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Una premessa: il diritto internazionale come fenomeno dinamico

Per meglio inquadrare la crescente rilevanza attribuita ai diritti umani nel diritto internazionale a partire dal Secondo Dopoguerra, appare opportuna una breve premessa sulla natura del diritto internazionale come fenomeno dinamico. Con questa espressione si vuole alludere al fatto che l’ordinamento internazionale, per le sue intrinseche peculiarità, non può essere assimilato tout- court al diritto interno degli Stati, se non al prezzo di alcuni fraintendimenti. Infatti, negli ordinamenti nazionali la consuetudine gioca in genere un ruolo marginale e le norme sono normalmente il prodotto di procedure formalizzate. Per contro, nell’ordinamento internazionale ai testi normativi scritti e derivanti da procedure ben definite (gli accordi internazionali, vincolanti solo per gli Stati contraenti) si affiancano norme consuetudinarie (vincolanti per tutti gli Stati) sorte al di fuori di canali formali, in conseguenza del fatto che la generalità dei soggetti internazionali532 tiene in modo più o meno costante533, per un

apprezzabile arco di tempo, una determinata condotta (requisito della prassi, o usus, o diuturnitas) nella convinzione che essa sia giuridicamente obbligatoria

532 Ossia un’ampia maggioranza della Comunità internazionale, ma non necessariamente tutti gli

Stati senza alcuna eccezione.

533 Come precisato dalla Corte Internazionale di Giustizia, non è necessario che la prassi sia

perfettamente costante, ma è sufficiente che i soggetti di diritto internazionale abbiano tenuto il comportamento in questione nella maggior parte dei casi, e che gli episodi di condotte non conformi a tale prassi siano state trattate, in generale, come violazioni di una norma giuridica o giustificate come eccezioni ad una norma giuridica (cfr. Military and Paramiliary Activities in and

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(requisito dell’opinio iuris)534. La consuetudine internazionale è quindi una

«pratica generale accettata come diritto» (art. 38, par. 1, lett. b, dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia).

Tale peculiarità del diritto internazionale generale (ossia consuetudinario) ha due conseguenze estremamente rilevanti. In primis, una certa indeterminatezza del contenuto delle sue norme, non essendo esse espresse da un testo scritto535 (se

non dalle cd. convenzioni di codificazione, che tuttavia hanno solo valore ricognitivo, e potrebbero anche costituire un’imprecisa lettura del dato consuetudinario, eventualmente mescolandolo a norme non ancora esistenti ma inserite nella convenzione proprio al fine di favorirne una successiva affermazione all’interno del diritto internazionale536). In secundis, la natura stessa

del processo di genesi del diritto consuetudinario comporta che, per modificarlo, sia pressoché inevitabile… violare le norme esistenti: poiché infatti la formazione delle norme consuetudinarie è concepita come fenomeno graduale e non riconducibile ad un esatto momento nel tempo, è fisiologico che vi sia una sorta di periodo intermedio nel quale il processo di creazione di una nuova norma (o di modificazione di una norma esistente) è iniziato ma non ancora giunto a termine (è per così dire in fieri), e dunque tale norma non può ancora considerarsi pienamente formata ad esistente nell’ordinamento internazionale, ma soltanto (secondo un’espressione popolare nella dottrina, specie straniera) «emergente» («emerging norm»). Dunque, finché la nuova norma non è pienamente giunta ad esistenza, e specialmente quando il suo processo di formazione è ancora embrionale, gli Stati che tengono condotte mirate alla sua affermazione si

534 In generale, a riguardo, si veda RICCARDO LUZZATTO, Il diritto internazionale generale e le sue

fonti, in CARBONE,LUZZATTO,SANTA MARIA (a cura di), Istituzioni di diritto internazionale, cit., pp.

49-89.

535 Come è noto, tradizionalmente per rilevare l’esistenza e il contenuto delle norme di diritto

internazionale consuetudinario si fa riferimento ai trattati, alla dottrina, alla giurisprudenza e alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Ma, pur non avendo in sé natura giuridicamente vincolante, possono essere tenuti in considerazione anche gli strumenti di soft law, quali codici di condotta, linee guida, gentlemen’s agreements e dichiarazioni politiche dei governi e di altre istituzioni.

536 Si parla, a quest’ultimo riguardo, di «norme di sviluppo progressivo», che, finché non

assumono il rango di norme consuetudinarie, valgono solo come norme pattizie, e quindi vincolano solo gli Stati contraenti della convenzione in questione.

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troveranno molto probabilmente ad agire in contrasto con consuetudini preesistenti (perlomeno nel caso in cui esistano già norme consuetudinarie in contrasto con la nuova norma che si intende affermare)537. A ciò si aggiunge

l’oggettiva difficoltà di stabilire con esattezza “dies a quo” a decorrere dal quale una norma internazionale, prima solo «emergente», può considerarsi pienamente «emersa» e dunque vincolante nel diritto internazionale.

In verità, è anche possibile che una norma consuetudinaria si formi in un arco di tempo relativamente breve, specialmente nell’ambito di materie nuove e in presenza di un’opinio iuris e di una prassi molto evidenti e intense538. In un’ottica

simile, alcuni autori hanno sostenuto che in occasione di mutamenti storici di enorme rilievo, anche il diritto internazionale, di riflesso, potrebbe conoscere il repentino ed epocale superamento di paradigmi precedenti, con una formazione di nuove norme consuetudinarie eccezionalmente rapida, a fronte di un consenso internazionale ampio (secondo alcuni ricavabile anche da una generalizzata acquiescenza rispetto ad una condotta che pure sarebbe illecita in base alle norme preesistenti539): si parla, a riguardo, di «Grotian Moment» (espressione coniata da

Richard A. Falk nel 1985)540, i cui tradizionali esempi storici vengono individuati

nell’istituzione del Tribunale di Norimberga (primo tribunale penale internazionale) e nell’adozione della Carta ONU541.

Ciò comunque non toglie validità, in generale, alle considerazioni appena svolte (al massimo implicando un’accelerazione del processo), e comunque non rileva

537 «State action and practice aimed at creating a new norm of customary law may in fact break an existing

norm. In other words, states may have to engage in behaviour that purposely violates existing rules in order to create new, presumably better rules» (MILENA STERIO, Humanitarian Intervention Post-Syria:

Legitimate and Legal?, in Brooklyn Journal of International Law, 2014, p. 109 ss., p. 151).

538 Cfr. North Sea Continental Shelf, Judgment, I.C.J. Reports 1969, p. 3, par. 74.

539 MILENA STERIO, Humanitarian Intervention Post-Syria: A Grotian Moment?, in ILSA Journal of

International & Comparative Law, 2014, p. 343 ss., p. 345.

540 MICHAEL P. SCHARF, Seizing the “Grotian Moment” Accelerated Formation of Customary

International Law In Time of Fundamental Change, in Cornell International Law Journal, 2010, p. 439

ss., p. 439. Come già detto (v. supra, Introduzione), con l’espressione «Grotian Moment» si può anche intendere un momento di radicale trasformazione (un momento «costituente») dell’ordinamento internazionale.

541 Cfr. IBRAHIM J.GASSAMA, International Law at a Grotian Moment: The Invasion of Iraq in Context,

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in materie già oggetto di norme preesistenti e di orientamenti divergenti (come, segnatamente, il ricorso alla forza armata in determinati casi particolari).

C’è anche chi ha sostenuto la possibilità che una nuova norma internazionale consuetudinaria si formi in maniera «istantanea» (prescindendo così dalla ricostruzione sopra prospettata), argomentando che in presenza di un’opinio iuris assolutamente chiara e generale, espressa da risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si potrebbe anche prescindere dal requisito della prassi (che per sua natura necessita di tempo per dispiegarsi). Si tratta della teoria delle norme consuetudinarie «a formazione istantanea» («instant customary international law»), sostenuta per la prima volta nel 1965, che, come si è detto, tende a prescindere dalla prassi o ritiene che per la formazione della norma sarebbe sufficiente, nei particolari casi prima indicati, «a limited amounted of state practice») formatasi nel volgere di un breve periodo, per cui anche una singola condotta, «se accettata, o almeno non oggetto di obiezioni importanti, potrebbe dare vita, anche istantaneamente, ad una nuova norma consuetudinaria»542.

Tuttavia, tale teoria non sembra aver ottenuto un consenso maggioritario, oltre a riferirsi, comunque, a casi evidentemente eccezionali.

In dottrina esistono, evidentemente, diversi approcci al diritto internazionale, da quelli maggiormente «formalisti» a quelli che sostengono l’esigenza di un’interpretazione delle norme internazionali meno legata al solo dato formale e più aperta a tener conto anche di fattori extragiuridici. Non esiste dunque un orientamento che goda, a riguardo, di un consenso assoluto. A parere di chi scrive, tuttavia, le anzidette caratteristiche intrinseche dell’ordinamento internazionale inducono a ritenere che, con riguardo ad esso, il principio di legalità e l’interpretazione delle norme esistenti non possano essere intesi in modo del tutto analogo a quanto avviene per i diritti nazionali. Non si tratta di negare il valore della legalità internazionale in nome di talune visioni «realiste»

542 Cfr. B.CHENG, United National Resolutions on Outer Space: “Instant” International Customary

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estreme, ma si tratta di adattare concetti tipici del diritto interno alle peculiarità del quadro giuridico internazionale.

In particolare, dinnanzi ad una «emerging norm», potrebbe essere opportuno discostarsi dalla tradizionale e rigida dicotomia illegale-legale, riconoscendo alle condotte tenute in ossequio di una norma consuetudinaria in fase di «emersione» un carattere più “sfumato” rispetto alla liceità o illiceità tout-court; ciò proprio perché, per la natura stessa del diritto consuetudinario, l’attrito con consuetudini precedenti è spesso necessario nell’ambito di un processo di evoluzione del sistema, che non ha carattere statico ma dinamico, essendo, sotto certi aspetti, in continuo divenire. Considerazioni che, a parere dell’autore, devono essere tenute in adeguato conto anche nell’approccio allo specifico e delicato tema dell’intervento umanitario unilaterale (oggetto dei prossimi capitoli), che ha tra i suoi interrogativi fondamentali precisamente la possibilità o meno di ravvisare, sul punto, un’evoluzione del diritto internazionale generale (v. infra, capitoli III- VII).

Un approccio eccessivamente rigido, che non tenesse conto di tali fattori nell’approcciare le tematiche afferenti all’ordinamento internazionale, rischierebbe paradossalmente di condurre a visioni radicalmente pessimiste circa l’efficacia di quest’ultimo (fino alla tesi estrema, ma sostenuto da qualcuno, per cui il diritto internazionale non sarebbe un vero e proprio «diritto»).

Ragionare in un’ottica pragmatica non significa negare il valore del diritto internazionale come elemento ordinatore e strumento di tutela dei soggetti più vulnerabili, ma riconoscere i limiti e le peculiarità di esso, evitando di pretendere risultati che – al momento o per sua natura – esso non è in grado di garantire. Last but not least, ciò comporta, a parere di chi scrive, la consapevolezza della stretta interdipendenza esistente tra diritto e politica (specialmente a livello internazionale, dove le garanzie di effettività del diritto sono minori rispetto al contesto nazionali).

In conseguenza di ciò, qualunque approccio alle questioni giuridiche deve tenere conto del fatto che il diritto internazionale non è una monade avulsa dal contesto, ma “vive” nel mondo delle relazioni (politiche) internazionali; la sua evoluzione,

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la sua effettiva applicazione e il conseguimento dei risultati da esso perseguiti dipendono anche, in misura significativa, da fattori extragiuridici, spesso relativi alla sfera della geopolitica.