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CAPITOLO 2 Impatto della crisi finanziaria sui titoli sovrani

2.2 La crisi finanziaria del 2007-2009

Il 15 settembre 2008 Lehman Brothers, una delle più grandi banche d’affari a livello mondiale, fu costretta a dichiarare il fallimento. Il mondo finanziario sembra crollare e assieme ad esso si apre una crisi che molti definiscono “la grande crisi economica”. Anche se la bancarotta di Lehman Brothers decisamente non fu la causa principale della crisi, il giorno del suo fallimento rappresentò il momento in cui divenne chiaro che, molto presto, la crisi avrebbe raggiunto proporzioni globali con conseguenze disastrose.

Una cosa è comunque certa: questa crisi non può essere considerata un incidente. Essa infatti fu causata da una serie di fattori, ma soprattutto da un sistema fuori controllo.

Lehman Brothers era stata fondata nel 1850 da un emigrato tedesco di origine ebraica, Henry Lehman, e fino al 1969 i suoi discendenti mantennero il controllo della banca. Dopo più di un secolo di successi in cui non mancarono fusioni e acquisizioni, dal 1984 al 1994, la banca passò sotto il controllo di American Express. Quando riacquistò l’indipendenza, sotto la guida di Richard Fuld, l’amministratore delegato che l’avrebbe portata al fallimento, Lehman divenne in breve una delle più importanti e spregiudicate banche d’affari del paese. Per la precisione divenne la quarta in ordine di grandezza: davanti a Bear Stearns e dietro, nell’ordine, a Goldman Sachs, Morgan Stanley e Merrill Lynch. A differenza delle banche commerciali che raccolgono il risparmio dei privati e concedono prestiti, Lehman,

come le altre banche d’affari, faceva soprattutto consulenza ad altre società: le aiutava nel collocamento di azioni o di obbligazioni in borsa e investiva il proprio e l’altrui denaro.

Oggi sappiamo che la crisi che portò al fallimento di Lehman fu causata da diversi fattori legati tra loro, tra cui le politiche monetarie della FED (la banca centrale americana), la bolla immobiliare, la deregolamentazione di Wall Street ed altre circostanze che verranno descritte in seguito.

Fin dagli anni Ottanta la crescita del settore finanziario statunitense causò una serie di momenti finanziariamente difficili e sempre più gravi, ognuno dei quali portò con sé delle conseguenze che sfociarono irrimediabilmente nella crisi di cui stiamo parlando.

Dopo la grande depressione, avvenuta negli anni Trenta, gli Stati Uniti trascorsero quarant’anni di crescita economica senza alcun problema. L'industria finanziaria era strettamente controllata: la maggior parte delle banche erano banche locali ed era proibito speculare con i risparmi dei clienti. Le banche d'investimento, che si occupavano di stock e obbligazioni, erano delle piccole società private. Nel modello tradizionale di banca d’investimento dell’epoca, ogni socio era disposto ad utilizzare le proprie finanze e ovviamente le controllava molto attentamente.

Negli anni Ottanta l’industria finanziaria esplose e le banche d’investimento divennero pubbliche, ricevendo enormi quantità di denaro dagli azionisti. Da quel momento, molti a Wall Street iniziarono ad arricchirsi.

Nel 1981 venne eletto alla presidenza il democratico Ronald Reagan. L’amministrazione Reagan, supportata dagli economisti e dai lobbisti finanziari, cominciò un periodo trentennale di deregolamentazione finanziaria. Nel 1982, infatti, si deregolamentarono le compagnie di risparmi e prestiti, per cui esse furono libere di fare degli investimenti rischiosi con i risparmi dei clienti.

Durante l’amministrazione Clinton la deregolamentazione continuò, tanto che alla fine degli anni Novanta il settore finanziario si consolidò in poche ma enormi società, così grandi che il loro fallimento avrebbe potuto minacciare l'intero sistema. Inoltre è necessario aggiungere che, all’inizio degli anni Novanta, la deregolamentazione unita all'avanzamento tecnologico portò a un'esplosione di complessi prodotti finanziari chiamati strumenti derivati. Economisti e banchieri,

con l’introduzione di tali strumenti sostennero di aver reso i mercati più sicuri, ma al contrario li resero sostanzialmente più instabili. Attraverso i derivati i banchieri potevano giocare d'azzardo su tutto: potevano scommettere sull'andamento del prezzo del petrolio, sulla bancarotta di una compagnia o addirittura sulle previsioni del tempo.

A dicembre del 2000, il Congresso approvò il “Commodity Futures Modernization

Act”36, scritto con l'aiuto di lobbisti dell'industria finanziaria e attraverso il quale si

bandiva la regolazione dei derivati. A quel punto l’uso di tali prodotti e le innovazioni finanziarie esplosero drammaticamente.

Quando George W. Bush divenne presidente nel 2001, il settore finanziario statunitense era diventato molto più redditizio, concentrato e potente. A dominare questa industria c'erano cinque banche di investimento (Goldman Sachs, Morgan Stanley, Merrill Lynch, Lehman Brothers e Bear Stearns), due conglomerati finanziari (Citigroup e JP Morgan), tre compagnie di assicurazioni (AIG, MBIA e AMBAC) e tre Agenzie di Rating (Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch). A legarle assieme c’era la catena della cartolarizzazione, un nuovo sistema che connetteva trilioni di dollari in mutui e altri prestiti con investitori di tutto il mondo.

Trent’anni fa se veniva richiesto un mutuo, il prestatore pretendeva la restituzione dell’intero importo concesso; con la cartolarizzazione, se il debitore fosse risultato insolvente coloro che avevano effettuato il prestito non sarebbero stati più a rischio. Nel vecchio sistema, quando il proprietario di un immobile saldava la mensilità del proprio mutuo, il pagamento tornava direttamente al creditore e poiché si impiegavano anni per estinguere il debito, i creditori concedevano con molta attenzione e parsimonia il loro denaro in prestito.

36 Il Commodity Futures Modernization Act del 2000 (CFMA) è una legislazione federale degli Stati

Uniti che garantiva ufficialmente la regolamentazione modernizzata dei prodotti finanziari noti come derivati over-the-counter. Questo atto chiarì il fatto che le operazioni sui derivati OTC non dovessero essere regolati né come “futures” né come “titoli” e di conseguenza non fossero oggetto di vigilanza della SEC. Autorizzando tali operazioni fuori dal mercato ufficiale, il Commodity Futures Modernization Act vietava anche alla Commodity Futures Trading Commission (CFTC) di

regolamentare i nuovi prodotti finanziari di seconda generazione come CDO (Collateralized debt obbligation) e CDS (Credit Default Swap).

Figura 2.1 – Prestiti nel vecchio sistema

Fonte: elaborazione propria

Con il nuovo sistema, i creditori potevano vendere il mutuo alle banche d’investimento. Le banche d’investimento combinavano migliaia di mutui e altri prestiti, inclusi pagamenti per le auto, rate scolastiche e debiti per le carte di credito, per creare dei complessi derivati chiamati Collateralized Debt Obligation o CDO. Le banche di investimento poi vendevano i CDO agli investitori.

Perciò nel momento in cui il prestito veniva saldato, il denaro finiva a degli investitori sparsi per il mondo.

Figura 2.2 – Prestiti nel nuovo sistema

Fonte: elaborazione propria

In poche parole la cartolarizzazione dava agli istituti di credito la possibilità di trasferire i mutui a soggetti terzi e consentiva loro di recuperare immediatamente buona parte del credito che altrimenti sarebbe stato riscosso solo al termine dei mutui stessi (10, 20 o 30 anni dopo). Il modello di business delle banche perciò era passato da un approccio originate and hold (la banca eroga il mutuo e attende un

lasso di tempo prima di recuperare la somma prestata e i relativi interessi) ad un approccio originate and distribute (la banca eroga il mutuo e lo trasferisce a terzi tramite cartolarizzazione, recuperando subito la somma prestata).

In sintesi, tramite la cartolarizzazione le banche si liberavano del rischio di insolvenza dei prenditori di fondi facendo venir meno l’incentivo di una valutazione accurata dell’affidabilità dei clienti, rientravano in tempi rapidi nella disponibilità del denaro prestato ed espandevano in maniera spropositata le attività rispetto al capitale proprio. Tale meccanismo permetteva loro di ottenere cospicui profitti, ma le esponeva anche ad un rischio di perdite importanti.

Inoltre, in questo contesto, le Agenzie di Rating assumevano un ruolo sempre più rilevante dovuto alla natura complessa e opaca degli strumenti derivati che si stavano creando e diffondendo. Tali prodotti infatti venivano scambiati prevalentemente Over The Counter (OTC), ossia al di fuori dei mercati regolamentati e ciò comportava una certa difficoltà nell’identificarne il valore, non potendo utilizzare i prezzi di mercato come mezzo di paragone. Il giudizio delle Agenzie di Rating, quasi unico riferimento condiviso per la stima di tali prodotti, diventò preponderante. Ciò di cui non si era tenuto conto fu che le Agenzie di Rating, in quanto società private, non fossero esenti da conflitti di interessi per cui la solida affidabilità nelle loro valutazioni veniva a mancare. Non a caso gli strumenti valutati con una tripla A passarono da una manciata a migliaia e migliaia.

Dopo lo scoppio della crisi, infatti, si scoprì che le banche d’investimento pagavano le Agenzie di Rating per valutare in maniera generosa i loro CDO, molti dei quali avevano ricevuto come voto una AAA, il grado di investimento più alto possibile. In sintesi: ai creditori non importava più se il mutuatario poteva ripagare il debito quindi incominciarono a fare prestiti più rischiosi; nemmeno alle banche di investimento importava perché più CDO venivano venduti, più alti erano i profitti e infine le Agenzie di Rating, pagate generosamente dalle banche di investimento, non avevano responsabilità se le loro valutazioni dei CDO si rivelavano false. I creditori non erano preoccupati e non c’erano limitazioni di nessun genere: si creò dunque il prefetto contesto per poter concedere sempre più prestiti. Tra il 2000 e il 2003 il numero di prestiti per i mutui quadruplicò. A nessuno in questa catena della

cartolarizzazione, dal primo all’ultimo anello, interessava del prestito perché ciò che importava era solo massimizzare il volume e ottenere il profitto.

Tale dinamica inoltre, fu favorita e in qualche modo stimolata dalla politica monetaria conciliante attuata dalla FED che, per rilanciare l’economia statunitense

dopo la crisi delle Dot.com37 e gli attentati dell’11 settembre 200138, mantenne i

tassi di interesse molto bassi. L’obiettivo infatti di tutte le banche centrali è mantenere sotto controllo l’inflazione e tale fine viene perseguito attraverso delle politiche monetarie, la principale delle quali è proprio la regolazione dei tassi di interesse con cui esse prestano capitali alle altre banche. Ciò significa che più i tassi sono bassi, più gli istituti di credito chiedono denaro a prestito e più ne circola nel sistema. La FED perciò, per mezzo di questa politica monetaria espansiva, inondò il mercato di denaro: era più semplice ottenere prestiti, ma soprattutto i tassi di interesse che le banche dovevano praticare ai propri clienti continuavano ad abbassarsi. È facile intuire quindi che, concedendo prestiti ad un costo esiguo, le banche facevano molta fatica ad ottenere profitti interessanti e ciò non faceva altro che spingere i banchieri a compiere operazioni molto rischiose che però avrebbero consentito loro ingenti profitti.

Da qui nacque la bolla dei mutui subprime. Vengono definiti subprime quei mutui o prestiti erogati a clienti definiti “ad alto rischio”, ossia clienti che probabilmente potrebbero incorrere in insolvenza o che hanno avuto problemi pregressi nella loro storia creditizia. Per coprire questo rischio maggiore, vengono applicate condizioni meno favorevoli rispetto gli altri tipi di credito come tassi di interesse, parcelle e

37 La crisi del Dot.com è stata generata, a metà degli anni Novanta, dalla bolla speculativa legata alla

scoperta delle nuove tecnologie informatiche. La bolla nacque dall’euforia generale derivante dal nuovo settore emergente, quello informatico, che alimentò le aspettative di futuri e continui aumenti del valore dei titoli emessi dalle aziende del comparto, a prescindere dalle informazioni espresse dai tradizionali indicatori di redditività. Purtroppo, come spesso accade, la bolla scoppiò a causa della saturazione del mercato e le quotazioni iniziarono a calare vertiginosamente. Poche aziende seppero sopravvivere alla crisi, tra cui Amazon, eBay, Apple.

38 Durante la giornata dell’11 settembre 2001 ci fu una serie di attacchi terroristici suicidi

pianificati da alcune cellule di matrice fondamentalista islamica aderenti ad Al-Qāʿida nel territorio degli Stati Uniti. Furono dirottati quattro aerei di linea. I terroristi fecero schiantare due aerei contro le Torri Nord e Sud del World Trade Center di New York, causando poco dopo il collasso di entrambi i grattacieli e conseguenti gravi danni agli edifici vicini. Il terzo aereo di linea venne dirottato contro il Pentagono. Il quarto aereo, diretto contro il Campidoglio o la Casa Bianca a Washington, si schiantò in un campo vicino a Shanksville, dopo che i passeggeri tentarono inutilmente di riacquistare il comando del velivolo. Gli attentati causarono la morte di oltre 2 996 persone e oltre 6 000 rimasero ferite.

premi più elevati che probabilmente il prestatore non è in grado di ripagare, creando così una sorta di circolo vizioso. Il sistema americano attribuisce ad ogni debitore un punteggio di credito, classificandolo in una scala tra 300 e 850; tutti coloro che hanno un punteggio al di sotto di 620 punti sono identificati come debitori subprime. Le banche d’investimento, a caccia di profitti più interessanti, preferirono erogare mutui subprime proprio per il tasso d’interesse maggiore a loro associato e perciò molti prestiti furono concessi a persone che non potevano rimborsarli. Solo i prestiti

subprime aumentarono da 30 miliardi a oltre 600 miliardi in 10 anni.

Dato che chiunque poteva ottenere un mutuo, la compravendita e i prezzi delle case salirono alle stelle: il risultato fu la più grande bolla immobiliare della storia.

Nessuno dubitava del settore immobiliare perché le case erano beni reali che si potevano vedere, toccare con mano e viverci dentro. Se il debitore si fosse rivelato insolvente, la banca avrebbe potuto rivendicare l’immobile, venderlo e recuperare la somma prestata.

Durante la bolla, le banche d'investimento prendevano molto denaro in prestito per comprare più prestiti e creare più CDO. Il rapporto tra il capitale di terzi e il capitale proprio delle banche veniva chiamato rapporto di indebitamento: più prestiti ricevevano le banche e più alto era il rapporto. Nel 2004 Henry Paulson, amministratore delegato di Goldman Sachs, fece approvare alla Commissione statunitense per i Titoli e gli Scambi (SEC) un aumento dei limiti sul rapporto di indebitamento permettendo alle banche di avere ulteriori prestiti.

Il rapporto di indebitamento nel sistema finanziario diventò sproporzionato: le banche d'investimento avevano un rapporto di indebitamento di 33:1, vuol dire che anche solo una diminuzione del 3% del loro patrimonio di base avrebbe potuto lasciarle insolventi.

C’è un altro fattore fondamentale da tener conto quando si tratta questo argomento: il Credit Default Swap o CDS. Il Credit Default Swap è uno strumento derivato di copertura che funge da assicurazione contro il fallimento della controparte, in altre parole protegge dal rischio di insolvenza trasferendo il rischio di credito.

AIG, la più grande compagnia di assicurazioni del mondo, dopo la così larga diffusione dei CDO iniziò a vendere enormi quantità di Credit default Swap (CDS).

Per gli investitori che possedevano dei CDO, i Credit Default Swap funzionavano come una polizza assicurativa: nel caso in cui il CDO avesse perso il suo valore, AIG prometteva di pagare l’investitore per le sue perdite. Ma a differenza delle normali assicurazioni in cui si può assicurare solo ciò che si possiede, la natura di questo tipo di strumento derivato permetteva agli speculatori di comprare dei CDS da AIG per poter scommettere contro le CDO che essi non possedevano.

Figura 2.3 – Credit Default Swap utilizzati dalla AIG

Fonte: elaborazione propria

Permettendo agli speculatori di potersi “assicurare” contro l’insolvenza dei CDO posseduti da altre persone, non si faceva altro che espandere in maniera esponenziale le ipotizzabili perdite dell’intero sistema. È come se un individuo fosse il proprietario di una casa, la assicurasse ma oltre a lui la assicurassero anche altre 50 persone. Se la casa andasse a fuoco, l’assicurazione non dovrebbe pagare solo il proprietario, ma anche tutti gli altri assicurati e ciò porterebbe a conseguenze allarmanti.

Inoltre dato che i Credit Default Swap, essendo derivati, erano stati deregolamentati, AIG non ebbe nemmeno bisogno di accantonare fondi per coprire le eventuali perdite, ma al contrario dava ai suoi impiegati dei ricchissimi bonus non appena i contratti venivano stipulati. Una condotta così azzardata e rischiosa poteva essere spiegata solo da una forte sicurezza che AIG ciecamente aveva nella solidità dei CDO. Goldman Sachs fece addirittura un passo ulteriore: non solo vendeva CDO, ma cominciò a scommettere attivamente contro di essi, mentre allo stesso tempo li

spacciava ai clienti come investimenti di alta qualità. Goldman Sachs comprò almeno 22 miliardi di dollari di Credit Default Swap da AIG. Era una cifra talmente ingente che Goldman si rese conto del rischio che AIG stessa potesse finire in bancarotta, perciò spese 150 milioni di dollari per assicurare sé stessa contro un potenziale collasso di AIG. Poi nel 2007 Goldman andò oltre: iniziò a vendere CDO specificatamente disegnate in modo tale che più denaro perdevano i clienti e più alti erano i suoi profitti. Era un chiaro conflitto di interessi con i propri clienti, ignari di tutto.

I problemi iniziarono a manifestarsi nel momento in cui la FED cominciò a rialzare i tassi di interesse in risposta alla ripresa dell'economia statunitense, causando lo scoppio della bolla immobiliare.

Con tassi di interesse più alti infatti, i mutui si fecero sempre più costosi e crescevano i casi di insolvenze delle famiglie incapaci di restituire rate sempre più onerose. Con il calo vertiginoso del valore degli immobili, inevitabilmente precipitò anche il valore dei titoli derivati che erano garantiti dai mutui su quelle stesse case. Il crollo però non coinvolse l’intero mercato immobiliare, in quanto non tutti coloro che avevano contratto un prestito si trovarono in una situazione di insolvenza. Il problema sorse quando divenne impossibile distinguere i titoli correlati a mutui solidi dai titoli cosiddetti “tossici” ossia legati a mutui divenuti spazzatura. Infatti le banche d’investimento avevano spezzettato, smistato e impacchettato i mutui iniziali in titoli derivati e la loro estrema complessità non permetteva di risalire alla base che li garantiva inizialmente. Questi titoli si presentavano sui libri contabili delle banche con un certo valore, ma nessuno poteva sapere a che prezzo si sarebbero potuti vendere nel mercato.

Tali titoli, ormai ampiamente diffusi ovunque, irrimediabilmente diventarono illiquidabili e le richieste di fondi alle banche che li avevano emessi e che avevano garantito la loro liquidità, si fecero sempre maggiori. Alcune banche tuttavia, non poterono reperire la liquidità necessaria a soddisfare tali richieste, poiché nessuno nel mercato interbancario era più disposto a prestare denaro. L’intero sistema finanziario si bloccò e nessuno poteva più chiedere prestiti. Dalla crisi di fiducia si sviluppò dunque una crisi di liquidità. Le moderne istituzioni finanziarie hanno un

primario bisogno di fidarsi l’una dell’altra continuamente, perché tra loro prestiti e scambi sono continui, ma nonostante ciò la sfiducia tra esse crebbe.

La prima banca ad andare in rovina a causa di questo clima di discredito fu la più piccola delle cinque grandi banche d’investimento di Wall Street: Bear Stearns. Nel marzo 2008 Bear Stearns finì in bancarotta e fu acquistata per due dollari ad azione da Morgan Stanley. Per facilitarne l’acquisizione ed evitare così un fallimento che avrebbe ulteriormente peggiorato la situazione già critica, la Federal Reserve Bank di New York ne garantì i debiti per un totale di 30 miliardi di dollari.

Nel settembre 2008, anche FannieMae e Freddie Mac39, i due giganti del mercato dei

mutui, erano sull'orlo del collasso e per questo il Governo americano fu costretto a nazionalizzarle e salvarle entrambe.

Quella stessa settimana, AIG doveva 13 miliardi ai proprietari di CDS ma non aveva sufficienti capitali. AIG era un altro componente vitale e se si fosse fermata ci sarebbe stato un collasso finanziario generale. Il 7 settembre il Governo assunse il controllo anche di AIG.

Caduta Bear Stearns e salvate FannieMae, Freddie Mac e AIG, l’attenzione si spostò sulla successiva banca nella lista: Lehman Brothers.

Il 9 settembre 2008 Lehman Brothers annunciò perdite record di 3,2 miliardi e le sue azioni crollarono. Era risaputo che Lehman avesse i libri contabili pieni di titoli

tossici, ma dopo l’aiuto per facilitare l’acquisizione di BearStearns e il salvataggio

delle altre finanziarie, considerare di salvare anche Lehman era politicamente irrealizzabile. Sia per i Repubblicani che per i Democratici, l’aiuto a Lehman era impraticabile.

Il 12 settembre Lehman Brothers non aveva più liquidità e tutta l'industria bancaria di investimento stava affondando velocemente. Purtroppo Lehman non era la sola

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