due operazioni di tipo diverso: da una parte, una «peace operation» diretta dall’ONU, abilitata ad un uso della forza fortemente limitato (sola legittima difesa o comunque ipotesi piuttosto circoscritte), e generalmente armata in modo leggero458; dall’altra, un’operazione autorizzata

dal Consiglio di Sicurezza ma gestita autonomamente dagli Stati o da un’organizzazione regionale, abilitata ad un uso della forza più ampio, e di solito armata in modo più pesante459. Esempi si possono individuare nelle missioni

aeree della NATO sui cieli della Bosnia ed Erzegovina autorizzate dal Consiglio di Sicurezza a partire dal 1993460 (in “ausilio” alla missione UNPROFOR461 delle

Nazioni Unite), fino ad arrivare all’Operazione Deliberate Force del 1995 (v. infra, capitolo V, § 5.5); o, ancora, nel contingente KFOR («Kosovo Force») schierato in Kosovo nel 1999 (autorizzato dal Consiglio di Sicurezza462 e “braccio militare”

della missione ONU UNMIK463, esso costituisce però una forza NATO: v. infra,

capitolo V, § 5).

457 UNSC Res. 1816, 2 June 2008.

458 Aspetto che, peraltro, rende tali forze incapaci di affrontare scontri militari molto impegnativi,

e storicamente le ha condannate al fallimento laddove l’unico modo per proteggere la popolazione civile sarebbe stato quello di ingaggiare in combattimento forze ostili pesantemente armate: si pensi al noto caso di Srebrenica, sul quale v. infra, capitolo V, § 5.4.

459 Proprio tali caratteristiche hanno consentito, in varie occasioni, di raggiungere obiettivi

rispetto ai quali le “forze ONU” propriamente dette, a causa dei limiti giuridici alla loro azione e del loro armamento leggero, si erano mostrate in efficaci: si pensi, a riguardo, all’Operazione

Deliberate Force della NATO sui cieli della Bosnia, per la quale v. infra, capitolo V, § 5.5.

460 Per la prima autorizzazione in questo senso, cfr. UNSC Res. 816, 31 March 1993. 461 «United Nations Protection Force».

462 UNSC Res. 1244, 10 June 1999.

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Vi è, infine, chi ha sostenuto l’esigenza di distinguere le autorizzazioni all’uso della forza da parte del Consiglio di Sicurezza concepibili come vere e proprie «deleghe» agli Stati rispetto alle autorizzazioni considerabili invece come mere «raccomandazioni» agli Stati: queste ultime, pur venendo sovente chiamate «autorizzazioni», in realtà non fornirebbero la base giuridica per le azioni militari ma si limiterebbero ad «esortare» i Paesi membri dell’Organizzazione a porre in essere interventi che sarebbero già leciti su altre basi (sarebbe il caso, ad esempio, della risoluzione n. 83 del 1950 relativa alla Guerra di Corea464, che ha

«raccomandato» un intervento che era già lecito come legittima difesa collettiva)465.

3. «Guerra», «conflitti armati» e ius in bello

Per il termine «guerra» non esiste una definizione precisa universalmente accettata, anche se, in senso approssimativo e non strettamente giuridico, il suo significato è piuttosto chiaro, e rimanda ad uno scontro armato tra due o più Stati (guerra interstatale) o tra fazioni interne ad uno stesso Stato (guerra civile). Sul piano del diritto internazionale, essa è stata definita da Oppenheim «una contesa tra due o più Stati tramite le loro forze armate, al fine di sopraffarsi l’un l’altro e imporre condizioni di pace gradite al vincitore»466, evocando così l’idea di uno

scontro tendenzialmente totale mirante a soggiogare lo Stato nemico ed imporgli le proprie condizioni di pace467. Una definizione non condivisa da alcuni autori

più recenti (come Ronzitti e Dinstein), per i quali si può avere «guerra» anche in caso di operazioni militari con obiettivi più circoscritti468.

464 UNSC Res. 83, 27 June 1950, cit.

465 CONFORTI,FOCARELLI, Le Nazioni Unite, cit., pp. 322-329, e in particolare p. 324.

466 LASSA OPPENHEIM, International Law: A Treatise, vol. II, VII ed., ed. by Hersch Lauterpacht,

London-New York-Toronto, 1947, p. 202 («a contention between two or more States through their

armed forces, for the purpose of overpowering each other and imposing such conditions of peace as the victor pleases»).

467 RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, cit., p. 139.

468 CHRISTOPHER GREENWOOD, Self-defence and the Conduct of International Armed Conflict, in YORAM

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Tradizionalmente, la dottrina maggioritaria ha concepito lo stato di guerra come il risultato di una manifestazione, da parte di almeno uno Stato, del cd. animus

bellandi (ossia della volontà di scatenare una guerra)469. La III Convenzione

dell’Aja del 1907 sull’apertura delle ostilità (che tuttavia vincolava solo gli Stati firmatari, non essendosi mai tramutata in diritto consuetudinario470) obbligava

gli Stati a procedere ad una dichiarazione di guerra nei confronti degli Stati con i quali intendevano porsi in stato di guerra; si è detto come la dichiarazione di guerra fosse considerata fin da tempi risalenti (e in particolare dall’epoca di Grozio) come un fondamentale requisito di legittimità della guerra (v. supra, § 1.2). Si è già osservato, tuttavia, che l’istituto (almeno nella sua accezione più formale), sembra caduto in disuso dopo la Seconda guerra mondiale, non essendosi più registrate dichiarazioni di guerra dal 1945.

A margine di quanto sinora osservato, è opportuno precisare che, dal punto di vista del diritto internazionale, il tradizionale concetto di «guerra» non può sovrapporsi pienamente a quelle operazioni autorizzate dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU e caratterizzate dall’uso della forza contro uno Stato (o comunque senza il consenso di quest’ultimo). Infatti, mentre la nozione classica di guerra implica una contrapposizione tendenzialmente totale tra due Stati, nella quale ciascuno mira a soggiogare l’altro, le operazioni autorizzate dalle Nazioni Unite hanno sempre obiettivi legati al mantenimento o al ripristino della pace e della sicurezza internazionale: in esse, gli Stati possono utilizzare la forza solo nella misura necessaria la conseguimento degli obiettivi indicati dal Consiglio, che sotto questo aspetto rappresentano un limite invalicabile.