La presenza dell’acqua nelle sue morfologie fluviali e come dotazione di sor- genti accessibili è stata un elemento naturale tenuto in grande considerazione nelle relazioni di viaggio, per svariati motivi: commerciali, geografici, geopoli- tici e puramente conoscitivi. Altri elementi naturali invece, sono stati presi in considerazione in primo luogo per per il fatto di suscitare nell’osservatore un immediato stupore estetico e una pronta curiosità. Si tratta degli alberi e della vegetazione in generale. Per questi primi esploratori, il giungere nelle nuove terre africane non significava solamente giungere a nuovi fiumi e scoprire nuo- ve coste. Queste azioni riguardavano anche la scoperta e la sperimentazione di nuovi ambienti e paesaggi. Ciò significava avere a che fare con nuove condi- zioni climatiche, sempre più inusuali man mano che ci si addentrava nell’area tropicale. Alle differenze del clima dedicheremo uno spazio apposito in seguito. È chiaro però che a climi differenti corrispondano anche differenti associazioni vegetali e queste ultime sorpresero molto i navigatori del tempo. “Aruores muy- to grandes e differenciadas das nossas” dirà l’informatore di Valentim Fernandes
290. La curiosità e lo stupore che i colonizzatori portoghesi provarono di fronte a
una vegetazione così insolita si tradussero nel corso del tempo in una massiccia importazione di piante e di numerosi trapianti in patria di queste nuove specie. Ancora oggi, passeggiando per Lisbona ci si può rendere conto della quantità di specie arboree e floreali che dai nuovi mondi sono state portate nel nostro con- tinente. Nei giardini, negli orti botanici e nelle serre, ma anche semplicemente nelle strade e nelle aiuole delle città portoghesi, si possono trovare una quantità innumerevole di piante per noi inusuali e si può partecipare, almeno in parte, a quella sensazione di stupore che gli esploratori d’allora provarono, e che deriva dal trovarsi d’innanzi a una natura altra ed estranea.
Nelle relazioni studiate questa percezione emerge con forza. Essa è tuttavia affiancata dall’emergere di quella mentalità oggettiva riscontrata anche nelle al- tre descrizioni di elementi naturali. Così, anche le piante meno esteticamente interessanti, ma considerate produttive da un punto di vista alimentare, indu- striale o commerciale, vengono ben descritte e analizzate. Come già detto nella parte introduttiva di questa analisi, non si trattava di un interesse descrittivo di tipo scientifico-naturalistico. Ne sarà però la base, in quanto questo atteggia- mento illustrativo fa parte di quella emergente concezione della natura, propria del Rinascimento. L’uomo è inserito e fa parte della natura, ma quest’ultima va vista anche come uno strumento, indispensabile per la realizzazione dei fini umani nel mondo. La descrizione delle specie arboree, delle piante da frutto, di quelle addomesticate dalle popolazioni indigene e di quelle coltivate nelle isole
290Alberi molto grandi e differenti dai nostri. (Ylhas do Mar Oceano – quaderno segundo, in:
colonizzate, rivela questo doppio nucleo culturale, fatto di stupore di fronte a una natura nuova da una parte; e di pensiero oggettivo riguardo alla sua utilità, dall’altro.
Rispetto all’importanza, anche simbolica, delle specie vegetali nelle scoper- te geografiche di questo periodo, è bene ricordare l’episodio che convenzional- mente diede inizio a questa nuova fase: il superamento di Capo Bojador. Già abbiamo illustrato quali siano stati i maggiori ostacoli che rendevano l’attraver- samento di questo punto molto difficoltoso: problemi di natura propriamente nautica nell’affrontare coste pericolose e l’oceano sconosciuto; la questione del rifornimento (sopratutto di acqua); infine la barriera culturale rappresentata da una visione del mondo che credeva tutte le terre oltre il capo arse dal sole e ina- bitate, come suggeriva e confermava la natura essenzialmente desertica di tutto quel tratto di costa e dell’interno. È in relazione a questo ultimo aspetto che si inserisce il significato simbolico delle piante nel processo di scoperta. Quando lo scudiero Gil Eanes tornò dalla difficile impresa che aveva compiuto, si presentò a cospetto del Principe Enrico con una prova del fatto di aver davvero raggiunto nuove terre dove la vita era possibile. Questa prova erano quelle che tutte le cronache ufficiali chiamano le «Rose di Santa Maria», probabilmente la pianta del rosmarino.
Dobrou o cabo alem/ onde achou as cousas muyto pello contrayro do que ata ally ouujorom pello qual foy do Jffante bem reçebido e acreçentado em honrra e fazenda E trouue consigo rosas de Sancta Maria.291
(Cepta e sua Costa, in: Códice Valentim Fernandes, p. 16)
Che cosa si dicesse delle terre oltre Bojador lo specifica o stesso autore qualche passo prima:
diziam os mareantes que despois deste cabo nom ha hy gente nem pouoraçam alg ˜u a nem aruore nem herua verde E o mar ser tam baixo que a h ˜u a legoa de terra nom ha de fundo mais que h ˜u a braça/ as correntes som tamanhas que nauio que la passe jamais nom poderà tornar292
(Cepta e sua Costa, in: Códice Valentim Fernandes, p. 15)
Per provare l’infondatezza di queste informazioni, Gil Eanes ritornò dalla sua impresa con una pianta. Il rosmarino dimostrava che oltre il capo ci potevano
291Doppiò il capo oltre/ dove trovò che le cose erano molto al contrario di ciò che fino ad allora
avevano sentito dire. Per questo fu dall’Infante ben ricevuto e accresciuto in onore e ricchezza. E portò con sé rose di Santa Maria.
292dicevano i marinai che dopo questo capo non c’è gente né popolazione alcuna, né alberi, né erba
verde. E il mare è tanto basso che a una lega da terra non è più fondo che un braccio/ le correnti sono così forti che una nave che di li passi non potrà mai più tornare.
essere delle piante, quindi vita, e contemporaneamente provava che le altre di- cerie su profondità e correnti erano infondate. Non che questa costa sia in realtà rigogliosa e popolata, il senso della questione è un’altro. La pianta di rosmarino stava a significare che la vita oltre le terre conosciute era possibile, al contrario di quanto affermava la teoria classica della zona torrida. L’esistenza del rosmari- no significava che l’esplorazione oltre quel promontorio, dunque, era possibile. L’assenza di vegetazione caratteristica di questa costa, invece, è un elemento che è stato registrato e ben sottolineato nelle relazioni. Come è importante la pre- senza degli alberi, così la loro assenza si impose all’attenzione dei naviganti. Ciò significava avere a che fare con un ambiente ostile, che non offriva rifornimenti né di acqua, né di legname per eventuali riparazioni delle navi.
E toda esta costa do cabo Bojador até ali [Rio de Ouro] e dali per diante, mais de cem léguas, é sem arvoredo nem erva e deserta.293
(Duarte Pacheco Pereira, Esmeraldo de Situ Orbis, p. 86)
Ca Damosto, tra tutti gli autori di queste relazioni è quello che più fa tra- sparire lo stupore per le nuove piante o per i paesaggi di rigogliosa vegetazione. Dall’altra parte, da buon mercante, è anche uno tra quelli che più si concentra nell’individuare e descrivere le specie produttive. Il veneziano all’inizio del suo viaggio tocca tra le prime tappe l’isola di Madeira e la descrive così: “l’è tuta um zardim, e tuto quello che archolieno in la dita ixola si è oro” (Alvise Ca Damosto, Navigazioni Atlantiche, p. 18). Ca Damosto ci ricorda anche a cosa è dovuto l’origine del nome dell’isola294.
E chiamasse questa ixola l’ixola de Medera, che vol dire l’ixola de legnami, perché quando prima el fo atrovata questa ixola per quelli del dito signore, el non giera un palmo de terra in essa che tuta non fosse piena de arbori grandinissimi; e si fo necessario a li primi che la volse habitar, che i ge dessero fuocho, il qual fuocho andò ardendo per l’ixola un bon tempo. (Alvise Ca Damosto, Navigazioni Atlantiche, p. 15)
Quando descrive le fonti di acqua dolce dell’isola e dei ruscelli che la attra- versano, il navigatore veneziano nomina le segherie che funzionavano sull’iso- la. L’appellativo “isola dei legnami” deriva sì dal fatto che Madeira è rigogliosa d’alberi; ma anche e sopratutto, dal fatto che vi fiorì una grande industria del legame. Madeira divenne infatti ben presto la principale fornitrice di legna sia
293E tutte questa costa da Capo Bojador fino a lì [Rio de Ouro] e in avanti, più di cento leghe, è
senza alberi, senza erba e deserta.
verso il continente, sia nei confronti delle spedizioni navali che si portavano die- tro il legname per eventuali riparazioni durante il viaggio, in vista di quel primo tratto di costa di natura desertica. Secondo Ca Damosto le essenze più lavo- rate sull’isola erano il Cedro e un’altra essenza identificata del navigatore con “Nasso”:
l’una sorte sono de cedro, che ha grande odor et é simile a lo acipresso, e facessene bellissime tavole large e longe, e casse e altri lavori; l’altra sorte si è de nasso, cha ancho sono bellissime et de color de rosa rossa.
(Alvise Ca Damosto, Navigazioni Atlantiche, p. 16)
Quando invece Ca Damosto passò per l’isola di Porto Santo, vi trovò una pianta da cui i portoghesi estraevano una resina molto rara e costosa, il cosid- detto “Sangue di Drago”295.
E in quella se trova anchora sangue de drago, il qual nasce de alguni arbori che son in quella. El qual sangue si è goma che buta quelli arbori a certo tempo de l’ano, e tirasse in questo modo: i dano algune botte de manara al pè de l’arboro, e l’ano sequente a certo tempo le dite tagiuadure butano goma, la qual i cosseno e purgala e fasse sangue. E el dito arboro produsse un certo fruto, che nel mese de marzo vien a esser maduro e bonissimo da manzar, et è a similitudine de cirexe, ma é zalo.
(Alvise Ca Damosto, Navigazioni Atlantiche, p. 16)
La testimonianza del marinaio da cui è tratta la descrizione della costa afri- cana raccolta da Valentim Fernandes ci fornisce invece una descrizione curiosa. L’autore descrive innanzitutto una delle isole che si trovano nella baia di Arguim, chiamata Tarrafal, e parla degli alberi che vi si trovano e delle loro particolari proprietà riguardanti la combustione:
Tarraffal ilha chea de lenha que arde melhor em verde que seca.296 (Cepta e sua Costa, in: Códice Valentim Fernandes, p. 18)
295Il sangue di drago è una resina di colore rosso ricavata da alcune piante. Viene utilizzata
in medicina, in tintoria, per la laccatura del legno o come incenso. Questa resina viene estratta da piante come le Dracaena Cinnabari, endemica dell’isola di Socotra, nell’Oceano Indiano. Da quest’isola partiva la maggior parte del commercio della detta resina, che veniva commerciata anche in Europa. I portoghesi invece scoprirono sull’isola di Porto Santo una nuova specie, la Dracanea Draco, endemica di quelle isole e di alcune zone del Marocco secernente anch’essa una resina indicata anch’essa come Sangue di Drago. Esemplari della pianta Dracanea Draco sono documentati a Lisbona sin dal 1564.
Non avendo avendo mai trovato notizie di essenze che bruciano meglio ap- pena tagliate piuttosto che quando sono secche, il passo è probabilmente da ricondurre alle fantasie che popolavano l’immaginario medievale rispetto alle terre sconosciute e ai fenomeni straordinari che vi accadevano. Un’altra cre- denza simile, riguardante le specie arboree delle nuove terre, è contenuta in un passo poco oltre, e riguarda la vegetazione dell’isola di Arguim.
Em esta ylha nom ha aruore alg ˜u a/ E her-//ua se ahy naçe quando choue/ he herua que ata as cabras se della comerem morrem logo em comendo a. 297 (Cepta e sua Costa, in: Códice Valentim Fernandes, p. 19)
L’autore più avanti racconta anche di molti altri tipi di piante e frutti che nascono e crescono nella regione di Arguim. Vi sono addirittura cinque fogli manoscritti che vengono dedicati interamente al resoconto dettagliato di alcune di queste piante. Si tratta di testi dove è difficile capire fino a che punto vi intervenga una descrizione oggettiva e dove inizi invece l’uso della fantasia. Vi sono molte specie che allora erano sconosciute o semplicemente inusuali e sono perciò state presentate al pubblico come piante dalle caratteristiche mirabolanti. Altre volte inoltre è difficoltoso riconoscere una specie vegetale che all’epoca veniva chiamata in una maniera e che oggi ha un nome differente. È il caso per esempio del Fico dell’Inferno.
E assy ha terra nestes desertos donde nom ha outra aruore se nom figueyras do enferno muyto grandes e muyto fedorentas [. . . ] porem tem fruyta pequena que fede muyto. 298
(Cepta e sua Costa, in: Códice Valentim Fernandes, p. 19)
Il Fico dell’Inferno sembrerebbe a prima vista un’altra fantasia ma si tratta invece della pianta del ricino (Ricinus communis), endemica delle regioni tropi- cali.
Nella trattazione vi sono invece specie arboree che l’autore non conosceva e che ha tentato di comparare con gli alberi conosciuti. Vedremo in seguito che questo meccanismo di comparazione sarà utilizzato anche in altri contesti, con risultati a tratti umoristici.
Outras aruores ha hy que tem as folhas como ho lymoeyro ou cydroeyro e assy aquellas pontas/ E estas dam cerejas muy fremosas bicaes e nom tem
297E quest’isola non ha nessun albero/ E erba vi nasce quando piove/ è erba che persino le capre se
la mangiassero morirebbero dell’averla mangiata.
298E ci sono terre in questi deserti dove non ci sono altri alberi se non fichi dell’inferno molto grandi
coroço e sam muyto sem sabor e nom tem sabor de fruta/ Outras aruores ha hy proprias como aquellas porem a fruita dellas he como almeixeas brancas muy fremosas quando som maduras E som a mais amarga cousa do mundo E quando som secas e passadas no sol som doçes/ Outras aruores ha hy de folha meuda como murta e da muyto fruito e he proprio como a graã/ porem ha muyto doce como se teuesse mel E nunca homem se pode fartar della por ser tam meuda E chamam le os mouros algalie que quer dizer pouco// 299 (Cepta e sua Costa, in: Códice Valentim Fernandes, p. 19)
Quello di utilizzare paragoni tra la natura conosciuta e le nuove specie sco- perte verrà utilizzato in seguito anche per gli animali. I paragoni come quello tra questi alberi e i limoni e i cedri non saranno però così efficaci. Riguardo al secondo albero, non c’è modo di capire quale sia e se esista davvero, dato che l’unico indizio di cui siamo in possesso sono i frutti che produce. Il terzo ti- po di albero descritto sembra invece essere la Aglalia, una pianta della famiglia delle Meliceae, endemica dei climi tropicali e sub-tropicali e di cui certe varietà sono molto apprezzate per i frutti. Questa pianta però sembra essere più tipi- ca del sud-est asiatico che dell’Africa. Il manoscritto successivo descrive invece l’albero della gomma:
As aruores de goma som grandes e tem grandes spinhos e tem as folhas estrei- tas e longas E a sua fruita som ferrobas muyto longas e muyto delgadas como h ˜ua penna de pato para escreuer/ E estas ferrobas naçem per toda a aruore E em h ˜uu pee onde naçem som mais de çento dellas.300
(Cepta e sua Costa, in: Códice Valentim Fernandes, p. 19)
Essendo l’albero della gomma (Hevea brasiliensis) di origine amazzonica è ovvio che l’autore non si sta riferendo alla pianta da cui viene estratto il caucciù
301. L’albero in questione é invece quello della gomma arabica. Si tratta di alcune
299Altri alberi [che] vi sono lì hanno le foglie come il limone o il cedro e hanno le stesse punte/ E
queste danno ciliege molto formose e appuntite e non hanno nocciolo e sono molto senza sapore e non hanno sapore di frutta/ Altri alberi vi sono lì come quelli che danno frutti come susine bianche molto formose quando sono mature. E sono la cosa più amara del mondo. E quando sono secche e passate sotto il sole sono dolci/ Altri alberi vi sono lì di foglia piccola come il mirto e danno molti frutti e sono proprio come la galla della quercia/ in più sono molto dolci come se contenessero miele. E mai un uomo può stancarsi di loro per essere tanto piccoli. E li chiamano i mori agalie che vuole significare“pochi”
300Gli alberi della gomma sono grandi e hanno grandi spine e hanno le foglie strette e lunghe. E
i suoi frutti sono carrube molto lunghe e molto sottili come una penna d’oca per scrivere/ E queste carrube nascono su tutto l’albero. E in un peduncolo dove nascono ce ne sono più di cento
301Il Brasile non era ancora stato scoperto. In più, anche quando nel XIX secolo cominciò lo
sfruttamento commerciale di questa pianta, furono fatti numerosi tentativi di esportarla in altri paesi con un clima simile. Ciò alla fina riuscì, ma con grandissime difficoltà.
specie di acacia subsahariana, Acacia senegal o Acacia seyal, da cui se ne estrae la resina. Piante spinose che combaciano anche con la descrizione delle foglie e dei frutti.
Nel manoscritto vi è anche una descrizione dell’albero della trementina:
As aruores de termentjna som grandes e maiores que as de goma e nom teem spinhas e assy estam baixas e arrastadas pello chãao como figueyras/ porem som mais grossas E som tem tenrras que h ˜uu homem pode quebrar h ˜uu paao tam grande e tem gordo como h ˜uu homem/ A folha desta aruore he propria como de [em branco] que nom da fruito/ E estas aruores nom comem os ca- melos nem nenhuma animalia E nunca perdem as folhas/ ho que nom fazem todas as outras aruores daquella terra/ E nom tem fruita nenh ˜ua/ E a termen- tina naçe propriamente como a goma se nom que he muyto mais que a goma/ E alg ˜uu // tanto corredia e dourada E nom ha tem em conta soomente a elles e suas animalias se som feridos queymam lhes as feridas com ella.302 (Cepta e sua Costa, in: Códice Valentim Fernandes, p. 48)
L’albero della trementina sarebbe il Terebinto (Pistacia terebinthus), un arbu- sto da cui si estrae la suddetta resina. Come spesso accade con questi testi, non si riesce a capire quali cose siano fantasiose o meno, come la tenerezza del tronco, o il fatto che la pianta non venga mangiata dagli animali. È invece sicuro che si tratti di una pianta sempreverde e che la trementina venisse talvolta utilizzata in campo farmaceutico. Nella relazione vi è poi la descrizione dell’albero del sapone:
Ha nestes desertos outras aruores como de goma/ E destes fazem ho xabam/ desta maneyra – a saber – tyram lhe a codea e aquella pisada / nom ha tal xabam no mundo pera todas as cousas lauarem com ella/303
(Cepta e sua Costa, in: Códice Valentim Fernandes, p. 48)
Si tratta di piccoli alberi nativi di regioni temperato-calde o tropicali, Sapin- dus mukorossi, di cui i frutti sono utilizzati per la saponificazione. Non ho invece
302Gli alberi della trementina sono grandi e maggiori di quelli della gomma e non hanno spine e
stanno molto bassi e vicini al suolo come i fichi/ però sono più grossi. E sono tanto teneri che un uomo può spezzarne un tronco grande e grosso come un uomo/ Le foglie di questo albero sono come quelle del [in bianco] che non ha frutto/ E questi alberi non vengono mangiati dai cammelli, né da nessun altro animale. E non perdono mai le foglie/ cosa che non fa nessun altro albero di quella terra/ E non danno nessun frutto/ E la trementina nasce propriamente come la gomma se non ché è molto più che la gomma/ E alcuna // tanto liscia e dorata. E non la tiene nessuno in conto solamente alcuni e i loro animali se sono feriti gli disinfettano le ferite con quella/
303Ci sono in questi deserti altri alberi come quelli della gomma/ E da questi fanno il sapone/ in
questa maniera – per informazione – gli tolgono la corteccia e quella pestano/ non c’è un miglior sapone al mondo per lavare tutte le cose.
trovato nessuna menzione dell’uso della corteccia nel processo. Continuando il resoconto delle piante presenti nella regione di Arguim, l’autore ci dà a un certo punto delle notizie di ordine generale riguardanti la costituzione degli alberi in quelle zone:
Todas estas aruores som debaixo do chão maiores que em cima da terra/ E esto pellos camelos e outras animalias que sempre as roem e comem/ E tambem a area que se muda e quebra os ramos / E tambem o sol quente que nom leixa creçer a aruore pera cima [. . . ] Todas as heruas que naçem em aquelles deser- tos tem espinhas (sic)/ e assy que se nom acha herua que nom tem espinhos/