Il lirismo nostalgico di Roberto Recanatesi
R. Sì, certo, te l’ho già anticipato nel punto precedente
Vittorio Sgarbi su ROBERTO RECANATESI
Avrei detto di Roberto Recanatesi, artista fotografo che si definisce funzionario regionale suo malgrado (perché, di questi tempi, cruc-ciarsi di esserlo?), che il suo modo di concepire la fotografia, così come si può evincere da serie come quelle che l’autore ha intitolato Doppie Esposizioni, Surreale, Grafica, le più rappresentative, pro-babilmente, della sua produzione, si fondi sulla coscienza del suo fisiologico irrealismo. Me ne sarei compiaciuto, perché testimonie-rebbe del fatto che Recanatesi, indipendentemente dalle sue predi-sposizioni espressive, chiaramente orientate verso il non realistico, anche quando ottenuto dalla manipolazione combinata del realisti-co, appartiene a un ambito aggiornato della riflessione in materia, ormai svincolatasi dalle concezioni meccanicistiche, ancora care a Walter Benjamin o Roland Barthes, per le quali la fotografia sareb-be per forza oggettività, e che qualunque deroga da questa vocazio-ne, prima fra tutte l’espressività a fini artistici, sarebbe una sorta di alterazione genetica. Oggi il dibattito più evoluto sull’argomento, almeno da Jean-Marie Floch in avanti, è più propenso a credere che l’oggettività fotografica sia comunque un’illusione, per quanto enormemente più sofisticata di quanto non provenga dalle forme di rappresentazione della realtà che storicamente l’hanno precedu-ta, e che la fotografia, quindi, in quanto rielaborazione del mon-do, sia facilmente accomunabile all’arte sensu antiquo. Se la realtà della fotografia non è un riflesso automatico, ma un effetto, è assai più utile occuparsi del modo in cui questi effetti vengono cultural-mente metabolizzati e riempiti di specifici significati, piuttosto che scervellarsi invano sul fatto che la loro natura sia più o meno ve-ritiera. In questo senso, anche l’insistenza di Recanatesi sul bianco e nero, così sintomatico della vecchia fotografia analogica, quando gli apparecchi erano a metà strada fra lo strumento di precisione e la scatola dei prodigi, e i loro operatori oscillanti fra gli scienziati e i prestigiatori, mi pareva da intendere, più ancora che per motivi
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di affetto nei confronti delle tecniche tradizionali, per via del suo congenito, invalicabile irrealismo (non vediamo in bianco e nero, è chiaro, anche se l’abitudine a farlo attraverso i media visuali di una volta ci potrebbe far credere, in modo evidentemente aberrato, che sia meno artificiale di quanto non possa essere il colore). Poi, però, considerando nel suo complesso la produzione di Recanatesi, noto anche che non ha disdegnato una fotografia più legata alla resa del concreto oggettivo – così come lo potremmo chiamare conven-zionalmente, pure se fossimo convinti che con questo mezzo sia possibile perseguirlo solo in parte – e che quando lo ha fatto, non se l’è cavata affatto male. Alludo, in particolare (faccio sempre fede alle autoclassificazioni dell’autore), alla serie di Ritratti e figure, con qualche faccia a me conosciuta che viene proposta in vesti ora pre-viste, nel rispetto di un’iconografia che, per quanto non codificata, sembra come impressa direttamente nei volti degli interessati, ora, al contrario, in vesti inattese, a smentire proprio l’iconografizzazio-ne più scontata; e ancora di più, a quella, un po’ arcimboldesca, delle Sembianze su pietra, che mi riporta subito alla mente, non so fino a che punto in maniera pertinente, da una parte il concetto barocco della natura come suprema forma di artificio, strettamente correlato a quello di metamorfosi, lo stesso espresso, per intenderci, nelle mensole berniniane di Montecitorio, dall’altra, in un senso del tutto diverso, e in tempi molto più vicini agli attuali, i reperti antropologici e le ebollizioni vulcaniche di Antonio Biasucci.
In realtà, a osservare con più attenzione, ci si accorge che è una divergenza solo apparente. I ritratti, puntando sulla variante di posa, di inquadratura o di luce, cercano palesemente qualcosa al di fuori del riscontro visivo più immediato, non di rado sacrificando l’interesse psicologico a favore di quello ambientale, inteso come atmosfera complessiva in grado di caricare l’immagine di significa-ti diversi da quelli più prevedibili, decisamente più suggessignifica-tivi. In quanto alle Sembianze, dall’aspetto pure così nudo e crudo, sono
esemplarmente simboliche dell’illusorietà della realtà fotografica, in fondo non diversamente dal fin troppo discusso, anche in modo spesso inutile, Miliziano morente di Robert Capa: nessuno, dalla sola immagine, potrà capire se si tratta di cose riprese così come erano o se sono state alterate per concedersi alla nostra vista me-diante una messinscena intenzionale, per quanto credibilissima, in quanto ottimamente camuffabile. Ciò che è importante sapere, però, è che in quelle Sembianze, ai fini della loro percezione ed elaborazione mentale in fatto estetico, l’aspetto ontologico (sapere, cioè, se si tratta di verità o meno) è del tutto secondario, e interessa eventualmente uno stato differente del loro essere fotografie, quel-lo documentale, non certo fra le priorità di Recanatesi così come di chi guarda le sue opere. L’importante è che quelle immagini ci sembrino verosimili, perché è l’apparenza, sempre e comunque, il campo di competenza del fotografico. E le apparenze sono costan-temente al centro dei giochi artistici di Recanatesi, verificando di continuo la loro capacità di offrirci un punto di vista diverso da quello ordinario, non solo ottico, ma anche intellettuale, potendo dare immagine anche a ciò che visivamente non compare in natura, il concetto, la nostra elaborazione mentale. Un piccolo, grande sor-tilegio, a pensarci bene: cosa ci potrebbe essere di più magico che dare visibilità a un’idea, e non attraverso un’invenzione ex abrupto, come, per esempio, la Divina Commedia o un dipinto informa-le, ma attraverso il coinvolgimento diretto delle nostre esperienze, combinando liberamente ciò che comunque saremmo in grado di vedere per nostro conto, per potere infine ottenere, dalla messa in pratica di questo processo, delle immagini che si diano, a sublimare quanto rimarcato criticamente finora, come effetti degli effetti?