• Non ci sono risultati.

La crisi dei luoghi maschili di identità. Che ne è della salute degli uomini?

La mobilità sociale, la crisi di culture e grandi narrazioni su cui si costruiva coesione socia-le, la trasformazione dei lavori e dei luoghi della socialità hanno “colpito al cuore” i percor-si di costruzione dell’identità maschile.

Il lavoro, nella sua accezione più ampia di esperienza di socialità, capacità di trasformazio-ne della natura, di costruziotrasformazio-ne di saperi condivisi, di luoghi collettivi, di produziotrasformazio-ne di risor-se e ricchezza, di fondazione di identità sociali e di appartenenze, ma anche come strumen-to di verifica del proprio ruolo basastrumen-to sul portare i soldi a casa, di austrumen-tonomia personale, ha rappresentato per gli uomini una dimensione decisiva.

La nuova precarietà e frammentazione del lavoro per gli uomini mette dunque in discussio-ne la loro stessa funziodiscussio-ne sociale. Credo che questo disagio abbia accompagnato processi di trasformazione del nostro paese producendo una specifica “tensione” spesso ignorata nella lettura politica ed economica che se ne è fatta. Penso alla condizione dei cassintegrati delle grandi fabbriche a partire dagli anni ottanta con la perdita del lavoro e la costrizione a stare in casa, magari con una moglie che lavora, penso alla grande urbanizzazione e alla

migra-53

Il silenzio del corpo e la costruzione sociale della mascolinità

2 Dopo aver utilizzato con una certa titubanza la metafora della protesi per rappresentare la radice di costruzioni maschi-li, trovo nel libro di Lea Melandri la citazione di un brano di Pietro Barcellona che utilizza proprio la metafora della ridu-zione del mondo a una grande protesi del soggetto (P. Barcellona Il capitale come puro spirito Editori Riuniti, Roma, 1990).

3 Tra le differenti prospettive teoriche ed esistenziali che fanno riferimento al femminismo, la metafora del cyborg ha rap-presentato uno strumento creativo nella prospettiva liberatoria e trasformatrice proposta da Donna Haraway (1995).

Rispetto alla nostra riflessione sul maschile, la metafora del cyborg sembra offrire uno strumento concettuale fecondo per indagare la difficoltà maschile di corrispondere al proprio corpo, alle sue rappresentazioni, e le risposte che si sono cultu-ralmente determinate. Cyborg come fusione tra cibernetica scienza del controllo dei sistemi, vivi o non-vivi, fondata nel 1948 dal matematico americano Norbert Wiener, e organismo. Il significato etimologico della parola “cibernetica” - “arte del guidare e del pilotare” “azione di manovrare un vascello, di governare” (dal Greco “Kubenêsis”) - pone l’accento sul-l’idea di controllo e programma.

zione dal mezzogiorno al nord negli anni ’50 e ’60, alla scolarizzazione di massa, alla fram-mentazione della grande fabbrica.

Non si tratta di semplice frustrazione, ma di una condizione percepita come capace di mina-re un’identità.

Oggi questa dinamica è in grande trasformazione, ma per generazioni di uomini costruire una posizione sociale per i propri figli, costruire sul lavoro una lettura del mondo e della società è stato tutt’uno con la propria idea di sé come uomini: idea che entra in crisi quando con la perdita del lavoro resta la donna a garantire un reddito o quando i propri saperi diven-gono obsoleti o non significanti per la costruzione di categorie interpretative della realtà dei propri figli.

I casi di cronaca di uomini che, perso il lavoro e incapaci di adempiere al dovere di man-tenimento della famiglia, giungono all’uccisione dei propri familiari e al suicidio parla-no di questa intima relazione tra perdita del lavoro e distruzione della propria identità sessuata.

Un caso che si potrebbe dire “estremo” di cortocircuito tra perdita di una collocazione socia-le e culturasocia-le certa e perdita di identità sessuata lo racconta Thar Ben Jalloun (1999) in un libro dove questa crisi giunge a scavare nei corpi di immigrati magrebini in Francia, per i quali l’impotenza diventa il segno concreto di una crisi più generale per lo sradicamento che li colloca in un universo culturale e una socialità estranei.

Di essi vengono proposte e diffuse immagini terrificanti: il razzismo comune fornisce dei lavoratori immigrati l’immagine di una violenza sessuale che può appagarsi soltanto nella perversione, nello stu-pro e nel crimine. Da molto tempo si fa credere che i neri e gli arabi siano dotati d’una potenza ses-suale straordinaria e ciò rappresenta per l’europeo una sfida alla sua virilità […][eppure] Degli uomi-ni emigrano. Durante la loro permanenza all’estero, alcuuomi-ni di loro diventano, a un certo momento, ses-sualmente impotenti […] Il capitalismo vuole degli uomini anonimi (al limite astratti), svuotati dei loro desideri, ma pieni della loro forza lavoro […]

Ciò che è allora paradossale, è il fatto che la stampa razzista diffonda in tal modo l’immagine di un continuo pericolo sessuale per la tranquilla famiglia francese […]

La disorganizzazione della personalità (per esempio, turbe affettive e sessuali) va di pari passo con l’as-senza di strutturazione nella società d’origine, soprattutto quando, in quest’ultima, la tendenza al con-solidamento delle tradizioni è rafforzata da correnti integraliste…

Quando sono arrivato in Francia, ero forte e in buona salute. Ci ero venuto uomo, con una forte vita tra le gambe. Il mio sesso era forte e grande…scopavo tutto. Nessun rifiuto. Ma adesso come sono ridot-to? Una povera cosa. Non sono più uomo. Diventerò come una donna, che vergogna! Che decadenza.

Oppure un pederasta. Io, un pederasta a dar via il culo! Io che mi scopavo gli altri, mi ridurrò a que-sto? Mai. Mio padre mi ucciderebbe se lo sapesse; e mia madre si seppellirebbe viva per la vergogna..

suo figlio non è più un uomo, è una mezza calzetta, una femminuccia, incapace di stare dritto, incapa-ce di onorarla. Sono già morto e parlo. Tutto ciò me lo merito! Non potevo mai stare tranquillo. Le donne! ..e poi qui le donne sono dappertutto. Provocano[…] in fabbrica, per la strada, nel metrò, guar-do gli altri. Stanno tutti bene. Solo io sono un essere inferiore, piccolo, insignificante, senza vita.

Morire qua, è una brutta storia. Morire a pezzettini, che disgrazia.

Genere e stress lavoro-correlato: due opportunità per il “Testo Unico”

54

La lunga citazione, anche nella sua frammentarietà, mi pare offra molti spunti di riflessione.

Innanzitutto, la proiezione operata sugli immigrati è rivelatrice di una immagine della ses-sualità maschile la cui potenza è inversamente proporzionale al processo di civilizzazione dei costumi.

Al tempo stesso, la perdita di un universo condiviso di senso genera in questi uomini una crisi che giunge a inabilitarne il corpo. La loro impotenza diventa metafora concreta, scritta nel corpo, del disagio nel confronto con gli altri uomini e con le donne, del proprio senso di inferiorità. L’inferiorizzazione sociale viene espressa nella passività subalterna sessuale e questa condizione rompe la genealogia di cui si fa parte. Si smette di essere uomini e si muore, a pezzi. E la presenza ossessiva delle donne, al tempo stesso come oggetto di desi-derio onnipresente, ostentato ma interdetto e come cittadinanza nello spazio pubblico, intra-prendenza nelle relazioni sociali, è percepita come fonte di frustrazione, minaccia per la pro-pria integrità a soggettività.

Forse la cosa che più mi colpisce è la sofferenza di questi uomini con cui, però, la pratica di riflessione critica costruita dai gruppi maschili italiani non è ancora riuscita a interloquire, a costruire una comunicazione basata su un reciproco riconoscimento e una capacità di sentire.

Ritroviamo significativamente un’analisi paragonabile a quella appena proposta su una rivi-sta di sessuologia clinica in un articolo riguardante i nessi tra patologie andrologiche e veri-fica dell’identità di genere maschile. Non solo nella forma prevedibile per cui una disfun-zione sessuale mette in crisi un’identità e la corrispondenza a modelli di genere ma nella sua forma inversa in cui la fisiologia è messa in discussione dalla crisi di status sociale.

Appare da tutto principio come qualcosa di vulnerabile che reca con sé, inevitabilmente una sostan-ziale precarietà, in perenne discussione e continuamente sottoposta a verifiche e tentennamenti. […]

Se da un lato la biologia ha assicurato all’identità femminile segni certi e inequivocabili su cui basare la propria percezione di identità non altrettanto, in questo contesto, sembra ipotizzabile per il maschio adolescente.

Ecco allora che ci possiamo accorgere come fattori estranei al soma ma in grado di determinare un cambiamento di vita, possano indurre, con valenza patogenetica, reazioni e comportamenti biolo-gici patolobiolo-gici. […] è il cambiamento di status lavorativo ad avere maggiore rilevanza patogena nel-l’anamnesi dei nostri pazienti. Sembra lecito affermare che piuttosto che l’assenza di lavoro, con-dizione che potremmo definire attualmente endemica, siano le perturbazioni delle caratteristiche del lavoro le evenienze per cui viene messa, più facilmente, in discussione la nostra identità.

Paradigmatico è l’esempio della cassa integrazione: nata con la logica dei cosiddetti ammortizza-tori sociali sembra essere, dal punto di vista squisitamente andrologico, un vero e proprio mezzo di disintegrazione del proprio concetto di virilità.[…] è il tuo lavoro che in questo momento è così inu-tile che preferisco accordarti una quota rilevante delle retribuzione piuttosto che farti svolgere il tuo lavoro! Si aprono così lunghe giornate domestiche esposti alla “comprensione e solidarietà” della moglie, dei figli, del condominio, della piazza, del paese, alla ricerca di qualche attività che dia un senso sociale alla nostra giornata.

55

Il silenzio del corpo e la costruzione sociale della mascolinità