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L’evoluzione storica dello ius in bello e il concetto di «diritto internazionale

3.3. Il diritto internazionale dei conflitti armati: quadro generale

3.3.1. L’evoluzione storica dello ius in bello e il concetto di «diritto internazionale

Anche se le prime chiare distinzioni tra ius ad bellum e ius in bello sono successive al medioevo, e in precedenza la riflessione giuridica si concentrava prevalentemente sul primo (supra, §§ 1.1-1.2), l’esistenza di alcune regole da seguire nella conduzione delle ostilità si riscontra in gran parte delle civiltà (non solo quella europea) da tempi ben più antichi (anche se sull’effettivo rispetto di tali regole si possono nutrire dubbi, spesso peraltro giustificati anche in conflitti molto più recenti).

Sebbene l’idea della guerra come forma di violenza confinata entro determinati limiti si sia affermata maggiormente in età moderna (specie dopo il Seicento), la proibizione di determinate condotte anche durante i conflitti si poteva riscontrare fin da prima del medioevo. In proposito, ci si può riferire alla Bibbia (Dio proibisce agli israeliti di abbattere gli alberi da frutto493); all’antica Grecia, dove

era già presente l’idea che anche in guerra si debbano osservare determinate norme, tanto che nell’Iliade il saggio Nestore afferma che «è senza famiglia né legge né focolare colui che ama la guerra civile, straziante»494 (più specificamente,

si può ricordare l’inviolabilità dei templi e il divieto di tagliare gli ulivi495); in

qualche misura anche nell’antica Roma (Cicerone); nella teoria della guerra giusta (Sant’Agostino496), in alcuni atti normativi (come l’Ordinance for the

Government of the Army inglese del 1385497) e nel codice cavalleresco498 propri del

medioevo. Ma è possibile riferirsi anche a tradizioni giuridico-culturali extraeuropee, come quella indiana (divieto di violenze contro i prigionieri e di

493 Cfr. FREDERICK RUSSELL, The Just War in the Middle Ages, 1975, p. 284. 494 OMERO, Iliade, Libro IX, vv. 63-64.

495 Cfr. JOHN M.DILLON, Morality and Custom in Ancient Greece, Indiana University, 2004, p. 164. 496 Cfr. R.D.SLOANE, The Cost of Conflation, cit., p. 58.

497 Ordinanza di Re Riccardo II che vietava le violenze contro le donne e i preti disarmati,

l’incendio di case e la violazione di chiese, in epoca medievale normalmente ritenute luoghi inviolabili dove era possibile chiedere asilo.

498 Il codice cavalleresco vietava la violenza contro gli «innocenti», intesi come coloro che non

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uso di armi avvelenate499) e quella islamica (la teoria islamica della guerra giusta

implicava un requisito di corretto comportamento simile a quello della corrispondente teoria cristiana500).

Regole di questo tipo si ritrovano a maggior ragione nella tradizione giusnaturalista, che si pone come l’antecedente più immediato del moderno diritto bellico501 (come già illustrato supra, § 1.1, De Vitoria distingue già tra ius

ad bellum e ius in bello, a proposito di quest’ultimo sottolinea l’importanza del principio di proporzionalità502; anche Grozio si occupa di ius in bello, e De Vattel

distingue tra il nemico e coloro – anche civili del Paese avversario – che non portano armi503).

Come già segnalato, lo ius in bello conosce un grande sviluppo soprattutto dopo il Seicento, e cioè dopo l’abbandono delle teorie sulla guerra giusta e le limitazioni all’uso della forza: se il ricorso alla guerra è sempre legittimo, si vuole almeno definire regole sempre più precise per disciplinarne lo svolgimento (v. supra, § 1.2).

Fino all’Ottocento, tuttavia, il cd. «diritto della guerra» comprendeva esclusivamente norme relative alle modalità del combattimento, ossia quello che oggi viene definito anche «diritto internazionale di guerra e di neutralità»504.

Nella seconda metà del XIX secolo, per la prima volta, vennero invece elaborate norme internazionali ad hoc per la protezione delle vittime della guerra (civili, militari feriti e prigionieri): ciò avvenne per la prima volta con la firma della I Convenzione di Ginevra del 22 agosto 1864505, per il miglioramento delle

condizioni dei militari feriti in guerra (integrata da un Protocollo aggiuntivo del

499 Cfr. V.S.MANI, International Humanitarian Law: An Indo-Asian Perspective, in International Review

of the Red Cross, 2001, p. 59 ss., pp. 63-65.

500 Cfr. BAKIRCIOGLU, Islam & Warfare, cit., p. 47.

501 Sul punto, inter alia, GEZA HERCZEGH, Some Thoughts on Ideas That Gave Rise to International

Humanitarian Law, in MICHAEL N.SCHMITT &LESLIE C. GREEN (eds.), International Law Studies,

1998, pp. 297-298.

502 Cfr. JAMES BROWN SCOTT, The Spanish Origin of International Law, 2008, p. 241.

503 Cfr. JUDITH GARDAM, Necessity, Proportionality, and the Use of Force by States, 2004, pp. 37-38. 504 RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, cit., pp. 18-19.

505 Cfr. BRUNO NASCIMBENE, L’individuo e la tutela internazionale dei diritti umani, in CARBONE,

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1868 e poi abrogata dalla nuova Convenzione del 1929506). Sarebbero poi seguite

le Convenzioni di Ginevra del 1906507, poi sostituite da quelle del 1929508, a loro

volta sostituite dalle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, tuttora vigenti509

e in seguito integrate da vari Protocolli aggiuntivi510.

Per quanto concerne il «diritto internazionale di guerra e di neutralità», a partire dalla fine dell’Ottocento anch’esso ha conosciuto un processo di notevole sviluppo e maggior specificazione, con l’adozione di una atti di fondamentale rilevanza quali la I Convenzione dell’Aja del 1899511 (che per la prima volta

introdusse in modo chiaramente formalizzato una distinzione giuridica tra la posizione dei combattenti e quella dei civili512), la II Convenzione dell’Aja del

1907, la Convenzione dell’Aja del 1954 sulla protezione dei beni culturali (integrata da due Protocolli aggiuntivi del 1954 e del 1999), la Convenzione di New York del 1981 sul divieto di talune armi convenzionali (integrata da cinque Protocolli aggiuntivi), la Convenzione di Parigi del 1993 sul divieto delle armi chimiche; la Convenzione di Ottawa del 1997 sul divieto delle mine anti-uomo;

506 CONDINANZI eCRESPI REGHIZZI, L’uso della forza, in CARBONE,LUZZATTO,SANTA MARIA (a cura

di), Istituzioni di diritto internazionale, cit., p. 373.

507 Ci riferiamo qui alla Convenzione di Ginevra del 1907 per l’adattamento alla guerra marittima

dei principi della Convenzione di Ginevra del 1906 sui feriti e i malati negli eserciti di campagna (convenzione poi sostituita da una Convenzione del 1929).

508 La I sul miglioramento delle condizioni dei feriti e dei malati delle Forze armate in campagna,

la I sul miglioramento delle condizioni dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle Forze armate sul mare, la III sul trattamento dei prigionieri di guerra, la IV sulla protezione dei civili in tempo di guerra.

509 La I sul miglioramento delle condizioni dei feriti e dei malati delle Forze armate in campagna,

la II sul miglioramento delle condizioni dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle Forze armate sul mare, la III sul trattamento dei prigionieri di guerra, la IV sulla protezione dei civili in tempo di guerra.

510 Il I Protocollo aggiuntivo del 1977 sulla protezione delle vittime dei conflitti armati

internazionali, il II Protocollo aggiuntivo del 1977 sulla protezione delle vittime dei conflitti armati non internazionali, il III Protocollo aggiuntivo del 2005 relativo all’adozione da parte delle organizzazioni umanitarie di un simbolo aggiuntivo rispetto alla croce rossa o alla mezzaluna rossa e non riconducibile ad una fede religiosa.

511 FEDERICI, Guerra o diritto?, cit., p. 248.

512 Distinzione che tuttavia «diventa oltremodo difficile quando i belligeranti usano i civili come

scudo e nascondono fabbriche ed armamenti tra le abitazioni civili» (ibidem, p. 290). Comunque, secondo il Comitato Internazionale della Croce Rossa, i membri di gruppi armati organizzati con una «continuous combat function» non dovrebbero essere compresi nella nozione di «civile» ai fini dell’applicazione del diritto internazionale umanitario (Interpretive Guidance on the Notion of Direct

Partecipation in Hostilities under International Law, in International Review of the Red Cross, 2008, pp.

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la Convenzione ONU di Oslo del 2008 (talvolta detta «di Dublino») sul divieto delle bombe a grappolo («cluster weapons»)513.

Sebbene tali convenzioni siano sottoscritte solo da Stati, si ritiene che il diritto internazionale umanitario si applichi anche alle forze delle Nazioni Unite514.

Buona parte delle norme contenute nei testi normativi testé elencati ha assunto ormai natura consuetudinaria515.

Oggi, l’insieme di tutte le norme costituenti il cd. ius in bello è nota con la più moderna denominazione di diritto internazionale dei conflitti armati, detto anche «diritto internazionale umanitario» (DIU)516. Per evitare equivoci terminologici,

è bene precisare che il DIU può essere inteso in due accezioni: nell’accezione più ampia (sovente utilizzata517) esso è sinonimo di diritto internazionale dei conflitti

armati518, mentre in quella più ristretta si riferisce solo ad un sotto-insieme di

esso, composto dalle norme a protezione delle vittime della guerra. In quest’ultima prospettiva, il diritto internazionale dei conflitti armati è tradizionalmente concepito secondo una bipartizione in due branche: le norme a protezione delle vittime della guerra («diritto internazionale umanitario» in senso stretto, detto anche come “diritto di Ginevra”519) e le altre norme, relative

principalmente alle modalità di svolgimento delle ostilità («diritto internazionale di guerra e di neutralità», detto anche “diritto dell’Aja”520). Peraltro, è stato

osservato come oggi tale distinzione, pur rimanendo corretta dal punto di vista teorico, tende a sfumare nella pratica, tanto da essere definita «non […] più

513 Tale elencazione è riportata in RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, cit., pp. 144-

147. Un’elencazione più o meno analoga in FOCARELLI, Lezioni di diritto internazionale, cit., p. 393.

514 RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, cit., p. 156. A riguardo, si segnala la cd.

«Capstone Doctrine» dell’ONU, che enuncia principi e linee guida per le operazioni di pace delle Nazioni Unite, affermando, tra le altre cose, l’esigenza che esse rispettino le norme di diritto internazionale umanitario (concetto che definiremo tra poche righe: v. sopra nel testo).

515Ibidem, p. 146.

516 In inglese si usa l’acronimo IHL («international humanitarian law»).

517 A tale accezione ha fatto riferimento anche la Corte Internazionale di Giustizia nel parere del

1996 sulla Liceità della minaccia o dell’uso delle armi nucleari (Legality of the Threat or Use of Nuclear

Weapons, Advisory Opinion, cit.).

518 FOCARELLI, Lezioni di diritto internazionale, cit., p. 391. 519 RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, cit., p. 18. 520 Ibidem, pp. 18-19.

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attuale» da Nascimbene521, che nota come tale schematizzazione sia stata

superata dalla Corte Internazionale di Giustizia già negli anni Novanta, nel parere sulla Liceità della minaccia e dell’uso delle armi nucleari522.

I capisaldi del diritto internazionale umanitario possono oggi individuarsi nel principio di distinzione (che vieta gli attacchi contro i civili o gli attacchi diretti indiscriminatamente contro civili e militari, nonché le violenze contro i militari nemici feriti o prigionieri), nel principio di proporzionalità (divieto di attacchi contro obiettivi militari tali da produrre danni ai civili non proporzionati al risultato militare perseguito) e nel principio di precauzione (per il quale gli attacchi vanno preceduti da avvertimento alla popolazione civile, e sono vietati attacchi contro obiettivi che a parità di vantaggio militare appaiono più pericolosi per i civili rispetto ad altri)523.

La violazione del diritto internazionale dei conflitti armati genera una responsabilità internazionale dello Stato trasgressore e – in caso di crimini di guerra o di crimini contro l’umanità – può determinare anche (in aggiunta) una responsabilità di singoli individui524. Inevitabile comunque notare la notevole

genericità degli anzidetti principi, la cui violazione od osservanza tende perciò spesso a ridursi ad una questione di interpretazione525.

Oggi, la prassi del Consiglio di Sicurezza sembra indicare la tendenza dell’organo a ricomprendere le questioni relative al diritto umanitario «nelle materie coperte dal Capitolo VII» della Carta delle Nazioni Unite. Ciò risulterebbe testimoniato dalle risoluzioni della prima metà degli anni Novanta

521 NASCIMBENE, L’individuo e la tutela internazionale dei diritti umani, in CARBONE,LUZZATTO,SANTA

MARIA (a cura di), Istituzioni di diritto internazionale, cit., pp. 383-384.

522 Secondo la Corte, «queste due branche del diritto applicabile nei conflitti armati hanno

sviluppato dei rapporti internazionali così stretti che sono considerate come elementi che hanno progressivamente costituito un solo complesso sistema, definito, oggi, diritto internazionale umanitario» (Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons, Advisory Opinion, cit., par. 75).

523 RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, cit., p. 394. 524 Ibidem, p. 395.

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adottate in base al Cap. VII della Carta ONU con riguardo all’intervento ONU nei conflitti in corso nell’ex-Jugoslavia526.

3.3.2. (segue): “umanizzare” la guerra: l’apparente paradosso del diritto internazionale umanitario

Il diritto internazionale dei conflitti armati – e segnatamente il diritto internazionale umanitario inteso nella sua accezione più ristretta – risponde all’esigenza di «umanizzare» per quanto possibile la guerra, bisogno avvertito dalla civiltà umana sin da tempi assai risalenti527.

Tale esigenza può prima facie apparire contraddittoria se non paradossale, configurandosi come un tentativo di umanizzare ciò che per definizione appare disumano (la guerra): in effetti, alla luce di tali osservazioni c’è chi ha ritenuto che la guerra sia per definizione la negazione del diritto e si ponga su un piano di radicale alternatività rispetto ad esso, e che di conseguenza il diritto non possa regolare la guerra, che si pone per così dire “al di là” di esso (la logica per cui inter arma silent leges): questa prospettiva – che non appare maggioritaria – è sostenuta dal Federici528.

Considerazioni di fronte alle quali ritorna alla mente la celebre affermazione dell’illustre giurista e giudice Sir Hersch Lauterpacht (1897-1960), per il quale, «se il diritto internazionale, in un certo senso, è il punto di evanescenza del diritto, il diritto dei conflitti armati è, in maniera ancora più evidente, il punto di evanescenza del diritto internazionale»529. È certamente possibile riscontrare

elementi di verità in tali osservazioni.

526 VALENTINA GRADO, Il Consiglio di Sicurezza e la crisi iugoslava, in PICONE (a cura di), Interventi

delle Nazioni Unite, cit., p. 192. All’epoca, comunque, l’inclusione di tali questioni nell’ambito del

Capitolo VII era stata contestata da alcuni membri del Consiglio, come ad esempio la Cina e l’India.

527 FOCARELLI, Lezioni di diritto internazionale, cit., p. 390.

528 FEDERICI, Guerra o diritto?, cit., pp. 291-292. L’autore ritiene inconcepibile un diritto bellico

inteso come corpus normativo regolante le modalità del conflitto armato, qualificandolo come «una contraddizione in termini» e ammettendo solo la configurabilità di un diritto internazionale umanitario, inteso come l’insieme delle regole «che i belligeranti possono rispettare mentre violentano le altre nel risolvere il conflitto che li contrappone».

529 HERSCH LAUTERPACHT, The Problem of the Revision of the Law of War, in British Yearbook of

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Tuttavia, appare comunque possibile – e auspicabile – una regolazione della condotta degli Stati belligeranti: la criticità insita nell’intervento del diritto (normalmente mirante a garantire una coesistenza pacifica tra i suoi soggetti) in un ambito a sé non pienamente connaturale (lo scontro armato tra i vari soggetti di diritto) è comunque preferibile ad una totale abdicazione del diritto dinanzi alla violenza armata, che eliminerebbe qualsiasi ostacolo (se non di natura meramente materiale) all’impiego della forza. Per questa via, si cerca di fare in modo che il venire in essere di uno scontro armato tra Stati non spazzi via totalmente il diritto: mentre una parte del diritto viene violata o paralizzata, un settore del diritto continua ad operare (o almeno tenta di farlo). Come ha detto un autore, il diritto internazionale, specie con riferimento al fenomeno dei conflitti armati, può essere imperfetto e finanche contraddittorio, ma «it is the only earthly law we have, and it is so much better than no law at all, as any war veteran can attest»530.

È chiaro che nessuna regola potrà davvero «umanizzare» la guerra, giacché una condotta realmente «umana» implicherebbe l’assenza della guerra, e dunque renderebbe superfluo lo stesso ius in bello. Purtroppo, però, «le guerre sono state parte della condizione umana dai tempi della lotta tra Caino e Abele, e sfortunatamente probabile che continuino ad esserlo»531. A fronte di ciò,

l’esistenza di limitazioni giuridiche alla condotta dei belligeranti, e di specifiche norme a protezione dei soggetti più vulnerabili, rappresenta qualcosa di quanto mai auspicabile, e fondamentale nell’attuale scenario internazionale.

530 ERIC ENGLE, Humanitarian Intervention and Syria, in Barry Law Review, 2012, p. 129 ss., p. 149. 531 THEODOR MERON, The Humanization of Humanitarian Law, in American Journal of International

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C

APITOLO

II

IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI, GLI OBBLIGHI

ERGA OMNES E LO IUS COGENS INTERNAZIONALE

1. Una premessa: il diritto internazionale come fenomeno