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Le critiche mosse al VaR

? La formulazione sopra esposta assume tale forma:

2.5 Le critiche mosse al VaR

Nonostante le molteplici applicazioni del VaR sia a fini gestionali che ai fini di vigilanza, sui modelli del VaR gravano pesanti critiche da parte degli addetti ai lavori che seppur infondate, spesso sono legate all’utilizzo che se ne fa di tale strumento e alle finalità che perseguono. In questo senso un’autentica crociata contro tale misura è stata portata avanti da Giorgio Szegö, docente ordinario di Economia dei Mercati Monetari e Finanziari all’Università di Roma, che in un suo noto articolo intitolato “No more Var- this is not a typo”40 elenca tutte le criticità legate all’utilizzo di tale modello.

40 G. P. Szegö; No more VaR (this is not a typo) ; Journal of Banking & Finance; 2002, vol. 26(7), pag

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Nell’analisi che mi appresto a condurre evidenzierò quelli che sono considerati i sei “falsi difetti del VaR”41 e quelli che invece possono definirsi difetti oggettivi.

Le critiche appartenenti alla prima categoria sono sintetizzabili in sei punti:

 I modelli incentrati sul VaR non sono in grado di cogliere l’intera gamma dei possibili rischi;

 Trascurano le relazioni di clientela;  Poggiano su ipotesi non razionali;

 Producono risultati divergenti rispetto agli esiti empirici;  Amplificano l’instabilità dei mercati finanziari;

 Non hanno una capacità prospettica nella definizione della stima del rischio; come accennato in precedenza tali critiche mosse dagli addetti ai lavori non sono in realtà oggettive, al contrario derivano dall’utilizzo che se ne fa di tali modelli.

Per quanto riguarda il primo punto è importante chiarire alcune cose, il fine perseguito da questi modelli è quello di quantificare il capitale adeguato al fronteggiamento delle esposizioni rischiose. Gli eventi estremi non fanno parte di quella che è la gestione ordinaria dell’intermediario bancario. Per apprezzare il senso del VaR è necessario ricondurre tale misura di rischio ad un contesto di operatività, la necessità di includere gli eventi estremi riguarda un altro ambito ovvero gli stress test. L’intermediario finanziario nasce perché è chiamato ad affrontare il rischio e quindi la fissazione di intervallo di confidenza al 100% non sarebbe nemmeno auspicabile.

In riferimento al secondo punto, si ritiene che il VaR non tenga conto delle relazioni con la clientela, ci si riferisce al caso in cui a seguito della valutazione di una posizione finanziaria la sua redditività aggiustata per il rischio risultasse inadeguata e ciò potrebbe determinare una brusca interruzione dei rapporti con la clientela. È necessario esplicitare come questa misura ai fini gestionali sia uno strumento a cui è importante affiancare delle valutazioni soggettive da parte dell’intermediario bancario che potrebbe comunque decidere di mantenere la posizione in un’ottica di lungo periodo, forzando comunque il management a monitorare il portafoglio ritenuto rischioso.

41 A. Resti, A. Sironi; Rischio e valore nelle banche, Misura regolamentazione e gestione; Milano;

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Al terzo è punto è importante sottolineare come l’intermediario bancario sia comunque costretto all’allocazione di un capitale che sia idoneo a fronteggiare la propria esposizione rischiosa, quindi sulla base delle proprie specificità. Elemento di indubbia rilevanza, che è comunque auspicabile per la conoscenza dei meccanismi posti alla base della determinazione del capitale di rischio.

Al quinto punto si ritiene che gli intermediari bancari, adottando tutti lo stesso atteggiamento di fronte all’esposizione rischiosa, amplifichino la volatilità del contesto di mercato. In realtà è possibile constatare come questo non sia un vero e proprio limite del VaR inteso come strumento. Essendo questo, una misura probabilistica ha bisogno ai fini della sua determinazione di una serie di ipotesi riguardanti l’intervallo temporale considerato o l’intervallo di confidenza scelto. Come è noto questo risente moltissimo della propensione al rischio dell’intermediario determinando un sentiment del mercato che tende a produrre un comportamento contagioso, che in realtà è una distorsione del mercato stesso, non una limitazione del VaR.

L’ultima critica mossa al VaR fa riferimento all’incapacità del modello di riflettere eventuali shock di mercato e dunque di non aver una capacità prospettica nel prevedere le perdite derivanti. Al fine di rispondere a tale critica è importante evidenziare ancora una volta le finalità perseguite dai modelli fondati sul VaR, che nascono per stimare la misura del rischio riferita all’attività ordinaria. L’incapacità di segnalare eventuali perdite future è comune a tutte le tecniche previsionali, inoltre le osservazioni fondate sulla volatilità storica non semplificano il compito agli addetti al lavoro. Per poter anticipare possibili fenomeni di crisi occorrerebbe fondare l’analisi del rischio su tecniche più sofisticate che, seppur presenti, non potrebbero comunque garantire una piena affidabilità.

Per contro ci sono due critiche che trovano tutti d’accordo, sono delle limitazioni che è possibile definire oggettive, dunque non imputabili all’utilizzo che se ne fa della metodologia del VaR. Tali difetti fanno riferimento alla violazione del principio di sub- additività e alla mancata considerazione della portata delle perdite.

Riguardo alla violazione del principio di sub-additività, ci si riferisce alla proprietà tale per cui il rischio di un portafoglio composto da più posizioni deve risultare inferiore alla somma dei rischi delle singole posizioni.

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𝑟(𝑥 + 𝑦) ≤ 𝑟(𝑥) + 𝑟(𝑦)

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Tuttavia, tale postulato a volte può essere del tutto disatteso a causa della distribuzione congiunta dei fattori di mercato caratterizzata da code spesse, ciò si traduce nel fatto che tale metodologia di rischio potrebbe ridurre le azioni tese alla diversificazione del portafoglio rendendo questo modello meno prudenziale.

Proseguendo con il secondo limite oggettivo, tale critica fa riferimento all’eventualità che la perdita superi il VaR, quando ciò si verifica, il modello non dice nulla sulla portata del danno subito. Tale lacuna può risultare determinante.

42 Resti A., Sironi A., Rischio e valore nelle banche. Misura, regolamentazione, gestione, Egea, Milano,

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CAPITOLO 3