(sintesi tratte da relazioni scritte da Giovanni Ghilardi)
Così scriveva ad un Comune (si tacciono i nomi per ovvie ragio-ni), chiedendo di “avere in visione il fascicolo personale del ragazzo, riguardante l’anamnesi e gli interventi su di esso operati, per un’idonea conoscenza del soggetto in sé, onde facilitare la scelta degli interventi mirati alla sua educazione e conoscere la descrizione del quadro clini-co, riguardante il suo precedente stato di salute”.
Dopo circa due mesi non ottiene alcuna risposta, per questo motivo così riscrive: “importante conoscere l’anamnesi del minore per comprenderne meglio le dinamiche psicologiche e comportamentali”.
Prima di entrare in comunità il soggetto, dagli Atti relativi invia-ti dall’Assessorato ai Servizi Sociali, passa dalla famiglia all’isinvia-tituto, dall’istituto alla famiglia affidataria.
Dopo un percorso complesso e tortuoso così lamentano le in-segnanti che lo avevano seguito negli anni precedenti: “l’alunno è stato trasferito ad altra scuola senza una comunicazione alle insegnanti abbastanza tempestiva da permettere uno scambio di saluti, almeno con i compagni che da quattro anni fanno parte della sua storia, della sua vita… la famiglia affidataria ha avuto solo un contatto verbale ufficioso con l’insegnante di sostegno, che non conosce quasi nulla della storia del bambino…
Le sottoscritte manifestano tutta la loro perplessità per il modo bru-sco con cui si è conclusa la vicenda…temono che qualsiasi forma di
“rottura” con il passato non giovi all’equilibrio di un bambino sensibile e affettuoso”.
La famiglia affidataria, di buona volontà ma impreparata ad un compito così gravoso, si rivolge a Giovanni Ghilardi, il quale sug-gerisce i termini per ricorrere al Tribunale per i minorenni, senza attendere oltre.
Il disagio sia del minore sia delle persone che di lui si occupano, si è fatto tanto dirompente da portare gli attuali responsabili alla esasperazione e ad un rigetto non più controllabile.
Il bambino entra in Comunità giovanile così come descrive lo stesso responsabile:
“Alle ore 07,45, di venerdì 23 aprile 1993, il sottoscritto è at-teso da un bambino, serio in volto e privo di parola, tutto solo, in mezzo alla piazzetta, attorniato da sette od otto sacchetti di plastica, ripieni di vestiario e di libri, nonché di giocattoli”.
Il ragazzo, in quel tempo, non si fidava affatto degli adulti.
Non riusciva a comprendere perché tante persone (assistenti so-ciali, psicologi, suore, giudici, carabinieri) si interessassero di lui e lo tenessero lontano dalla propria casa e dai propri genitori.
Questo comportava la messa in atto di complicati meccanismi di difesa, di difficile lettura.
Quadro familiare del ragazzo
La madre: rimasta orfana all’età di 13 anni, a 14 viene ricoverata presso Ospedale psichiatrico di…, da dove fugge in seguito.
Dalla prostituzione al lavora in un circo, vive di espedienti.
Inizia la convivenza con il padre del ragazzo, dedito all’alcool.
Lo stato di disagio permanente, non le impedisce però, di ammini-strare la vita familiare e di tenere in ordine l’assetto della casa.
Il dedicarsi alla cura del figlio, le assicura quel minimo di sicu-rezza e di serenità, necessaria per rivivere il ruolo di madre e ne rafforza le motivazioni.
Il padre: Nello stato di ubriachezza in atto, assume atteggiamenti
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violenti, alla ricerca di un nemico su cui scaricare le proprie fissa-zioni.
Nei periodi di serenità, offre di sé un’immagine di persona di-stinta, ordinata nel vestire e educata nel parlare, quasi ricercata, nel tentativo di rifarsi una credibilità sociale.
Per quanto riguarda il ragazzo così scrive Giovanni:
“Occorre che siano tenuti presenti i traumi che hanno scosso il vissuto di questo ragazzo, sistemato con modalità inadeguate, in ambienti po-veri di relazioni sociali e personali, carenti nelle dinamiche affettive, continuamente in palese ostilità coi genitori, anch’essi sofferenti”.
Quando viveva nell’ansia, così si esprimeva:
Il fiore che era contento di vivere. Un fiore di colore rosso era molto contento di vivere. Era così felice che cantava così forte che si sentiva da tutte le parti. Ma un giorno sente un rumore z-z-z-z-z- e si disse fra sé: “ma cos’è questo rumore?” Poi sentì un urlo da tutte le parti: il fiore rosso felice di vivere era morto!
(da una prova di espressione) E scriveva di se stesso:
“A volte penso che io a casa non ci ritornerò più…
Io con i miei genitori ci stavo molto bene. Per me il Giudice è uno scemo perché: prima dalle suore e lì ho fatto di tutto per ritornare a casa.
Poi mi hanno dato ai B (la fam. affidataria): e lì ho fatto di tutto per tornare a casa.
Poi, mi hanno spedito da Giovanni e per adesso non sto facendo niente, ma in seguito può succedere di tutto… non so che cosa”.
(Dal tema in classe: “A volte penso”)
Sul carattere di Giovanni (tema in classe)
“Il carattere di Giovanni è scontroso, ma vuole bene a tutti i ragazzi della Comunità; però non bisogna farlo arrabbiare perché è bravo se non lo prendi per i fondelli.
Ci dà cinquemila lire al giorno, ma solo se ce lo meritiamo. Certe volte ci dà paga doppia, se abbiamo fatto i bravi. Giovanni fa tutto per noi. Si fa in tre per noi, e tutto perché vuole che facciamo il nostro dovere, che sarebbe quello di studiare e di essere educati”.
Era necessario, prima rimuovere le fonti del disagio, poi rico-struire il rapporto coi familiari e ricreare le condizioni per star bene con se stesso…
…La sua personalità è decisamente proiettata verso un’adolescen-za che, al momento, presenta tutte le premesse per rientrare nella norma.
Il fiore di colore rosso, contento di vivere, è tornato ad essere felice di vivere.
(Giovanni, 31/12/94)
Così Giovanni scrive alcune riflessioni riguardo il caso di due sorelle minorenni (13, 15 anni) coinvolte in una storia di prosti-tuzione con gli albanesi, tolte per questo motivo dalla famiglia che versa in gravi difficoltà, e consegnate, la più grande nella Comunità giovanile di Giovanni, l’altra in una comunità di suore di altra re-gione).
“Come educatore, colgo come sintomo di apprensione nella ossessione degli albanesi, che ha messo radici profonde nella più piccola della due sorelle….
… La persistente fissazione degli albanesi, come attrazione-re-pulsione, costituisce un sintomo grave del disagio psicologico che
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la opprime. Perdurando attiva da troppo tempo, è un segnale per coloro che se ne sono assunti la terapia e l’educazione.
Ritengo che la giovane per difendersi dalle angosce cerchi con-forto nel sacro, si rifugi nel sentimento di un intimismo religioso sospetto: “…tutti i giorni recita il rosario…”.
Ma non parla mai dei coetanei con cui socializzare, trascorrere il tempo libero…
Le manca la possibilità di scegliere le proprie amicizie, di auto-dirigersi, di amministrare il tempo libero, di autocontrollarsi. Di-fetta di autonomia e ha poca stima di sé.
Chi ha orecchi da intendere, intenda”.
Questi pochi esempi, se pur riduttivi, possono rendere bene l’i-dea sulla personalità di Giovanni e di una vita dedicata esclusiva-mente ai giovani in difficoltà, senza riserva alcuna
Laura Margherita Volante