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I CRITERI RIGIDAMENTE BUROCRATICI DELLA CIVIT E LA SUA INDIPENDENZA

OSSERVAZIONI CRITICHE ALLA RIFORMA BRUNETTA

4.3. I CRITERI RIGIDAMENTE BUROCRATICI DELLA CIVIT E LA SUA INDIPENDENZA

La Riforma presenta norme prescrittive che sono state istituite per essere applicate indistintamente ad amministrazioni molto diverse tra loro. Infatti, ripercorrendo i destinatari della normativa, si possono evidenziare differenze non solo dal punto di vista istituzionale ed ordinamentale, ma anche sul piano organizzativo e dei sistemi di management. Si tratta di diversità dovute alla complessità dell’ente stesso, ma anche per la distribuzione territoriale che presentano e soprattutto alla tipologia di stakeholder con i quali si trovano ad interagire.

E questo processo non sembrerebbe aiutato dalla CIVIT, una commissione impostata su criteri rigidamente burocratici: nelle delibere sopra citate, la Commissione impone un format standard per la redazione dei vari documenti previsti dal decreto legislativo231, format imposto senza prima aver effettuato una tassonomia delle realtà

pubbliche che caratterizzano il nostro Paese232

. Il modello al quale le organizzazioni devono adeguarsi è identico per qualsiasi Pubblica Amministrazione e, proprio per questo motivo, irrealistico. Questo ossessivo formalismo della CIVIT può portare solamente alla creazione di documenti “vuoti”, privi di qualsiasi sostanza. Viene posta attenzione al rispetto delle procedure, ma non al processo di programmazione e controllo che ogni organizzazione dovrebbe applicare: quest’ultimo, infatti, si esplica nella definizione degli obiettivi, nell’attuazione dei comportamenti più adatti per il loro perseguimento, nella rilevazione dei risultati conseguiti, nel confronto tra obiettivi e risultati, nella ricerca delle cause di scostamento e negli eventuali interventi correttivi.

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Per alcuni esempi si veda infra Appendice A.

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Ad esempio, l’articolo 4 del decreto n. 150 impone un Ciclo di gestione della performance standard, indipendentemente dal grado di sviluppo organizzativo interno all’ente.

Tutto questo non può essere sterilizzato da rigide e obbligatorie procedure, ma deve essere accompagnato da strumenti propri dell’organizzazione e specifici alle caratteristiche di questa233. I dati dovrebbero essere strutturati diversamente in funzione

delle decisioni che si vogliono prendere, gli strumenti adottati per la programmazione ed il controllo delle attività non dovrebbero essere un meccanismo automatico di interpretazione e valutazione di prestazioni e risultati. Dal momento che le informazioni devono essere costruite in funzione delle decisioni da prendere, non è pensabile che alle amministrazioni venga proposto un documento da compilare costruito esternamente, in quanto le decisioni in esame possono essere decisioni ripetitive e sistematiche ma anche decisioni isolate e improvvise all’interno del consueto operare dell’organizzazione, e se queste non trovassero spazio all’interno del format imposto non dovrebbero per questo essere ignorate e non perseguite.

La visione della CIVIT risulta essere fortemente burocratica: probabilmente si parte dall’assioma secondo il quale impostando anche i minimi dettagli, e non lasciando spazio ad alcun tipo di specificità, si assicura il rispetto della legge. Questo modo di operare sposta l’interesse dall’azione al rispetto normativo: più si fissano delle procedure rigide, più si allontana il momento della valutazione e della presa di coscienza dei fatti. Sembra che la Commissione abbia assunto questo atteggiamento per

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Tesi sostenuta, anche se con particolare riferimento al controllo strategico, da Trattato di economia d’azienda diretto da Bianchi T., Coda V., Mazza G., Paganelli O., Pellicelli G., Bergamin Barbato M.,

Programmazione e controllo in un’ottica strategica, Utet, Torino 1991 (Ristampa Wolters Kluwer Italia

S.r.l., Milano 2010): “Fare controllo strategico significa diffondere la dimensione strategica all’interno della struttura organizzativa, cercando di far sì che non vi sia separazione tra il momento della formulazione e quello della realizzazione. Il dover tenere sotto controllo fattori qualitativi unitamente a fattori quantitativi, l’esigenza di monitorare nel continuo l’andamento degli elementi esterni e interni, definiti critici per la realizzazione degli obiettivi strategici, la necessità di valutare scenari alternativi, per guidare l’eventuale ridefinizione della strategia, fanno sì che ci si trovi di fronte a un’attività particolarmente complessa, ispirata a logiche sistemiche non permanenti, che richiedono un monitoraggio non inglobato in schemi rigidi ma adhocratico e fluido”, pag. 30.

poter verificare più facilmente il rispetto della norma piuttosto che analizzare se il processo gestionale è stato svolto; più si passa alle procedure, meno vengono rispecchiate le organizzazioni (ad esempio, se si prende in considerazione una Camera di Commercio e un Comune, quest’ultimo presenta, oltre che una evidente diversità nell’attività svolta, una complessità estremamente maggiore rispetto all’organizzazione camerale; sarà perciò necessario inserire delle aree differenti tra i due enti, e non imporre ad entrambi uno stesso modello di pianificazione, programmazione e controllo dei risultati).

La riforma che ha colpito la Pubblica Amministrazione rischia così di transitare da una vera opportunità di innovazione a uno sterile contenitore di adempimenti burocratici. I cambiamenti che essa prevede non devono ridursi a mere osservanze normative, ma devono seguire un percorso fatto di sperimentazioni, di attività di benchmarking tra amministrazioni comparabili e di interazioni finalizzate non tanto all’evitare una sanzione, ma piuttosto al raggiungimento di un efficace apprendimento organizzativo. Ad esempio, l’implementazione del Ciclo di gestione della performance, ispirato alla gestione della qualità e al performance management, presuppone l’avvio di cambiamenti radicali nel funzionamento delle organizzazioni, ottenibile solo attraverso la formulazione della strategia e l’attuazione di un adeguato sistema di misurazione e valutazione dei risultati, con il supporto sia di una dialettica collaborazione tra la parte politica e la parte amministrativa, sia di un forte coinvolgimento degli stakeholder234.

Seguendo il pensiero appena descritto, è interessante vedere come la Riforma sia stata dipinta come una priorità nella gestione delle varie realtà pubbliche.

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Cfr Micheli P., Pubblica amministrazione: la riforma perde i pezzi, www.lavoce.it, 1°gennaio 2011, pagg. 1-2.

Per questo motivo non si spiega l’auto-esclusione operata tanto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze quanto dalla Presidenza del Consiglio. La stampa non dà rilievo al fatto che il Ministero da cui proviene la stessa Riforma non la applica: se si consulta il sito istituzionale del Ministero per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione non si trova, infatti, alcuna sezione dedicata al tema della valutazione e del merito, aspetto chiaramente dettagliato nel dettato normativo.

La visione burocratica della CIVIT è stata criticata anche da Pietro Micheli, uno dei cinque membri della Commissione nominati nel dicembre 2009, il quale, dopo appena un anno di incarico, ha dichiarato le sue dimissioni. I motivi principali sono riscontrabili nella mancanza di autonomia da parte della Commissione, nell’eccessiva formalità e nell’inadeguatezza dell’incarico affidato ad alcuni dei suoi membri. Micheli sostiene che nonostante la riforma in oggetto “abbia inizialmente conseguito dei risultati positivi, qualche difetto del suo impianto originario e soprattutto i gravi difetti nel modo in cui essa sta essendo attuata rischiano di farla naufragare in una palude di adempimenti burocratici, appesantendo le amministrazioni invece che renderle più efficienti. La (…) valutazione attuale, purtroppo, è che i limiti stiano prevalendo sul cambiamento e che i vizi di un sistema da riformare non siano stati affrontati in modo corretto e con l’intensità di energie politiche e di risorse economiche che la sfida richiede. Performance e valutazione sono le parole chiavi della riforma; ma in nessuna organizzazione la valutazione individuale può dare buoni frutti se non c’è una buona gestione organizzativa. Invece, il consenso ottenuto con la campagna “anti-fannulloni” e la presenza nella legge di riforma di alcuni elementi esageratamente prescrittivi (ad es., la ripartizione dei valutati in fasce definite ex ante) hanno focalizzato l’attenzione di tutti sulla performance individuale. Il pressing sui “fannulloni” ha dato i suoi frutti

all’inizio (riduzione dell’assenteismo), ma ha finito anche per deprimere la reputazione e il senso di appartenenza di tanti dipendenti pubblici. E dato che queste sono le leve motivazionali più potenti, sarà dura riuscire a (ri)motivare il personale pubblico a far meglio (…). Per rendere la PA più efficiente e competitiva bisogna risolvere prima i problemi a livello organizzativo e di sistema: è qui che la (…) riforma avrebbe potuto fare la differenza, puntando sulla creazione di valore pubblico e sulla valutazione degli impatti dell’azione amministrativa, in un ambiente troppo spesso autoreferenziale. Perché è questo, in ultima istanza, l’interesse principale dei cittadini e delle imprese: la qualità dei servizi che gli vengono resi. Il meccanismo del premio e della sanzione è strumentale a questo obiettivo, mentre è finito per essere (specie la sanzione) il vero fulcro dell’azione”235.

Micheli, inoltre, colpisce in modo critico anche la composizione interna della CIVIT: la Riforma Brunetta nasce con uno stampo prettamente manageriale mentre, inspiegabilmente, tale Commissione è composta in misura prevalente da giuristi, ossia soggetti estranei, anche se non totalmente, a tale ambito economico. Un ulteriore punto interrogativo viene anche posto sulle possibilità che i soggetti componenti tale organo, spogli di poteri sanzionatori e ispettivi, hanno nel spingere a migliorare non solo chi già è incline a farlo ma anche chi è privo di intenzione in questa direzione.

In riferimento a questo organo, il problema è che tali nuove figure sembrano essere poco indipendenti dalla politica da cui devono comunque ricevere la propria investitura. Il Governo, infatti, si riserva il potere di determinare nomine, ambiti di

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operatività e relativi compensi. In più si aggiunge il rischio, non lieve, secondo cui tale organo possa essere strumentalizzato o possa ricoprire un ruolo molto limitato.

Lo stesso interrogativo nasce anche sugli OIV, in particolare sulle armi di cui dispongono, che potrebbero risultare spuntate; ci si chiede come possano procedere i tecnici presenti negli OIV nel momento in cui la parte politica dell’amministrazione non dettasse obiettivi o prevedesse obiettivi troppo generici, o li dettagliasse al punto di ledere l’autonomia gestionale della dirigenza. Lo stesso dubbio sorge sulle modalità di risposta nel caso in cui le amministrazioni non realizzino i sistemi informativi per il controllo interno o li realizzino in modo inadeguato. Ma non solo: quali strumenti hanno a disposizioni tali soggetti se le disfunzioni segnalate dal sistema di controllo non sono prese in considerazione dai politici e dai burocrati? Come possono reagire se le scelte strategiche e gestionali non sono fondate sulle informazioni derivanti dai report prodotti dal sistema di controllo?