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L’OSHA individua i principi guida (OSHA, 2008) che occorre considerare nell’intero pro-cesso di valutazione dei rischi e che possono essere suddivisi in cinque fasi distinte.

La Fase 1 “Individuare i pericoli e i rischi” prevede l’individuazione dei fattori di rischio sul luogo di lavoro che sono potenzialmente in grado di provocare infortuni o malattie e l’iden-tificazione dei lavoratori che possono essere esposti a tali rischi.

La Fase 2 “Valutare e attribuire un ordine di priorità ai rischi” riguarda la valutazione dei rischi esistenti (la loro gravità, probabilità ecc.) e la loro classificazione in ordine di impor-tanza. È essenziale che ogni attività volta a eliminare o prevenire i rischi sia fatta rientrare in un ordine di priorità.

La Fase 3 “Decidere l’azione preventiva” riguarda l’identificazione di misure adeguate per eliminare o controllare i rischi.

La Fase 4 “Intervenire con azioni concrete” definisce l’implementazione di misure di prote-zione e di prevenprote-zione attraverso un piano di definiprote-zione delle priorità e l’identificaprote-zione delle persone responsabili di attuare determinate misure e il relativo calendario di interven-to, le scadenze entro cui portare a termine le azioni previste, nonché i mezzi assegnati per attuare tali misure.

L’ultima fase “Controllo e riesame” prevede che la revisione della valutazione dei rischi sia effettuata a intervalli regolari per garantire che essa sia aggiornata. Tale revisione deve esse-re effettuata ogni qualvolta intervengono cambiamenti significativi nell’organizzazione del lavoro o del luogo di lavoro o alla luce dei risultati di indagini concernenti un infortunio o una malattia professionale, anche potenziali.

È importante ricordare, nel nostro contesto, che l’attuale Campagna europea costituisce quindi un ulteriore tassello per l’implementazione del D.Lgs. 81/08, che ha rilanciato, all’art.

28, la valutazione dei rischi come momento fondamentale per analizzare tutti i rischi, com-presi quelli connessi alle differenze di genere.

L’OSHA aveva già messo a punto nel 2003 (OSHA, 2003) i principi guida per effettuare la valutazione dei rischi in un’ottica di genere, al fine di rendere sensibili al genere tutte le fasi del processo di valutazione e prevenzione dei rischi, dalla fase di individuazione fino a quel-la di monitoraggio e revisione.

In particolare, i principi che riguardano la valutazione del rischio in un’ottica di genere sono i seguenti:

• considerare i rischi più frequenti nelle mansioni prevalentemente maschili e in quelle pre-valentemente femminili;

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• considerare le effettive mansioni svolte nel contesto lavorativo reale;

• esercitare accuratezza nel definire l’incidenza di genere, assegnando priorità ai rischi in termini di alto, medio e basso;

• verificare che gli strumenti e i dispositivi usati per la valutazione tengano conto dei pro-blemi specifici per le donne e per gli uomini e in caso negativo, adeguarli;

• coinvolgere le lavoratrici nella valutazione dei rischi, soprattutto nel processo decisionale e nell’attuazione delle soluzioni.

L’OSHA aveva inoltre individuato alcune misure generali per promuovere la sensibilità al genere nella gestione della SSL tra cui:

• riesaminare le politiche di SSL, aggiungendovi un impegno specifico per l’integrazione della dimensione del genere, e i relativi obiettivi e procedure;

• fornire un’adeguata formazione e informazione sulle tematiche di genere correlate ai rischi di sicurezza e salute, indirizzate ai responsabili della valutazione dei rischi, ai responsabili della loro gestione, ai responsabili del controllo, ai rappresentanti sindacali, ai lavoratori ecc.

L’obbligo di tenere conto delle differenze di genere in tutti gli aspetti di valutazione del rischio e prevenzione della SSL e la definizione di buone prassi e linee guida tra i compiti affidati al nostro Istituto, evidenzia l’esigenza di correlare i due aspetti e di rinnovare l’im-pegno sul tema, in un’ottica di ripresa di interesse verso una materia che negli ultimi anni sembrava esclusa dalle priorità dell’agenda politica del nostro paese.

Un esempio di buona pratica è quello presentato dalla Danimarca, dove sono state eliminate dalle lavorazioni delle tinture alchilate e sostituite con tinture idrosolubili. Prima le donne in gravidanza venivano allontanate dal lavoro; dopo l’introduzione delle tinture sostitutive, hanno potuto continuare a lavorare. Questo significa che il lavoro è stato adattato alle per-sone, e non viceversa. Per questo le donne sono più soggette allo stress da lavoro, ai distur-bi muscolo-scheletrici soprattutto agli arti superiori, ad affezioni cutanee e a intimidazioni nell’ambiente di lavoro, mentre gli uomini sono più esposti a infortuni e ad agenti fisici, come il rumore. I problemi di salute dell’uomo sembrano più visibili e legati a una singola causa, mentre per le donne i rischi sono più multifattoriali, per questo forse più difficili da indagare.

Tra le azioni fondamentali per migliorare la conoscenza delle diversità di genere, occorre dunque realizzare ricerche di settore che tengano conto delle lacune ancora presenti. Ad esempio, gli studi epidemiologici si sono occupati tradizionalmente degli effetti di esposi-zione in occupazioni tipicamente maschili. Per quanto riguarda le associazioni tra esposizio-ne professionale e sedi di esposizio-neoplasie, gli studi casi-controllo sono stati effettuati su sedi di neoplasie con minore incidenza tra le donne (tessuti molli, vescica). Nel programmare qua-lunque studio epidemiologico sarebbe quindi necessario tenere conto della preponderanza di

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genere nelle professioni e nella potenziale diversa suscettibilità di uomini e donne alla stes-sa esposizione, oltre che nella esposizione extra occupazionale legata all’ambiente di vita e ai ruoli multipli svolti dalle donne.

Un altro tema di ricerca di notevole interesse per le tematiche di genere è costituito dalle patologie muscolo-scheletriche, che rappresentano il disturbo correlato al lavoro più comu-ne tra doncomu-ne e uomini, con una prevalenza dei disturbi agli arti superiori per le doncomu-ne, che sono ascrivibili ad attività lavorative con posizioni scorrette, a movimenti ripetitivi, a ritmi intensi di lavoro, a vibrazioni trasmesse alle mani e alle braccia, ad ambienti freddi, oltre che a fattori psicosociali. In questo caso, ciò che va migliorata è l’organizzazione del lavoro e in particolare le caratteristiche ergonomiche delle condizioni di lavoro. In particolare, l’uso di apparecchiature, macchinari e attrezzi progettati per gli uomini possono contribuire ad aggravare situazioni patologiche nelle donne.

Valutazioni diverse riguardano la ricerca sui rischi per la funzione riproduttiva. Qui occorre rilevare come la ricerca si sia incentrata quasi interamente sulla gravidanza, considerando la donna unicamente per la sua funzione di portatrice del bambino e di responsabile del suo benessere. Sul piano legislativo le politiche di prevenzione della gravidanza e del puerperio in Europa e in Italia sono molto avanzate, ma talvolta si è ritenuto che in questo modo si sia sal-vaguardata per intero la salute della donna che lavora. Anche se ben intenzionate, tali politiche non solo ignorano il fatto che nel periodo precedente alla nascita anche la funzione riprodutti-va degli uomini è esposta a pericoli, ma restringono la portata del problema (Vogel, 2006).

L’evidente diversità tra gli apparati riproduttivi di uomini e donne fa sì che la salute delle rispettive funzioni riproduttive riceva influenze di natura diversa dalle esposizioni all’am-biente di lavoro, con effetti di patologie neonatali, aborti spontanei, basso peso alla nascita, parto prematuro, diminuzione della fertilità, ciclo mestruale irregolare. Tali problematiche dovrebbero quindi essere considerate nel contesto esistenziale delle lavoratrici, prestando anche maggiore attenzione agli effetti esercitati dalle esposizioni subite durante il lavoro sul prematuro inizio della menopausa.

Un altro tema ancora poco indagato riguarda la salute delle lavoratrici meno giovani (oltre i 45 anni), che occupano per la prima volta un posto importante nel mondo del lavoro. Tra le problematiche più rilevanti: gli aspetti legati alla menopausa; la segregazione delle mansio-ni che vede le donne meno giovamansio-ni più relegate alla tradizionali occupaziomansio-ni femmimansio-nili, aven-do beneficiato meno delle politiche di PO, quindi minori gratificazioni e scarsa considera-zione sociale; stress e carichi di lavoro domestico, poiché nelle coppie più anziane la suddi-visione delle responsabilità domestiche è ancora più ineguale che nelle coppie giovani; que-ste lavoratrici hanno inoltre un ruolo preminente nell’assique-stenza a parenti anziani.

Tra i rischi emergenti, ancora poco studiati, va citata la violenza sul lavoro, diffusa soprat-tutto nelle attività caratterizzate da contatto con il pubblico, settori in cui la presenza fem-minile è massiccia. La sottostima del fenomeno, dovuta alla mancanza di denunce (paura di perdere il posto di lavoro, emarginazione sociale sul luogo di lavoro) rende il problema par-ticolarmente difficile da studiare.

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Il ruolo attivo di prevenzione degli organismi di parità