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Il danno da perdita di chance negli appalti pubblici

Il risarcimento della chance ha riflessi notevoli nel campo degli appalti pubblici nell’ipotesi in cui si provi che a seguito dell’illegittima condotta della P.A. al privato ricorrente non aggiudicatario sia stata negata la possibilità di conseguire un risultato che tuttavia sarebbe stato prevedibile nel caso di condotta lecita da parte della P. A.

Si pensi all’ipotesi di lesione dell’interesse a partecipare ad una gara ed alla impossibilità, da parte dell’impresa illegittimamente non aggiudicataria, di provare il proprio diritto all’aggiudicazione con conseguente perdita di chance. In tal caso, ai fini del risarcimento del danno, si ricorre ad una liquidazione percentuale secondo la tecnica del danno da perdita di chance, che si incentra sulla impossibilità di conseguire un risultato utile – cioè l’aggiudicazione – la cui risarcibilità è consequenziale alla sussistenza di un danno emergente da perdita di possibilità attuale e non di un’utilità futura e non facilmente quantificabile. In dottrina si afferma che nel calcolo del danno da perdita di occasione favorevole debba utilizzarsi il c.d. coefficiente di

riduzione: si assume come parametro di riferimento il bene finale cui si

aspirava diminuito del coefficiente di riduzione, risultante dal grado di probabilità di conseguirlo in relazione al caso concreto.

Il danno deve essere ricondotto al numero dei partecipanti e, pertanto, attraverso una misura percentuale determinata sulla base dell’utile,

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facendo ricorso al criterio del 10% dell’importo dell’offerta del ricorrente in applicazione del disposto di cui all’art. 345 della L . n. 2248/1865.

Più precisamente, data l’impossibilità di provare il pregiudizio sofferto nel suo preciso ammontare, il danno va risarcito ai sensi dell’art. 1226 c.c.,90 ricorrendo al criterio di valutazione del danno globalmente considerato per la mancata aggiudicazione, diminuito di un coefficiente di riduzione proporzionato alla misura di probabilità di ottenere l’aggiudicazione.

Il danno da perdita di chance può quindi essere risarcito quando l’interessato non soltanto provi l’illegittimità della procedura ma dimostri anche una non teorica probabilità di conseguire l’aggiudicazione, in quanto titolare di un affidamento in senso proprio e non di una mera aspettativa.

Al danneggiato spetterebbe di provare il quantum dovuto,ma al di là della quantificazione del danno, qual è il bene giuridico tutelato? Certamente si tratta della chance, cioè della teorica possibilità di un risultato favorevole, quando non è certo che il ricorrente avrebbe ottenuto ad esempio l’aggiudicazione dell’appalto.

A tal proposito, dal dettato dell’art. 4, Legge n. 205/2000 si deduce che il giudice amministrativo è competente in via esclusiva con riguardo alle controversie in materia di “procedure d’aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di servizi pubblici e forniture”.91

La perdita della chance di vittoria patita dall’impresa può essere oggetto di risarcimento in forma specifica il quale, attraverso la pronuncia del giudice, consiste nella riammissione in gara del concorrente escluso oppure nella indizione di una pubblica gara per l’appalto in caso di procedura illegittima di affidamento di appalto (ad esempio all’ipotesi in cui la commissione non ha valutato correttamente

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1226 cc: “Se il danno [1218, 1223] non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa”

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le offerte presentate o non ha fatto corretta applicazione del criterio di selezione indicato dal bando e il contratto di appalto non sia stato ancora stipulato o eseguito). In tali ipotesi la possibilità della reintegrazione della posizione giuridica soggettiva, pregiudicata dalla condotta della P.A., preclude all’organo giudicante di condannare il soggetto appaltante al risarcimento per equivalente del danno da perdita della c.d. chance.

Di recente il Supremo Consesso ha disposto che, in relazione alla quantificazione del danno, occorre distinguere il caso in cui il ricorrente provi che, in assenza di provvedimento illegittimo della P. A., avrebbe vinto la gara dalle ipotesi in cui non si configura alcuna certezza relativamente al risultato della procedura di aggiudicazione.

Si è rilevato che nel primo caso al soggetto-impresa, che ha subito il pregiudizio, spetti – come accennato- un risarcimento pari al 10% del valore dell’appalto, sulla base della prova della certezza del guadagno e soprattutto dimostrando che l’utile sarebbe stato maggiore del guadagno presunto. E’ ovvio, invece, che quando la richiesta di risarcimento dei danni si fonda soltanto sulla mera allegazione della perdita di chance, devono essere concretamente valutate non soltanto le possibilità di vittoria con riguardo alla stessa procedura adottata ma anche parametri pratici dati dal numero di concorrenti della graduatoria pubblicata e dalla tipologia e contenuto dell’offerta indicata dall’impresa che ha subito il pregiudizio.

Il ristoro da perdita di chance si esplicherebbe nella nuova indizione della gara e si concretizzerebbe nell’attribuzione in forma specifica del danno, il quale, dal disposto di cui alla legge 21/7/2000 n. 205, è ipotizzabile ove non sia possibile il risarcimento per equivalente ex art. 2058 c. c92

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Che così dispone: “Il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile.. Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore.”

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Il risarcimento del danno in forma specifica, pertanto, consiste nell’adozione di un determinato atto da parte dell’Amministrazione, avendo riguardo cioè più ai profili di adempimento che a quelli risarcitori, postulando un accertamento dei requisiti di onerosità, ex art. 2058, comma 2, c.c. Il risarcimento del danno da perdita di chance in forma specifica non sarebbe da considerare, dunque, uno strumento al fine di determinare la P.A. a provvedere alla tutela degli interessi legittimi pretensivi del cittadino; in caso contrario, secondo gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinari più pacifici, sarebbero attribuiti alla species del risarcimento del danno in forma specifica caratteri che non sono propri della tutela aquiliana ma che attengono maggiormente alla tutela ripristinatoria.

Nel caso in cui non sia possibile ricorrere al risarcimento in forma specifica, in quanto l’opera ad esempio è già stata realizzata, si utilizza il risarcimento per equivalente pecuniario che è teso al ristoro del ricorrente del danno valutabile economicamente, prodotto da illegittima aggiudicazione della gara.

Secondo un orientamento costante il c. d. “risarcimento in forma specifica della chance” consiste nella riammissione in gara del concorrente escluso ovvero nella ripetizione della procedura; nel caso di illegittimo affidamento di appalto tramite trattativa privata, il risarcimento in forma specifica consiste nella reindizione di pubblica gara per l’appalto in questione. In tal modo, la chance di successo viene tutelata in forma reale, sicché risultano esclusi i danni da risarcire per equivalente, a parte il danno emergente legato al ritardo delle procedura e alle spese aggiuntive sofferte. Il risarcimento per equivalente della perdita di chance viene quantificato con la tecnica della determinazione dell’utile conseguibile in caso di vittoria, scontato percentualmente in base al numero dei partecipanti alla gara o concorso

Da quanto detto non si rinviene una particolare difficoltà in ordine alla liquidazione del danno emergente; risulta invece piuttosto complesso

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determinare, in sede di risarcimento dei danni, il c.d. danno da lucro cessante.

Per quanto attiene alla problematica della risarcibilità anche dell’interesse positivo, (relativo al lucro cessante, alla perdita del guadagno connesso all’esecuzione del contratto), ove si voglia inquadrare la fattispecie nel quadro della responsabilità della P.A. per illegittima conduzione di una procedura ad evidenza pubblica,si possono individuare gli estremi della culpa in contrahendo di cui agli artt. 1337-1338 c.c.93

Alcune pronunce giurisprudenziali al riguardo hanno ricondotto il risarcimento del danno ai citati articoli, individuandolo nella lesione di interessi legittimi intesi volti al conseguimento di un bene della vita e quindi nell’ottica dell’interesse al comportamento corretto dell’amministrazione. Qui sorge il problema attinente al dovere dell’amministrazione di comportarsi secondo buona fede.

Va inoltre precisato che anteriormente agli anni 60’ si escludeva la responsabilità per culpa in contrahendo sotto il profilo della presunzione di correttezza del comportamento dei soggetti pubblici e della inammissibilità del sindacato del giudice ordinario sulle scelte discrezionali della P.A. Soltanto nei primi anni sessanta la giurisprudenza ha superato i suddetti ostacoli concettuali e ha tenuto conto anche degli indirizzi dottrinari secondo cui, ai fini della sussistenza delle responsabilità precontrattuale, ciò che si chiedeva al giudice non era di valutare la responsabilità dell’amministratore ma del contraente. Da qui deriva la nuova svolta delle Sezioni Unite della Cassazione secondo la quale la discrezionalità amministrativa si esaurisce allorché la P.A. agisce iure privatorum cioè servendosi dello strumento negoziale. al g. o. compete invece valutare se il soggetto pubblico si sia comportato da corretto contraente e non da corretto

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amministratore anche se, in realtà, la culpa in contraendo della P.A. è stata ammessa in ipotesi piuttosto limitate.

13.Il cd “danno curriculare”

Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1839 del 10 aprile 2015 ha statuito che in caso di illegittima mancata aggiudicazione di un appalto deve essere riconosciuto il diritto al risarcimento del danno curriculare quale ulteriore profilo del lucro cessante

Alla base del riconoscimento di questa ragione risarcitoria sta la consapevolezza che il fatto di eseguire un appalto pubblico (anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava con il corrispettivo pagatole dalla stazione appaltante), è già fonte per l’impresa di un vantaggio che è economicamente valutabile, perché accresce verso gli altri la sua capacità di competere sul mercato e quindi aumenta le chances di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti,

Precisa il Collegio: “Il danno c.d. curriculare, costituente una specificazione del danno per perdita di chance, si correla necessariamente alla qualità di impresa operante nel settore degli

appalti pubblici.

Alla mancata esecuzione di un'opera pubblica illegittimamente appaltata si ricollegano, infatti, indiretti nocumenti all'immagine della società, al suo radicamento nel mercato, all'ampliamento della qualità industriale o commerciale dell'azienda, al suo avviamento, per non dire, poi, della lesione al più generale interesse pubblico al rispetto della concorrenza, in conseguenza dell'indebito potenziamento di imprese concorrenti che operino sul medesimo target di mercato, in modo illegittimo dichiarate aggiudicatarie della gara.

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In linea di massima, deve pertanto ammettersi che l'impresa ingiustamente privata dell'esecuzione di un appalto possa rivendicare, a titolo di lucro cessante, anche la perdita della specifica possibilità concreta di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al curriculum professionale, da intendersi anche come immagine e

prestigio professionale, al di là dell'incremento degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole gare”.

14. Giurisprudenza della Cassazione in tema di perdita di