Dopo averle presentate, è necessario soffermarci ora sulla natura delle fonti uti- lizzate in questa analisi e farne un’analisi generale. In particolare è necessario prendere in considerazione la datazione di queste fonti, la loro pubblicazione e la loro autoria. Queste informazioni sono importanti perché nessun testo, di qual- siasi natura, può essere studiato senza interrogarsi riguardo a quando fu scritto, a chi lo scrisse effettivamente e perché lo fece.
Dunque, ci troviamo di fronte a un totale di cinque testi, di cui tre pubblicati in lingua italiana e due in lingua portoghese. Uno di questi testi, la Navigazione da Lisbona all’isola di San Tomé, è stato però scritto originariamente in lingua portoghese e poi tradotto in italiano, come espresso chiaramente dal titolo223.
Rispetto alla datazione di queste fonti, al giorno d’oggi abbiamo le idee abba- stanza chiare per indicare un periodo relativamente preciso in cui furono stese. Questi scritti sono stati tutti prodotti tra la seconda metà del XV secolo e la prima metà del XVI. L’unico testo che potrebbe esulare da questo periodo è di nuovo la Navigazione da Lisbona all’isola di San Tomé poiché abbiamo solamente la certezza che sia stato scritto dopo il 1535. Appartiene comunque sicuramente al XVI secolo, e non oltre. I vari testi sono stati invece pubblicati in tempi e modalità molto diverse tra loro. La relazione di Ca Damosto è stata pubblicata per la prima volta a Vicenza da Francazio di Montalboddo nel 1507, anche se deve la sua fortuna all’edizione di Ramusio, Delle Navigationi et Viaggi 224, in
cui è stata inserita nel 1550. Anche la Navigazione da Lisbona all’isola di San Tomé faceva parte della stessa opera di Ramusio. Le due opere furono quindi pubblicate relativamente poco tempo dopo essere state scritte. La prima circa quarant’anni dopo, la seconda probabilmente nello stesso anno in cui fu stesa. I testi portoghesi invece, sono stati pubblicati entrambi nel XIX secolo. Il Códice Valentim Fernandes nel 1847, ad opera del linguista tedesco Johann Andreas Sch- meller 225. L’Esmeraldo de Situ Orbis nel 1892, ad opera dell’Imprensa Nacional di Lisbona, la casa editrice statale portoghese226. La Lettera di Zenobio Acciaioli,
223“Navigazione da Lisbona all’isola di San Tomé, posta sotto la linea dell’equinoziale, scritta
per un pilotto portoghese e mandata al magnifico conte Rimondo della Torre, gentiluomo ve- ronese, e tradotta di lingua portoghese in italiana” in: Milanesi, Marica (a cura di), Ramusio, Giovanni Battista, Navigazioni e Viaggi, 6 vol., Einaudi, Torino, 1978-1988.
224Giovanni Battista Ramusio, Delle Navigationi et viaggi, Lucantonio Giunti e figli, Venezia,
1550-1553.
225Johann Andreas Schmeller “Ueber Valentim Fernandez Alemão und seine Sammlung von
Nachrichten über die Entdeckungen und Besitzungen der Portugiesen in Afrika und Asien bis zum Jahre 1508, enthalten in einer gleichseitigen portugiesischen Handschrift der köngl. Hof- und Staats-Bibliothek zu München.”, Abhandlungen der Philosophisch-Philologischen Classe der Königlich Bayerischen Akademie der Wissenschaften, Munich, 1847.
è stata invece pubblicata nel 2000 a opera della ricercatrice Elena Carnemolla227.
Per quanto riguarda l’autoria di queste fonti, invece, la questione è decisa- mente complessa. Possiamo partire da quella che in questo senso suscita meno dubbi: l’ Esmeraldo de Situ Orbis. Abbiamo la certezza che il suo autore fu Duar- te Pacheco Pereira, militare, navigatore e uomo di stato portoghese. Anche le intenzioni del suo scritto sono assolutamente chiare: fornire una descrizione og- gettiva delle coste occidentali africane per permetterne un sicuro riconoscimen- to da parte delle spedizioni navali e commerciali successive; dare consigli sulla navigazione, sull’utilizzo dei porti e fornire dati utili all’orientamento. In questo ultimo caso sono particolarmente degne di nota le indicazioni che il navigatore riportò in questa sua relazione circa i gradi di latitudine di tutti i maggiori punti di riferimento da lui descritti. Ricordiamo che fu proprio a causa della presenza di queste sensibili informazioni di tipo geografico-militare che la corona proibì la pubblicazione e la divulgazione di quest’opera.
Un’altra fonte relativamente semplice da analizzare è la Lettera di Zenobio Acciaioli, essa presenta i primi problemi rispetto all’autoria dei testi, che nelle altre fonti divengono molto più complessi. Sappiamo che la lettera fu scritta nel 1491, e che l’autore della lettera è Acciaioli. Le informazioni contenute in es- sa però non rispecchiano una sua esperienza diretta. Sono notizie “di seconda mano”, che lo scrittore stesso dice di aver ricevuto dai membri dell’equipaggio di una nave approdata a Pisa con fini commerciali. Non abbiamo perciò nessu- na notizia riguardo a chi fu l’infomatore di Acciaioli. Potrebbe essere stato un mercante, un diplomatico, un pilota o un semplice marinaio che aveva compiuto viaggi lungo la costa africana. Il fine di questa lettera però ci appare abbastanza chiaro. Il testo fu indirizzato al medico, astrologo e umanista ferrarese Antonio Arquata. La lettera fu poi girata al principe Alfonso d’Este che infine la inoltrò alla sorella, Isabella d’Este. La studiosa Elena Carnemolla ha scoperto questo scritto nell’archivio dei Gonzaga di Mantova e si è occupata di capire perché il destinatario finale di questa breve informativa fu la principessa ferrarese. Isa- bella d’Este fu una delle donne più importanti del mondo culturale italiano nel Rinascimento. Educata all’ammirazione di ogni forma d’arte divenne una cul- trice di opere d’arte di ogni tipo228. Mantenne una corrispondenza con nume-
rose personalità della cultura e della politica dei suoi tempi. È possibile dunque che Antonio Arquata si preoccupasse di far giungere a Isabella notizie, scritti o immagini riguardanti le nuove scoperte, in virtù della reciproca conoscenza
227Stefania Elena Carnemolla, Fonti Italiane dei Secoli XV-XVII sull’Espansione Portoghese, ETS,
Pisa, 2000.
228Per approfondire la figura di Isabella d’Este nel particolare del suo interesse per l’arte si veda:
Alessandro Luzio, “Nascita delle collezioni eclettiche gonzaghesche. Isabella e Federico”, in: AA.VV., La scienza a corte: collezionismo eclettico, natura e immagine a Mantova fra Rinascimento e Manierismo, Roma, Bulzoni, 1979, p. 87.
e dell’amore della principessa verso tutte le forme d’arte. Dunque la lettera in questione andrebbe considerata sia in un’ottica di informativa di tipo scientifico- geografico e di descrizione della natura, scambiata tra umanisti; sia come opera d’arte offerta alla collezione della principessa ferrarese.
La questione dell’autoria si manifesta con forza evidente nel Códice Valentim Fernandes. Si tratta infatti di una miscellanea di autori diversi e una raccolta di diverse testimonianze. Il lavoro di sistemazione dei materiali originali fat- to dal professore portoghese Luís de Albuquerque, base dell’edizione dell’opera utilizzata in questo lavoro, ha permesso di chiarire molti elementi. Rimane pe- rò il fatto che ci troviamo di fronte a dei materiali di cui non sappiamo quanto l’editore di Moravia abbia modificato. Ciò vale sopratutto per la prima parte dell’opera, quella utilizzata in questa tesi. Si tratta della sezione intitolata «Cep- ta e sua costa» e «Ylhas do Mar Oceano», il cui autore, o autori, è anonimo e nulla si conosce della sua persona. Né la provenienza, né l’estrazione sociale, né la professione o il ruolo nell’attività di scoperta. Vi è poi inserita in mezzo a questa descrizione una lista di domande in forma di intervista, che l’editore Valentim Fernandes avrebbe rivolto a un marinaio portoghese, tale Gonçalo Pi- res, riguardo alla conformazione e ad altre informazioni sull’isola di San Tomé. Non c’è però nessuna indicazione del fatto che tutta la trattazione precedente possa venir attribuita a questo marinaio. Del resto, anche se lo fosse, saprem- mo solamente che si chiamava Gonçalo Pires. Inoltre vi sono molti passaggi di questa sezione in cui emerge chiaramente l’uso che è stato fatto dell’opera di Ca Damosto, al tempo già in circolazione. Come vedremo, sono vari i brani contenuti in questa parte che risultano essere stati copiati dall’opera del vene- ziano. O per lo meno, si tratta di parti in cui l’informatore di Valentim Fernandes ha attinto dalla relazione di Ca Damosto le informazioni essenziali. Per lo me- no le intenzioni di Valentim Fernandes nella creazione di questa raccolta sono abbastanza chiare. L’opera è infatti indirizzata all’umanista tedesco Konrad Peu- tinger. Come abbiamo già spiegato, Peutinger fu una persona molto vicina alla corte imperiale tedesca; nonché alla famiglia Welser, banchieri e consiglieri degli imperatori tedeschi. La finalità del Códice Valentim Fernandes fu quindi quella di dare informazioni su terre, rotte e popoli scoperti dai portoghesi, concentrandosi sui dettagli riguardanti la flora, la fauna, le risorse economiche e le potenzialità produttive dei nuovi mondi. L’opera di Valentim Fernandes rispecchia perciò un interesse culturale umanista molto vivo al tempo per quelle parti del mondo fino ad ora sconosciute. Dall’altra parte invece rappresenta bene gli interessi economici dell’Europa e delle sue élites.
La relazione di Alvise Ca Damosto ci da molte informazioni rispetto alla sua stesura. Sembrerebbe perciò anch’essa una fonte su cui non vi sono dubbi so- stanziali. Il problema di questa relazione è che purtroppo non siamo in possesso dell’originale. Tutti i manoscritti di cui disponiamo sono delle copie dato che
il testo scritto dalla mano del veneziano è andato disgraziatamente perduto as- sieme alle carte geografiche che lo integravano. Questo pone dei problemi non indifferenti. Non ci è dato sapere quali possano essere stati i possibili cambia- menti apportati al testo da parte dei copisti (che non sappiamo chi erano). Sia cambiamenti di tipo accidentale, come errori di trascrizione o fraintendimen- ti nell’interpretazione delle descrizioni; sia cambiamenti di natura intenzionale. Quest’ultima eventualità è tutt’altro che inverosimile. Vedremo per esempio co- me la studiosa Tullia Leporace, curatrice dell’edizione critica delle varie versioni degli scritti di Ca Damosto, e lo studioso portoghese Arlindo Caldeira, abbiano riscontrato in certe parti della prima edizione veneziana del 1550 alcuni passi che nelle altre non sono presenti. Queste modifiche non possono essere che opera dell’editore Ramusio. Per capire le ragioni di queste aggiunte e precisa- zioni bisogna cercare di comprendere quali erano le finalità di questi scritti. Ca Damosto, come abbiamo visto, scrisse la sua relazione parecchi anni dopo il suo ritorno dal Portogallo, quando la sua posizione all’interno dell’aristocrazia ve- neziana era stata ristabilita dai successi economici e politici del suo soggiorno in quei paesi e dei suoi viaggi lungo le coste africane. Investito di numerose cari- che e incaricato di missioni per conto della Serenissima, aveva riguadagnato una posizione di uomo di stato. È quindi chiaro che l’intento dei suoi scritti sia stato quello di fornire innanzitutto informazioni di tipo geografico e commerciale, utili per orientare le scelte geo-politiche della Repubblica, in termini di politica estera ed economica. Gli scritti di Ca Damosto divennero poi di interesse letterario per umanisti come Alessandro Zorzi e Francazio di Montalboddo, che li raccolsero assieme ad altri racconti di viaggio e li pubblicarono a Vicenza nel 1507229. Si- curamente gli scritti di Ca Damosto si inseriscono anche in un interesse molto vivo in quel tempo per le opere di geografia. In particolare la presenza a Venezia di cartografi come Fra Mauro Camaldolese e Grazioso Benincasa, o di uomini di cultura rinascimentale come Pietro Bembo, Girolamo Fracasotoro e Andrea Navagero, influirono sulla decisione del navigatore di mettere per iscritto i suoi viaggi e renderli noti in questo ambiente culturale molto fervido. L’opera edi- toriale di Ramusio invece, non sembra inserirsi in questa ottica. Come abbiamo appena visto, quando fu pubblicata l’edizione veneziana del 1550, il genere lette- rario della raccolta di relazioni di viaggi non era una novità. Rispetto all’opera di Ramusio, lo studioso Arlindo Caldeira ha poi messo in evidenza una questione sfuggita prima d’ora ad altri.
Nas suas Navigationi não há a mínima alusão a um único dos documentos
229Sul ruolo di Alessandro Zorzi nella raccolta di questi scritti e nel suo interesse intellettuale e
letterario per le opere di letteratura di viaggio si veda: Francisco Leite de Faria; Avelino Texeira da Mota, Novidades Náuticas e Ultramarinas Numa Informação dada em Veneza em 1515, Centro de Estudos de Cartografia Antiga, Junta de Invesitgações Científicas do Ultramar, Lisboa, 1977.
a que teve accesso, incluindo os minuciosos relátorios dos representantes de Veneza nas principais capitais europeias (que de oito em oito dias deviam prestar informações ao Senado) e as cartas que, de todo o lado, eram dirigidas à Senhoria. 230
Ramusio infatti era anche lui uomo della Repubblica, nientemeno che segre- tario del Consiglio dei Dieci. Ecco perché Caldeira si chiede come mai egli non abbia attinto a piene mani dalla grande quantità di infromazioni a cui avreb- be potuto accedere. Quella dello studioso portoghese è un’indagine condotta sull’«anonimato» di Ramusio. Anonimo in quanto, fa notare sempre Caldeira, nella prima edizione della raccolta, il suo nome soprendentemente non figura sul frontespizio. Se non fosse per le edizioni successive e le copie, sostiene Cal- deira, al giorno d’oggi le Navigationi e Viaggi sarebbero considerate un’opera anonima231.
Questa situazione si ripropone con maggior forza nella Navigazione da Li- sbona all’isola di San Tomé, facente parte della stessa raccolta di relazioni. In questo caso anche l’autore originario del testo ci è sconosciuto. Come dice il titolo, e come si può evincere dal testo, la relazione della navigazione fu scritta originariamente da un pilota portoghese originario di Vila do Conde, una cit- tà portoghese del Nord, conosciuta per l’attività marinara. Lo studioso Arlindo Caldeira, nel suo lavoro sull’analisi dell’origine di questo testo, ha brillantemen- te dedotto ed estrapolato dal testo molte informazioni su questo personaggio, di cui però non è possibile conoscere l’identità. La conclusione dello studioso portoghese è che non essendo in possesso dell’originale scritto dal pilota, non conosciamo le modalità con cui Ramusio entrò in possesso delle informazioni che ci presenta. Sappiamo che il testo gli fu spedito dal Portogallo, dove fu scrit- to, e che fu poi tradotto. Ma anche in questo caso, non sappiamo da chi. Non possiamo sapere quante e quali furono le interferenze di Ramusio nella produ- zione del testo, né nella sua divisione ed organizzazione in vista dell’edizione, e nemmeno il ruolo che egli ricoprì nella traduzione. Come dice Caldeira rispetto ai testi da lui raccolti:
230Nelle sue Navigationi non c’è la minima allusione a uno solo dei documenti a cui ebbe accesso,
incluse le minuziosie relazioni dei rappresentanti di Venezia nelle principali capitali europee (che di otto in otto anni dovevano presentare informazioni al Senato) e le carte che, da ovunque, venivano dirette alle Signoria.
Arlindo Manuel Caldeira (Introdução, tradução e notas de), Viagens de um Piloto Português do Século XVI à Costa de África e a São Tomé, Commissão Nacional para as Comemorações dos Descobrimentos Portugueses, Lisboa, 2000, cit., p. 18.
231Arlindo Manuel Caldeira (Introdução, tradução e notas de), Viagens de um Piloto Português
do Século XVI à Costa de África e a São Tomé, Commissão Nacional para as Comemorações dos Descobrimentos Portugueses, Lisboa, 2000, p. 53.
para cada um deles, não temos um autor mas, pelo menos, dois, e desconhe- cemos, à partida, o quinhão de autoria que a cada um cabe. 232
Per spiegare questa molteplicità degli autori, secondo Caldeira cosciente- mente voluta da Ramusio, lo studioso portoghese abbraccia la tesi del prof. Mi- chael Korinman233, secondo cui l’intendo dell’editore e uomo di stato veneziano era quello di attaccare da un punto di vista ideologico le restrizioni portoghesi che, attraverso l’appoggio del papato, i re di Lisbona avevano imposto rispetto alle coste africane con il monopolio di commercio, pesca ed esplorazione, “De forma a poder garantir o lugar que Veneza julgava merecer no tabuleiro político- económico mundial”234. Il voluto anonimato, sia dell’editore, che sopratutto del- l’autore del testo, cioè il pilota portoghese, sarebbe stato lo strumento con cui Ramusio avrebbe condotto questa sua critica al monopolio portoghese. L’ob- biettivo sarebbe stato dunque quello di insinuare che il pilota avrebbe potuto incorrere in gravi conseguenze per aver prestato informazioni sui luoghi sco- perti dai portoghesi. Secondo questa interpretazione, il carattere clandestino di questa fonte sarebbe stato un artificio di tipo letterario, atto a incuriosire il pub- blico e nello stesso tempo un modo di dipingere la politica di monopolio dei re portoghesi come restrittiva e oscurantista.
Alla luce di tutte queste considerazioni è importante a questo punto non ricadere nella dialettica della «teoria del sigillo» che si ricollega direttamente alla discussione nazionalista sulla priorità delle scoperte che ha monopolizzato per molto tempo questo campo di studi. Lo stesso Caldeira respinge chiaramente questa teoria giudicandola completamente inverosimile. Le conclusioni a cui possiamo arrivare invece sono di altra natura. Deve essere chiaro che questi scritti non possono essere attribuiti a un solo autore perché nella creazione del testo vi intervenirono gli editori e presunti traduttori, creando una situazione che lo studioso portoghese José Horta ha chiamato «Co-produzione testuale»235.
232Per ognuno di essi, non abbiamo un autore ma, per lo meno, due, e non conosciamo, in partenza,
la parte di autoria che tocca a ognuno. Arlindo Manuel Caldeira, op. cit., p. 12.
233Professore di Geopolitica alla Sorbonne di Parigi, esperto di geopolitica europea e di storia
della Germania. Riguardo alla tesi abbracciata da Caldeira si veda: Michael Korinman, “Les idéostratégies de Ramusio”, in Actas do I Simpósio Interdisciplinar de Estudos Portugueses, II vol., Dimensões da alteridade nas culturas de língua portuguesa – o outro, Universidade Nova, Lisboa, 1985, pp. 63-76.
234In modo da poter garantire il posto che Venezia giudicava meritare nello scacchiere politico-
economico mondiale.
Arlindo Manuel Caldeira, op. cit., p. 24.
235Per approfondire il concetto di «Co-produzione testuale» si veda: José da Silva Horta, «O
Africano: produção textual e representações (séculos XV-XVII)», Condicionantes Culturais da Literatura de Viagens: Estudos e Bibliografias, Fernando Alves Cristovão (coord. de), Centro de
Deve quindi essere chiaro che le opere utilizzate in questo lavoro di anali- si non possono essere considerate come fonti storiche per lo studio dell’Africa Occidentale dei secoli XV e XVI e della loro esplorazione. Servono piuttosto a ricostruire l’universo culturale di un’epoca, della società europea del tempo e del grande passaggio intellettuale che stava attraversando, e in questo senso sono state utilizzate.
Literaturas de Expressão Portuguesa da Universidade de Lisboa, Edições Cosmos, Lisboa, 1999, pp. 261-301, p. 270.
5
La Natura dei nuovi mondi
Molto è stato scritto su questo periodo storico, su questa particolare area geogra- fica e sul processo di espansione europea in generale. Dal XIX secolo è in corso un’opera di erudizione portata avanti sopratutto dagli storici portoghesi attra- verso cui si è arrivati a collezionare e pubblicare la maggior parte dei documenti d’archivio disponibili sopra questo periodo e quest’area236. Nel Portogallo post- rivoluzione sono stati poi avviati gli studi sulla storia della scienza e la sintesi delle storiografie nazionali, operata sopratutto dalla storiografia di Albuquerque attraverso le collaborazioni con i colleghi di altri paesi, in particolare con quelli italiani.
Nell’alveo del nuovo approccio multinazionale e multidisciplinare, proprio di questa nuova storiografia, si situa lo sforzo degli ultimi decenni nello studio comparativo dei documenti e sopratutto sulla ricerca intorno al concetto di «rap- presentazione»237. Studiare la rappresentazione significa indagare su quali fosse-
ro le costruzioni mentali e discorsive che si sovrapponevano alla realtà osservata dai navigatori e dagli autori delle descrizioni dell’epoca, rispetto alle nuove terre raggiunte. Non si tratta di ricostruire questo primo processo di esplorazione nel divenire storico dei fatti e nelle relazioni interne di causa-effetto. Questa ope- razione è stata già fatta attraverso lo studio dei documenti da parte di svariate generazioni di storici portoghesi ed europei. È un lavoro che ovviamente è an-