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6. La giurisdizione del Giudice Amministrativo in tema di risarcimento del

6.2 Il criterio della causa petendi

La diatriba sull’individuazione del criterio di riparto si articolò lungo due direttrici, quella del petitum formale, che ripartiva la giurisdizione in base al tipo di pronuncia richiesta dall’attore (GA per le domande di annullamento e GO per quelle di risarcimento), in un sistema ispirato alla doppia tutela che devolveva le stesse posizioni ad entrambi i giudici che se la ripartivano in forza della misura rivendicata. E quella della causa petendi, maggioritaria nella giurisprudenza delle Sezioni Unite, ispirata all’idea che fosse la qualità della posizione giuridica azionata ad esigere che la tutela venisse erogata dall’uno o dall’altro plesso giurisdizionale.35

L’evoluzione del sistema, registrato e stimolato dall’opera della dottrina, non è stata tuttavia né lineare né semplice.

Il criterio della causa petendi si affermò grazie al c.d. concordato giurisdizionale del 1929 raggiunto tra la Cassazione ed il Consiglio di Stato e tradottosi nelle sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nn. 1 e 2 del 1930 e delle Sezioni Unite della Cassazione n. 2680 del 1930. Pronunce sorrette dall’idea, poi meglio sviluppata, che la ripartizione si basa sulla valutazione, da parte del Giudice, della consistenza sostanziale della posizione in base alla qualificazione che

35 Francesco Caringella (Consigliere di stato), Il riparto di giurisdizione, in

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ne dà l’ordinamento e non sulla prospettazione che della posizione il ricorrente da in giudizio.

A partire da Cass. Sez. Un. n. 1657/194936 è stata definitivamente riconosciuta la rilevanza della causa petendi ai fini di riparto.

La giurisprudenza si è impegnata nel definire una regola per decidere quando si sia in presenza della lesione di un diritto soggettivo ovvero di un interesse legittimo, individuato sulla base della contrapposizione tra carenza di potere e cattivo esercizio del potere: se si contesta l’esistenza del potere si è in presenza di diritti soggettivi; ove si lamenti il cattivo uso del potere si fa valere un interesse legittimo37.

Il fondamento del riparto in ragione della posizione giuridica azionata diviene costante nella giurisprudenza della Suprema Corte che, da ultimo, nella sentenza delle SS.UU., n. 1139 del 19 gennaio 2007 ha affermato che “ La giurisdizione si determina sulla base della domanda e, ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudie amministrativo rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti sono manifestazione”.

36 La Cassazione con la sentenza 1657\1949 ha introdotto la categoria della carenza

di potere. Si tratta delle ipotesi nelle quali il potere amministrativo manca del tutto, a differenza delle ipotesi in cui il potere esiste ma è male esercitato, ipotesi che ricorrono quando si è in presenza di uno dei tre vizi di legittimità: incompetenza, violazione di legge o eccesso di potere. Poiché il potere non esiste, il provvedimento è nullo ab initio e non spiega effetti, dunque non è imperativo e lascia inalterata la sfera giuridica del destinatario: se questi è titolare di un diritto soggettivo, il diritto resta tale e non viene affievolito o degradato a interesse legittimo. Ne segue che, di regola, il Giudice competente a conoscere della carenza di potere è il Giudice ordinario, non il Giudice amministrativo. Questa è stata la ragione di fondo di tale giurisprudenza: individuare un criterio per il riparto della giurisdizione tra Giudice ordinario e Giudice amministrativo, e lasciare alla competenza giurisdizionale del primo i casi di carenza di potere. Marco D’Alberti, Lezioni di Diritto Amministrativo, G. Giappichelli editorE- Torino, 2012 pag. 245.

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Pertanto, sebbene il discrimen tra le giurisdizioni resta segnato dalla natura della posizione giuridica azionata, non va trascurata una duplice circostanza. Da un lato, si deve notare che l’affermazione della giursdizione generale del G.A. avviene in ragion della “tutela” dell’interesse legittimo, nozione che verrà utilizzata per spiegare l’assegnazione al G.A. della tutela risarcitoria del danno da lesione di interesse legittimo.

Dall’altro, l’art. 113 Cost., rinviando alla legge per l’individuazione del giudice chiamato all’annullamento degli atti della pubblica amministrazione, sembra escludere un monopolio in capo al G.A. ed ammettere tecniche di giurisdizione esclusiva del giudice ordinario estesa anche alla cognizione in via principale di interessi legittimi con poteri di annullamento degli atti lesivi.

A tale riguardo merita segnalare, da ultimo, Cass. Sez. Unite n. 7388 del 27 marzo 2007, secondo cui, “ in tema di contenzioso tributario, l’art. 12, comma 2, della L. 28 dicembre 2001, n. 448, configurando la giurisdizione tributaria come giurisdizione a carattere generale, che si radica in base alla materia, indipendentemente dalla specie dell’atto impugnato, comporta la devoluzione alle Commissioni Tributarie anche delle controversie relative agli atti di esercizio dell’autotutela tributaria, non assumendo alcun rilievo in proposito la natura discrezionale di tali provvedimenti, in quanto l’art. 103 Cost. non prevede una riserva assoluta di giurisdizione in favore del giudice amministrativo per la tutela degli interessi legittimi, e ferma restando la necessità di una verifica da parte del Giudice tributario in ordine alla riconducibilità dell’atto impugnato alle categorie indicate dall’art. 19 del D.lgs. 31/12/1992 n. 546, la quale non attiene alla giurisdizione, ma alla proponibilità della domanda”38

38 Francesco Caringella (Consigliere di Stato), Il Riparto di Giurisdizione, in www.giustizia-amministrativa.it

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6.3 L’evoluzione del sistema e i problemi di giurisdizione

Fino agli ultimi anni del secolo scorso il risarcimento del danno causato dall’attività amministrativa, intesa come esercizio del potere pubblico, era regolato da due principi cardine, invero non pacifici nel dibattito dottrinale, ma costantemente osservati, salvo qualche isolata sentenza, nella concreta applicazione giurisprudenziale. Il primo considerava l’unica posizione suscettibile di risarcimento il diritto soggettivo soppresso o sottoposto a menomazione da parte della pubblica amministrazione con comportamenti materiali, con illeciti contrattuali o provvedimenti amministrativi riconosciuti illegittimi dal Giudice amministrativo, per il secondo il Giudice competente a concedere il risarcimento era il Giudice ordinario.

Tale assetto discendeva direttamente dalla legge 20 marzo 1865 n. 2248, sul contenzioso amministrativo, che aboliva i tribunali del contenzioso amministrativo, che aveva sancito la cognizione del giudice ordinario quando la lesione di un diritto è imputabile alla pubblica amministrazione, che riconosceva al giudice civile il potere di conoscere dell’effetto del provvedimento e, se questo non fosse conforme a legge, di disapplicarlo concedendo il risarcimento del danno; ed infine impediva al Giudice civile di annullare l’atto e non potendo garantire all’interessato il recupero del bene perduto per effetto dell’atto illegittimo.

A questo interesse, che poteva essere soddisfatto solo mediante l’annullamento dell’atto e che rappresenta il nucleo primogenio dell’interesse legittimo come lo consociamo oggi, non si accordò, dapprima, alcuna tutela giurisdizionale.