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La mancanza di una disciplina specifica del sistema agro-

3.2. I contratti fra distributori e produttori

3.2.2. La mancanza di una disciplina specifica del sistema agro-

Nel tentativo di evidenziare quanto l’ordinamento giuridico italiano sia carente di un’adeguata strutturazione della disciplina dei contratti di integrazione, i quali costituiscono il cuore dei moderni sistemi agro- alimentari, un contributo importante è stato offerto da Antonio Jannarelli, il quale ha affrontato l’analisi della situazione italiana anche alla luce del confronto con le esperienze giuridiche di quei Paesi in cui il sistema agro- industriale è particolarmente sviluppato.144

A questo proposito, infatti, nell’ambito delle esperienze giuridiche più evolute, nelle quali le problematiche in questione sono state affrontate tempestivamente e con largo anticipo rispetto alla realtà giuridica italiana, è emerso che il carattere di massa che assumono le relazioni economiche tra produttori agricoli ed imprese di trasformazione e/o distribuzione e, al contempo, la diversa forza economica tra il singolo imprenditore agricolo e

143 Questo, ad esempio, è evidente nel caso in cui, tenendo in debito conto la generale breve

durata di questi contratti, l’operatore agricolo per potere adeguare la propria struttura produttiva alle esigenze della controparte industriale debba effettuare investimenti i quali, avendo possibilità di ammortamento nel lungo periodo, lo espongono al ricatto della controparte riguardo il rinnovo del contratto.

144 Antonio Jannarelli, I contratti dall’impresa agricola all’industria di trasformazione. Problemi e prospettive dell’esperienza italiana, Rivista di diritto alimentare, N. 2, 2008.

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le imprese industriali coinvolte,145 necessitano di risposte precise e

dettagliate sul piano giuridico. Tale necessità è rilevabile sia nei casi di situazioni microeconomiche relative alle singole ipotesi di integrazione verticale, sia a livello macroeconomico. Difatti, di fronte a poche imprese industriali e ad un numero sempre maggiore di imprenditori agricoli che specializzano la propria azienda secondo le richieste dell’industria, al fine di fornire prodotti ad esse conformi, è inevitabile che da un lato emergano progressivamente forme di associazionismo tra i produttori al fine di ottenere un maggiore potere contrattuale nella elaborazione dei contratti tipo e dall’altro, che si pervenga ad una contrattazione collettiva destinata ad influire nella programmazione dei rapporti di scambio tra il settore agricolo (primario) e quello industriale, prevalentemente orientato alla trasformazione in alimenti dei prodotti agricoli.

Purtroppo, come sottolinea ancora Jannarelli, l’Italia non è stata in grado, a livello di politica del diritto, di recepire quei trends storici appena richiamati i quali emersero sin dai primi anni del Novecento in Nord- America e, a partire dagli anni sessanta del secolo scorso, in Europa, precisamente in Francia. Ed è in tal modo che si è ulteriormente ampliato il ritardo accumulato dall’ordinamento italiano in questo ambito.

Il vuoto normativo non è stato colmato con l’emanazione della legge N. 88 del 1988 sugli accordi interprofessionali in agricoltura, successivamente sostituita dal d.lgs. 102 del 2005. Il fallimento dell’esperienza applicativa del quadro disciplinare adottato nella legge N. 88 del 1988 era già stato previsto e denunziato146 prima della presentazione del disegno di legge (al tempo

145 Nello specifico, questa diversa forza economica si manifesta in termini di asimmetria

informativa a svantaggio della parte agricola riguardo i rischi posti a suo carico.

146 Il problema fu sollevato da A. Jannarelli in occasione del convegno “Agricoltura e industria: gli accordi interprofessionali”, svoltosi a Cremona il 24 settembre 1983 ed avente quale contenuto centrale l’analisi del disegno di legge firmato dall’allora Presidente della Commissione Agricoltura del senato della Repubblica, l’On. Mora. Gli atti del convegno

Agricoltura e industria: gli accordi interprofessionali, Cremona 24 settembre 1983, sono stati

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firmato dall’On. Mora, Presidente della Commissione Agricoltura del senato della Repubblica) che si limitava a riconoscere il fenomeno degli accordi interprofessionali, già noti nella prassi, senza però incidere in alcun modo sul loro sviluppo e potenziamento. La previsione del fallimento di quell’intervento legislativo trovava fondamento nel fatto che il progetto difettava totalmente di concreti indici disciplinari di diritto privato idonei a regolare tanto gli accordi interprofessionali, quanto e soprattutto, in via preliminare, la materia specifica dei contratti di integrazione verticale. Sulla base sia delle corrispondenti esperienze maturate in altri Paesi sia, più in generale, dell’esempio offerto dallo sviluppo delle relazioni industriali riguardanti i rapporti di lavoro, già al tempo era evidente l’indispensabilità della fissazione di una tutela contrattuale minima a livello microeconomico del singolo rapporto negoziale a vantaggio dell’operatore agricolo, al fine di poter favorire lo sviluppo di una contrattazione collettiva che avrebbe rafforzato la presenza dei relativi soggetti collettivi. In altre parole, lo sviluppo dell’associazionismo agricolo, necessario presupposto sia per la costituzione di un moderno sistema di relazioni contrattuali tra imprese agricole ed imprese industriali, sia per l’evoluzione delle tecniche contrattuali relative alle relazioni nella filiera agroalimentare, avrebbe potuto realizzarsi se il diritto avesse provveduto a fornire una preliminare tutela minima ai singoli operatori agricoli. A tal proposito sarebbe stato sufficiente acquisire consapevolezza di quanto fatto in Francia nel 1964, a correzione degli interventi legislativi del 1960,147 nonché dell’insieme dei

provvedimenti legislativi adottati in America in periodo ancor più risalente fra i quali si ricorda, per importanza, il Packers and Stockyards Act del 1921, riguardante il settore dell’allevamento di bestiame.

147 Riferimento alla disciplina francese in materia di contratti di integrazione della legge

del 6 luglio 1964, in seguito riportata negli articoli da R.326-1 a R.326-10 del Code Rural e nella disciplina regolamentare ai corrispondenti artt. R. 326-1 / R. 326-10.

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In particolare, la disciplina adottata in Francia nel 1964 costituì, già in tempi lontani, un’importante anticipazione di quelle tecniche giuridiche finalizzate a rendere trasparenti le condizioni giuridiche complessive dell’operazione economica, in modo tale da colmare le lacune informative presenti dalla parte degli operatori agricoli, permettendo loro di poter agire con maggiore cognizione di causa.148 Ed è proprio la presenza di quella

tutela minima legata al singolo contratto di integrazione verticale che in Francia ha permesso lo svilupparsi di una contrattazione collettiva la quale, successivamente, avrebbe portato all’elaborazione di numerosi contratti- tipo, a loro volta differenziati in relazione ai vari comparti produttivi coinvolti. Del resto, la vicenda storica della disciplina delle relazioni industriali nei rapporti di lavoro mette in evidenza come, nel lungo periodo, la presenza di una tutela minima a livello del singolo rapporto contrattuale rende possibile una più solida strutturazione della contrattazione collettiva e quindi il rafforzamento istituzionale di quel sistema di relazioni. Ed infatti, anche nel sistema agro-alimentare la creazione di un moderno assetto organizzato di relazioni tra i diversi operatori economici coinvolti soddisfa non solo gli interessi degli operatori agricoli, ma anche quelli della stessa industria. Quest’ultima, in effetti, ha interesse a costruire poche relazioni contrattuali stabili mediante le quali potersi assicurare

148 Il nucleo della tecnica giuridica adottata in Francia dal 1964 a tutela dell’operatore agricolo è rappresentato dalla richiesta di trasparenza del contratto in ordine soprattutto al prezzo dei beni che l’integratore pone a disposizione del produttore agricolo (sotto forma di servizi, sementi, animali da allevare ecc.) oltre che alle condizioni relative al rinnovo del contratto e alla sua durata. La violazione dei requisiti formali è sanzionata con la nullità del contratto della quale può avvalersi solamente il produttore agricolo. Se, dunque, la disciplina non modifica gli equilibri economici dello scambio, i quali sono quindi lasciati alle libere determinazioni delle parti che se ne assumono i rischi, purché il contenuto del contratto sia reso trasparente in base alle disposizioni di legge, è allora in sede di governo delle conseguenze della nullità che, attraverso le restituzioni o le prestazioni sostitutive dovute, la prassi applicativa della legge francese opera per garantire la giusta remunerazione del lavoro svolto dal produttore agricolo. A. Jannarelli, I contratti

nel sistema agroalimentare, in L. Costato – A. Germanò – E. Rook Basile (diretto da), Trattato

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l’approvvigionamento di grandi quantità di prodotti già rispondenti alle proprie esigenze tecniche.

L’esperienza giuridica italiana legata alla legge N. 88 del 1988 è stata, invece, caratterizzata dalla sola ricorrenza del dato terminologico relativo ai “contratti di coltivazione e vendita”, senza che vi fosse in essa nessuna disciplina minima a tutela degli operatori agricoli. Inoltre, se a questo dato si somma il fatto che il richiamo a tale tipologia di contratti avveniva solamente in presenza di un accordo collettivo interprofessionale, a sua volta non assoggettato ad alcuna specifica normativa privatistica diversa da quella di diritto comune, emerge come il quadro normativo preesistente non sia stato, di fatto, modificato. A conferma di quanto detto poteva osservarsi come l’attuazione nella prassi dei contratti di integrazione verticale fosse assoggettata alle regole di diritto comune e, inoltre, come l’unica ragione di sviluppo degli accordi interprofessionali fosse collegata alla presenza, solo congiunturale, di provvidenze pubbliche (statali o di origine comunitaria) che esigessero una gestione contrattata a livello collettivo. Jannarelli, per di più, mette in rilievo quanto, nell’esperienza italiana, la mancanza di una disciplina privatistica specifica destinata a regolare i contratti tra operatori agricoli e industrie di trasformazione e/o distribuzione, i quali sono rimasti in bilico tra il modello della vendita ed il contratto di appalto, si sia consolidata anche nelle non felici scelte legislative adottate in tema di associazionismo agricolo.149 Infatti, se le strutture

giuridiche fondamentali di un moderno sistema agro-alimentare sono individuabili nella specificità dei soggetti privati protagonisti, nel caso di specie individuabili nelle organizzazioni dei produttori agricoli e nelle loro controparti, e nei particolari modelli disciplinari preposti alla regolazione delle relazioni economiche che intervengono nella filiera, è allora facile

149 Questo ambito riguarda i soggetti collettivi che nell’esercizio della funzione normativa

loro spettante ricoprono il ruolo, assieme alle controparti industriali, di protagonisti degli accordi interprofessionali e, di conseguenza, anche i contratti di integrazione verticale in agricoltura.

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constatare l’arretratezza del sistema italiano sia sul piano giuridico che su quello economico.150