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Crisi e catastrofe: due fenomeni interconness

PER UN'ARCHEOLOGIA DELLA CATASTROFE RIGENERATIVA

2.3 Crisi e catastrofe: due fenomeni interconness

Come ampiamente dimostrato nel primo capitolo di questa tesi le catastrofi corrispondono spesso a situazioni di crisi, che si estrinsecano in stati traumatici, dovere di memoria, problematiche identitarie, volontà di narrazione, ed anzi spesso i due termini vengono utilizzati come sinonimi. Ma quale significato ha il termine crisi? Quali sono le sue caratteristiche? E in che modo possiamo pensarlo in relazione al concetto di catastrofe? In questo paragrafo si tenterà di rispondere a queste domande al fine di avvalorare l'ipotesi presentata in questo lavoro: gli effetti del terremoto emiliano, e quelli dei disastri in generale, possano essere definiti come gli elementi di una “crisi organica”, intesa in senso gramsciano, ovvero come una crisi dalle molteplici manifestazioni. In generale, se da un lato è vero che la catastrofe induce una crisi che si riverbera su tutti i livelli della comunità coinvolta, dall'altro vorremo qui sostenere l'ipotesi che proprio per il suo “mettere in crisi” le comunità e i suoi membri e il sistema sociale al quale afferiscono, la forza deturpante dell'evento può innescare meccanismi di rigenerazione elaborati e posti in essere dai soggetti, da considerare come processi poietici. Il concetto di crisi è stato affrontato con approcci disciplinari impegnati, generalmente, nell’indagine degli aspetti fenomenologici della situazione da essa scaturente. La sua definizione è il risultato dell'interazione tra il lavoro di numerosi studiosi e il verificarsi in successione di una molteplicità di accadimenti differenti, sia a livello locale che a livello globale, di stampo culturale, economico, politico e sociale che ne hanno reso la riflessione ancora più necessaria. Data questa varietà è chiaro che in questo lavoro verranno considerate le teorie che meglio si confanno al lavoro presentato e/o che abbiano'attinenza con quanto qui esposto. Sottolineando il carattere polisemico del concetto di crisi, Colloca (2010), riprendendo quanto sostiene Deleuze (1975) sulla natura di alcune parole, lo definisce come un “concetto-baule” in quanto esso racchiude in sé una molteplicità di altri concetti e di significati differenti.

Prima di affrontare la trattazione del concetto di crisi nel suo legame con il concetto di

catastrofe ci sembra opportuno presentare una panoramica lessicale del lemma e del suo

quello di “separare”. In origine di derivazione agricola, il vocabolo nella sua forma verbale veniva utilizzato in riferimento alla trebbiatura, operazione conclusiva della raccolta del grano che verteva nella separazione della granella del frumento dalla paglia e dalla pula. Da questa sua applicazione agricola deriva il significato traslato di “scegliere”, legato ai concetti di “giudizio”, di “discernimento”, di “interpretazione” e simili. Nel tempo, tramite uno spostamento semantico, si è arrivati all’accezione medica di “crisi” come “fase critica”. Sebbene etimologicamente il vocabolo greco avesse diversi significati, si è avuta, con l'evolversi dell'uso del termine, una riduzione delle sue accezioni. Questa perdita era già percepibile nell'acquisizione del lemma da parte della lingua latina, dove acquista il significato di “periodo critico”, concezione derivante dall’idea astratta, suggerita dalle parole “fase” o “periodo”, di un andamento processuale in divenire e quindi di un’evoluzione nel tempo di una specifica situazione (Ragaù 2010). Permane l'idea di mutamento, di trasformazione nel tempo: tale slittamento semantico, già avvenuto all’inizio del XVI secolo, pur tralasciando una valenza ancora generica, accentua il significato tecnico della voce “crisi”, conducendo alla polarizzazione negativa del vocabolo che si compirà completamente solo durante il secondo Novecento. L’idea di positività si sviluppa all’interno del contesto medico entro il quale la parola “crisi” indica l’esito conclusivo dell’uscita dalla malattia. La seconda accezione di senso figurale (riportata nel Tommaseo-Bellini) definisce la crisi come un «momento pericoloso o decisivo» prefigurando quella sfumatura negativa che il termine acquisterà nel corso del Novecento. In Battaglia (1961) si trova un’ulteriore conferma della semantizzazione del termine nel senso di «cambiamento» e «fase risolutiva», che è presente infatti come significato primo della voce, ancora intesa in termini positivi. Tuttavia è interessante osservare che, come terza e quarta accezione, subentra il significato figurato di “turbamento” sia a livello soggettivo che sociale. Questa connotazione, oggi prevalente, sancisce un’ulteriore ri-semantizzazione di carattere psicologico, culturale, politico e sociale entro la quale il lemma si lega fortemente anche all’ambito economico. Così sintetizza Colloca (2010: 23):

Un concetto [quello di crisi] che dall’antichità fino alla conclusione del Medioevo si articola sul piano dei linguaggi settoriali ed è condizionato dall’uso che ne fanno le istituzioni ecclesiastiche; occorre attendere il Settecento per registrarne una crescente diffusione e la trasformazione in un concetto di filosofia della storia, finché con la Rivoluzione Francese diviene la chiave interpretativa per la storia politica e sociale e successivamente, fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, si radica nella società occidentale una cultura della crisi e si sviluppano nei decenni a seguire teorie della crisi legate alle trasformazioni del capitalismo e

ai valori della modernità. Sebbene oggi la parola crisi mantenga maggiormente la valenza negativa, è indubbio che il passaggio di una crisi comporti cambiamenti nell’ambiente che la esperisce, ma la rottura con l’ordine preesistente e il cambiamento possono implicare anche un processo di crescita.

Abbiamo visto come in senso generico la parola “crisi” abbia finito per indicare una condizione negativa che riguarda il “deterioramento”, il “turbamento”, l’“incrinatura”, lo “sconvolgimento” di una certa situazione. Ciò che ancora sopravvive nel sostrato semantico della parola è l’idea dell'evoluzione di una condizione (fisica o psichica) nel tempo (Ragaù, 2011). Nell’Enciclopedia Treccani il vocabolo viene spiegato a seconda dei suoi differenti impieghi nei diversi campi del sapere e alla voce “SCIENZE UMANE” il termine indica il “passaggio da una condizione di stabilità a una di variabilità negli equilibri istituzionali e

culturali di un sistema sociale”30. Da quanto riportato emerge l’aspetto socio-culturale della crisi, che denota il carattere plurale delle numerose e differenti situazioni di cui essa si compone e una qualificazione storica e contestuale specifica.

Il dibattito contemporaneo, soprattutto di stampo sociologico, ha affrontato il tema della crisi focalizzando la sua analisi sulle modalità di pensare il sistema sociale in termini di continuità o discontinuità. Da quest'approccio si sono generate due distinte posizioni teoriche: - la prima, seguendo un'ottica analitica evoluzionistica, sottolinea il fatto che nel sistema sociale siano insite contraddizioni cicliche e mette in evidenza la sua capacità di ri-edificare nuovi equilibri;

- la seconda enuncia che ogni sistema sociale cresce e si rinnova attraverso passaggi cruciali che danno luce a nuovi assetti sociali, dislocazioni di potere e mutamenti culturali profondi. Per quanto riguarda l’analisi dei processi più specificamente politici, si parla di crisi quando si verifica una condizione di instabilità nel funzionamento di un sistema politico, che può intaccare gli equilibri strutturali (crisi di regime) oppure gli equilibri funzionali (crisi di governo): si avrà allora una crisi di sovraccarico delle domande, una crisi di penuria delle risorse o, ancora, di capacità decisionale da parte delle istituzioni.

Per quanto concerne la disciplina antropologica, essa si è sempre interessata al problema della crisi, in particolare delle forme e delle modalità del suo manifestarsi, preoccupandosi di definirne caratteristiche e peculiarità all’interno delle differenti società. L’analisi è stata sempre condotta nell’ottica del potere dominante, delle strutture istituzionali e delle autorità, investigando quali dispositivi e quali meccanismi queste mettessero in atto in

30. Citazione da Enciclopedia Treccani, voce crisi, pagina web www.treccani.it. Ultima consultazione 5 marzo 2015.

caso di urgenza e necessità, al fine di ripristinare l'ordine stravolto. Recentemente lo studio dei sistemi di democrazia odierni ha prospettato la possibilità di una “crisi della complessità sociale” causata dagli interrelati effetti di una crisi di sovraccarico delle domande e di una corrispettiva crisi di risposta delle strutture amministrative, cui consegue la crisi della rappresentanza e della legittimazione nelle basi del consenso sociale.

É interessante rilevare come nell’ Enciclodepia Einaudi si parli di crisi socio-politica ed economica intesa come deterioramento della situazione economica, in conseguenza di carestie provocate da siccità, da inondazioni, epidemie, guerre e terremoti (Kowalik 1978). Palese è dunque il riferimento al legame tra le catastrofi e le loro implicazione in termini di “messa in crisi” del sistema societario col quale impattano. A questo proposito Colloca (2010) propone una riflessione sull'idea di crisi partendo dall'analisi di altri due concetti, quello di «conflitto» e quello di «catastrofe», con i quali essa condivide alcuni elementi, quali l'irregolarità del suo verificarsi e l'imprevedibilità delle conseguenze. Partendo da quanto suggerisce Freund (1980), Colloca individua una prima differenza di significato nell’etimologia dei due termini: nell primo è intrinseca l'idea di contrapposizione, di scontro, che innesca una competizione tra soggetti individuali e collettivi; il secondo evoca la capacità di decidere e di scegliere. Ferrari individua una seconda differenza partendo dal presupposto che quella del conflitto sia una «bipolarità determinata in senso polemogeno» (1983: 18): mentre il conflitto riduce i rapporti ad una logica “amico-nemico”, la crisi è una situazione più complessa caratterizzata da tensioni e contraddizioni che portano gli individui e i gruppi ad interrogarsi sugli eventuali comportamenti da porre in essere, essendo le regole e le istituzioni messe in discussione. Il conflitto si esaurisce a seguito dell’affermazione di una delle parti in contrasto, la quale imporrà le condizioni future ai vinti, o col reciproco riconoscimento di diritti e doveri. La crisi può palesarsi in presenza di potenziali ostilità non necessariamente esplicitate che causano una situazione di disorganizzazione che si espande a tutti i livelli della società, senza, però, che ci siano forzatamente degli esiti che portino a designare dei vincitori su dei vinti. Essa provoca un mutamento improvviso e inatteso che altera il “normale” dell’agire sociale e suscita situazioni di incertezza e disequilibrio. In questo senso alle difficoltà oggettive nell'affrontare la crisi, si addizionano quelle soggettive che riguardano la scelta delle azioni, supposte corretta da porre in essere.

Però, il conflitto può avere anche un effetto risolutivo della crisi perché, introducendo la figura del nemico, evoca nuove certezze, derivanti dall’idea di avere un responsabile della situazione critica a cui dare la colpa. Come già affermato nel primo capitolo31, esponendo la teoria della Douglas sui “processi di attribuzione di colpa”, l’individuazione di un “nemico” è utile ai soggetti per dare senso all'evento che ha innescato la crisi, determina all’interno di una

comunità in crisi nuove forme di aggregazione sociale, mobilita nuove energie facendo riemergere quelle assopite, ridefinisce le relazioni tra l'istituzione e la cittadinanza, esacerbandone opposizioni e contrasti, nutrendo la fiducia sulla possibilità di superare la crisi una volta sconfitto il nemico. Come vedremo più avanti, nel caso emiliano le istituzioni vengono caricate dai membri del comitato Sisma.12 del duplice significato del termine “responsabile”. Esso infatti designa sia chi è causa di una determinata situazione sia chi è addetto alla sua gestione e risoluzione. I “responsabili”, identificati con i rappresentanti politici al governo, dovrebbero comporre, a detta degli interlocutori, strutture rappresentative atte alla gestione della “cosa pubblica” e, nel caso specifico, alla risoluzione delle problematiche socio-culturali, economiche e politiche emerse durante il processo di ricostruzione. Alcuni rappresentanti della scena politica e, specificatamente, del Partito Democratico (PD) che governa la regione Emilia-Romagna, vengono accusati di mala gestione e mancanze, di false e continue promesse. Emerge chiaramente la relazione di contrasto e di contrapposizione tra, da un lato, la cittadinanza, specificatamente i terremotati membri del comitato, che ne rappresentano una parte: sentendosi questi inascoltati, criticano le scelte e le azioni portate avanti dalle autorità al governo proponendo delle soluzioni alternative e cercando di tenere alta l'attenzione sul post-terremoto; dall'altro le istituzioni, le quali hanno sempre sostenuto di aver fatto il possibile per risolvere la situazione post-disastro, sono oggetto di aspre critiche che acuiscono la crisi di fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini e, conseguentemente, la crisi della rappresentanza delle autorità al governo. Oltre che di negligenza ed inadeguatezza, queste ultime vengono accusate di corruzione e di essere spinte, nell'agire politico, da interessi privati: si imputano alle autorità relazioni poco chiare con diversi imprenditori di ditte nel settore dell'edilizia e “Movimento terra”, vincitori di appalti milionari per la ricostruzione post terremoto arrestati perché accusati di corruzione mafiosa, specificatamente di avere rapporti con la “'Ndrangheta”32.

Il conflitto può promuovere, inoltre, forme di integrazione sociale, enfatizzando il senso dei confini di un gruppo e alimentando il sentimento di identità degli appartenenti (Simmel 1989; Coser 1967) che si sentono accomunati da determinate caratteristiche e tratti peculiari (quali, ad esempio, l'aver vissuto lo stesso evento catastrofico).

Thom sottolinea come la crisi presenti un carattere soggettivo: «è in crisi ogni

soggetto il cui stato espresso da un indebolimento, apparentemente dovuto ai suoi meccanismi regolatori, è percepito dal soggetto stesso come una minaccia alla propria

esistenza» (Thom 1980b: 69). Diventa centrale, pertanto, la capacità di auto-regolarsi del

soggetto che in situazioni critiche deve escogitare tattiche di adattamento, nuove formulazioni progettuali per ripristinare una condizione di equilibrio. È con riferimento ai sistemi sociali che si coglie un’altra importante differenza: mentre la catastrofe è un processo che interessa la struttura di un sistema, la crisi è un fenomeno funzionale, nel senso che colpisce il sistema nel suo funzionamento complessivo, ma non sempre degenera compromettendo l’integrità della struttura. Un’attenta riflessione evidenzia anche l’eventualità di una pseudo-soluzione della crisi quando, per ripristinare la funzione regolatrice del sistema, una società espelle o giustizia un capro espiatorio oppure estende le sanzioni per manifestare la forza di una comunità (Colloca 2010).

La crisi può dar vita a periodi di forte cambiamento tramite guerre civili e rivoluzioni che innescano particolari fasi storiche dalle quali si sviluppano forme di opposizione particolarmente lunghe e radicate nella struttura sociale. Infine crisi e conflitto condividono la natura dei fattori che li originano, nel senso che possono esserci alla base di entrambi alterazioni che derivano da fattori endogeni, esogeni o da una loro combinazione e/o estensione (Ibidem). A questo proposito Lanternari in Movimenti religiosi di libertà e salvezza

dei popoli oppressi (2003) sostiene che nelle diverse società ed epoche storiche, momenti di

inteso travaglio sociale, economico, culturale e psicologico (e quindi di crisi) siano spesso determinati da fattori perturbanti di origine interna o esterna. Dal loro verificarsi possono sorgere movimenti sociali e/o popolari, in quanto nascenti dal muoversi, dal mobilitarsi collettivo delle persone, che da un lato ne esprimono il malessere, l’insoddisfazione per il presente e l’ansia di miglioramento; dall’altro ne veicolano la speranza e l’attesa di una reale e radicale trasformazione delle condizioni generali dell’esistenza. Ci troviamo di fronte al potenziale rigenerativo delle catastrofi. La concomitanza e l’interconnessione tra fattori responsabili e determinanti nella formazione di tali movimenti sono varie e differenti a seconda del contesto storico-sociale nel quale essi si generano o esacerbano, come ad esempio, la condizione di sfruttamento e diseguaglianza sociale, economica e politica, la dominazione politica e sociale, la deculturazione forzata, il divario culturale, la tensione, il malessere e la disorganizzazione socio-culturale che ne consegue. Questi fattori d’urto d’origine vengono catalizzati da fattori esterni, quali catastrofi naturali o di natura antropica, esacerbando tensioni e disequilibri preesistenti (Ibidem).

In questo senso il sisma di maggio 2012 ha amplificato e peggiorato una situazione critica di instabilità, sommandosi a problematiche già presenti sul territorio e palesando la crisi economica che già imperversava in Emilia come in tutta Italia. Eloquente è il commento di un'intervistata facente parte delle BSA (Brigate di solidarietà attiva), il già citato gruppo di

volontari con cui si è condiviso il primo mese e mezzo di ricerca e che da subito dopo la catastrofe ha organizzato delle spedizioni di aiuto nella zona terremotata e che ha continuato a lavorarci fino a novembre 2012. Così riporta Beatrice, un membro delle BSA, molto attiva durante l'emergenza terremoto:

ci siamo resi conto che noi stiamo seguendo una quantità industriale di persone che terremoto o non terremoto principalmente c'hanno un problema di povertà estrema, direttamente legata alla crisi economica. Quindi non è che dal terremoto l'Emilia sta male, no! L'Emilia stava male da prima e te lo dimostrano i dati della cassa integrazione, te lo dimostrano i dati dei disoccupati. Il terremoto l'ha peggiorata la situazione33.

Il terremoto è stato un episodio particolare, tanto improvviso quanto alacre, il quale, con la sua veemenza, ha intensificato e reso ancora più evidente la crisi, in una zona in cui la situazione era già fortemente critica. Così Giulio in un'intervista:

Il terremoto ha messo in evidenza, perché ha ingigantito i problemi, della crisi di queste istituzioni, perché? Se uno non ha problemi, non ha problemi e vive. Uno prima del terremoto aveva il problema di una visita dopo sei mesi, insomma, incominciava a far conto che quest… la sanità incominciava ad avere dei problemi andavi per il privato. La scuola, trovavi qualche soluzione facendo la festa per raccogliere dei fondi per dare alla scuola. Gli orari dei treni, per protestare facevi dei comitati. Però dentro ad al territorio così limitato vi erano pochi casi e vi era più il vivere dell’ente locale nella gestione dei servizi con i pochi casi che ci sono. Il terremoto decuplica questa roba qua e allora mette in evidenza tutta un’istituzione che non è fatta…quando vengon fuori ‘ste robe ti fa vedere34

Vedremo più avanti nel dettaglio in che modo questa crisi organica si è riverberata nei diversi settori della società nel contesto socio-politico emiliano.

Nel linguaggio moderno la parola catastrofe indica un evento naturale distruttivo, che produce disordini sociali, in particolar modo rivolte popolari, e per questo rimanda al concetto di crisi e ad immagini di distruzione e rovine, furia degli elementi, etc. Etimologicamente di derivazione greca (katastrophé), la parola ha un significato originario di rivolgimento; nella tragedia è scioglimento dell’intreccio, punto di svolta ed epilogo, anche positivo. Nel mondo antico, cosmogonie e miti della creazione parlano della catastrofe come fine e relativa

33. Frammento dell'intervista del 23 novembre 2012. 34. Frammento dell'intervista del 15 luglio 2013.

rinascita dell’ordine ed è come prima ed ultima distruzione che le culture mitico-rituali ripetono il sacrificio catastrofico dal quale dipende la creazione di uno spazio comune entro il quelle i soggetti si ritrovano e si rigenerano (Girard, in Barberi 2009). Ambedue i fenomeni, il disastro e la crisi che ne consegue, devono essere considerati ed interpretati nel loro accadere simultaneo e, come riconosce Kleist (2004), dal punto di vista storico eventi naturali e sociali non possono essere separati nell’analisi. Emergono generalmente due attitudini distinte nel considerare il disastro da parte di coloro che ne rimangono coinvolti: l’una lo considera come un’apertura al mondo, una sfida per un futuro diverso, che fa nascere nei soggetti una propensione all'avvenire; l’altra come la chiusura con il passato e la fine di un’epoca: in questo caso la catastrofe rappresenta una cesura, un momento dal quale si avvia un mutamento. Non è detto che queste due attitudini non si manifestino in modalità interconnesse, dando così vita a numerose modalità di risposta ad un evento calamitoso.

Il concetto di «catastrofe» viene utilizzato negli anni Ottanta del Novecento soprattutto nelle discipline matematiche, specificatamente nello studio della morfogenesi biologica. In questo campo esso viene inteso come “l’interruzione subitanea di un continuo”, la rottura di un equilibrio strutturale. René Thom (1980a) elabora la «teoria delle catastrofi», applicata allo studio di tutti quei sistemi capaci di trasformare se stessi in modo desultorio e incalcolabile simultaneamente al variare di determinati criteri. Lo studioso ci informa dell'esistenza di un legame innegabile tra crisi e catastrofe: la prima può annunciare o provocare la seconda, ma anche esserne conseguenza o addirittura essa può essere assorbita senza provocare alcun