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Il cuore pulsante di Marcello Mamini

Perché mi sono messo a scrivere? Vorrei rispondere, interpretando il pensiero di Italo Calvino (“Lezioni americane”), che il fine ulti-mo della letteratura è curativo, contro il male del vivere… ma mi sembra pretenzioso: sono più onesto se dico che scrivo per diver-timento. Però questa è una motivazione un po’ superficiale: se mi interrogo meglio e mi guardo bene dentro, le spiegazioni si molti-plicano.

Scrivo perché sono timidamente esibizionista e ho scoperto fin da bambino che chi racconta ha un suo fascino particolare: quan-do ritagliavo burattini di carta, li legavo a un filo e inventavo una storia per un uditorio di fanciulline, mi piaceva molto vederle in-cantate, con gli occhioni spalancati, affascinate dalle mie parole, mi sembrava di aver scoperto uno dei misteri del mondo. E da grande ne ebbi conferma.

Scrivo perché stare a tavolino e mettere su carta (o sul monitor di un computer) ciò che si forma quasi autonomamente nella mia testa, è il modo migliore di realizzarmi e comunicare.

Scrivo perché è il modo in cui riesco a far transitare delle cose at-traverso di me, la cultura, la vita, le esperienze, la letteratura con cui sono stato educato, e le rimetto in circolazione a beneficio di altri.

Scrivo perché sono insoddisfatto di quello che ho letto e che leggo, e pretendo di scriverlo meglio, o perlomeno come piace a me. Posso inventarmi un finale invece di subirlo, posso far accadere le cose secondo l’ordine che mi intriga, o creare personaggi che

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suscitano la mia simpatia, la mia ammirazione, che fanno o dicono cose in cui mi identifico.

Scrivo per imparare. Perché quando, ad esempio, ambienti una storia in un determinato periodo storico, te lo devi studiare, lo devi conoscere bene, nei minimi particolari. Non puoi scrivere “Rossini balzò sulla sua carrozza” senza sapere come era fatta, se c’erano cu-scini, se aveva le ruote rivestite di gomma o com’erano le lanterne per l’illuminazione notturna. Se il personaggio è un ricercatore nel campo della biologia, o un astronauta, o un medico, devi conosce-re bene il suo lavoro, altrimenti la narrazione riesce povera, poco dettagliata. O addirittura infarcita di errori: ne sa qualcosa il po-vero Dan Brown, che fin dal “Codice Da Vinci” è perseguitato da schiere di commentatori che gli fanno le pulci alla scoperta delle sue “bufale”.

Scrivo per moltiplicare all’infinito le mie vite: ogni racconto è la perfetta evasione in un altro mondo. Conosci posti e persone, vivi esperienze che nella tua limitata vita quotidiana sono solo un sogno lontano. Per qualche giorno, finché dura la fascinazione della trama, finché insegui gli imprevedibili sviluppi degli avvenimenti, sei veramente altrove. Le donne sono bellissime e te ne innamori:

descrivi le loro curve seducenti, ti perdi dentro i loro occhi, le fai agire e puoi spiare le loro azioni da un punto di vista privilegiato.

I tuoi personaggi sono tutti tuoi figli e, come tali, li ami incondi-zionatamente. Provi la vertigine incredibile della creazione perché il creatore sei tu.

Tutto questo è estremamente divertente e quindi ritorniamo al punto da cui siamo partiti: scrivo per divertimento, espressione semplice che racchiude in realtà un mondo di emozioni.

Ma andiamo con ordine. Come è iniziata questa storia? Chi è Marcello Mamini?

Marcello Mamini è giunto alla narrativa e alla storiografia dopo un percorso quanto mai eclettico: è stato pubblicitario, conduttore di radio libere, insegnante, funzionario dello Stato. Vive a Pesaro,

dove si è trasferito con la famiglia dalla nativa Ravenna fin dal lon-tano 1951.

A Pesaro frequenta il Liceo Classico, cui segue la Laurea in Let-tere presso l’Università di Bologna. Qualcuno gli dice: “Come in-segnante sarai un morto di fame” e allora si mette a frequentare la Facoltà di Medicina. Ma il turbolento periodo del Sessantotto lo convince a lasciare la vita da eterno studente: la sua esistenza pren-de una piega più tranquilla, si sposa, ha due figlie, si pone sotto l’ala protettrice dello Stato accettando un incarico come insegnante di scuola media, incarico che verrà in seguito modificato in un ruolo amministrativo.

Però la velleità artistica, la necessità di creare ed esibirsi (come nei numerosi e spassosi travestimenti degli spettacoli studenteschi), non lo abbandonano mai e accompagnano il percorso più borghese come un sottofondo che emerge sempre più spesso. Nel 1975, in-sieme ad altri gloriosi pionieri, crea la prima radio libera di Pesaro (una delle prime d’Italia): Stereo Pesaro 103. Il successo di questa emittente viene replicato con Radio Città Uno, più brillante e vici-na gli ascoltatori, uvici-na svolta nel modo di fare radio che influenzerà anche la Rai. Si dedica anche ad un mondo che lo affascina, quello della pubblicità: firma alcune campagne locali di successo ed è au-tore di slogan fortunati. Il momento magico in questo campo viene vissuto nel 1988, quando crea per un negozio di mode una delle tante contaminazioni della Gioconda: Monna Lisa che esibisce mi-nigonna e gambe sexy e lo slogan recita “l’importanza del tocco finale”! L’immagine finisce addirittura a Parigi in una collezione di rivisitazioni della Gioconda di Jean Margat, oggi al Louvre-Lens.

Abbandonato il lavoro statale, riesce finalmente a dedicarsi al suo amore per la scrittura: il suo primo libro di narrativa, Smarrirsi in uno sguardo di donna, è accolto da un caloroso gradimento dei lettori. Il successo viene rinnovato con una seconda opera, dedi-cata anche questa al fascino delle figure femminili: Dritto al cuore.

L’autore predilige sempre la forma del racconto breve,

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bilmente con finale imprevedibile. La protagonista è quasi sempre una donna, misteriosa, affascinante, spesso diabolica. Una donna dalle forme perfette ed eccitanti, dallo sguardo ipnotico, che trasci-na il lettore in vicende al limite del credibile, tra humour e tensio-ne narrativa. Il tutto condito con un pizzico di erotismo, sempre molto soft. Non serve un grande psicologo per capire che dietro questo gioco si nascondono i sogni, le paure, le angosce, le fantasie dell’autore, che comunque, sotto sotto, sorride di sé. E di noi, che cadiamo nel suo gioco.

Dal racconto al romanzo il passaggio è obbligato. L’ombra sfug-gente del male racconta l’improbabile storia di Guido Modiano, un giovane bello e sensibile, in possesso di doti straordinarie, convin-to di avere una missione: sconfiggere il male. In un crescendo di emozionanti vicende al limite del credibile, incontrando sul suo cammino figure femminili di grande fascino, Guido è trascinato suo malgrado verso un imprevedibile finale.

Segue Reset, all’inferno e ritorno: la trama improbabile, ai confini della realtà, il finale imprevedibile, le donne affascinanti: Mamini torna ai suoi temi preferiti e ci regala un romanzo dove fantascien-za, tecnologia, storia contemporanea e amore creano un cocktail dagli aromi contrastanti. In sottofondo il sapore inquietante della parabola, i dubbi e i disagi dell’esistere.

Ma ci sono altre passioni, nella vita di Marcello Mamini: la sto-ria del ‘400, la musica, l’ammirazione per un personaggio di grande rilievo, Federico di Montefeltro. Nel 2007 queste passioni conflu-iscono in un opera di grande respiro: Udirai melodia del bel sonare (Federico di Montefeltro e la musica).

Federico segna profondamente il suo secolo, lasciando alla no-stra ammirazione, al di là delle fragorose vittorie in battaglia e di quelle ingegnose negli equilibrismi politici, gli stupefacenti risultati di una grandiosa attività edilizia e di una appassionata opera di protezione delle arti e degli artisti in ogni campo.

Mamini impara ad amarlo fin dai tempi della sua tesi di laurea,

quando legge e trascrive correttamente (per primo, dopo tanti seco-li) la composizione Bella gerit, intarsiata nel celebre studiolo ligneo del palazzo Ducale di Urbino (in Rivista di Studi Urbinati, anno XLVIII, n.s. B, n.1-2, 1974).

In Udirai melodia del belsonare l’autore sceglie l’angolo di vista musicale per gettare uno sguardo d’insieme sul tempo di Federico, utilizzando un tono volutamente leggero, anche se al di sotto di esso si intravede la robusta ossatura del rigore scientifico.

Poteva mancare Rossini nella produzione del nostro autore, or-mai pesarese a tutti gli effetti? Nel 2013 viene infatti pubblicato un ritratto inedito del grande musicista: Gioachino e Isabella, una storia d’amore. Il protagonista è un Rossini diverso da come è solitamente conosciuto: non l’insaziabile ghiottone o il genio musicale, ma un Gioachino vivo e reale, un giovane di talento, con pregi e difetti, alla ricerca della fortuna e del successo in quel che era ai suoi tem-pi il palcoscenico tem-più difficile e ambito, il Regno di Napoli. Qui incontra anche la donna del destino, Isabella Colbran, bellissima, adorata come una dea dal pubblico, desiderata da tutti: ma è il gio-vane Rossini a intrecciare con lei un’appassionante storia d’amore.

Mi diverte ripercorrere le vicende della mia vita e la mia mo-desta produzione letteraria in terza persona, come se si trattasse di un estraneo. E non è difficile lo sdoppiamento: a volte riapro un libro mio a caso, leggo qualche riga e mi stupisco di aver scritto io quelle cose. È una sensazione strana: dubito di essere io l’autore, mi chiedo se riuscirei ancora a inventare quelle immagini, quelle seducenti figure di donna… E penso che questa è la dimostrazione migliore che non siamo noi a scrivere: qualcuno, o qualcosa, guida la nostra mano.

M. M.

SI PUÒ IMBROGLIARE LA DIMENSIONE UMANA, IMPOSSIBILE È INGANNARNE LA PARTE DIVINA