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M. Kin Gagnon, 2010, p.44.

1.4 Culture in Action Meditazion

Inigo Manglano-Ovalle e Daniel J.Martinez. Il cinema di quartiere: da Boyz n da Hood a Do the Right Thing tornando a Bronx Tale

Descrivere un progetto SEA con i soli strumenti della critica artistica o attraverso la sola narrazione storico artistica risulterebbe alquanto difficile e riduttivo. Questa tipologia di progetti, infatti, pongono la basi della propria diversità  nel loro essere irrimediabilmente collegati ad un contesto specifico preesistente e, in molti casi, non “accomodante”. Non si tratta, infatti, con le dovute specifiche di ogni singolo progetto, di lavorare con un sociale costruito ad hoc o addirittura di un trasferimento del sociale all’interno di una confort zone. 

Si tratta di un vero site-specific anzi di un live creature-specific per usare una terminologia deweiana. Proprio questa vitalità del contesto rende difficile la sua cattura a livello critico nel senso di racconto e descrizione. La vitalità  della SEA sta nel contesto e questo, ovvero la situazione di base, deve essere analizzato con accuratezza e con modalità  interdisciplinari. L’intervento artistico su un dato contesto rappresenta la seconda fase, quella tipica dello scarto artistico dalla norma dove la formazione critica- artistica può  dire la sua in termini estetici. Per quelli etici, invece, ai fini di capire il perché di un intervento e l’intenzionalità di un artista, il contesto rimane il banco di prova essenziale.

Per capire il concetto di community ritengo sia importante guardare a tutti quei fattori extra artistici che hanno portato nel corso del tempo a delineare una sorta di estetica del quartiere, e quindi della comunità, e in particolare a quegli aspetti della cultura popolare che sono stati in un certo senso veicolati dalla produzione cinematografia, influenzandola allo steso tempo. Gli interventi di Manglano-Ovalle e Martinez condividono più degli altri un aspetto fortemente incentrato sulla vita del quartiere e sull’immersione in tale vita. Come visto, Manglano-Ovalle abitava nel quartiere dove decise di creare il progetto Street Level così come Martinez si trasferì dalla California a Chicago per poter capire al meglio l’area nella quale sarebbe intervenuto. Entrambi i progetti si rivolgono alle comunità  marginali della città  e rappresentano una sorta di atto di presa di consapevolezza delle condizioni socio politiche del momento. Sono progetti fortemente orientati ad/verso una comunità di quartiere che a sua volta è anche una comunità etnica. Manglano-Ovalle sfruttando la sua origine spagnola raggiunse direttamente la comunità  ispanica del quartiere di West Town così  al pari di Martinez il quale si concentrò anche sulla quella afro americana. 

Le città americane agli inizi degli anni Novanta sono composte da una diversità di culture molte forte ma quello che cambia rispetto alla tradizione multi culturale americana è che ora queste voci  “alternative”  iniziano ad elaborare una loro modalità  di vita, una loro estetica ed una loro visibilità.

Ritengo ci siano due film fondamentali per capire il contesto nel quale andranno ad operare Manglano Ovalle e Martinez. I film in questione sono Boyz n the Hood (1991) e Do the Right Thing (1989). Attraverso il primo film emergono temi quali la gentrificazione, la lotta tra gang rivali e la questione legata al consumo e allo spaccio di droga. Nel secondo, invece, la vita di quartiere mostra i delicati equilibri razziali della sua stessa composizione.

Boyz n da Hood, tradotto in italiano come Strade Violente  è  un film del 199 1del regista John Singleton girato e ambientato nella zona South Central di Los Angels. Il film, letteralmente traducibile come Ragazzi nel quartiere, racconta la storia di tre ragazzi Tree (Cuba Gooding Junior), Darrin (Ice Cube) e suo fratello Rick (Morris Chester Chestnut Jr). 

Il plot del film pur nella sua essenzialità, una storia di amicizia forgiata dalla perdita e dalle difficoltà, viene reso interessante dal contesto al quale si applica, ovvero un quartiere afro americano - l’unica presenza bianca è rappresentata da un poliziotto - dove è in atto una lotta tra determinati valori quali, consapevolezza e senso civico appartenenti alla vecchia scuola, e quelli invece della nuova generazione come il successo e la violenza legati ad un certo stereotipato mondo del crimine. Anche questi possono essere valori. La cosa ancora più interessante è che il tutto avviene all’interno di una sola comunità a differenza del film   Do the Right Thing. La comunità  nera si trova di fronte ad un cambiamento generazionale e il lascito, per certi versi inascoltato di personaggi quali Martin Luther King e Malcom X, lascia il posto ai nuovi eroi popolari quali il rapper Tupac e il gruppo dei Public Enemy. In questo contesto le vite dei tre ragazzi con i loro nuovi interessi si incontrano sullo sfondo di un quartiere desolato e difficile, guidati parzialmente, dalla voce e dall’esempio del padre dei uno dei tre.

Uno dei momenti chiave del film, che vive sui diversi stili di vita dei tre ragazzi, è proprio quello in cui Jason "Furious" Styles, padre di Tree, riunisce alcune persone del quartiere per parlare del problema della gentrificazione. Il tutto viene introdotto da un dialogo tra Rick e Tree dove il primo sembra abbastanza preoccupato per la situazione del quartiere e le persone che lo circondano:  “I don’t know about all this. Got us walking around compton and all”. A questa preoccupazione, quella di trovarsi nella parte peggiore del quartiere, Tree risponde:  “Rick it’s the  ’90s.   We can’t afford to be afraid of our own people anymore”. Sono gli anni  ’90 non ci possiamo più  permettere di aver paura della nostra gente. Tornando al discorso sulla SEA, ritengo questa frase, proprio nel suo essere veicolata e allo stesso tempo veicolo di una certa cultura popolare, fondamentale per capire un certo salto avvenuto negli anni  ’90 rispetto alle pratiche politiche nel sociale tipiche degli anni ’70. Gli anni ’90, infatti, attraverso un lungo processo di decostruzione e decolonialismo culturale hanno avvicinato l’altro creando, per certi aspetto, un multiculturalismo di prossimità  tale da spaventare persino gli stessi membri di una comunità. Allo stesso tempo, proprio questa prossimità  ha ridisegnato le modalità  di attivismo e azione sociale in una direzione sempre più civica e locale tale da spingere, di conseguenza, al dialogo e ad una tipologia di partecipazione grassroots, dal basso, senza nessuna bandiera politica ma con dei confini urbanistici ben delimitati.

Il mondo improvvisamente allargato si restringe di colpo e il quartiere diventa quel microcosmo affollato nel quale bisogna imparare a convivere. I due protagonisti hanno questo scambio di battute sotto un grande cartellone pubblicitario che reclamizza l’acquisto/vendita di case nel quartiere “Cash for your Home. Seoul to Seoul Realty”. Nel cartellone l’immagine è abbastanza evocativa di un discorso in divenire che influirà molto sulla stessa vita del quartiere. Le tre case disegnate vengono progressivamente trasformate in mazzette di soldi che prendono il volo per uscire, fisicamente, dal cartellone stesso. In questo climax di immagini e dialoghi  Singleton costruisce il suo monologo sulle gentrification e la speculazione edilizia attraverso le voce di “Furious”: “I want you all to look at that sign. See what it says? Cash for your home. You know what that is?”  Entrambi i ragazzi rispondono in base a quello che vedono dicendo  “It’s a billboard”  A quel punto  “Furious"  riprende il suo discorso mentre alcuni ragazzi seduti dall’altro lato della strada, quelli di cui Rick sembrava spaventato, si avvicinano:  “  I’am talking about the message. What it stand for. It’s call gentrification. It’s what happens

when property value of a certain area is brought down. […]They Bring the property value down. They can buy the land cheaper. Then they move the people out, raise the value and sell it at a profit. What we need to do is to keep everything in our neighborhood black. Black owned with black money. Just like the Jews, the Italians, the Mexicans and the Koreans do”. 

A questo punto dopo che  Furious  ha tracciato le linee guida per sopravvivere come comunità di fronte all’inevitabile avanzamento della speculazione, un vecchio del quartiere si avvicina dicendo che non è colpa di qualcuno da fuori se le proprietà perdono di valore bensì è colpa della stessa gente del quartiere: “Ain’t nobody from outside bringing down the property value. Is this folks. Shooting each other selling and selling that crack rock and shit” conclude indicando i ragazzi arrivati ad ascoltare il discorso di Furious. “How do you Think the crack gets into the country?”  chiede  Furious  mentre i ragazzi ridono del vecchio. Furious poi continua “We don’t own any planes, we don’t own no ships. We are not the people who are flying and floating that shit in here. Every time you turn on a TV, that’s what you see. Black people feeling the rock, pushing the rock. It wasn’t a problem when it was here, there wasn’t a problem when was in Iowa, and on Wall Street where there’s hardly any black people. Of you want to talk about guns…Why is that there is a gun shop almost on every corner in this community?” Il vecchio chiede perché e Furious allora incalza nel suo monologo:  “For the same reason there is a liquor store on every corner in the black community. Why? They want us to kill ourselves. You go out on Beverly Hills you don’t see that shit. But they want us to kill ourselves. The best way to destroy a people is to take away their ability to reproduce themselves. Who is that dying out here on these streets every night? Young brothers like yourselves?” A questo punto uno dei ragazzi togliendosi gli occhiali si rivolge direttamente a Furious  “What am I supposed to do? Fool roll up, tru to smoke me. I am gonna shoot the motherfucker of he don’t kill me first”. Furios risponde “You doing exactly what the want you do to. You have to think young brother, about your future”. 

Proprio in questa sua componete cinematografico-popolare ritengo questo dialogo interessante perché  rende l’idea del quartiere come un qualcosa da difendere, un noi contro loro e dunque è proprio questo clima di tensione che apre al necessario ruolo del dialogo. Il tema della gentrificazione, dell’ “esproprio” speculativo, si colloca all’interno di un contesto marginalizzato che  è  consapevole dei meccanismi che innescano la sua spirale di violenza e odio ma che allo stesso tempo, come conferma la risposta di uno dei ragazzi, non vede alternative. La mancanza di alternative come si evince dal discorso di Furious è dovuta ad un “piano” preciso. Furious si chiede perché siano presenti così tanti negozi di armi e liquori nel quartiere e la risposta è “qualcuno vuole che ci uccidiamo a vicenda”. 

Tornado al discorso artistico ed anticipando in questo paragrafo la descrizione dello Spoleto Festival di Charleston curato nel 1991 da Mary Jane Jacob non si può  non vedere nell’opera di David Hammons una chiara risposta a tutto questo. L’intervento di Hammons, descritto in seguito, dal nome House of the Future si basa da una parte sulla costruzione di una piccola casa senza apparenti funzioni e dall’altra sull’affissione della bandiera della comunità  afro americana e la sostituzione di un cartellone pubblicitario. Proprio quel cartellone, prima dell’intervento di Hammons, raffigurava una pubblicità  di una nota marca di sigarette e rappresentava, proprio nel luogo della sua affissione, il decreto imposto dalla città  di non affiggere manifesti nel centro città  ma solo nelle periferie con il risultato di una continua pubblicizzazione di determinati prodotti, come gli alcolici, nei quartiere più poveri. Ed ecco che a questo punto un dialogo cinematografico trova la sua consistenza nel reale fino a diventare evidenza attraverso un intervento

artistico. Del resto il discorso di Furious avviene sotto un billboard, parla di droga, alcol e violenza immagini che Hammons ha sostituto con la foto di un gruppo di bambini neri con lo sguardo fiducioso verso l’alto. Anche questo contesto deve essere tenuto in conto dalla critica SEA in quanto rappresenta un’esperienza collettiva, non specializzata, alla quale partecipata una comunità. Un contesto reale al quale ad ogni causa corrisponde un effetto e nel quale serve una certa onestà di fondo.

Discorso simile nel film  Do the Right Thing  e nell’estetica filmica generale del regista Spike Lee. 

Gran parte della sua filmografia, infatti, gira intorno alla comunità  afro americana sia attraverso i suoi miti e i momenti storici, Mo’Better Blues (1990), Malcom X (1992), Get on the Bus (1996), che attraverso l’attualità del quartiere e i temi della droga e della violenza, Jungle Fever (1991), Clookers (1995). Il film Do the Right Thing del 1989 è ambientato nel quartiere Bedford-Stuysant di Brooklin. Tutto ruota intorno alla pizzeria italo americana di Sal nella quale lavora Mookie (Spike Lee). All’interno della pizzeria sono esposti solo ritratti di italo americani famosi e nessun personaggio di spicco della comunità  afro americana che in realtà  rappresenta la sola clientela del locale. Partendo da questo escamotage narrativo Spike Lee organizza una rassegna di stereotipi razzisti affidata ai brevi monologhi girati in primo piano ed interpretati dai vari membri della comunità. Mookie inizia così ad insultare gli italiani, John Turturro, l’attore che interpreta uno dei due figli di Sal, insulta la comunità  afro americana, un ragazzo ispanico insulta i coreani, un poliziotto bianco insulta i portoricani e infine un coreano insulta gli ebrei. Questa escalation di odio porterà  alla distruzione della pizzeria e all’uccisione da parte dei poliziotti di un ragazzo nero del quartiere. Il tema dell’odio razziale e della mancanza di dialogo viene portato alle estreme conseguenze da Spike Lee proprio attraverso la tecnica del mini-monologo-sfogo che di per se’ non lascia spazio a nessuna replica. È un tutti contro tutti generalizzato e stereotipato ma rimane comunque importante, ai fini di questa ricerca sul conteso e le pratiche SEA, per capire il clima del momento. È una sorta di condizione generalizzata di partenza quella che vede il quartiere come nuovo laboratorio urbano dettato da une serie di cambiamenti sociali e politici. In questo contesto determinate pratiche basate sul dialogo, sulla costruzione di alternative e sulla condivisione vengono plasmate e allo stesso tempo trovano il loro contesto più adatto.

Anche se per un piccolo sketch, è interessante come il discorso della gentrificazione torni anche in questo film. Un ragazzo bianco sta portando a mano la bicicletta sul marciapiede vicino alla sua abitazione. Accidentalmente urta Buggin Out, il ragazzo nero che darà avvio alla protesta dentro la pizzeria di Sal. Buggin Out, guardando la macchia sulle sue scarpe nuove insegue, il ragazzo bianco e pretende le sue scuse e all’apice della sua rabbia lo interroga sul perché un bianco vive in un quartiere nero: “Who told you to step on my sneakers? Who told you to walk on my side of the block? Who told you to be in neighborhood?”  Il ragazzo allora risponde di essere il proprietario di una delle brownstone, tipiche case della zona di New York  “I own a brownstone on this bock”, questo non fa altro che aumentare la collera di Bugging Out il quale incalza “Who told you to buy a brownstone on my block, in my neighborhood on my side of the street? What do you want to live in a black neighborhood for? Motherfucker gentrification.”

Questo substrato filmico può  servire da spiegazione preliminare - o per meglio dire ampliarne una comprensione contestuale - agli interventi di Manglano-Ovalle e Martinez propio nell’essere così  radicati nel quartiere mostrando, così, come un certo tipo di quartiere/identità americana in quel periodo venga messa in discussione. 

L’operazione di Manglano-Ovalle del resto  è  fortemente indirizzata alle esigenze del quartiere in particolare quella relativa alla sicurezza che si esprime attraverso il video racconto realizzato dai vari abitanti della comunità. Un dialogo aperto e visuale, che porterà  a sua volta alla formazione dell’organizzazione Street Level Youth Media dedita proprio alla produzione video, può essere raccontato anche attraverso l’influenza diretta o indiretta di un certo tipo di cinema. Ritengo infatti che proprio nella scelta di alcune riprese e foto di documentazione Manglano-Ovalle si sia ispirato a quel Brooklyn stoop style presente in molti film di Spike Lee. Lo stoop, a livello architettonico, rappresenta quella serie di gradini che portano all’ingresso di un appartamento. Sostituisce nelle grandi città l’ingresso porticato o veranda (porch) e fu introdotto nella zona di New York dai coloni olandesi che lo chiamava stoep (la pronuncia è la stessa dell’inglese, stoop). Lo stoop a livello sociale svolge una funzione importante in quanto rappresenta una sorta di zona semi pubblica, tra la casa e la strada e nel corso del tempo è diventato un punto di ritrovo nonché  una sorta di vigilanza del quartiere. Nei film di Spike Lee, in particolare in Do The Right Thing, la maggior parte dei dialoghi avvengono davanti ad uno stoop. Lo stoop è anche il “luogo” di diverse foto che documentano il progetto dell’artista, una delle più evocative è quella che vede una famiglia sulla propria porta di casa riunita attorno ad uno dei monitor usati per trasmettere i video girati dai ragazzi.  Per non parlare poi dell’attenzione che Manglano-Ovalle rivolge ai giovani del quartiere veri protagonisti di questa azione. Gli aspetti più importanti di un certo street/ghetto life style sono analizzati attraverso i graffiti e la musica hip hop tanto da affidare la sicurezza dell’intero evento ai ragazzi apparenti alle gang del quartiere stesso. 

In Martinez invece, uno dei livelli del suo intervento  è  incentrato proprio sulla questione della gentrificazione. La parata di  Consequence of a Gesture  arriva fino alla  zona di Maxwell Market dove proprio la  University of  Illinois  stava portando avanti un piano di espansione/rimodellamento delle sue strutture  in una delle zone chiave, nonché  area identitaria in senso multiplo, della comunità locale.

Ritengo infine importante, per capire il cambiamento di soggetto nella narrazione filmica sul tema vita di quartiere, introdurre un ultimo film:  Bronx Tale  (1993) diretto da Chaz Palminteri. Nonostante il film sia girato negli anni  ’90, racconta la storia della comunità  italo americana negli anni  ’60. Protagonisti sono il boss locale Sonny (Chaz Palminteri), Lorenzo (Robert De Niro) autista di autobus e suo figlio Calogero. Il piccolo Calogero fin da piccolo mostra interesse per lo stile di vita e gli insegnamenti di Sonny che diventa ben presto una figura sostitutiva del padre. L’intero film racconta una comunità, quella italo americana nel suo classico stereotipo di mafia export che tanto successo ha riscosso negli States. In particolare nel suo confronto con i film di Spike Lee e Singleton mette in luce l’avanzare di altre comunità e esigenze, altre modalità di vita e necessità di affermazione. A livello cinematografico gli anni ’90 sembrano essere l’inizio, o la presa di coscienza, di un nuovo racconto comunitario che vede la progressiva sostituzione di una comunità con un’altra insieme al portato di discorsi politico e sociali che ne fanno parte. Il regolamento di conti, Sonny verrà ucciso dal figlio dell’uomo a cui ha sparato, rimane il fil rouge dei tre film ma il contesto cambia radicalmente. Al posto dei corpulenti uomini italiani che sfidano in un’epica rissa da bar i bikers venuti da fuori, si sostituiscono i giovani ragazzi neri che proprio in Bronx Tale vengono visti come i nemici  “naturali”. Sinatra viene sostituito dai Public Enemy e questo passaggio viene