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Da un lato, parte della storiografia fa cominciare l’espansione marittima porto- ghese con l’impresa di Ceuta nel 1415, considerando questo avvenimento come catalizzatore dei processi politici ed economici che sottendevano al progetto121. Dall’altro, dal punto di vista dei progressi nautici, la conquista africana cominciò con il superamento di un limite che per tutto il Medioevo era considerato come punto insuperabile, capo Bojador122. Fin dall’antichità la zona di capo Bojador fu considerata un tratto di costa di difficile navigazione: in arabo il capo è anche chiamato Abu Khauar, “padre del pericolo”. La natura della costa, sabbiosa ma cosparsa di numerose rocce, il mutare veloce dei venti e a causa di altre difficoltà, questo passaggio era estremamente difficile e pericoloso.

Dal 27◦, il capo Bojador è già il Sahara, dunque niente appoggi costieri. Il capo è a 800 km da Sous, il che significa 1.600 km tra andata e ritorno, che è poi l’autonomia di una galea. Senza base per il rifornimento dell’acqua è impossibile andare più lontano se non navigando a vela. A ciò si aggiungo- no difficoltà già segnalate: la violenza della corrente delle Canarie, che fa da muraglia, le brume persistenti, gli alti fondali, l’impossibilità sopratutto di ritornare sullo stesso cammino, risalendo il vento alla bolina. 123

L’attraversamento di quel tratto di mare era così difficile per la tecnologia di quel tempo, che i marinai, dopo il naufragio di numerose navi che tentarono di doppiare il capo, si rifugiarono nella credenza di eventi soprannaturali come la presenza di mostri marini o effetti magici che impedivano di superare il capo verso sud. Fu uno scudiero del principe Enrico, Gil Eanes, che lo doppiò per la prima volta nel 1434 su commissione dello stesso principe, dietro la promessa di laute ricompense e riconoscimenti124. L’evento era in realtà il risultato di decine di tentativi falliti, spesso in tragedia, e lo stesso Eanes aveva tentato l’impresa da tempo.

Quando ormai anche le tecniche marinare erano mature per affrontare la navigazione oltre il capo, rimaneva da convincere gli uomini delle navi ad ab- bandonare le superstizioni e le paure irrazionali che comprendevano anche il superare la paura di affrontare l’oceano aperto, dato che per doppiare il capo era necessario spingersi in aperto oceano fino a incontrare le Azzorre (scoperte solo sette anni prima).

121Damião Peres, História de Portugal, Portucalense Editora, Porto, 1928 - 81. 122Luís De Albuquerque, Os descobrimentos portugueses, Alfa, Lisboa 1985. 123Pierre Chaunu, op. cit., p. 120.

124Secondo Zurara, oltre alle ricompense economiche da scudiero venne nominato cavaliere.

Gomes Eanes de Zurara, José De Bragança (Introdução, anotações e glossário de), Crónica de Guiné, Civilisação, Porto, 1937.

All’andata, il capo si doppia a una quarantina di chilometri dalla riva, all’e- stremo limite della visibilità, che cala ancor più al ritorno. Al ritorno, anzi, è possibile una sola soluzione; filare dritto ovest-nord-ovest, perpendico- larmente alla costa, con vento aliseo sul lato destro fino all’altezza delle Azzorre e, di là, per la corrente inversa, puntando a est, con vento fresco alle spalle, si fa rotta sulla punta sud del Portogallo. 125

È in questo contesto, come in altri simili, che la figura del principe Henri- que fu centrale. Animato da una profonda determinazione, il Navigatore conti- nuò a insistere e a offrire ricompense sempre maggiori per chi avesse affrontato l’impresa e l’avesse portata a compimento. Spronando i marinai, perfino ripren- dendoli rispetto alle loro capacità tecniche, e rifiutandosi di credere che Bojador fosse una barriera insormontabile riuscì a far prevalere la sua ostinazione. Dal 1434 in poi la via era stata aperta e con cadenza annuale, cominciarono a partire dal Portogallo altre spedizioni navali esplorative lungo la costa africana scono- sciuta. L’anno seguente, nel 1435, lo stesso Gil Eanes, accompagnato da Alfonso Gonçalves Baldaya, un’altro cavaliere al servizio del Principe, si spinsero cin- quanta miglia più a sud lungo la costa, giungendo in una baia che battezzarono Angra dos Ruivos126.

Nel 1436 il solo Baldaya si spinse centocinquanta miglia più avanti, attrac- cando in una baia dove mandò in avanscoperta due esploratori a cavallo. Per questo la baia fu battezzata Angra dos Cavallos. I due cavalieri ricevettero la missione di perlustrare l’interno della costa e cercare di procurarsi qualche in- terprete, catturandolo o scambiando i cavalli. Proseguendo il viaggio, Baldaya approdò a un’insenatura della costa che scambiò per la foce di un fiume, epi- sodio di cui abbiamo già accennato. Il presunto estuario fu battezzato Rio de Ouro127. L’episodio testimonia la confusione geografica e l’impazienza di venire a contatto con il mercato aurifero. Il Rio de Ouro compariva infatti già da tempo nelle mappe maiorchine. Si riferiva però a un fiume molto grande, di cui si sa- peva attraverso le notizie che arrivavano dal deserto, che lungo le sue sponde si svolgeva un grosso commercio di oro. Si trattava molto probabilmente del fiume Senegal, alla cui foce i portoghesi sarebbero arrivati solo otto anni più tardi. Nel- le acque di quell’insenatura i portoghesi trovarono invece molti leoni marini128. I marinai fecero strage di questi animali caricando poi le navi con le pelli e l’olio ricavato dall’uccisione dei mammiferi. Baldaya, ripresa la navigazione, si spinse

125Pierre Chaunu, op. cit., p. 120.

126Significa “Caletta delle Gallinelle di Mare”, dato il gran numero di pesci di quel tipo che vi

trovarono. Ruivo è il nome portoghese per questo tipo di pesci che presentano una colorazione rossa. Ruivo è infatti anche l’aggettivo portoghese per i capelli di colore rosso.

127Fiume dell’Oro

128oppure foche monache. In portoghese e spagnolo vengono chiamati indifferentemente Lobos

cinquanta miglia più a sud raggiungendo una punta rocciosa, che battezzò Pedra da Galé, il punto più meridionale della costa conosciuto in quegli anni.

Tra il 1436 e il 1440 le spedizioni si interruppero a causa della guerra in Ma- rocco in cui la corona portoghese si era impegnata. L’obbiettivo era la conquista di Tangeri. La campagna militare si risolse comunque in una sconfitta129.

Terminata la guerra, a cui Don Henrique partecipò in prima persona, ripre- sero gli sforzi esplorativi. Nel 1441 un’altro navigatore finanziato dal principe, Antão Gonçalves, giunge a Capo Bianco. Qui vi trovò degli uomini con cui scambiò alcune merci come pelli, cuoio e olio. Si trattava di Azenegues, una popolazione bianca, di etnia berbera, che abita i territori dell’attuale Mauritania, fino al fiume Senegal130. Raggiunto da un’altro navigatore, Nuno Tristão, i due

diedero il via alla prima caccia agli schiavi, portandone a Lagos il primo carico nello stesso anno. Come si è visto, da quel momento in poi, per alcuni anni, le spedizioni in quel tratto di costa venero intraprese con lo scopo di compiere altre catture. l fenomeno era già generalizzato nel 1445. Gomes Eanes de Zurara scrive infatti che nel 1448 i numero degli schiavi portati in Portogallo era di ol- tre 900. Si trattava di Azenegues, popolazioni berbere ma ancora di razza bianca, abitanti dell’attuale Mauritania. Due anni più tardi, nel 1443, cominciò l’esplo- razione del golfo di Arguim a opera di Antão Gonçalves e la conseguente caccia e cattura di schiavi, anche se fu in questa fase che cominciarono i primi scambi di polvere d’oro con i nomadi. L’anno successivo fu organizzata un’iniziativa privata, autorizzata dal principe Enrico e posta sotto il patrocinio dell’Ordine di Cristo. Guidata dall’almoxarife131Lançarote de Freitas e composta da sei caravel-

le. Sbarcati nelle isole del Golfo di Arguim ne visitarono alcune, poi assediarono e saccheggiarono una città dell’interno ritornando a Lagos con più di duecento schiavi.

Il 1444 fu un anno di intensa attività esplorativa. Oltre alla spedizione del Freitas ne furono organizzate altre tre. Una comandata da Nuno Tristão, al suo terzo viaggio, che si spinse al di là della Baia di Arguim raggiungendo una regio- ne che i cronisti dell’epoca chiamarono Terra dos Negros perché in prossimità del fiume Senegal, limite settentrionale delle terre abitate dalle genti di pelle scura. Un’altra comandata da Dinis Dias arrivò alla foce del fiume Senegal, pe-

129Durante questa guerra l’Infante Ferdinando, fratello minore di Don Henrique, fu cattura-

to. Come riscatto, il sultano del Marocco chiese la restituzione della città di Ceuta. Lo scambio non avvenne per lo stesso rifiuto di Ferdinando che morì in prigionia a Fes tre anni più tar- di. L’episodio testimonia quanto per i regnanti portoghesi l’impresa africana fosse considerata importante.

130Conosciuti al giorno d’oggi come Zenaga. Si tratta del più importante tra i gruppi etnici ber-

beri. Sopraffatta dagli Arabi questa popolazione si rifugiò nel deserto a Sud delle zone montuose di cui erano originari.

131Almoxarife è un termine portoghese di origine araba che indica, a seconda del contesto, il

netrando nell’estuario e risalendolo per un certo tratto. Tornata nelle acque oceaniche la spedizione si diresse ancora più a Sud, arrivando a un promontorio ricoperto da una vegetazione lussureggiante e battezzato per questo Capo Verde. Da queste regioni Dinis Dias tornò a Lagos con primi schiavi neri. Venne infine allestita una spedizione di tipo diplomatico-commerciale formata da tre caravel- le comandate rispettivamente Gomes Pires, Diogo Afonso e Antão Gonçalves. La spedizione ebbe l’obbiettivo di stabilire traffici commerciali con gli indigeni della regione e tentare di rimediare i pessimi rapporti che a seguito delle catture di schiavi si erano venuti a creare. I contatti che erano stati instaurati con i locali, quando questi non venivano assaltati e fatti schiavi, infatti, avevano cominciato a rivelarsi fruttuosi, con scambi di polvere d’oro e schiavi forniti direttamente attraverso il mercato locale.

Gli esploratori dell’Infante cominciarono a comprendere che sarebbe stato più proficuo inserirsi nel mercato preesistente piuttosto che inimicarsi le popo- lazioni del luogo con cui si sarebbe invece potuto intrattenere scambi estrema- mente vantaggiosi, di oro e schiavi neri. La politica aggressiva di questa prima fase aveva scatenato la reazione dei locali. Un cavaliere dell’Infante, Gonçalo da Sintra, era stato accecato e ucciso assieme ai suoi compagni dagli stessi indigeni che cercava di catturare in una delle isole della Baia di Arguim. La spedizione di Pires, Alfonso e Gonçalves tentò quindi di ristabilire delle relazioni pacifi- che con gli abitanti della costa. Venne fatto sbarcare un certo João Fernandes, un uomo che spinto dalla curiosità si decise a studiare i costumi e la lingua di quelle terre facendosi lasciare solo in mezzo a quelle genti. Dopo vari mesi i compagni tornarono a prenderlo. Nel mentre il Fernandes era riuscito a stabilire dei discreti rapporti di convivenza e la situazione sembrava almeno in parte mi- gliorata. Fernandes era riuscito a farsi descrivere i mercati dell’interno e a farsi indicare luoghi in cui era possibile la compra di schiavi neri a buon mercato. La spedizione tornò in Portogallo con un grande carico di questi uomini, questa volta attraccando a Lisbona.

Questa prima fase di esplorazione fu caratterizzata così da una tendenza al saccheggio, alla cattura forzata di uomini e un generale uso della violenza con- tro le popolazioni locali della costa. Questa fase è stata descritta dalla studiosa Anna Unali che ha individuato in questa tendenza una vera e propria «Politica della Razzia»132. Questa politica sottese i primi viaggi africani e soppiantò tem- poraneamente l’urgenza della ricerca dell’oro. Questa tattica fu considerata “un mezzo efficace per risolvere problemi di ordine economico, politico e di conquista

132Sulla politica della razzia in Africa Occidentale si veda: Anna Unali, “La politica della razzia

nelle prime imprese portoghesi nell’Africa atlantica“, in: Ludovico Gatto, Paola Supino Martini (a cura di), Studi sulle società e le culture del Medioevo per Girolamo Arnaldi, All’insegna del Giglio, Firenze, 2002.

territoriale”133. Gli avventurieri di queste prime spedizioni dovevano cercare in

tutti modi di ottenere dei risultati che, almeno in parte, ripagassero le ingen- ti spese che il Principe Enrico sosteneva per armare caravelle ed equipaggi. Si lanciarono così il più possibile nel saccheggio e nella cattura.

Quando invece i carichi di schiavi e oro cominciarono ad essere scambiati e ad arrivare regolarmente, gli atti di violenza contro gli indigeni furono vietati dallo stesso Principe Enrico che ritenne più opportuno attivare con loro un vero e proprio commercio134. Da quel momento in poi, gradualmente, la Baia di Ar-

guim e l’omonima isola, divennero il centro di scambio più importante tra por- toghesi e abitanti del luogo e dell’interno. La baia, con le sue numerose isole si trasformò in breve tempo in un importantissimo centro di raccolta dell’oro e de- gli schiavi neri. Si trattava della prima feitoria di un sistema di avamposti com- merciali costieri che costituì la spina dorsale dell’impero marittimo-commerciale portoghese nel secolo a venire135.

Arguim è la prima di una serie di basi costiere che comprenderà Luanda e Mozambico, Goa, Diu, Macao, Itamaracá e Recife. 136

Sull’isola venne costruita in seguito una fortezza della quale se ne hanno notizie sicure dal 1461. Il luogo venne scelto per la presenza di acqua dolce e per la difficoltà che eventuali nemici avrebbero incontrato nell’ avvicinarsi all’isola nelle acque sabbiose e basse della baia137.

133Anna Unali, Alla Ricerca dell’Oro. Mercanti, Viaggiatori, Missionari in Africa e nelle Americhe

(secc. XIII-XVI), Bulzoni, Roma, 2006, cit., p. 154.

134Si veda: Avelino Texeira da Mota, “A descoberta da Guiné”, in: Boletim Cultural da Guiné

Portuguesa, 1946, pp. 309-312.

135Dal latino facere, che significa fare; in tedesco Faktorei, in inglese Factory, in olandese Fac-

torij. Era il nome dato agli avamposti commerciali europei situati in territorio straniero. Ini- zialmente stabiliti in differenti stati europei durante il Medioevo, furono poi adattati al contesto coloniale. Sull’argomento si vedano per il contesto europeo: Fernand Braudel, Capitalismo e civiltà materiale (secoli XV-XVIII), Einaudi, Torino, 1977. Per quello specifico del Portogallo: Vir- gínia Rau, Feitores e feitorisa “Instrumentos” do comércio internacional português no Século XVI, Brotéria, Lisboa, 1966.

136Pierre Chaunu, op. cit., p. 129.

137A causa della sua difficile e pericolosa navigazione già all’epoca l’intera area era conosciuta

come Banco de Arguim (i banchi di Arguim, o le secche di Arguim). Tra l’altro nel golfo di Arguim avvenne il naufragio, quasi quattrocento anni più tardi, della nave francese Méduse, episodio a cui si ispirò il pittore Théodore Géricault per il suo famoso quadro Le Radeau de La Méduse, conservato al museo del Louvre di Parigi.

Figura 2: Mappa che rappresenta le date più significative dell’esplorazione della costa occidentale africana fino alla Sierra Leone. In alto a destra il particolare della successione dei luoghi raggiunti dalle spedizioni portoghesi fino al Capo Bianco e Arguim.

Mappe tratte da Pierre Chaunu, L’espansione Europea dal XIII al XV Secolo, Mursia, Milano, 1979, p. 118. Unite e modificate.

Figura 3: Mappa del Golfo di Arguim.

Tratta dal sito internet del Parc National du Banc d’Arguim, PNBA: http://www.pnba.mr. Nel sito, sotto la voce «Documentazione» vi sono anche dei collegamenti a Gallica, la sezione digitale della Bibliothèque Nationale de France, dove sono visibili le piante della fortezza e alcune mappe del golfo pro- dotte durante il successivo dominio francese. La feitoria si trovava nell’isola più settentrionale della baia, dove si trova il villaggio di Agadir. Al giorno d’oggi della fortezza non rimangono che delle rovine. Nel 1989 la Baia di Arguim è stata dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.

Nel giro di pochi anni la baia e l’arcipelago di isole che vi si trovano, furo- no completamente esplorati. In particolare una di queste isole dell’arcipelago, denominata Ilha das Graças, é ricordata come il luogo in cui si ha la prima men- zione di uomini che vivono nudi. È in questo luogo che si crea il primo legame tra selvaggio e nudità, un legame destinato a radicarsi nella mentalità europea e che si ritroverà in tutte le altre esplorazioni successive, prima tra tutte quella di Colombo138.

Non si sa quando avvenne questo importante cambiamento di politica, e non si è sicuri di quando cominciò la costruzione della fortezza di Arguim. Dagli stu- di documentali di Vitorino Magalhães Godinho sappiamo che ogni anno all’isola atlantica arrivavano da ottocento e mille schiavi neri all’anno e grandi quantita- tivi di oro139. In cambio i portoghesi davano cavalli, panni di lino, frumento, co- perte, tappeti, argento e seta140. Secondo i cronisti dell’epoca un cavallo poteva

essere scambiato per una quantità di schiavi che andava dai dieci ai quindici.

La politica Lusitana, grazie alla deviazione della via carovaniera verso la costa occidentale e alla creazione di un commercio stabile e duraturo, con- seguiva, in una località agevolmente raggiungibile, il primo importante risultato economico dopo la conquista di Ceuta che avrebbe determinato l’inizio della sua affermazione commerciale. 141

Negli anni seguenti le spedizioni si successero con maggiore frequenza e di- vennero più grandi e numerose, a testimonianza dell’ingrandirsi del commercio africano. Nel 1446 il navigatore Alvaro Fernandes si spinse al di la del Capo Verde, fino ad un’altro capo vicinissimo a questo che venne battezzato Cabo dos Mastros142perché vi crescevano palme senza rami, come gli «alberi maestri» del- le navi. Nel 1446 Nuno Tristão, Estevão Alfonso e Alvaro Fernandes si spinsero ulteriormente verso Sud di duecento chilometri, giungendo alla foce del fiume Gambia e a quella del fiume Casamance.

Durante il decennio successivo, tra il 1446 e il 1455, non vi furono più spe- dizioni esplorative che si spinsero oltre i limiti raggiunti. Le ragioni che vari studiosi hanno tentato di dare per spiegare questa battuta d’arresto sono molte- plici. La più immediata è quella che individua questo decennio come un periodo

138Per un’interessante e inedito studio sul tema vedi: Vanessa Thomas, Représentatione Euro-

péennes des Corps Africains au Cors des Premiers Contacts sur les Rives Atlantiques (1341-1508). La Passage du Mythe à la Construction du Réel par l’Expérience Vécue, tesi di laurea specialistica in Storia dell’Africa presentata alla Universidade de Lisboa, Lisboa, 2013.

139Si veda: Vitorino Magalhães Godinho, L´Économie de l´Empire Portugais aux XVe-XVIe

Siècles, SEVPEN, Paris, 1969.

140Si veda: Vitorino Magalhães Godinho, Documentos Sobre a Expansão Portuguesa, 3 vol.,

Gleba, Lisboa, 1943.

141Unali Anna, op. cit., p. 171. 142Capo dei Maestri

in cui, dopo la fase esplorativa, vi fu la necessità per il Portogallo di consolidare le scoperte e le conquiste ottenute. Sia attraverso l’organizzazione della feito- ria di Arguim, che dei vari commerci lungo la costa, sempre più spesso affidati a iniziative private anche se sempre preventivamente autorizzate dall’Infante. In questa fase, inoltre, parte delle risorse, degli uomini e delle energie che pri- ma venivano impiegati nelle spedizioni esplorative fu sicuramente impiegato nel controllo delle nuove rotte e nella repressione del commercio di contrabbando. Infatti, nonostante la corona portoghese rivendicasse il monopolio dei traffici e della navigazione lungo queste coste, Genovesi, Francesi e Inglesi, ma sopratutto Castigliani, cominciarono da subito a tentare di spingersi lungo le vie aperte dai portoghesi e praticare gli stessi tipi di commerci aggirando l’esclusiva lusitana ed entrando in concorrenza. Nel 1455 il privilegio portoghese venne giuridica- mente confermato e consolidato dalla già detta bolla di papa Nicola V, ma nella realtà le cose andavano diversamente. Per i sovrani stranieri e per le città ma- rinare che desideravano infiltrarsi nelle aree di commercio portoghesi, esisteva sempre l’opzione di ricorrere all’allestimento di spedizioni non ufficiali che se catturate dalle forze navali di controllo portoghesi non avrebbero creato inci- denti diplomatici 143. La corona portoghese cominciò infatti a organizzare una squadra navale di controllo che aveva l’obbiettivo di bloccare questi tentativi e arrestare i traffici illegali.

A questa pausa nelle esplorazioni vi sono anche motivazioni di tipo geo- grafico, in quanto la navigazione lungo la cosiddetta Petite Côte presenta delle difficoltà maggiori dovute a condizioni climatiche particolari.