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3.2. I contratti fra distributori e produttori

3.2.5. Il d.lgs 102 del 2005

Il d.lgs. 102 del 2005 assomma alla regolazione macroeconomica affidata agli accordi interprofessionali anche una regolamentazione della struttura del contratto stipulato tra le imprese agroindustriali e le imprese agricole. Tuttavia, prevedendo l’affidamento della regolamentazione dei contenuti del contratto alla mediazione della contrattazione collettiva, tale intervento normativo dimostra di aver mantenuto integra la caratteristica fondamentale della legislazione precedente predisponendo, così, un assetto normativo generale principalmente rispondente ad esigenze di governo dell’economia piuttosto che a quelle di regolazione della disciplina privatistica. L’impostazione legislativa appena richiamata continua, infatti, a considerare la stipulazione dei contratti individuali inseriti nella contrattazione collettiva come un “criterio di preferenza per attribuire contributi statali”.159 Questa logica dimostra di avere credito laddove,

compatibilmente ai principi del diritto europeo, intervenga per indirizzare le produzioni al perseguimento dell’interesse dello sviluppo economico. Si tratta, però, di un profilo riduttivo nel quale, come è avvenuto in passato, la definizione del contratto rischia di rimanere subordinata agli aspetti

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macroeconomici di regolazione della filiera e di erogazione di misure di sostegno, a discapito delle potenzialità proprie di una completa disciplina contrattuale.160

Difatti, il d.lgs. 102/2005 ha collocato i contratti di coltivazione, allevamento e fornitura all’interno di una logica di regolazione del mercato e di programmazione delle attività agricole caratterizzata dalla subordinazione del livello della contrattazione individuale a quello della stipulazione degli accordi interprofessionali. Tale subordinazione è stata operata all’interno di un assetto piramidale al cui vertice si colloca l’intesa di filiera, la quale è concordata tra le organizzazioni rappresentative dei produttori agricoli e degli industriali, ed è stipulata a lungo termine, in modo tale da rispondere alle esigenze della filiera di produzione; a seguire è stata collocata la definizione dei contratti quadro con l’obiettivo di dare attuazione alle finalità dell’intesa di filiera mediante la previsione di contenuti contrattuali finalizzati all’orientamento della produzione, al miglioramento della qualità ecc. In ultimo si trovano collocati i contratti tipo, i quali costituiscono modelli contrattuali, richiamanti i contenuti concordati tra le organizzazioni rappresentative degli operatori, che devono essere seguiti come schemi per la stipulazione dei contratti individuali di fornitura. Come afferma I. Canfora,161 la disciplina normativa introdotta nel 2005 ha

ampliato l’ambito di applicazione rispetto a quello proprio della disciplina precedente. Infatti, a differenza di quanto avveniva in passato, i modelli contrattuali realizzati in base ad essa devono essere utilizzati dagli acquirenti aderenti alle organizzazioni firmatarie dell’accordo e possono essere applicati anche agli agricoltori che, sebbene non aderenti alle organizzazioni firmatarie, ne facciano richiesta, salvo, però, il versamento di un contributo all’associazione firmataria dell’accordo. Ad ogni modo, la

160 Irene Canfora, I contratti di coltivazione allevamento e fornitura, Rivista di diritto

alimentare, N. 3, 2012, pp. 5-6.

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normativa di rilevanza civilistica prevista dagli artt. 11, 12 e 13 del d.lgs. 102 del 2005 presenta, complessivamente, considerevoli limiti nella prospettiva della regolazione dei rapporti individuali tra i contraenti. Infatti, da un lato essa non offre una disciplina contrattuale di stampo privatistico completa ed organica dato che, nonostante quanto sia espressamente previsto dalle disposizioni poc’anzi richiamate, per la disciplina dei contratti individuali continuano ad essere applicate le disposizioni del codice civile compatibili con i contenuti del contratto, precisamente la vendita (di cosa futura) e l’appalto. Dall’altro lato, le disposizioni privatistiche previste nel 2005 e integranti la disciplina generale del contratto finiscono per favorire una visione macroeconomica del rapporto contrattuale allo scopo di assicurare la continuità delle forniture, mentre altri aspetti sono affidati alla regolamentazione scaturente dagli accordi stipulati dalle organizzazioni rappresentative dei produttori. In questo senso, significativa è la previsione riguardante il recesso e la cessione di azienda contenuta nell’articolo 12 del decreto. Questo ha stabilito sia l’obbligo di preavviso di un anno per l’esercizio del recesso, sia l’obbligo di richiamare nell’atto di cessione dell’azienda l’esistenza del contratto di coltivazione, allevamento e fornitura. Entrambi gli obblighi sono sanzionati, ai sensi del terzo comma del medesimo articolo, con la previsione sia del risarcimento del danno in via equitativa in mancanza di esatta determinazione sia con l’applicazione delle sanzioni e degli indennizzi fissati dai contratti quadro.

I limiti dell’autosufficienza del sistema interprofessionale, al quale il legislatore ha affidato la regolazione dell’economia contrattuale, sono resi ancor più evidenti dal fatto che il decreto legislativo 102 del 2005 non regolamenta tutti i contratti di coltivazione, allevamento e fornitura, in quanto è applicabile soltanto a quei contratti sottoscritti in esecuzione dei contratti quadro.162 Nel sistema elaborato dalla normativa del 2005, del

162 Art.1, lettera g), d.lgs. 102/2005.

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resto, è stata considerata solo come eventuale la previsione facoltativa dell’adesione allo strumento contrattuale predisposto dalle organizzazioni di rappresentanza e, inoltre, accanto ad essa, sono stati predisposti gli strumenti necessari a poter reintegrare ex post la posizione degli imprenditori agricoli nel loro rapporto con le organizzazioni professionali, mediante il versamento di un contributo per le spese previste dagli accordi. Ai contratti di fornitura stipulati al di fuori dell’applicazione dei contratti quadro, la disciplina applicabile è, fino al 2012, quella generale.

L’analisi sin qui svolta ha evidenziato come, basandosi sia sul presupposto dell’evoluzione che i Paesi più sensibili all’industrializzazione hanno dedicato al fenomeno dell’integrazione verticale in agricoltura, sia su quello dei diversi livelli di approccio al tema operati dalla legislazione italiana, il tema dei contratti di integrazione verticale sia rimasto escluso dagli interventi legislativi nazionali.

Quanto detto, come evidenzia A. Jannarelli,163 potrebbe essere attribuito

alla sostanziale debolezza strutturale dell’apparato produttivo nazionale nel settore agro-industriale il quale, infatti, non è stato in grado di governare efficientemente i rapporti di filiera, limitandosi ad utilizzare una strumentazione contrattuale inadeguata, oppure potrebbe attribuirsi alla situazione di totale abbandono in cui si trovano ad essere gli operatori agricoli. Questi ultimi sono, di fatto, vincolati da contratti di integrazione che, a loro volta, difettano di una strumentazione giuridica idonea a fornire una tutela specifica e puntuale rispetto a quella generale offerta dal codice civile e, inoltre, non sono in grado di valorizzare l’associazionismo economico come un possibile mezzo attraverso cui poter rafforzare il potere contrattuale degli agricoltori e razionalizzare il sistema agroalimentare nazionale.

163 A. Jannarelli, I contratti nel sistema agroalimentare, in L. Costato - A. Germanò – E. Rook Basile (diretto da), Trattato di diritto agrario, vol. 3, Torino, 2011, pp. 456-457.

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Sul piano disciplinare, l’art.9 della legge N. 192 del 1988 sulla subfornitura rappresenta, infine, la sola risorsa che è stata posta a disposizione degli operatori agricoli. Questa disposizione contiene una normativa valida per tutti i rapporti contrattuali tra imprese e fornisce una prima tutela contro l’abuso di dipendenza economica, che si realizza nei casi di eccessivo squilibrio di diritti e obblighi tra le parti contrattuali, attraverso la previsione della nullità dei patti mediante i quali si realizza un assetto squilibrato nel contratto. Un tale tipo di tutela risulta essere isolata e non in grado di rappresentare una minima, ma compiuta, disciplina in materia di contratti di integrazione in agricoltura, la quale ultima, dunque, è assente. Gli interventi legislativi realizzatisi, sottolinea Jannarelli, non hanno nemmeno tentato di individuare e definire in maniera precisa il fenomeno stesso dell’integrazione per contratto. Difatti, le espressioni “contratti di coltivazione e vendita”, di cui alla legge N. 88/1988 e il “contratto di coltivazione, allevamento e fornitura”, di cui parla il d.lgs. 102/2005, in quanto ampie e descrittive certamente non posseggono i caratteri specifici dell’integrazione per via contrattuale. Infatti, per quanto riguarda la prima espressione richiamata, l’art. 8 della stessa legge 88/1988 fa riferimento a quel contratto nel quale la parte agricola si impegna a “realizzare le coltivazioni o gli allevamenti da cui deriva il prodotto oggetto di contrattazione secondo le indicazioni e i criteri tecnici convenuti” e “a consegnare tutta la produzione contrattata corrispondente alle norme di qualità stabilite”; rispettivamente, la parte industriale si impegna, invece, soltanto “a ritirare tutta la produzione oggetto del contratto corrispondente alla norme di qualità stabilite” e, inoltre, “a corrispondere il prezzo determinato in base agli accordi”. Nella formulazione appena richiamata è presente solamente un’espressione descrittiva relativa al contratto di coltivazione, dalla quale emerge un’obbligazione al riguardo a carico dell’operatore agricolo. Manca, invece, qualsiasi concreto riferimento a precisi obblighi di fare a carico della parte agricola sui quali si basa la

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reciprocità delle prestazioni caratterizzante la definizione francese dei contratti di integrazione164. Quindi il fenomeno preso in considerazione dal

legislatore del 1988 era costruito sull’alienazione dei prodotti da parte dell’agricoltore e, in quanto tale, appariva sostanzialmente estraneo al fenomeno proprio dell’integrazione per contratto.

La stessa conclusione può essere raggiunta anche per quanto riguarda l’espressione “contratto di coltivazione, allevamento e fornitura” contenuta nel d.lgs. 102/2005: questa costituisce semplicemente una variante di quella presente nella legge del 1988. Inoltre, nell’articolo 1 del decreto tale formula viene evocata unicamente a proposito dei contratti-tipo e riferita, appunto, ai contratti “aventi per oggetto la disciplina dei rapporti contrattuali tra imprenditori agricoli trasformatori, distributori e commercianti ed i relativi adempimenti in esecuzione di un contratto quadro, nonché la garanzia reciproca di fornitura e di accettazione delle relative condizioni e modalità”.165

3.2.6. L’applicabilità ai contratti di coltivazione, allevamento e fornitura