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IFRS9: Impatti sulle Banche Italiane a seguito della eliminazione della immunizzazione dei filtri prudenziali ai fini di vigilanza sui titoli di Stato.

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Corso di laurea magistrale

(ordinamento ex D.M. 270/2004)

in Economia e Finanza

Tesi di laurea

IFRS9: Impatti sulle Banche Italiane a

seguito della eliminazione della

immunizzazione dei filtri prudenziali ai

fini di vigilanza sui titoli di Stato.

Relatore:

Ch. Prof. Simone MAZZONETTO Correlatore:

Ch. Prof. Gloria GARDENAL Laureando:

Chiara SANTINON Matricola 838855 Anno Accademico: 2016/2017

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Abstract

Nel 2010 Banca d’Italia, con il provvedimento “Patrimonio di vigilanza – filtri prudenziali” del 18 maggio 2010, introdusse, limitatamente ai titoli di debito emessi da amministrazioni centrali dei Paesi appartenenti all’Unione Europea, la possibilità di adottare una modalità di contabilizzazione a fini di vigilanza che prevedeva la neutralizzazione piena delle riserve AFS formatesi a partire dall’esercizio 2010. L’opzione da parte delle banche italiane per questo diverso trattamento comportava la sterilizzazione degli impatti sul patrimonio di vigilanza delle riserve AFS positive e negative; in altre parole i titoli di Stato potevano essere valutati al costo.

Attualmente c’è la possibilità che questa alternativa possa diventare, con l’effettiva applicazione di IRFS 9 da gennaio 2018, l’unica alternativa possibile. Perciò ci si chiede cosa sarebbe successo in carico alle banche italiane se, nel 2010, Banca d’Italia non avesse introdotto questa diversa soluzione.

Analizzando alcune voci di bilancio di tutte le banche italiane di classe 3, si cercherà di ipotizzare quali sarebbero stati gli impatti in bilancio nel caso in cui questa discrezionalità non fosse stata applicata.

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Indice

INTRODUZIONE ... 1

CAPITOLO 1 - La normativa del settore bancario: gli Accordi di Basilea ... 3

1.1 Il Comitato di Basilea ...3 1.2 Basilea I ...5 1.2.1 I limiti di Basilea I ...9 1.3 Basilea II ... 12 1.3.1 I limiti di Basilea II ... 15 1.4 Basilea III ... 18

1.4.1 La nuova definizione di capitale e i buffer ... 21

1.4.2 Gli indicatori di liquidità ... 24

1.4.3 Il trattamento delle SIFIs ... 27

1.5 I rischi a livello normativo... 28

1.5.1 Il rischio di credito ... 29

1.5.2 Il rischio di controparte ... 33

1.5.3 Il rischio di mercato ... 34

1.5.4 Il rischio operativo... 37

1.5.5 Altri rischi... 39

CAPITOLO 2 - Impatto della crisi finanziaria sui titoli sovrani ... 43

2.2 La crisi finanziaria del 2007-2009 ... 43

2.3 La crisi dei debiti sovrani in Europa ... 54

2.4 L’opzione della immunizzazione dei filtri prudenziali per i titoli di Stato italiani ………. 68

CAPITOLO 3 - Analisi empirica dei dati relativi agli impatti patrimoniali nelle banche considerate ... 71

3.1 Obiettivi e modalità di raccolta dei dati ... 71

3.2 La parte F del bilancio ... 73

3.3 Analisi dei dati: le macroaree ... 77

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3.3.2 Centro Italia ... 84

3.3.3 Sud Italia e Isole... 88

3.4 Analisi dei dati: le macroaree a confronto ... 92

CONCLUSIONI ... 95 APPENDICE A ... 99 APPENDICE B ... 107 APPENDICE C ... 115 APPENDICE D ... 123 BIBLIOGRAFIA ... 125 RINGRAZIAMENTI ... 141

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Elenco delle figure

1.1 Funzione di distribuzione probabilistica delle perdite causate dalle insolvenze

………. 36

2.1 Prestiti nel vecchio sistema ……….. 45

2.2 Prestiti nel nuovo sistema ………. 45

2.3 Credit Default Swap utilizzati dalla AIG ……… 49

2.4 Credit Default Swap relativi alla Grecia ……… 64

2.5 Credit Default Swap relativi alla Spagna ……….. 65

2.6 Credit Default Swap relativi alla Italia ………... 66

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Elenco delle tabelle

1.1 Coefficienti di ponderazione di Basilea 1 per alcune principali classi di attività

della banca ………... . 7

1.2 Composizione del patrimonio di vigilanza in Basilea I ……… . 8

1.3 Requisiti patrimoniali e buffer in Basilea III ……… 23

1.4 Fasi di applicazione Basilea III ………. 23

3.1 Dati del Nord Italia ……….... 81

3.2 Le 5 banche del Nord Italia con variazioni del TCR peggiori ……… .. 83

3.3 Dati del Centro Italia ………. 85

3.4 Le 5 banche del Centro Italia con variazioni del TCR peggiori ………... 87

3.5 Dati del Sud Italia e Isole ……….... 89

3.6 Le 5 banche del Centro Italia con variazioni del TCR peggiori ………... 91

3.7 Dati statistici Nord Italia ………. 92

3.8 Dati statistici Centro Italia ………. 93

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INTRODUZIONE

Il 18 maggio 2010 Banca d'Italia varò un provvedimento, conosciuto come “Patrimonio di vigilanza – filtri prudenziali”, con il quale vennero modificate le modalità di contabilizzazione a fini di vigilanza dei titoli di Stato emessi da paesi appartenenti all'Unione Europea.

In base alla direttiva, gli istituti di credito italiani si trovarono davanti alla possibilità di poter adottare un’alternativa di calcolo che consentiva di neutralizzare gli effetti delle valutazioni sul patrimonio di vigilanza “limitatamente ai titoli emessi da

Amministrazioni centrali di Paesi appartenenti all’Unione Europea inclusi nel portafoglio “attività finanziarie disponibili per la vendita AFS” (Available For Sale).

Ciò significava, in altri termini, che le banche italiane avrebbero potuto optare per un metodo contabile che avrebbe sterilizzato integralmente gli impatti sul patrimonio di vigilanza delle riserve AFS sia positive che negative e quindi avrebbe permesso loro di valutare al costo i titoli di Stato. Fino a quel momento l’unica soluzione valida per la contabilizzazione per quel tipo di prodotto finanziario era rappresentata dal cosiddetto “approccio assimetrico”, ossia il metodo attraverso il quale è prevista la deduzione integrale della minusvalenza netta dal patrimonio di base (Tier 1) e la parziale inclusione della plusvalenza netta nel patrimonio supplementare (Tier 2) per un importo pari al 50%.

Per quanto selettiva fosse, poiché coinvolgeva soltanto i titoli di debito e di capitale detenuti nel portafoglio disponibile per la vendita, la nuova opportunità offerta da Banca d’Italia rappresentò senza dubbio un notevole vantaggio per gli istituti di credito che l’avrebbero adottata.

A tal proposito la presente tesi si prefigge l’obiettivo di ipotizzare quali sarebbero potuti essere gli impatti sul patrimonio in carico alle banche nel caso in cui Banca

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d’Italia non avesse introdotto questa diversa soluzione e quindi non fosse stata permessa tale discrezionalità in capo agli istituti di credito. Per fare ciò è stata svolta un’analisi empirica.

L’elaborato si compone di tre capitoli: i primi due riguardano il quadro normativo e il contesto storico in cui si inserisce la nuova direttiva mentre il terzo espone come è stata condotta l’analisi empirica.

Nel primo capitolo viene ripercorsa l’evoluzione della normativa di riferimento del settore bancario, dalla nascita del Comitato di Basilea all’approvazione dei successivi Accordi. Per ogni Accordo vengono spiegati i limiti e quindi i motivi per i quali la regolamentazione è stata, di volta in volta, ritenuta inadeguata e bisognosa di modifiche. Maggior rilievo viene dato all’Accordo di Basilea III, normativa attualmente rispettata dagli istituti di credito, descrivendo con particolare attenzione le novità introdotte ed i rischi a cui è soggetta una banca.

Il secondo capitolo invece racconta il susseguirsi degli avvenimenti e delle circostanze storiche che hanno contribuito a creare il contesto bancario in cui si inseriscono le diverse norme sopracitate. In particolare vengono trattate le crisi finanziarie che hanno direttamente o indirettamente interessato il nostro Paese, partendo da quella scoppiata tra il 2007 e il 2009, conosciuta anche come bolla dei mutui subprime, per poi passare alla crisi dei debiti sovrani avvenuta tra il 2010 e il 2011. Quest’ultima è considerata particolarmente rilevante poiché rappresenta uno dei motivi scatenanti per il quale nel 2010 venne introdotto il provvedimento di Banca d’Italia su cui si basa l’intero elaborato.

Nel terzo capitolo infine, viene sviluppata l’analisi empirica degli impatti patrimoniali che si sarebbero verificati se la direttiva non fosse stata varata.

Nel dettaglio, la prima parte del capitolo descrive le modalità e gli obiettivi dello studio, il campione di banche preso in analisi e la suddivisione in macroaree (Nord, Centro e Sud Italia e Isole) in base alla sede legale degli istituti considerati.

La seconda parte invece tratta ciascuna macroarea singolarmente, descrivendone le caratteristiche e riassumendo i dati statistici ottenuti. Vengono infine identificati i periodi e la zona d’Italia in cui si sarebbero registrate le perdite più cospicue.

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CAPITOLO 1

La normativa del settore bancario: gli Accordi di

Basilea

1.1 Il Comitato di Basilea

Prima del 1988 ciascun Paese regolava in modo autonomo l’adeguatezza patrimoniale del proprio sistema bancario: era previsto che gli istituti di credito fissassero un livello minimo tra patrimonio e attività detenute nel bilancio ma, tale coefficiente, era diverso per ogni Stato. La mancanza di uniformità normativa causava diseguaglianze tra le Nazioni poiché, in alcune, i regolamenti si dimostravano più stringenti che in altre.

Ciò comportava inevitabilmente alcune problematiche. La prima era correlata al fatto che solo alcune banche si dotavano di un capitale idoneo ad assorbire eventuali deficit, mentre altre detenevano un patrimonio del tutto inadeguato che, all’insorgere di perdite rilevanti, causavano dissesti nell’intero sistema.

L’altro problema invece si riferiva alla disparità in termini di concorrenza: gli istituti di credito che avevano a disposizione un patrimonio di vigilanza minore erano avvantaggiati rispetto a quelli più virtuosi in quanto questi ultimi, detenendo un patrimonio maggiore, potevano disporre di meno risorse da impiegare verso l’esterno, sostenendo così un costo opportunità dovuto alla mancanza di introiti. Inoltre la complessità dei contratti stipulati dalle Banche aumentava sempre più, spingendole ad operare con maggior frequenza nel mercato Over The Counter, un mercato caratterizzato dal non avere i requisiti riconosciuti ai mercati regolamentati e la cui negoziazione si svolge al di fuori dei circuiti borsistici ufficiali.

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Fu proprio con la crisi della Bankhaus Herstatt1 nel 1974, il primo e il più grave caso

di fallimento bancario che portò conseguenze rilevanti a livello internazionale, che si manifestò la necessità di un organismo sovranazionale dedicato alla regolamentazione del settore bancario.

Fu così che, in quello stesso anno, i governatori delle banche centrali dei dieci Paesi

finanziariamente più evoluti (G102) istituirono il Comitato di Basilea, un organismo

operante all’interno della Bank of International Settlements con sede a Basilea (Svizzera).

L’obiettivo di questo Comitato era, ed è tuttora, quello di concordare politiche comuni volte a evitare che norme, procedure e comportamenti difformi all’interno dei singoli sistemi finanziari nazionali possano portare a conseguenze negative a livello globale.

Il Comitato però, non possedeva alcuna forma di autorità sovranazionale ed inizialmente i governatori si riunivano per uno scambio periodico di informazioni circa le rispettive prassi di vigilanza. Ciò che scaturiva da questi incontri non aveva nessuna forza di legge, erano in altre parole dei “gentlemen’s agreements” il cui mancato rispetto non comportava né sanzioni né conseguenze. Le linee guida, le raccomandazioni, gli standard erano perciò formulati dal Comitato con l’aspettativa che le singole autorità nazionali potessero redigere disposizioni che tenessero conto delle realtà dei singoli Stati, senza tentare quindi di realizzare un’armonizzazione troppo forzata.

Solo nel 1988 si firma un vero e proprio accordo “Accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali” conosciuto come Basilea I, con il quale si avvia un processo di convergenza internazionale nella misurazione dell’adeguatezza patrimoniale delle banche e nella fissazione di requisiti minimi di capitalizzazione che ancor oggi è in atto.

1 La Bankhaus Herstatt fu dichiarata insolvente dalle autorità tedesche il 26 giugno 1974 alle 15:30

(ora dell’Europa centrale, C.E.T.). Quel giorno alcune controparti della banca avevano effettuato a suo favore pagamenti irrevocabili in marchi tedeschi per ingenti somme, ma non avevano ancora ricevuto le contropartite in dollari, dal momento che la giornata operativa sui mercati finanziari USA era appena iniziata. A causa del fuso orario, quei pagamenti non furono pagati.

2 Il G-10 è un’organizzazione internazionale che riunisce undici paesi economicamente più evoluti.

Fu fondata nel 1962 dai dieci paesi più industrializzati (Belgio, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, Stati Uniti e Svezia), ai quali nel 1964 si aggiunse la Svizzera, senza però che ci fosse una modifica del nome.

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1.2 Basilea I

“Il primo Accordo di Basilea si inscrive in un contesto caratterizzato da profondi cambiamenti nell’attività di vigilanza sulle banche. Nel corso degli anni 80 l’orientamento dell’attività di controllo è mutato da un approccio di tipo “strutturale”, che delineava la struttura del mercato e dell’attività di intermediazione creditizia attraverso un sistema di regole pervasive, ad un approccio di tipo “prudenziale”, che impone ancora oggi agli intermediari alcuni vincoli basilari, tra cui il grado di patrimonializzazione a fronte dei rischi, senza però influenzarne le

decisioni strategiche e le scelte operative”3.

La ragione di tale cambiamento nell’attività di vigilanza si spiega nella necessità di aumentare la competitività del sistema e il suo grado di efficienza, allo scopo di migliorare la qualità e l’economicità dei servizi finanziari offerti al pubblico e garantire la stabilità degli intermediari. Inoltre fenomeni come la continua crescita dei mercati mobiliari, la nascita di nuovi strumenti e di nuovi intermediari finanziari e il moltiplicarsi dei rischi che tali processi di sviluppo portavano con sé, avevano reso chiara l’inadeguatezza dello schema regolamentare, evidenziando il bisogno di ampliare e ristrutturare la normativa di riferimento. In tale scenario si inserisce dunque il primo Accordo di Basilea.

Questo primo set di regole emanato dal Comitato di Basilea nel 1988 è divenuto obbligatorio, limitatamente alle banche operanti in uno degli Stati membri dell’Unione Europea, a seguito del recepimento da parte del legislatore comunitario delle direttive sulle imprese bancarie, assicurative e finanziarie. In particolare, Basilea I venne recepito attraverso due direttive: la Direttiva del Consiglio del 17

aprile 1989 concernente i fondi propri degli enti creditizi (89/299/CEE)4 e la

Direttiva del Consiglio del 18 dicembre 1989 relativa al coefficiente di solvibilità

degli enti creditizi (89/647/CEE)5.

3 De Laurentis G., Caselli S., Miti e verità di Basilea 2. Guida alle decisioni, Egea, Milano, 2004. 4 Per maggiori informazioni, la suddetta direttiva può essere trovata nel sito web dell'Unione

Europea EUR-Lex: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A31989L0299

5 Per maggiori informazioni, la suddetta direttiva può essere trovata nel sito web dell'Unione Europea

EUR-Lex:

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Basilea I si fondava su principi abbastanza semplici:

1. ogni attività dell’impresa bancaria comporta l’assunzione di un certo grado di rischio;

2. il rischio deve essere quantificato e supportato da capitale.

Fu proprio Basilea I a introdurre il concetto di “adeguatezza patrimoniale”: il rischio generato dalle attività poste in essere deve essere coerente con il vincolo costituito dalla dotazione patrimoniale della banca. Gli istituti di credito dovevano perciò detenere un patrimonio minimo proporzionale al volume e alla rischiosità degli impieghi. Tale patrimonio minimo rappresentava la quota di capitale da accantonare, in funzione del grado di esposizione al rischio di credito, per proteggere i depositanti dalla possibilità che determinate perdite sulle attività bancarie potessero compromettere il pagamento dei debiti e creare così situazioni di insolvenza. La logica era quella che ad una maggiore esposizione ai rischi dovesse corrispondere una più elevata dotazione di capitale proprio.

In particolare con Basilea I si prevedeva che ciascuna banca detenesse un Patrimonio di Vigilanza pari almeno all’8% delle Attività Ponderate per il Rischio (RWA, Risk-Weighted Assets). In formula:

dove:

RWi = coefficienti di ponderazione basati sul rischio

Ai = attività in bilancio e fuori bilancio soggette a rischio di credito.

In altre parole, secondo la nuova normativa, il patrimonio di vigilanza minimo a fronte del rischio di credito veniva individuato applicando il coefficiente obbligatorio alla sommatoria delle attività soggette a tale rischio, stimate secondo fattori di ponderazione imposti dallo stesso Accordo, che variavano da 0% a 100% sulla base del rischio intrinseco a ciascuna di esse (Tabella 1.1).

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Tabella 1.1– Coefficienti di ponderazione di Basilea 1 per alcune principali classi di attività della banca

Fonte: De Laurentis, Caselli, 2004 In pratica, l’importo nominale delle attività veniva moltiplicato per i coefficienti di ponderazione prefissati, il cui ammontare era tanto maggiore quanto maggiore era la rischiosità intrinseca alla voce considerata, allo scopo di definire, per successiva aggregazione, la esposizione complessiva del rischio di credito cui era passibile la banca. Il coefficiente di solvibilità dell’8%, applicandolo all’aggregato delle attività ponderate per il rischio, portava all’individuazione del livello minimo di patrimonio di vigilanza che la banca doveva accantonare a fronte del rischio di credito.

La determinazione dei pesi da associare alle attività esposte a rischio costituiva una fase fondamentale nel processo di valutazione del rischio di credito. Tuttavia era chiaro che i coefficienti di ponderazione imposti dal primo Accordo risentissero molto della forte rigidità correlata all’utilizzo di questi principi standardizzati. Se per esempio si consideravano i crediti erogati alle imprese private, era prevista una ponderazione indifferenziata pari al 100%. Di conseguenza si prescindeva dalle reali condizioni di merito creditizio proprie del soggetto affidato ed il finanziamento erogato all’impresa privata ponderava per intero nel computo del patrimonio da

accantonare6.

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Inoltre la banca successivamente doveva verificare in maniera periodica che il patrimonio di vigilanza effettivamente detenuto fosse commisurato, ovvero pari o possibilmente superiore, al livello minimo determinato attraverso il coefficiente di solvibilità. In caso contrario si doveva procedere all’aumento della quantità/qualità del patrimonio oppure, in alternativa, alla riduzione del livello di rischiosità dell’attivo.

In questa fase successiva di verifica, un ruolo centrale era ricoperto dall’articolazione del patrimonio di vigilanza introdotta con l’Accordo di Basilea I. Per patrimonio di vigilanza (PV), si intendeva un aggregato patrimoniale comprendente le poste contabili che la banca poteva utilizzare ai fini della copertura dei rischi e delle perdite aziendali.

Sinteticamente la struttura di tale aggregato, secondo le indicazioni di Basilea I, era articolata su due livelli:

- il patrimonio di base o Tier 1, che comprendeva il capitale azionario versato, gli utili non distribuiti e le riserve, il fondo rischi bancari generali, gli strumenti innovativi di capitale, al netto delle componenti negative;

- il patrimonio supplementare o Tier 2, che comprendeva le riserve di rivalutazione, gli accantonamenti a fondi generali per rischi su crediti, gli strumenti ibridi di patrimonializzazione, le passività subordinate e le eventuali plusvalenze sulle partecipazioni, al netto delle componenti negative.

La Tabella 1.2 riporta le voci che compongono il patrimonio di vigilanza, articolate in componenti positive e negative.

Tabella 1.2 – Composizione del patrimonio di vigilanza in Basilea I

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Le voci comprese nel patrimonio di base, essendo elementi di qualità primaria, potevano essere considerate nel calcolo del PV per il loro ammontare completo, mentre le voci facenti parte del patrimonio supplementare, considerate di inferiore qualità, erano computabili entro un importo massimo pari al valore del patrimonio di base.

La ragione per cui il patrimonio di vigilanza fosse strutturato in questo modo era facilmente identificabile nella volontà del Comitato di selezionare i principali presidi di bilancio utili per la copertura delle perdite derivanti dalle manifestazioni del rischio di credito, introducendo così una sorta di scala di qualità, volta ad indirizzare gli intermediari verso gli strumenti con maggiore capacità di assorbimento delle perdite. Tale ragionamento spiegava la suddivisione tra strumenti di primo e di secondo livello. Gli strumenti inclusi nel Tier 1 e nel Tier 2 si differenziavano anche per il loro costo: nel Tier 2 erano comprese voci, come le passività subordinate e gli strumenti ibridi di patrimonializzazione, che comportavano oneri per interessi passivi. Il costo relativo ai componenti del Tier 1 era invece sostanzialmente connesso alla remunerazione degli azionisti. La diversa onerosità, così come la differente modalità di emissione degli strumenti, aveva indotto gli intermediari a preferire di volta in volta l’emissione di alcuni strumenti piuttosto che di altri, compiendo scelte basate più su valutazioni di mera opportunità, che sulla qualità degli strumenti.

1.2.1 I limiti di Basilea I

Nonostante il primo Accordo di Basilea fosse stato considerato di indiscussa valenza nella definizione delle regole sull’adeguatezza patrimoniale degli intermediari bancari e pur avendo il merito di aver individuato un metodo efficace ed immediato per determinare la dimensione minima del capitale bancario, i suoi limiti non tardarono a manifestarsi.

Essendo stato un primo tentativo volto a porre rimedio a problematiche molto complesse, erano apparse necessarie delle migliorie soprattutto in riferimento alla rigidità dei coefficienti di ponderazione stabiliti, nonché in relazione alla valutazione del solo rischio di credito ai fini della definizione del capitale da detenere.

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In merito al primo limite, ovvero alla rigidità e scarsa numerosità dei coefficienti di ponderazione da applicare alle attività soggette a rischio di credito, esso si rivelò in tutta la sua gravità nel momento in cui fece sorgere frequenti situazioni di arbitraggio regolamentare che, in vari casi, abbassarono notevolmente la qualità degli attivi bancari. Infatti avendo preso atto che il metodo di ponderazione delle attività soggette a rischio di credito comportava lo stesso assorbimento di capitale, sia a fronte della concessione di un finanziamento ad un cliente con elevato merito creditizio, sia a fronte del finanziamento di un cliente di scarsa solvibilità, numerosi intermediari furono indotti a concedere più prestiti di qualità inferiore, e quindi più rischiosi, o addirittura a dismettere i prestiti di maggiore qualità in ragione di una più cospicua remunerazione proveniente dai finanziamenti con un più elevato profilo di rischiosità. Dunque la normativa introdotta da Basilea I aveva spesso spinto gli intermediari verso attività con rischio effettivo superiore rispetto al requisito patrimoniale richiesto, perché economicamente più vantaggiose, e a cedere le attività con rischio effettivo inferiore, perché meno redditizie a parità di

requisito patrimoniale7.

Riguardo invece alla sola considerazione del rischio di credito ai fini della determinazione del patrimonio minimo di vigilanza, la consapevolezza di tale limite

indusse il Comitato ad emanare, nel 19968, un emendamento al primo Accordo volto

ad ampliare la gamma dei rischi soggetti a requisito patrimoniale attraverso la considerazione dei rischi di mercato. Il rischio di mercato venne definito come il rischio che la banca subisca una perdita in o fuori bilancio a seguito di variazioni sfavorevoli di fattori di mercato.

I fattori di mercato individuati dal Comitato erano quattro:

- Tassi di interesse

- Prezzi azionari

- Prezzi delle materie prime e delle commodity

- Tassi di cambio.

7 Gai L., Rossi F., “Basilea 2: possibili implicazioni per banche e imprese dall’analisi di un campione

di Pmi toscane”, Rivista Bancaria, n. 2/2003.

8 Basel Committee on Banking Supervision, Amendment to the Capital Accord to Incorporate

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Tale documento predispose due modi alternativi per il trattare tali rischi: una metodologia di calcolo standardizzata e una metodologia basata su modelli interni, soggetta ad autorizzazione dell’organo di vigilanza e subordinata al rispetto di requisiti organizzativi e quantitativi.

Il metodo standard utilizzava un “approccio a blocchi” dove il requisito patrimoniale veniva calcolato separatamente per ciascuna categoria di rischio (tassi di interesse, azioni, merci e valuta). Successivamente si sommavano le quattro misure e si otteneva il coefficiente patrimoniale a fronte del rischio di mercato. Inoltre gli intermediari erano tenuti a suddividere le posizioni a rischio in due categorie:

attività finanziarie in portafoglio di investimento (banking book9) e portafoglio di

negoziazione (trading book).

In alternativa, l’Accordo aveva previsto una seconda opzione ossia la possibilità di utilizzare modelli interni, ad esempio attraverso l’approccio del “Valore a Rischio”

(VaR10). Il Comitato non obbligava le banche a scegliere un modello specifico, ma si

limitava a definirne i requisiti richiesti. Nonostante l’introduzione dell’emendamento del 1996, rischi come quello operativo, di liquidità, legale o di reputazione non furono mai trattati in maniera esplicita dal primo impianto regolamentare sul capitale; l’Accordo infatti si limitava a considerarli implicitamente mediante l’applicazione di un coefficiente minimo dotato di un margine a copertura dei rischi non qualificati.

Oltre ai limiti appena menzionati, Basilea I non aveva considerato nemmeno le conseguenze relative al rischio di credito derivanti da diverse circostanze:

- grado di diversificazione del portafoglio prestiti: il primo Accordo non riconosceva il ruolo svolto dall’attività di diversificazione come fattore di mitigazione del rischio di credito;

- tempi di scadenza del prestito erogato: non veniva valutata l’eventualità che un’esposizione creditizia presentasse un grado di rischio diverso a seconda

9 Il termine di derivazione inglese (banking book) indica il portafoglio che contiene tutte le attività

finanziarie che la banca intende mantenere fino alla loro scadenza.

10 Definito X un certo livello di probabilità e N il numero di giorni, il valore a rischio è definito come

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della vita residua, mettendo sullo stesso piano prestiti a breve, media e lunga scadenza;

- esistenza di politiche e strumenti di risk mitigation: l’insufficiente riconoscimento a fini prudenziali di alcune tecniche di attenuazione del rischio condusse gli intermediari a non avere un’attenta prudente gestione del rischio.

I limiti sopra indicati portarono a numerose conseguenze che uniti al tangibile cambiamento del contesto operativo, contraddistinto dall’evoluzione dei mercati finanziari e dall’incrementata competitività a livello internazionale, indussero il Comitato ad avviare un processo di revisione con l’obiettivo di colmare le lacune che con il tempo erano emerse. Nel 1999 il Comitato approvò un documento consultivo che venne posto all’attenzione delle nazioni aderenti, delle relative associazioni bancarie e dei tecnici qualificati. Questa complessa opera di revisione portò nel giugno del 2004 all’approvazione da parte del Comitato di un nuovo accordo sul capitale, il New Basel Capital Accord (NBCA) o più semplicemente Basilea II.

1.3 Basilea II

La versione finale dell’Accordo venne approvata il 28 giugno 2004 e venne recepita a livello europeo attraverso due direttive: la Direttiva 2006/48/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 giugno 2006 relativa all'accesso all'attività degli enti

creditizi ed al suo esercizio11 e la Direttiva 2006/49/CE del Parlamento Europeo e

del Consiglio del 14 giugno 2006 relativa all'adeguatezza patrimoniale delle imprese

di investimento e degli enti creditizi12. A livello nazionale la normativa di vigilanza

è stata recepita con la circolare n. 263 del 27 dicembre 2006 della Banca d’Italia

11 Per maggiori informazioni, la suddetta direttiva può essere trovata nel sito web dell'Unione

Europea EUR-Lex:

http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1487717709580&uri=CELEX:32006L0048

12 Per maggiori informazioni, la suddetta direttiva può essere trovata nel sito web dell'Unione

Europea EUR-Lex:

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rubricata “Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche13”. In Italia

entrò in vigore in modo definitivo il primo gennaio 2008.

I contenuti del nuovo Accordo, non solo avevano permesso di superare i punti deboli evidenziati dalla precedente normativa, ma risultavano anche più adeguati all’evoluzione della gestione bancaria e dei rischi che gli intermediari finanziari dovevano affrontare.

Tra gli obiettivi perseguiti da Basilea II, si erano distinti:

- promuovere la sicurezza, la stabilità e l’efficienza del sistema bancario;

- fomentare la parità concorrenziale, diminuendo le differenze competitive tra

Paesi;

- introdurre una maggiore correlazione tra patrimonio e rischi, prevedendo un

sistema più completo e complesso proprio per la gestione dei rischi.

Basilea II, pur apportando molteplici fattori di novità, non si poteva considerare un intervento normativo che creava discontinuità con la precedente regolamentazione in quanto, rispetto a Basilea I, rimava saldo il principio cardine secondo il quale il capitale della banca doveva essere adeguato ai rischi assunti.

L’accordo di Basilea II veniva comunemente rappresentato come un’architettura normativa basata su “tre pilastri”:

1. Requisiti patrimoniali minimi 2. Controllo prudenziale

3. Disciplina di mercato

Il primo pilastro prevedeva che i requisiti minimi patrimoniali venissero calcolati utilizzando metodologie per la misurazione del rischio di credito e del rischio di mercato più sofisticati rispetto a quelle imposte dal Primo Accordo. La grande novità però era rappresentata dall’introduzione in maniera esplicita di un requisito

13 Per ulteriori informazioni, la suddetta circolare può essere trovata nel sito web della Banca

d’Italia: https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/normativa/archivio-norme/circolari/c263/Circolare_263_2006.pdf

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patrimoniale a fronte del rischio operativo14. In altre parole veniva ampliata la

gamma dei rischi per la ponderazione delle attività degli istituti di credito.

Per ciascun tipo di rischio era prevista la possibilità di impiegare non solo metodi di misurazione standard, come stabilito da Basilea I, ma anche di metodologie basate su modelli di calcolo sviluppati internamente dalle banche stesse.

Più in dettaglio, le metodologie previste erano: il metodo standard (Standardized

Approach) che era una versione modificata del metodo descritto nell’Accordo del

1988 e il metodo IRB (Internal Rating Based) che si basava sul sistema di rating interni della banca. Quest’ultimo poteva essere di due tipi: “IRB di base” o foundation e “IRB avanzato” o advanced. C’è da precisare che i metodi IRB presentavano un vantaggio non di poco conto: il definire un proprio sistema di valutazione dei rischi su misura della banca, comportava un assorbimento patrimoniale ai fini di vigilanza minore rispetto a quello che imporrebbe il metodo standard. L’argomento verrà approfondito nei capitoli seguenti.

Il secondo pilastro riguardava il processo di controllo prudenziale da parte delle Autorità di Vigilanza ed evidenziava l’importanza che quest’attività di controllo non si limitasse alla semplice verifica che le regole venissero rispettate ma che approfondisse, su base individuale, l’adeguatezza delle dotazioni patrimoniali e dei processi gestionali delle singole banche in relazione alle loro strategie. Le Autorità di Vigilanza, così facendo, acquisirono più potere discrezionale come ad esempio quello di imporre un aumento della copertura patrimoniale al di sopra della soglia minima imposta dalla legge, nel caso in cui essa, ai loro occhi, non fosse risultata

sufficiente, oppure quello di utilizzare rating15 esterni per la valutazione dei

debitori. Però a maggior potere discrezionale corrispondeva anche una maggior responsabilità da parte delle Autorità, perciò la tempestività dei loro interventi nel caso si fossero riscontrati dei problemi assunse molto più rilievo. Oltre a ciò, vennero introdotti ulteriori presidi volti a far fronte ad eventuali situazioni

14 Il rischio operativo è "il rischio di perdite derivanti dalla inadeguatezza o dalla disfunzione di

procedure, risorse umane e sistemi interni, oppure da eventi esogeni. Tale definizione include il rischio legale, ma non quelli strategico e di reputazione” , come definito dal Comitato di Basilea e la Vigilanza Bancaria, 2004.

15 Il rating è una valutazione sintetica, solitamente rappresentata in classi definite da lettere (AAA,

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congiunturali avverse legate all'ambiente in cui operano le banche: tra i più importanti troviamo il processo ICAAP (Internal Capital Adequacy Assessment

Process) in capo alle banche e il processo SREP (Supervisory Review and Evaluation Process) in capo alle Autorità di Vigilanza. Inoltre è qui che vennero considerati, oltre

ai rischi di primo pilastro, anche altri rischi che le banche dovevano individuare e misurare adeguatamente. In altre parole, la prospettiva adottata per il secondo pilastro risultava essere più ampia e più generale rispetto a quanto introdotto con il primo pilastro.

Il terzo pilastro, relativo alla disciplina di mercato, individuava una serie di requisiti di trasparenza informativa che consentissero agli operatori di mercato di essere correttamente tenuti al corrente sui rischi cui una banca è esposta e sull’allocazione di capitale che essa può vantare per fronteggiare tali rischi. Il principio seguito era proprio quello secondo il quale dovesse essere il mercato stesso a disciplinare l’operato delle banche e per farlo era necessaria una certa trasparenza informativa. Infatti il terzo pilastro di Basilea II prevedeva la pubblicazione di una serie di tavole informative contenenti notizie relative ai risultati economici, alla struttura finanziaria, alle strategie adottate nella gestione dei rischi, all’esposizione ai vari fattori di rischio, alle politiche contabili adottate e alla corporate governance. Ogni tavola prevedeva una parte qualitativa descrittiva e una quantitativa numerica.

Basilea II, attraverso l’introduzione di questi tre pilastri sopra citati, ha attributo la giusta rilevanza al ruolo che ha il risk management come strumento essenziale e necessario per la tutela delle risorse patrimoniali della banca.

1.3.1 I limiti di Basilea II

Nonostante una rinnovata struttura normativa ricca di indiscutibili migliorie e una maggior considerazione del risk management, Basilea II non è riuscito a rimanere indenne da critiche. Le lacune riscontrate infatti, sono state rese ancora più evidenti dalla crisi finanziaria internazionale del 2007 innescata negli Stati Uniti dal crollo dei mutui subprime.

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Una delle maggiori criticità emerse da Basilea II era la disparità di trattamento che si creava tra banche di diverse dimensioni. Le metodologie previste per la misurazione del rischio di credito e del rischio operativo si basavano sul grado di sofisticazione adottato, che inevitabilmente dipendeva dalle risorse che una banca poteva disporre per sviluppare i propri metodi interni per la gestione dei rischi. Perciò le banche di medie e grandi dimensioni potevano contare su modelli propri per la stima dei rischi e ciò comportava ad un vantaggio non di poco conto, in quanto i requisiti patrimoniali imposti dai metodi base erano generalmente più prudenti e di conseguenza più stringenti. Furono sollevate critiche anche circa le modalità di stima del singolo rischio operativo limitatamente all’approccio base e standardizzato, in quanto la copertura patrimoniale veniva commisurata al margine di intermediazione. Si ipotizzava infatti che ad una banca con un più elevato margine di intermediazione fosse correlato inevitabilmente anche un maggior rischio operativo. In questo modo si prescindeva completamente dalla valutazione della bontà dei presidi adottati dalla banca per prevenire e fronteggiare tale rischio, di fatto disincentivandone lo sviluppo.

Un secondo limite è emerso a livello strutturale e riguarda “l’effetto prociclicità” ovvero un’accentuazione delle fluttuazioni del ciclo economico all’alternarsi delle fasi congiunturali. Nel momento in cui si verifica una crisi economica, la riduzione

del valore di un asset, stimato secondo i criteri contabili del mark-to-market16,

obbliga le banche ad una svalutazione con rispettive ripercussioni sugli attivi patrimoniali e sui requisiti regolamentari ad essi correlati, di norma più stringenti. Le banche per riportarsi a livelli patrimoniali adeguati sono obbligate a ridimensionare le attività ponderate o a raccogliere capitale presso gli azionisti. Entrambi i casi, in un periodo di crisi, implicherebbero un aggravio della situazione economica provocato dall’ulteriore depressione nel valore degli asset (a causa delle vendite forzate avviate dalle banche nel tentativo di ridurre le attività pesate per il rischio) o dall’aumento di capitale in un contesto di mercato sfavorevole.

Un’altra enorme debolezza riguardava il fatto che i presidi imposti da Basilea II si focalizzassero soprattutto sulla tutela dal rischio di insolvenza, non ponendo

16Con mark-to-market si intende il criterio di valutazione tramite il quale il valore di uno strumento

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adeguata attenzione ai problemi di liquidità e, più in generale, trascurando il livello di leva finanziaria assunta da numerose banche internazionali. Non a caso, due delle cause preponderanti del fallimento della Lehman Brothers del 2008 furono proprio la liquidità e il leverage.

Un’ulteriore critica avanzata all’approccio utilizzato dal Comitato era la mancanza

di considerazione,nel calcolo del rischio di credito, dell’effetto della correlazione tra

le posizioni in portafoglio. In altre parole, non venivano tenuti conto i benefici di una diversificazione o gli svantaggi di una concentrazione nel computo del capitale necessario a fronte di una data esposizione.

Inoltre è emersa una crescente difficoltà nella sorveglianza delle banche di grandi dimensioni che si erano dotate di propri sistemi di misurazione dei rischi molto complessi da comprendere da parte delle Autorità di Vigilanza, le quali sottovalutarono altresì il rischio sistemico legato alla forte interconnessione tra gli intermediari finanziari.

È innegabile che la crisi finanziaria abbia messo in evidenza alcune lacune e alcuni punti deboli di Basilea II, ma nonostante ciò l’Accordo non può essere considerato come capro espiatorio del crollo avvenuto tra il 2007 e il 2008. All’epoca dei fatti, per l’appunto, Basilea II era ancora in procinto di applicazione: non solo ha trovato maggiori margini di attuazione a partire dal 2008, a crisi già iniziata, ma è stata applicata negli Stati Uniti, origine della crisi, a partire dal 2009 e solo ad un numero

ridotto di intermediari.17 Si noti infatti come Northern Rock, Bear Stearns e Lehman

Brothers, ad esempio, non applicarono Basilea II ed ugualmente ebbero un ruolo di

assoluto rilievo nella crisi finanziaria.

Nel periodo successivo alla crisi, più precisamente a partire dal 2009, l’UE decise di modificare la CRD attraverso una serie di direttive.

La prima variazione, conosciuta come CRD II, si verificò con il recepimento della direttiva 2009/111/CE, facente parte delle altre due direttive 2009/27/CE e 2009/83/CE.

17 “L’imputato (ossia Basilea 2) ha un alibi di ferro: il giorno del delitto lui non c’era”.

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Con la CRD II vennero fissati nuovi criteri per decidere l’ammissibilità degli strumenti ibridi di capitale nel patrimonio di vigilanza e vennero sviluppate nuove

regole relative alla gestione delle grandi esposizioni e delle cartolarizzazioni18.

La seconda correzione, denominata CRD III, invece rese più stringenti gli obblighi di comunicazione informativa al fine di accrescere la fiducia del mercato e rafforzò i requisiti patrimoniali per il portafoglio di trading.

1.4 Basilea III

Le gravi debolezze osservate in Basilea II, rese ancor più evidenti dallo scoppio della crisi finanziaria del 2007, hanno spinto il Comitato ad avviare un ampio processo di rivisitazione e aggiornamento dello schema regolamentare.

La crisi, infatti, evidenziò il fatto che l’imposizione di vincoli più rigorosi non fosse sufficiente ad evitare il verificarsi di situazioni di crisi nel settore bancario, poiché in situazioni patologiche, come appunto quella vissuta nel 2007, queste norme non solo non aiutavano a ridurre le eventuali perdite che avrebbero potuto generarsi, ma creavano dei meccanismi che non facevano altro che aggravare tali situazioni. Le prime correzioni avvennero nel 2009 e andarono a toccare il quadro regolamentare per i rischi di mercato. Con il nuovo documento, conosciuto come

Basilea II.519, vennero resi più stringenti i requisiti a fronte del rischio di mercato e

venne definita una serie di nuove regole prudenziali per il portafoglio di negoziazione. Inoltre l’attività di controllo venne ampliata in ambiti quali la governance, la concentrazione dei rischi e le politiche di remunerazione dell’alta direzione.

Nel dicembre 2010 il Comitato pubblica, dopo averlo annunciato, il nuovo framework conosciuto come Basilea III. Quando si parla di Basilea III si fa riferimento a due documenti: “Basilea 3 - Schema di regolamentazione

internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari20” e “Basilea

18 L’operazione di cartolarizzazione è il processo di conversione di attività a liquidabilità differita in

strumenti cartolari ossia in titoli negoziabili e liquidabili sul mercato.

19 Basel Committee on Banking Supervision, Enhancements to the Basel II Framework, Bank for

International Settlements, July 2009.

20 Per maggiori informazioni si veda il documento della Bank for International Settlement, Comitato

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3 - Schema internazionale per la misurazione, la regolamentazione e il monitoraggio

del rischio di liquidità21”; entrambi vennero recepiti a livello europeo attraverso il

pacchetto normativo, noto come “CRD IV Package”. Il CRD IV Package, approvato il 20 giugno 2013 dal Consiglio dell’Unione Europea a maggioranza qualificata con il solo voto contrario della Gran Bretagna, è costituito dalla direttiva 2013/36/UE del

26 giugno 2013, la CRD - Capital Requirements Directive22, e dal regolamento UE

n.575/2013 del 26 giugno 2013, il CRR - Capital Requirements Regulation23.

A livello nazionale la normativa di vigilanza è stata recepita con la circolare n. 285 del 17 dicembre 2013 della Banca d’Italia rubricata “Disposizioni di vigilanza per le

banche”24 ed entrò in vigore il primo gennaio 2014.

Quest’ulteriore riforma degli accordi del Comitato di Basilea era volta a rafforzare la capacità delle banche di assorbire shock derivati da tensioni finanziarie ed economiche, indipendentemente dalla loro origine, a migliorare la gestione del rischio e la governance, nonché a rafforzare la trasparenza e l’informativa delle banche stesse.

Inoltre Basilea III focalizza l’attività di vigilanza in una duplice prospettiva: macroprudenziale, ovvero riferita all’intero sistema finanziario nel suo insieme e microprudenziale, ossia rivolta ai singoli intermediari.

Nel fare ciò il Comitato di Basilea ha mantenuto un approccio basato sui tre pilastri, che era alla base del precedente Accordo sul capitale, integrandolo e rafforzandolo per accrescere quantità e qualità della dotazione di capitale degli intermediari

rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari”, dicembre 2010 (aggiornamento al giugno 2011),

all'indirizzo: http://www.bis.org/publ/bcbs189_it.pdf

21 Per maggiori informazioni si veda il documento della Bank for International Settlement, Comitato

di Basilea per la vigilanza bancaria, “Basilea 3 - Schema internazionale per la misurazione, la

regolamentazione e il monitoraggio del rischio di liquidità”, dicembre 2010, all'indirizzo:

http://www.bis.org/publ/bcbs188_it.pdf

22 Per ulteriori informazioni, la suddetta direttiva può essere trovato nel sito web dell'Unione

Europea EUR-Lex:

http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=uriserv:OJ.L_.2013.176.01.0338.01.ITA&toc=OJ:L:2013:176:TOC

23 Per ulteriori informazioni, il suddetto regolamento può essere trovato nel sito web dell'Unione

Europea EUR-Lex:

http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=uriserv:OJ.L_.2013.176.01.0001.01.ITA&toc=OJ:L:2013:176:TOC

24 Per ulteriori informazioni, la suddetta circolare si può trovare nel sito web della Banca d’Italia:

https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/normativa/archivio-norme/circolari/c285/Circ_285_19_Aggto_Testo_integrale.pdf (19° aggiornamento - 2 novembre 2016)

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finanziari, nonché introducendo strumenti di vigilanza anticiclici, regole sulla gestione del rischio di liquidità e sul contenimento della leva finanziaria.

Più nel dettaglio, per quanto concerne il primo pilastro, con Basilea III viene data una nuova definizione di patrimonio di vigilanza e sui relativi requisiti, puntando su un miglioramento della qualità, della coerenza e della trasparenza. Si attua un rafforzamento della copertura dei rischi all’interno del complessivo sistema dei controlli attraverso migliorie nell’analisi del rischio con riferimento al trading book, alle operazioni di cartolarizzazione e alla qualificazione del rischio di controparte derivante da alcune tipologie di operazioni come i derivati o i pronti contro termine. Viene introdotto un nuovo coefficiente denominato leverage ratio ovvero indice di leva finanziaria, al fine di arginare un'elevata leva finanziaria che potrebbe dimostrarsi estremamente pericolosa per le banche e per l’intero sistema bancario. Il rischio di liquidità assume più rilevanza in quanto vengono imposti nuovi criteri per la sua gestione e supervisione, sia a livello di singola banca che a livello di sistema globale. A tal proposito, vengono introdotti due nuovi indicatori, uno di breve termine, il Liquidity Coverage Ratio (LCR) e uno strutturale di lungo termine, il Net Stable Funding Ratio (NSFR), i quali verranno descritti con maggior precisione nei capitoli seguenti.

Per quanto riguarda il secondo pilastro, si vuole dare maggior attenzione ai sistemi di controllo e agli assetti di governo societario delle banche, in modo da favorire la loro stabilità e quella del sistema finanziario. Infatti alcuni dei nuovi requisiti concernono proprio la governance, le corrette prassi di remunerazione, incentivi per una migliore gestione del rischio e dei rendimenti di lungo periodo, prove di stress, criteri contabili per gli strumenti finanziari e collegi dei supervisori.

Infine, riguardo la disciplina di mercato ossia il terzo pilastro, viene richiesta una migliore informativa sulle caratteristiche dettagliate delle componenti del patrimonio di vigilanza e sul loro raccordo con le poste del bilancio di esercizi, compresa una spiegazione esaudiente delle modalità di calcolo dei coefficienti patrimoniali regolamentari. Viene imposta inoltre maggior trasparenza alle informazioni sulle esposizioni verso cartolarizzazioni e alla sponsorizzazione di veicoli fuori bilancio.

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1.4.1 La nuova definizione di capitale e i buffer

Una delle principali innovazioni introdotte da Basilea III è senza dubbio il miglioramento della qualità, della coerenza e della trasparenza del patrimonio di vigilanza. Come già detto in precedenza, il patrimonio di vigilanza è un aggregato composto da un patrimonio base (Tier 1) e da un patrimonio supplementare (Tier

2) che consente alla banca di coprire i rischi (di credito, di mercato, di controparte e

operativi). Il rafforzamento patrimoniale si concretizza sulla ridefinizione della nozione di capitale di vigilanza e la composizione dei suoi elementi. Il patrimonio resta suddiviso nelle due categorie già conosciute, ma vengono modificate le soglie regolamentari e la qualità che gli elementi costitutivi devono possedere:

1. Tier 1 o Patrimonio di base: è il capitale destinato ad assorbire le perdite in condizioni di continuità d’impresa (ongoing concern). La soglia minima da rispettare è pari al 6% delle attività ponderate per il rischio e il patrimonio è suddiviso in due categorie:

a. Patrimonio di qualità primaria (Common Equity Tier 1 - CET1): è composto dagli strumenti di maggior qualità posseduti dalla banca. Rientrano in questa classe le azioni ordinarie emesse dalla banca, le riserve di utili, le riserve di valutazione e altre riserve palesi. Questa categoria doveva essere pari o superiore al 4,5% delle attività ponderate per il rischio.

b. Tier 1 aggiuntivo: è composto approssimativamente da tutti gli strumenti emessi dalla banca che soddisfano i criteri di computabilità

nel Tier 1 aggiuntivo25 ma che non rientrano nel CET1.

2. Tier 2 o Patrimonio supplementare: è il capitale adibito ad assorbire le perdite in caso di crisi (gone concern).

25 Un elenco completo dei criteri di computabilità delle componenti nel Tier 1 aggiuntivo è

disponibile a pagina 16 di Basilea 3 – Schema di regolamentazione internazionale per il

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Il patrimonio di vigilanza totale, ottenuto dalla somma tra patrimonio di base e supplementare, deve essere pari ad almeno l’8% delle attività ponderate per il rischio.

Inoltre il Comitato aggiunge ai requisiti patrimoniali appena visti dei buffer, ossia dei cuscinetti di capitale da utilizzare in caso di crisi o necessità. Infatti una delle critiche mosse all’impianto di Basilea II era rappresentata dalla prociclicità, in virtù della quale nei periodi di espansione si riduce la percezione di rischio e di conseguenza la dotazione di capitale necessaria per fronteggiare i rischi, ponendo le basi per una crescita eccessiva delle posizioni di credito e quindi per l’avvio di una crisi. Al contrario, durante le recessioni, l’aumento della percezione del rischio porta a minori concessioni di finanziamento in ragione della maggiore richiesta di capitale ad esse connessa. Per questo motivo, creare un sistema anticiclico basato su tecniche previsionali delle perdite attese contribuisce a mantenere maggior stabilità riducendo gli shock economici e finanziari. A tal proposito l’Accordo prevede un

buffer di conservazione del capitale e un buffer anticiclico.

• Buffer di conservazione del capitale (Capital Conservation Buffer – CCB): ha l’obiettivo di preservare i livelli minimi di capitale regolamentare in fasi di turbolenza finanziaria, attraverso l’accantonamento di risorse patrimoniali di elevata qualità in periodi finanziariamente favorevoli, ossia non caratterizzati da tensioni di mercato. La quota di capitale riservata a questo scopo deve essere composta di Common Equity ed è fissata al 2.5% delle attività ponderate per il rischio. Sebbene alle banche sia consentito di utilizzare questo cuscinetto durante i periodi di stress, appena i livelli di capitale dovessero avvicinarsi ai requisiti minimi, ossia appena il margine dovesse esaurirsi, potrebbero scattare per la banca maggiori vincoli sulla distribuzione degli utili. Ci si aspetta pertanto che le istituzioni soggette a Basilea III abbiano come scopo quello di detenere non tanto i livelli di capitale che eccedano i minimi previsti, quanto piuttosto i requisiti minimi più il CCB. • Buffer di capitale anticiclico (Counter Cyclical Capital Buffer - CCCB): viene imposto quando le Autorità di vigilanza ritengono che ci sia una crescita eccessiva del credito, tale da produrre un accumulo intollerabile di rischio

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sistemico. Anch’esso è costituito da Common Equity o altri strumenti in grado di assorbire perdite in misura compresa tra lo 0 e il 2.5% delle attività ponderate per il rischio.

Nella Tabella 1.3 vengono riassunti i requisiti patrimoniali inclusi i buffer, espressi come percentuali delle attività ponderate per il rischio.

Tabella 1.3 - Requisiti patrimoniali e buffer in Basilea III

Fonte: "Basilea 3 – Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari", Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria.

Le fasi di applicazione dei requisiti patrimoniali presenti in Basilea III con decorrenza dal primo di ogni anno sono presentati in Tabella 1.4.

Tabella 1.4 - Fasi di applicazione Basilea III

Fonte: Basilea 3 – Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari, Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria.

Come era stato previsto per i precedenti Accordi, anche per Basilea III l’introduzione delle nuove norme, più precisamente l’adeguamento ai requisiti patrimoniali e ai buffer, avverrà in maniera progressiva negli anni, dando così il tempo alle banche di

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organizzarsi efficacemente. Come mostrato dalla precedente Tabella 1.4, gli incrementi delle soglie minime di Common Equity e di capitale Tier 1 saranno introdotti nell’arco di due anni a partire da gennaio 2013, così da raggiungere la piena applicazione nel gennaio 2015. Successivamente verrà attuato un programma triennale di graduale inserimento del buffer di conservazione di capitale a partire da gennaio 2016, arrivando al 2.5% previsto a Basilea III entro gennaio 2019. Le Autorità di vigilanza si preservano comunque il potere di prevedere periodi di transizione più brevi, nel caso in cui ritenessero ci fosse un’espansione creditizia notevole.

1.4.2 Gli indicatori di liquidità

L’esperienza derivante dalla crisi del 2007 e dai molteplici fallimenti di banche che, per l’appunto, finanziavano i propri attivi a medio-lungo termine mediante l’indebitamento sull’interbancario, ha fatto riscoprire uno dei più rilevanti rischi che le banche hanno sempre sottovalutato e che devono assolutamente saper gestire in maniera adeguata, ossia il rischio di liquidità. L’incapacità di far fronte ai propri impegni può infatti minare la stabilità di banche solvibili ma illiquide, con effetti devastanti per tutto il sistema.

Già in precedenza diversi organismi internazionali avevano presentato documenti

che trattavano la gestione del rischio di liquidità26. Ne è un esempio il testo

“Principles for Sound Liquidity Risk Management and Supervision" elaborato dal Comitato di Basilea nel 2008, i cui principi sono ancora validi tuttora.

26 Uno dei primi organismi a proporre delle regole in materia di vigilanza e gestione del rischio di

liquidità è stato il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, che nel settembre 2008 ha pubblicato "Principles for Sound Liquidity Risk Management and Supervision - final document", seguito nel dicembre 2009 da "Management International framework for liquidity risk measurement,

standards and monitoring - consultative document". Anche il Comitato delle autorità europee di

vigilanza bancaria si era espresso in materia di rischio di liquidità nell’agosto 2007 con "First part

of CEBS’s technical advice to the european commission on liquidity risk management", seguito nel

settembre 2008 da "CEBS’s technical advice on liquidity risk management (second part)". Nel dicembre 2009 ha pubblicato inoltre "CEBS Guidelines on Liquidity Buffers" e nell’ottobre 2010 "CEBS guidelines on liquidity cost benefit allocation".

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Basilea III, proprio a tutela della situazione di liquidità delle banche, ha previsto l’introduzione di due nuovi presidi specifici e complementari con orizzonti temporali differenti:

1. Liquidity Coverage Ratio (LCR): è un indicatore di liquidità di breve termine ed impone la detenzione di attività liquide di elevata qualità in modo tale da garantire una normale operatività della banca a fronte di uno scenario di stress sul mercato della liquidità per un periodo di 30 giorni. Lo scenario di stress comprende eventi significativi ma non catastrofici, quali ad esempio il declassamento del rating della banca, il prelievo di parte dei depositi o la riduzione della raccolta non garantita. Il Comitato di Basilea definisce in maniera univoca per tutti i Paesi sia i fattori di rischio, sia il grado di severità che deve avere lo scenario di stress. I principali fattori di stress dei cash flow sono la raccolta e l’utilizzo delle linee di credito. È prevista inoltre una certa discrezionalità nazionale esercitata dalle autorità di vigilanza, ma solo in senso peggiorativo. Anche le attività di elevata qualità sono definite dal Comitato di Basilea, devono essere non vincolate e facilmente liquidabili anche in periodi non favorevoli e sono suddivise in due livelli. Le risorse di primo livello comprendono il contante, i titoli di Stato e le riserve presso la Banca Centrale e possono essere detenute illimitatamente, mentre quelle di secondo livello sono gli high quality corporate bond e i covered bond, utilizzabili però solo fino al 40% del totale.

Il LCR è definito in formula come:

2. Net Stable Funding Ratio (NSFR): è invece un indicatore strutturale di più

lungo termine volto a segnalare squilibri di liquidità e ad evitare un eccessivo mismatching di scadenze con una conseguente eccessiva rotazione del passivo rispetto alla struttura dell’attivo. L’introduzione del NSFR deriva dall’esigenza di garantire una struttura equilibrata tra poste

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attive e passive di bilancio fino all’orizzonte temporale di un anno, incentivando le banche a utilizzare fonti di approvvigionamento stabili. La disuguaglianza da rispettare è:

Le principali componenti stabili di provvista sono il Tier 1 e Tier 2, la componente stabile di raccolta a vista e i depositi con scadenza maggiore di un anno. La raccolta interbancaria con scadenza entro l’anno non viene considerata una fonte stabile. L’ammontare obbligatorio di provvista stabile, invece, si ottiene dalla somma delle attività detenute dalla banca moltiplicate per un fattore deciso dalle Autorità di vigilanza.

Prima dell’applicazione, per entrambi gli indicatori è stato previsto un periodo di osservazione iniziato nel 2011. L’implementazione dell’indicatore LCR è avvenuta il 1 gennaio 2015 mentre il NSFR verrà applicato entro il 1 gennaio 2018. Inoltre il Comitato di Basilea, per agevolare le banche, ha stabilito che il valore minimo del LCR da mantenere non sarà fissato fin da subito al 100% ma partirà dal 60% dal 1 gennaio 2015 per arrivare gradualmente al 100% nel gennaio 2019.

Infine lo schema per la liquidità previsto da Basilea III comprende un insieme comune di strumenti per il monitoraggio per assistere le Autorità di vigilanza nell’individuazione e nell’analisi del rischio di liquidità, sia a livello di singola banca sia a livello di sistema.

1.4.2.1Il Leverage Ratio (LR)

Come parte integrante dei coefficienti patrimoniali previsti dal Primo Pilastro, Basilea III introduce un nuovo indice denominato leverage ratio, ovvero indice di leva finanziaria. L’esigenza di tale nuovo coefficiente ha l’evidente obiettivo di evitare aggiramenti della normativa che consentano di incrementare le esposizioni di rischio mediante investimenti in attività che, da un punto di vista regolamentare, ricevono un trattamento privilegiato (per esempio, una bassa ponderazione ai fini

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del calcolo dell’aggregato RWA) rispetto al loro rischio effettivo. Questo indice viene definito in generale come il rapporto tra il capitale netto della banca e il totale dell’esposizione ed è considerato come un vincolo esplicito, ossia non ponderato per il rischio. Lo scopo perseguito dall’applicazione di questo nuovo indice è duplice: da una parte impedisce un aumento eccessivo degli attivi bancari nei cicli economici espansivi, dall’altra sopperisce alle mancanze delle metodiche basate sul rischio, promuovendo così un incremento della qualità del patrimonio di vigilanza.

L’indice, in via sperimentale da gennaio 2013 a gennaio 2017, prevede un livello minimo di Tier 1 non risk-based, fissato al 3% e dovrebbe entrare a regime a partire dal 1 gennaio 2018.

In formula:

1.4.3 Il trattamento delle SIFIs

Gli intermediari “sistematicamente rilevanti” o meglio SIFIs sono comunemente noti come operatori “too big to fail”, ovvero intermediari con interessi cross-border troppo rilevanti e di dimensioni troppo elevate rispetto alle capacità di intervento dei governi dei Paesi d’origine per poter fallire. La riforma coordinata dal Financial

Stability Board27, mira a definire un framework in cui sia più stabile la capacità di

tali intermediari di assorbire perdite ingenti e, nel caso estremo, rendere possibile e fattibile anche l’eventuale opzione della loro liquidazione. Per fare ciò è necessario ridurre sia la probabilità di un loro fallimento, sia i costi associati a questo evento che gli Stati dovrebbero affrontare.

A tal proposito per le istituzioni rilevanti su scala globale (G-SIFIs) è stata prevista una dotazione di capitale più elevata rispetto agli altri intermediari, che potrà variare tra l’1% e il 2.5% delle attività ponderate per il rischio in funzione del loro

27 Il Consiglio per la stabilità finanziaria (in inglese Financial Stability Board) è un organismo

internazionale il cui compito è monitorare il sistema finanziario mondiale. In tale organismo sono rappresentati tutti i paesi del G20 (rappresentati sia dai propri governi che dalle rispettive banche centrali), Spagna e Commissione europea, oltre che a Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia, Corea, Messico, Russia, Arabia Saudita, Sud Africa e Turchia.

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grado di “rilevanza sistemica”. Il Comitato di Basilea ha infatti sviluppato una serie di indicatori volti a valutare la rilevanza delle G-SIB in base alla dimensione, alla interconnessione, alla sostituibilità come operatori di mercato e fornitori di servizi, l’operatività internazionale e la complessità. Successivamente sulla base di queste valutazioni, le banche vengono suddivise in classi, a cui vengono assegnati i diversi requisiti addizionali di assorbimento delle perdite. A ciò si aggiungerà un regime di controlli più stringente rispetto a quello destinato alle altre banche.

È sempre in capo al Comitato il compito di stilare una lista delle G-SIFIs che verrà

aggiornata ogni anno dal FBS. Inizialmente le G-SIFIs erano 2928 tra cui una banca

italiana, Unicredit.

L’entrata in vigore di questo pacchetto di norme avverrà gradualmente a partire dal 2016 per essere pienamente operativo all’inizio del 2019.

1.5 I rischi a livello normativo

Come già detto in precedenza, il lungo periodo di crisi economico-finanziaria ha evidenziato diversi punti deboli all’interno del quadro regolamentare e ha messo a dura prova l’adeguatezza dei sistemi soprattutto riguardo la gestione dei rischi. Con Basilea III, il risk management assume un ruolo ancor più rilevante, tanto che ai sensi della CRD IV-CRR i rischi vengono “mappati” e suddivisi in rischi di primo pilastro ed altri rischi.

I rischi di primo pilastro sono fondamentalmente:

• rischio di credito (che comprende anche il rischio di controparte29);

• rischio di mercato; • rischio operativo.

28 Bank of America, Bank of China, Bank of New York Mellon, Banque Populaire CdE, Barclays, BNP

Paribas, Citigroup, Commerzbank, Credit Suisse, Deutsche Bank, Dexia, Goldman Sachs, Group Credit Agricole, HSBC, ING Bank, JP Morgan Chase, Lloyds Banking Group, Mitsubishi UFJ FG, Mizuho FG, Morgan Stanley, Nordea, Royal Bank of Scotland, Santander, Société Générale, State Street, Sumitomo Mitsui FG, UBS, Unicredit Group, Wells Fargo.

29 Il rischio di controparte è il rischio che la controparte di un’operazione risulti inadempiente

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1.5.1 Il rischio di credito

Il rischio di credito costituisce il cuore del risk management dal momento che lo stesso assorbe gran parte del capitale delle banche.

“Il rischio di credito è identificato con la possibilità che alcune delle controparti

affidate da un intermediario non siano in grado di ripagare in tutto o in parte i crediti

ricevuti30”.

In altre parole, il rischio di credito è il rischio di incorrere in perdite derivanti dalla possibilità che una controparte non sia in grado di adempiere ai relativi impegni. È chiaro perciò che il rischio di insolvenza sia un fenomeno fisiologico svolgendo l’attività bancaria. La banca quindi, anche in relazione alla dimensione del proprio portafoglio crediti, deve prevedere le perdite; il rischio di credito consiste dunque nello scostamento che può avvenire tra le perdite riscontrate e quelle attese.

La normativa di vigilanza introdotta da Basilea II e confermata successivamente da Basilea III prevede che la valutazione del rischio di credito e la definizione dei coefficienti di ponderazione per quantificare le attività ponderate per il rischio avvenga attraverso due metodi di calcolo alternativi: il metodo standardizzato (Standardized Approach) e il metodo basato sui rating interni (Internal Rating Based

o IRB), a sua volta suddiviso in un metodo IRB di base o “foundation” e IRB avanzato

o “advanced”.

Il metodo standardizzato consiste in una versione aggiornata del metodo previsto dall’Accordo di Basilea del 1988 per il rischio di credito, in base al quale a diverse tipologie di controparti erano assegnati differenti coefficienti di ponderazione. Tuttavia, allo scopo di migliorare la sensibilità al rischio, nel nuovo schema di Basilea III sono introdotte specificatamente le valutazioni esterne sul merito creditizio assegnate alle singole controparti da società specializzate note come

External Credit Assessment Istitutions o ECAI. Questo metodo infatti, viene

implementato soprattutto da banche di minori dimensioni che non sono dotate di risorse tali da permettere loro di sviluppare modelli di misurazione del rischio di credito sufficientemente sofisticati. In questo modo, il concreto rischio di credito effettivamente sopportato dalla banca e il conseguente assorbimento patrimoniale

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